Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1499 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1499 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a MARSALA il 15/10/1981
COGNOME NOME nato a MAZARA DEL VALLO il 19/09/1991
avverso la sentenza del 26/10/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e if ricorskt;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
uditi) il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
uclit / o il difensore z2tn GLYPH 11 -GLYPH GLYPH v GLYPH Gut, ~
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, resa il 26 ottobre 2022, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsala che ha ritenuto responsabili gli imputati dei reati di cui agli artt. 110, 610 (capo A) 582 e 58 (capo C) cod. pen. e il solo COGNOME del delitto di cui all’art. 612 cod. pen. (capo B) condannando quest’ultimo alla pena di mesi sette di reclusione e il COGNOME alla pena di mesi sei di reclusione.
Ricorrono entrambi gli imputati proponendo ciascuno un unico motivo di ricorso.
2.1. NOME COGNOME lamenta la mancanza, erroneità e manifesta illogicità della sentenza in relazione all’art. 192 cod. proc. pen..
Deduce il sostanziale travisamento delle prove per essere state inadeguatamente valutate le risultanze processuali e in particolare l’attendibilità delle dichiarazi dei testi e della persona offesa, NOME COGNOME Censura altresì la motivazione in relazione al ritenuto concorso nel delitto di lesioni atteso che il comportamento del soggetto (non identificato) che ha sferrato il pugno che ha causato le lesioni alla persona offesa era stato estemporaneo e imprevedibile.
NOME COGNOME lamenta anch’egli la mancanza, erroneità e manifesta illogicità della sentenza. Deduce di avere tenuto un comportamento del tutto marginale e che nella sua condotta sarebbe semmai da riscontrarsi un’ipotesi di connivenza non punibile, giammai di concorso. La sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, non esamina in modo compiuto la condotta a lui imputata e nessun riferimento contiene al fine di chiarire le ragioni del ritenuto concorso.
3.1. Il ricorrente chiede altresì di essere rimesso in termini al fine di richieder riti alternativi onde poter beneficiare delle previsioni di cui all’art. 442, comma bis, cod. proc. pen. inserito nel codice di rito dal d.lgs n. 150 del 2022 o, in cas di conferma della sentenza di condanna, chiede l’applicazione delle sanzioni sostitutive introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia e, precisamente, che la pena inflitta venga sostituita con la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità o c quella della detenzione domiciliare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Con riferimento alla prima parte dell’unico motivo di ricorso proposto da NOME COGNOME deve rilevarsi che il vizio di travisamento delle prove era stato puntualmente denunciato al giudice di appello, il quale ha confermato la sentenza di primo grado analizzando compiutamente il vizio censurato e argomentando in merito all’insussistenza dello stesso.
Il ricorrente contesta l’erronea conforme valutazione delle emergenze istruttorie effettuata dai giudici di merito in relazione alle dichiarazioni della persona offes e all’attendibilità dei testi. Siffatte censure, però, pur essendo dirett lamentare un vizio della motivazione a norma dell’art. 606, comma 1, lett.e), cod. proc. pen., si risolvono nella sostanza nella mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata in quanto si invoca, fondamentalmente, l’applicazione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare sussistenza di ragionevoli dubbi, in ordine alla complessiva ricostruzione e valutazione effettuata nel provvedimento impugnato. Siffatta censura è dunque inammissibile posto che questa Corte di legittimità deve limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici manifesti, senza possibilità di valutare la rispondenz della motivazione alle acquisizioni processuali (éx plurimis uSez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di cassazione «il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persisten divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370). Il controllo di legittimità sulla motivazione è circoscritto, infatti, alla verifica che siano s esposte ragioni giuridicamente significative che hanno determinato la decisione e che le argomentazioni addotte siano congruenti rispetto alla decisione adottata. Quanto all’illogicità della motivazione, questa deve essere “manifesta”, ossia di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali in essa citati, restando ininfluenti le minime incongruenze. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi suesposti, si osserva che la Corte d’appello di Palermo, dopo aver riesaminato approfonditamente le medesime emergenze istruttorie poste a fondamento della decisione di primo grado, ha ritenuto, con motivazione priva di evidenti illogicità, pienamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa non costituitasi parte civile, anche in quanto confortate dalle dichiarazioni degli altri testi che avevano ricostruito la vicenda in termini sostanzialmente analoghi. Nel richiamare la deposizione del COGNOME, la Corte distrettuale ha evidenziato che questo ebbe a dichiarare di essere stato inseguito, mentre era alla guida della propria auto – in cui viaggiavano anche NOME COGNOME, NOME COGNOME la sorella disabile e il figlio di quest’ultima – da un’autovettura Audi, alla cui guida vi era NOME COGNOME che egli conosceva di vista e, a bordo, NOME COGNOME e un’ altra persona non conosciuta; che l’Audi, lanciata all’inseguimento, riusciva a tagliargli la strada costringendolo a fermarsi; che i COGNOME era sceso dall’auto, minacciandolo e invitandolo a scendere «altrimenti lo avrebbe ammazzato»; che i tre uomini a bordo dell’Audi avevano un contegno aggressivo ed erano barcollanti; che la persona da lui non conosciuta gli aveva sferrato un pugno con un “tirapugni”. La Corte d’appello, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, ha condotto un accurato vaglio di credibilità e attendibilità di tale deposizione sostenuta da quella dei testi e ha evidenziato sia le ragioni per cui tali ultime deposizioni, pur tendendo a minimizzare i fatti costituiscono una conferma delle dichiarazioni della persona offesa, sia quelle per cui è stato riconosciuto valore al narrato, privo di animus nocendi, della vittima a cui, peraltro, giova ricordare richiamando l’insegnamento di questa Corte nella sua massima composizione (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214), non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. per cui siffatte dichiarazioni «possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone». In tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull’ id quod plerumque accidit ed insuscettibili di verifica empirica, o anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, 10153 del 11/2/2020, C., Rv. 278609). Orbene, la motivazione della sentenza impugnata, che si aggiunge a quella già resa in primo grado, non appare affatto contraddittoria, tanto meno in forma manifesta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il motivo di ricorso, in parte qua, è dunque inammissibile.
Devono essere affrontate unitariamente le questioni sottoposte a censura nella seconda parte del motivo di ricorso del COGNOME e nel primo motivo di ricorso proposto dal COGNOME atteso il collegamento tra le stesse.
Da entrambi gli imputati, infatti, viene lamentato il travisamento della prova e la carenza argomentativa della decisione impugnata con specifico riferimento al
riconosciuto concorso nel delitto di lesioni. Secondo la prospettazione difensiva del COGNOME, la Corte d’appello non avrebbe chiarito in che termini egli avrebbe previsto e agevolato la realizzazione della condotta violenta pacificamente attuata da un terzo soggetto rimasto sconosciuto. Il COGNOME, invece, deduce che il suo ruolo era stato del tutto marginale essendo egli rimasto per quasi tutto il tempo all’interno dell’autovettura.
Orbene, la giustificazione fornita circa l’affermazione della responsabilità a titol di concorso, riconosciuta nei precedenti due gradi di giudizio per entrambi gli imputati, si fonda sull’esistenza di un contesto unitario caratterizzato da un crescendo di atti violenti e di minacce, anche di morte, e sulla presenza visibile, nell’abitacolo della vettura del Bonafede, di una pistola e di un coltello (cfr. pa 5 della sentenza di primo grado) per cui, la commissione del delitto di lesioni personali a mezzo di un tirapugni, seguito senza soluzione di continuità ai precedenti comportamenti, era da considerarsi conseguenza più che probabile. Peraltro, anche se il pugno era stato inferto da uno solo dei tre componenti dell’equipaggio dell’Audi che aveva contestualmente minacciato la persona offesa dicendogli «Non ti devi fare più vedere a Petrosino altrimenti finisce male», non risulta – né è stato allegato – che gli odierni ricorrenti si fossero adoperati in qualche modo per sollecitare il complice a fermarsi o per fornire aiuto alla vittima.
Quanto alla specifica posizione del COGNOME, la Corte d’appello evidenzia che, secondo quanto dichiarato dalla persona offesa, in entrambi i casi in cui era stata sbarrata la strada all’autovettura del Lombardo, gli occupanti scendevano dal veicolo per dirigersi verso la persona offesa e che «i tre uomini avevano un contegno molto aggressivo erano barcollanti, forse in quanto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o alcoliche». Il COGNOME, quindi, non solo ha preso attivamente parte alla spedizione punitiva, ma ha accettato il rischio di essere coinvolto in una più grave condotta illecita atteso che le armi, come si è detto, erano ben visibili all’interno dell’autovettura.
In tale contesto, l’affermazione di responsabilità da parte dei giudici del merito è sorretta da una motivazione che non risulta manifestamente illogica in quanto, ai fini della configurabilità di un’ipotesi di concorso di persone nel reato, non necessario il previo accordo, ma è sufficiente, per i concorrenti diversi dall’esecutore materiale, il dolo eventuale che sussiste sia quando, pur non concorrendo materialmente nella commissione del fatto, questo sia prevedibile in concreto come possibile conseguenza dell’azione concordata, sia quando, più semplicemente, se ne accetti il rischio di accadimento. (Sez. 2, n. 20793 del 15/04/2016, Belville, Rv. 267038). GLYPH Né è configurabile la connivenza non punibile, ventilata dal COGNOME‘COGNOME, posto che questa postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo (circostanza che, per quanto rilevato dalla Corte d’appello e di cui si è detto sopra, non è riscontrabile), mentre nel concorso di persone è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la condotta assicurando all’autore materiale del fatto, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare. In tal senso va riconosciuta anche alla semplice presenza sul luogo dell’esecuzione del reato, purché non meramente casuale, l’idoneità a costituire estremo integrante della partecipazione criminosa, qualora essa sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa. (Sez. 6, n. 1108 del 04/12/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 206785).
I Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di tali principi posto che no risulta un comportamento meramente passivo del COGNOME in quanto, come già evidenziato, per come emerge dalle sentenze di merito: l’equipaggio a bordo dell’Audi si poneva all’inseguimento dell’autovettura della persona offesa, affiancandola più volte, tamponandola e costringendo, quindi ) il COGNOME a fermarsi; il COGNOME riusciva nel suo intento di sbarrare la strada in due diversi momenti e (così, pag. 5 della sentenza di primo grado) «in entrambi i casi gli occupanti scendevano dai veicoli per dirigersi verso il Lombardo». La sentenza impugnata, dunque, regge al vaglio di legittimità, non potendo la Corte di cassazione stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione di fatti, né condividerne la giustificazione, ma dovendo invece limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”. Gli imputati, entrambi, appuntano le loro critiche non su evidenti carenze logiche della motivazione, ma sulla valutazione che la Corte d’Appello ha espresso sulla vicenda. Tali censure, dunque, per le cose dette, sono del tutto inammissibili essendo invocata a ben vedere solo una diversa lettura dei fatti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ultimo deve osservarsi che, alla luce del principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26600 del 13/05/2011, COGNOME, Rv. 250900; Sez. 2, n. 28547 del 20/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 27323 del 25/01/2023, COGNOME, non mass.;
Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105-01; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233187- 01).
E’ manifestamente infondata, infine, la richiesta del COGNOME di essere rimesso in termini al fine di richiedere i riti alternativi previsti dal de legislativo n. 150 del 2022.
Ed invero, a norma dell’art. 442, comma 2-bis cod. proc. «quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione» che vi provvede ex articolo 676, comma 1, e 667, comma 4, cod. proc. pen. Il nuovo beneficio premiale, dunque, consegue alla scelta dell’imputato di non impugnare la sentenza di primo grado e non può essere proposta nei gradi successivi al primo posto che altrimenti verrebbe ad essere svilita la finalità propria della riforma introdotta dal d.lgs n. 150 del 2022 che quella di ridurre la durata del procedimento penale favorendo la definizione della causa dopo la decisione di primo grado.
È dunque evidente che, nel caso in esame, non può porsi nessuna questione di restituzione del termine in quanto l’atto che impedisce l’accesso alla riduzione di pena (ricorso in appello) è già stato compiuto e ha introdotto proprio quella fase processuale che la norma premiale ha inteso evitare. Né vale obiettare che al tempo della proposizione del ricorso in appello non era ancora entrata in vigore l’invocata disciplina e che la modifica normativa, incidendo sul trattamento sanzionatorio in concreto applicabile, avrebbe natura sostanziale imponendo, in applicazione del principio del ‘favor rei, l’applicazione retroattiva della stessa. Nella vicenda che qui ci occupa, infatti, vengono in considerazione atti ormai compiuti ed effetti che si sono consumati e su cui, quindi, non è più possibile operare.
Come lucidamente affermato in motivazione da Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537, il regime delle impugnazioni «rimane insensibile a eventuali interventi normativi successivi, non potendo la nuova legge processuale travolgere quegli effetti dell’atto che si sono già prodotti prima dell’entrata vigore della medesima legge, né regolare diversamente gli effetti futuri dell’atto».
In ordine, infine, alla richiesta di applicazione delle sanzioni sostitutive rileva quanto segue.
L’art. 95 d.lgs n. 150 del 2022 prevede che le nuove disposizioni introdotte al Capo III della legge 24 novembre 1981 n. 698, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado d’appello al momento dell’entrata in vigore della novella (30 dicembre 2022); in caso di procedimento pendente innanzi alla Corte di cassazione al momento della suddetta entrata in vigore, il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni potrà rivolgersi al giudice dell’esecuzione, al quale potrà essere richiesta l’applicazione di una delle pene sostitutive, ai sensi dell’articolo 66 cod. proc. pen, entro 30 giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel caso di annullamento con rinvio, provvede invece il giudice del rinvio.
La o ratio udi tale disciplina – che è differente rispetto al giudizio di merito nel qual caso è previsto un meccanismo processuale bifasico secondo cui, a norma dell’art. 545-bis cod. proc. pen., dopo la lettura del dispositivo, in caso istanza di sostituzione della pena detentiva da parte dell’imputato, il giudice decide in merito nel corso della medesima udienza o di un’udienza successiva deve ravvisarsi nel fatto che la decisione in ordine alla sostituzione della pena detentiva e all’applicazione della pena sostitutiva implica un giudizio di merito estraneo al sindacato di legittimità cosicché, a differenza dei giudizi pendenti in grado di appello, per quelli pendenti dinanzi alla Corte di cassazione si riserva ogni decisione al giudice dell’esecuzione, una volta passata in giudicato la sentenza. Orbene, occorre quindi stabilire, per quanto qui di interesse, quando si intende pendente il giudizio di cassazione posto che il codice di rito non contiene alcuna disposizione che individui il fatto o l’atto processuale che determina siffatta “pendenza”. Soccorrono a tal proposito le Sez. U. n. 47008 del 29/10/2009, COGNOME, Rv. 244810 che hanno affermato, con riferimento alla nuova disciplina in tema di prescrizione introdotta dalla I. n. 251 del 2005, i principio secondo cui «Ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie [… pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento», sottolineando, in motivazione, che il legislatore non ha fatto riferimento ad un determinato segmento processuale del giudizio di impugnazione, ma ai giudizi di appello e di cassazione «nella loro globalità e come aventi, ciascuno di loro, immediato corso rispetto al precedente: il che segnala che non è ipotizzabile una soluzione di continuità tra la conclusione di un grado e la pendenza del successivo» . Sulla scorta anche di siffatta decisione, Sez. 6, n. 34091 del 21/06/2023, COGNOME, Rv. 285154-01 ha condivisibilmente ritenuto, che «Ai fini dell’operatività della disciplina transito di cui all’art. 95, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in riferimento all’ar 20-bis cod. pen., la pronuncia della sentenza di appello determina la pendenza del procedimento innanzi alla Corte di cassazione, con la conseguenza che, per i processi in corso in tale fase alla data di entrata in vigore del detto d.lgs. ( dicembre 2022), una volta formatosi il giudicato, il condannato potrà avanzare istanza di sostituzione della pena detentiva al giudice dell’esecuzione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Se, dunque, alla data di entrata in vigore della legge il procedimento penale è pendente innanzi alla Corte di cassazione, esso seguirà il suo corso e verranno
valutati i motivi di ricorso diversi da quelli afferenti alla richiesta di sostitutive e all’esito, in caso di rigetto o dichiarata inammissibilità del ricor entro 30 giorni dall’irrevocabilità della sentenza, il ricorrente potrà rivolgersi giudice dell’esecuzione per le proprie richieste in tema di pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio, sarà invece il giudice del merito a dover decidere in ordine all’applicazione delle pene sostitutive ex art. 20-bis cod. pen. e 545-bis cod. proc. pen. ».
Orbene, nella vicenda che qui ci occupa la sentenza della Corte di appello è stata emessa il 26 ottobre 2022 e depositata il 24 gennaio 2023; il ricorso per cassazione è stato presentato dopo la data di entrata in vigore della riforma. Orbene il Collegio condivide quanto affermato da Sez. 4, n. 43975 del 26/09/2023, COGNOME, Rv. 285228 – 01 secondo cui «Ai fini dell’applicabilità del regime transitorio previsto, ex art. 95, comma 1, d.lgs. 1 ottobre 2022, n. 150, per le pene sostitutive delle pene detentive brevi, la pronuncia del dispositivo della sentenza di appello entro il 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del citato d.lgs., determina la pendenza del procedimento “innanzi la Corte di cassazione” e consente, quindi, al condannato, una volta formatosi il giudicato all’esito del giudizio di legittimità, di presentare l’istanza di sostituzione della pena detentiv al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen.
In applicazione di siffatti principi, l’istanza proposta in questa sede dev considerarsi inammissibile posto che la natura del giudizio di legittimità, come si desume, peraltro, dal dettato dello stesso citato art. 95, non consente alla Corte di cassazione di procedere in conformità di quanto richiesto dal difensore. In applicazione dell’art. 95 cit., avendo il giudice di appello pronunziato la sentenza impugnata prima del 30 dicembre 2022 e avendo tale data determinato la pendenza del giudizio in cassazione, anche se il ricorso è stato ancora presentato dopo tale data, sarà comunque possibile attivare il procedimento dinanzi al giudice dell’esecuzione per l’applicazione delle pene sostitutive del Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza.
6. All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende Roma, 22 settembre 2023
Il Presidente
NOMECOGNOME
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
12
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE