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Concorso di persone nel reato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19634/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di droga. La Corte ha ribadito la netta distinzione tra la mera connivenza non punibile e il concorso di persone nel reato, che richiede un contributo causale, anche minimo, all’attività criminosa. Nel caso di specie, l’uso del proprio telefono per prendere gli ordini dai clienti è stato ritenuto un contributo attivo e non una semplice presenza passiva.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso di Persone nel Reato: la Cassazione e il Ruolo del “Telefonista” nello Spaccio

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 19634 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la distinzione tra la semplice connivenza non punibile e il concorso di persone nel reato. Il caso specifico riguardava un’attività di spaccio di sostanze stupefacenti e il ruolo di un soggetto che, pur non eseguendo materialmente la cessione, forniva un contributo essenziale all’operazione. Questa decisione offre importanti spunti per comprendere quando un comportamento, apparentemente secondario, integra a tutti gli effetti una partecipazione attiva al crimine.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine da un’operazione di polizia in cui due soggetti venivano fermati a bordo di un’autovettura subito dopo aver effettuato due distinte cessioni di cocaina. Uno dei due occupanti era il conducente e materiamente detentore di gran parte della droga, mentre l’altro, il ricorrente in Cassazione, veniva trovato in possesso di una cospicua somma di denaro, una piccola dose di hashish e, soprattutto, del telefono cellulare utilizzato per concordare gli appuntamenti con gli acquirenti.

Condannato in primo e secondo grado, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo, tra gli altri motivi, di essere stato un mero connivente. A suo dire, la sua presenza in auto era casuale e non aveva offerto alcun contributo all’attività di spaccio del complice, il quale si era peraltro assunto la paternità dei fatti. La difesa puntava a dimostrare che il suo ruolo fosse stato meramente passivo, e quindi non punibile.

I Motivi del Ricorso e le Difese dell’Imputato

Il ricorso si fondava principalmente su quattro punti:

1. Errata valutazione del concorso di persone: La difesa contestava la logicità della motivazione con cui i giudici di merito avevano affermato la sua partecipazione al reato, sostenendo che le prove, in particolare le dichiarazioni del coimputato, fossero state ignorate (cd. travisamento per omissione).
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: Si lamentava la violazione dell’art. 131-bis c.p., norma che esclude la punibilità per reati di minima offensività.
3. Mancata esclusione della recidiva: Il ricorrente si doleva della mancanza di motivazione sul punto.
4. Diniego delle attenuanti generiche: Si contestava la decisione della Corte d’Appello di non concedere le circostanze attenuanti generiche e di non ridurre ulteriormente la pena.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure difensive con argomentazioni precise.

Connivenza Passiva vs. Contributo Attivo: l’essenza del concorso di persone nel reato

Il punto centrale della sentenza riguarda il primo motivo. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la linea di demarcazione tra la connivenza non punibile e il concorso di persone nel reato risiede nella natura del contributo offerto. Mentre la connivenza si esaurisce in un comportamento meramente passivo (la semplice presenza sul luogo del delitto), il concorso richiede un apporto causale, anche minimo, che agevoli o rafforzi l’attività criminosa altrui.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il ruolo del ricorrente fosse tutt’altro che passivo. Gli elementi probatori erano inequivocabili:

* La gestione del telefono: L’imputato era in possesso del cellulare sul quale arrivavano gli ordini degli acquirenti. Era lui, quindi, a gestire i contatti e a concordare gli appuntamenti, indirizzando di fatto il coimputato verso i clienti. Questo è stato qualificato come un contributo materiale e indispensabile per la riuscita delle cessioni.
* Il possesso del denaro: La somma di 245 euro trovata addosso al ricorrente è stata considerata un provento dell’attività illecita.

Questi fattori, secondo la Corte, dimostrano una chiara responsabilità concorsuale, poiché l’imputato non si limitava ad assistere, ma partecipava attivamente all’organizzazione dello spaccio.

La Reiezione degli Altri Motivi

La Cassazione ha giudicato inammissibili o infondati anche gli altri motivi. La richiesta di applicazione della particolare tenuità del fatto è stata respinta perché sollevata per la prima volta in Cassazione, senza essere stata proposta in appello. Per quanto riguarda la recidiva e le attenuanti generiche, i giudici hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione adeguata e logica, che il ricorrente aveva omesso di contestare in modo specifico, limitandosi a riproporre genericamente le sue richieste.

Conclusioni

La sentenza n. 19634/2024 rafforza un principio fondamentale in materia di reati commessi in gruppo: non è necessario compiere l’azione tipica del reato (in questo caso, la consegna materiale della droga) per essere considerati responsabili. È sufficiente fornire un contributo consapevole che, inserendosi nell’azione complessiva, ne permette o ne facilita la realizzazione. Gestire il “centralino” dello spaccio, prendendo ordini e organizzando incontri, non è un’attività passiva, ma una forma di partecipazione materiale che integra a pieno titolo il concorso di persone nel reato. Questa decisione serve da monito: nel contesto di un’attività illecita, anche i ruoli apparentemente defilati possono comportare una piena responsabilità penale.

Quando una persona può essere considerata complice in un reato di spaccio invece che un semplice connivente?
Una persona è considerata complice (concorrente) quando fornisce un contributo consapevole e attivo al crimine, anche se minimo. Secondo la sentenza, raccogliere gli ordini tramite telefono e indirizzare il venditore verso i clienti costituisce un contributo materiale che va oltre la mera e non punibile connivenza passiva.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione la richiesta di applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.)?
No. La sentenza chiarisce che una doglianza relativa a una violazione di legge, come la mancata applicazione di una causa di non punibilità, non può essere presentata per la prima volta dinanzi alla Corte di Cassazione se non è stata oggetto di uno specifico motivo di appello nel grado di giudizio precedente.

Quali elementi sono sufficienti a dimostrare un concorso di persone nel reato di spaccio?
La sentenza indica che elementi come il possesso di una cospicua somma di denaro contante, la disponibilità e l’utilizzo del telefono cellulare per contattare i clienti e l’attività di ricezione degli ordini sono prove sufficienti a dimostrare un ruolo attivo e, di conseguenza, un concorso di persone nel reato, superando la tesi della mera presenza passiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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