Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25375 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25375 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a CROTONE il 20/05/1970
avverso l’ordinanza del 30/12/2024 del TRIBUNALE DEL RIESAME di CATANZARO
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria dell’Avv. NOME COGNOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del Pubblico ministero nella persona della Sostituta P.G. NOME
Ricorso trattato in camera di consiglio con rito cartolare
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro del 30/12/2024, con la quale è stata confermata la misura cautelare del divieto di dimora, emessa dal Gip del Tribunale di Crotone, in ordine ad un’ipotesi di concorso, unitamente a COGNOME NOME, in tentata estorsione aggravata dalle persone riunite (artt. 110, 56-629 in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1 cod. pen.).
Tanto il Gip che il Tribunale hanno ravvisato, in punto di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione die reati, oltreché quello di inquinamento probatorio.
2. La difesa affida il ricorso a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla direzione finalistica della condotta, ovvero della volontà del ricorrente di costringere, con le condotte minacciose, la p.o. COGNOME NOME a non organizzare più alcun evento presso la sala ricevimenti della struttura “INDIRIZZO“, così da consentire alla famiglia dell’indagato di continuare ad operare, come in passato, in via esclusiva presso la struttura con altre società alla medesima riconducibili. Rammenta la difesa che, affinché possa configurarsi il delitto di estorsione, seppur nella forma tentata, l’accertamento della direzione finalistica della condotta non può arrestarsi alla sola volontà di allontanare la p.o. da quei luoghi (dunque “il costringere a fare”), bensì deve spingersi oltre ovvero alla verifica che l’imposizione – che, peraltro, la stessa p.o. qualifica come consiglio avesse quale fine l’ingiusto profitto e, dunque, fosse animata dallo scalzare il COGNOME al fine di accaparrarsi la possibilità di organizzare in sua vece eventi. E ciò tanto più valeva per il ricorrente se si considera che, a differenza degli altri coindagati, egli non era titolare di alcuna impresa che astrattamente potesse avere interesse un interesse economico ad organizzare eventi in quel luogo al posto del Maiolo.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. Il Tribunale del riesame aveva assolto all’obbligo di motivazione ricorrendo ad una mera formula di stile, a fronte, peraltro, di un fatto estemporaneo e circoscritto nella sua dinamica commerciale in relazione al quale era dunque necessario indicare le ragioni per le quali si potesse concretamente ritenere altamente probabile la reiterazione del reato, ossia che l’occasione dei contatti commerciali con la p.o. potesse ripetersi.
Il Pubblico ministero presso questa Corte, con requisitoria del 15/05/2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con memoria del 30/05/2025, la difesa dell’indagato, nel replicare alla
requisitoria del Pubblico ministero, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Secondo la ricostruzione in fatto che si ricava dall’ordinanza impugnata, COGNOME NOME, amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, è stato vittima di reiterate minacce estorsive provenienti da diversi appartenenti della famiglia COGNOME (NOME, NOME e NOME COGNOME) che si sono susseguite in un periodo compreso tra aprile e ottobre 2024, volte a costringere la p.o. a non organizzare più eventi presso il Villagio “Baia degli Dei” di Isola Capo Rizzuto, così da consentire alla famiglia COGNOME di operare, come fatto in passato, in via esclusiva presso la struttura con altre società ad essi riconducibili.
Peraltro, con riguardo alla posizione di COGNOME Antonio, si è anche precisato che la minaccia estorsiva fu inizialmente destinata a costringere la p.o. a versare il 20% dell’incasso degli eventi che organizzava all’interno della suddetta struttura.
Le estorsioni sono state tutte contestate nella forma tentata agli appartenenti alla famiglia COGNOME in relazione ai diversi segmenti temporali che li hanno visti coinvolti: COGNOME NOME risponde in concorso con COGNOME NOME in relazione all’episodio del 4 ottobre 2014; NOME risponde singolarmente per un episodio verificatosi tra aprile e maggio 2024; COGNOME NOME risponde singolarmente per diversi episodi accaduti il 25 maggio 2024, il 17 luglio 2024 e, in concorso con NOME, il 4 ottobre 2024.
Benché si sia al cospetto di differenti contestazioni, tanto il Gip che il Tribunale del riesame hanno ricondotto le minacce di cui è stato reiteratamente destinatario il COGNOME all’unitario interesse della famiglia COGNOME a rientrare in possesso dell’esclusiva relativa all’organizzazione di eventi nel Villagio INDIRIZZO.
In tale disegno si colloca, a leggere i provvedimenti di merito, ben suffragati nell’indicazione di plurimi e convergenti elementi probatori a sostegno del dichiarato della persona offesa, la condotta del ricorrente, il quale risulta avere dato “manforte” al COGNOME NOME in occasione dell’episodio del 4 ottobre 2024, rafforzando, anche con le intimazioni rivolte direttamente alla persona offesa, le minacce di morte del correo, affinché il COGNOME se ne andasse, così lasciando campo libero alla famiglia COGNOME
Di conseguenza, anche il contributo causale prestato dal ricorrente – tanto con la sua attiva presenza, quanto con il rivolgere intimazioni aventi carattere logicamente rafforzativo della minaccia di morte rivolta sempre in quel contesto dal correo ai danni della vittima – è eziologicamente volto a perseguire l’obiettivo
di ingiusto profitto volto ad estromettere la società RAGIONE_SOCIALE dall’esercizio della sua attività commerciale in quel luogo, in forza di regolare contratto di locazione stipulato con la società titolare degli spazi.
Infatti, la concezione unitaria del concorso di più persone nel reato, recepita nell’art. 110 cod. pen., consente di ritenere che l’attività costitutiva della partecipazione può essere rappresentata da qualsiasi contributo, di carattere materiale o psichico, del quale deve essere, nondimeno, fornita idonea prova, anche in via logica o indiziaria, mediante elementi dotati di sicura attitudine rappresentativa che involgano sia il rapporto di causalità materiale tra condotta e evento che il sostrato psicologico dell’azione.
Tanto in conformità all’unitarietà del “fatto collettivo” realizzato, “che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, con giudizio di prognosi postuma, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli agenti” (così, di recente, ma con rinvii a giurisprudenza risalente, Sez. 2, n. 48276 del 24/11/2022, COGNOME, Rv. 284299 – 01, ove subito dopo si legge che «Pertanto, per la configurabilità del concorso di persone è necessario e sufficiente che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato»).
Con la conseguenza che, essendo il comportamento del ricorrente volto a fornire un ausilio a quello del COGNOME Antonio, poco importa se al medesimo fossero direttamente riferibili le società che avrebbero dovuto subentrare al posto di quella del COGNOME.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nessun vizio di legittimità e tantomeno di motivazione è dato scorgere nell’ordinanza impugnata a proposito delle esigenze cautelari: correttamente si è ricavato, in termini di attualità, il pericolo di reiterazione di cui alla lett. c) dell’a 274 cod. proc. pen., sulla scorta dei plurimi accessi minacciosi ascrivibili in concorso agli appartenenti alla famiglia COGNOME, di cui l’ultimo segmento temporale è riferibile al ricorrente, che si sono verificati, anche in termini di attualità, proprio all’interno della struttura ricettiva sopra menzionata, peraltro anche in epoca prossima all’emissione della misura cautelare. Con la conseguenza che la misura disposta viene proprio ad assolvere la funzione tipica di rescissione della possibilità per il ricorrente di potersi nuovamente riportare in quei luoghi ove reiteratamente si sono verificati gli episodi minacciosi e ove risulta ancora svolgere attività lavorativa la persona offesa.
Per completezza, va evidenziato che la censura difensiva riguarda
esclusivamente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione, ma non investe quella ulteriore del pericolo di inquinamento probatorio su cui è stata emessa
l’ordinanza genetica (v. p. 43), confermata anche sotto tale profilo dall’ordinanza impugnata (v. p. 16), tema con il quale il ricorrente non si confronta. Con la
conseguenza che debbono ritenersi rinunciati i motivi volti a far valere eccezioni in ordine ai presupposti attinenti alla sussistenza o meno delle condizioni che
hanno escluso il contraddittorio anticipato.
3. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, 1’11 giugno 2025.