Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15687 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15687 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
grado ha ritenuto che NOME concorresse nel reato di NOME perchØ aveva dato a questi l’ordine di colpire, che la sentenza di secondo grado, di fronte alla deduzione che tale ordine non Ł emerso dagli atti, in quanto nessuno sa cosa si siano detti NOME ed NOME che per il racconto delle persone presenti avevano parlato in una lingua non conosciuta, ha ritenuto che il concorso di COGNOME fosse sostenibile perchØ, nello stesso momento in cui NOME aggrediva COGNOME, egli aggrediva con un coltello NOME, così fornendo un contributo materiale all’azione del concorrente, circostanza che, però, non emergerebbe dalla sentenza di primo grado.
L’argomento Ł inammissibile. La sentenza impugnata ha, infatti, fondato la propria ricostruzione sulle dichiarazioni di NOME, di cui ha riportato l’estratto rilevante per la decisione a pag. 21 (‘ho visto che pure l’altro italiano voleva venirmi incontro, però non hanno avuto modo, perchØ quando io l’ho respinto il coltello, che lui mi voleva accoltellare alla gola, io l’ho respinto, automaticamente hanno visto il sangue, hanno preso e sono scappati’).
Il ricorso deduce che la sentenza di primo grado non ha mai sostenuto che COGNOME avesse aggredito NOME con un coltello, ma questo argomento Ł del tutto irrilevante, perchØ l”art. 597, comma 1 cod. proc. pen. attribuisce al giudice di appello gli stessi poteri del primo giudice, con la conseguenza che la cognizione del giudice di secondo grado, pur limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi, non incontra limiti per quanto attiene alla ricostruzione del fatto ed alle argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 4743 del 08/10/1999, COGNOME Rv. 215047 – 01; conformi, nella giurisprudenza piø recente, Sez. 5, n. 49667 del 10/11/2023, COGNOME n.m., Sez. 5, Sentenza n. 33724 del 21/06/2024, COGNOME, n.m.).
Al contrario, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che ‘il giudice d’appello non può limitare il proprio sindacato alla tenuta della motivazione della decisione di primo grado ma, nei limiti del devoluto, ha un preciso dovere di rivalutazione delle prove’ (Sez. 2, n. 8947 del 16/02/2016, Rubinacci, Rv. 265848 – 01).
La preclusione derivante dall’effetto devolutivo dell’impugnazione riguarda, conseguentemente, soltanto i punti della decisione, non gli argomenti e le questioni coltivate dall’impugnante (Sez. U, n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203096). Non costituiscono, infatti, punti del provvedimento impugnato soggetti a preclusione le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01; per una riproposizione nella giurispurdenza piø recente v. Sez. 2, Sentenza n. 757 del 29/10(2024, dep. 2025, COGNOME, n.m.; Sez. 2, Sentenza n. 41842 del 10/10/2024, Ferrari, n.m.)
Ne deriva che la circostanza che, mentre NOME aggrediva COGNOME con un coltello, COGNOME si stesse avvicinando a NOME con un altro coltello, non costituisce punto della decisione della sentenza di primo grado che doveva necessariamente essere tenuto fermo in quanto non contestato nell’atto di appello, e, pertanto, non soggiace al principio devolutivo.
Ne consegue che il primo motivo Ł nel complesso, infondato.
2. Il secondo motivo Ł dedicato alla responsabilità per la tentata estorsione.
Il ricorso deduce che la sentenza impugnata non ha valutato correttamente l’attendibilità delle dichiarazioni reticenti rese dalle persone offese, e che non Ł provata l’esistenza del danno che i giudici del merito identificano nell’estromissione da una vendita che era illegale e che comunque al piø comportava un’aspettativa di guadagno.
Il motivo Ł infondato.
Sulla questione dell’attendibilità delle persone offese si Ł già detto al punto 1 di questa sentenza, mentre in ordine all’esistenza nel caso in esame di un danno ingiusto come conseguenza del reato (‘un ingiusto profitto con altrui danno’, secondo la formula dell’art. 629, comma 1, cod. pen.), va osservato che la giurisprudenza di legittimità ritiene che il danno dell’estorsione comprenda anche il patrimonio conseguito contra ius, e quindi anche i proventi di una attività abusiva quale quella che svolgevano le vittime (Sez. 2, Sentenza n. 40457 del 07/06/2023, COGNOME, Rv. 285101: Integra il delitto di estorsione la condotta con la quale l’agente costringe, con minacce, il coimputato di un delitto di rapina precedentemente commesso a consegnargli parte del provento illecito, posto che la provenienza da una pregressa attività criminosa commessa in concorso dell’oggetto della richiesta non esclude nØ l’ingiustizia del profitto, nØ la sussistenza del danno per la persona offesa).
NØ, nel senso della inesistenza dell’elemento costitutivo del reato, può deporre la circostanza
che si trattasse di un danno futuro ed incerto, perchØ non si può sapere se i due venditori di cocco avrebbero ottenuto un guadagno dall’attività di vendita che COGNOME ed NOME hanno impedito loro di svolgere, perchŁ nel danno rilevante ai sensi di cui all’art. 629 cod. pen. rientra anche la mera aspettativa di un guadagno (Sez. 2, Sentenza n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, Rv. 257303, in motivazione).
Nella sentenza Ventimiglia Ł stato precisato, in particolare, che nella nozione di danno nel reato di estorsione rientra qualsiasi situazione che possa incidere negativamente sull’assetto economico di un soggetto, comprese la delusione di aspettative e “chance” future di arricchimento o di consolidamento di propri interessi.
Il motivo Ł, pertanto, infondato.
Il terzo motivo, dedicato al mancato riconoscimento dell’attenuante del concorso del fatto doloso della vittima, Ł infondato.
La sentenza d’appello ha escluso la possibilità di riconoscere l’attenuante in quanto ha ritenuto non dimostrato alcun fatto doloso delle vittime quale causa concorrente a determinare l’evento, che nell’atto di appello era stato individuato nella colluttazione avvenuta con COGNOME e COGNOME al momento dell’aggressione.
Il ricorso, modificando la prospettazione dell’atto di appello, deduce che, in realtà, la concausa in questione Ł l’attività di vendita svolta dalle persone offese, che Ł una concausa efficiente dei delitti commessi dal ricorrente.
Al di là del fatto che si tratta di argomento non sottoposto al giudice di appello cui era stata proposta la diversa tesi che la colluttazione avrebbe giustificato il riconoscimento dell’attenuante, l’argomento Ł comunque infondato.
Nella giurisprudenza di legittimità Ł stato chiarito che, agli effetti di cui all’art. 62, n. 5, cod. pen., ‘la circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa presuppone che la stessa preveda e voglia il medesimo evento dannoso voluto dall’agente come conseguenza della propria cooperazione’ (Sez. 4, Sentenza n. 5714 del 17/01/2023, COGNOME, Rv. 284411); la circostanza che la vittima possa avere a sua volta un intento illecito, diverso da quello dell’autore del reato, impedisce, pertanto, l’applicabilità dell’attenuante (Sez. 2, Sentenza n. 15587 del 12/03/2021, COGNOME, Rv. 281119: ‘In tema di truffa, non ricorre la circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa quando l’evento illecito perseguito dalla vittima non coincida, nØ dal punto di vista materiale, nØ tantomeno psicologico, con quello costitutivo del delitto di truffa ed abbia costituito soltanto occasione o pretesto della condotta dell’agente).
Ne consegue che l’argomento proposto in ricorso Ł del tutto inconferente per sostenere l’applicabilità dell’attenuante, in quanto l’attività di vendita abusiva dei concorrenti non comporta che questi abbiano avuto la consapevolezza e volontà nØ dell’evento morte nØ dell’evento di danno dell’estorsione.
Il quarto motivo, dedicato al riconoscimento dell’aggravante teleologica tra il reato di tentato omicidio e quello di estorsione, Ł inammissibile.
Il motivo non era stato presentato in appello. Esso incorre, quindi, nella causa di inammissibilità prevista dall’art. 606, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. pen, secondo cui ‘il ricorso Ł inammissibile se Ł proposto (…), fuori dei casi previsti dagli articoli 569 e 609 comma 2, per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello’.
Il ricorso Ł, nel complesso, infondato. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28/03/2025.
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME