Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13946 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13946 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BARI DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bari ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 30 aprile 2019 dal Tribunale di Bari nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, per i reati di cui agli artt 110-628 e 110-582 cod. pen.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi i suddetti imputati, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente espo
Ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione riguardo alla valutazione degli elementi di prova posti a sostegno della ribadita affermazione di responsabilità.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza e alla dosimetria della pena.
3.3. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione riguardo alla ritenuta recidiva.
Ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Nullità del capo di imputazione per erronea contestazione della recidiva.
4.2. Violazione di legge e motivazione apparente in merito alla riconosciuta responsabilità concorsuale e alla mancata applicazione dell’art. 114 cod. pen.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 17, decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Le perplessità della difesa di COGNOME in ordine al tempus commissi delicti, all’attendibilità della persona offesa, all’abbigliamento del ricorrente e alla su sicura individuazione e ai movimenti dell’auto con a bordo i due rapinatori sono stattcongruamente fugate dalla Corte barese, con motivazione del tutto coerente con le emergenze processuali, esaminate funditus singolarmente e nel loro complesso (pp. 2-3 e 5-7). Tali censure del doppio conforme impianto argomentativo dei giudici di merito risultano dunque meramente reiterative e in ogni caso postulano una nuova lettura del compendio probatorio impossibile in questa sede di legittimità.
A fronte della assoluta completezza della piattaforma istruttoria, peraltro, i giudici di appello non avevano alcuna ragione per procedere ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen.
Il primo motivo di COGNOME è dunque non consentito e comunque aspecifico.
Il collaborativo comportamento processuale ha fondato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti. Il bilanciamento ex art. 69 cod. pen. è stato giustificato dalla Corte di
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appello, anche a prescindere da ogni automatismo astrattamente suscettibile di illegittimità costituzionale, sottolineando i precedenti gravi e specifici e mancanza di resipiscenza. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti sono censurabili in Cassazione soltanto nell’ipotesi – evidentemente non ravvisabile nel caso di specie – in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 46343 del 26/10/2016, COGNOME, Rv. 268473).
Il computo del Tribunale ha preso le mosse dalla pena base per il più grave delitto di rapina (non aggravata, giusta il giudizio di equivalenza), individuata in quattro anni. I fatti sono stati commessi il 1° febbraio 2017 e la forbice edittal allora in vigore prevedeva, oltre alla multa, la reclusione da tre a dieci anni Qualora venga irrogata una pena molto al di sotto della media edittale, l’obbligo motivazionale si attenua: è già sufficiente che si richiami il criterio di adeguatezza della pena o che si dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen anche solo con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere; resta, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno congruamente richiamato, per quanto qui rileva, le modalità della condotta, le conseguenze lesive e il valore dei beni sottratti (sentenza di primo grado, p. 7, con riflessioni condivise dalla Corte di appello, a p. 9, a nulla rilevando il no corretto obiter dictum che qualifica la pena come esattamente pari al minimo di legge). Il secondo motivo di COGNOME è pertanto manifestamente infondato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le doglianze in punto di recidiva non risultano previamente dedotte nell’atto di appello da nessuno dei due imputati, di modo che i relativi motivi di ricorso sono inammissibili ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Ad ogni buon conto, contrariamente alle prospettazioni del ricorrent i , ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878).
Quanto alla coscienza e volontà in capo alla ricorrente di offrire il proprio imprescindibile apporto causale, la Corte territoriale chiarisce come la
responsabilità si desuma chiaramente dai lunghi giri di perlustrazione per monitorare la vittima prescelta, della cui recente vincita era direttamente informata, e dal successivo appostamento per consentire l’aggressione da parte del marito, mentre lei fungeva da palo (pp. 7-8).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, per l’integrazione dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente neppure una minore efficacia causale dell’attività prestata da un còrreo rispetto a quella realizzata dagli altri; è invece necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare – al contrario che nel caso di specie, come ben chiarito nella sentenza impugnata – trascurabile nell’economia generale del crimine commesso (cfr., Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, Malfarà, Rv. 284771; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051).
Il secondo motivo di COGNOME è dunque generico e comunque manifestamente infondato.
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 6 marzo 2024