Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6535 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6535 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a TRIESTE il 15/12/1974
NOME nato a TRIESTE il 24/04/1971
NOME COGNOME nata a TRIESTE il 20/11/1975
avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore generale COGNOME che, riportandosi alla requisitoria in atti, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
uditi i difensori:
L’avvocato COGNOME discute i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
L’avvocato COGNOME discute le ragioni del ricorso presentato per il proprio assistito e ne chiede l’accoglimento; per COGNOME si riporta agli scritti difensivi a firma del Collega sostituito, chiedendone l’accoglimento;
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza con cui la Corte d’appello di Trieste ha confermato, per quanto rileva in questa sede, la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di furto in abitazione, aggravato ai sensi dell’art. 625, primo comma, nn. 2 e 5, cod. pen. Secondo l’editto accusatorio, il furto sarebbe stato materialmente commesso da NOME COGNOME, che, travestito da corriere di “just eat”, raggiungeva l’appartamento della persona offesa COGNOME con l’ausilio di NOME COGNOME che lo accompagnava in auto. Per accedere all’appartamento, sarebbero state utilizzate le chiavi fornite dalla coimputata COGNOME, collaboratrice domestica della persona offesa.
Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite dei propri difensori, con tre diversi atti, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
2.1. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME consta di un univo motivo, con cui si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, per essere stata la sentenza di condanna pronunciata in violazione del canone ermeneutico dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Gli elementi probatori valorizzati dalla Corte distrettuale avrebbero, in realtà, valore puramente indiziario, posto che 1) dalle riprese videoregistrate non è emerso che il passeggero dell’auto del COGNOME fosse il ricorrente COGNOME; 2) gli indumenti trovati a casa dello Scialino -un paio di anfibi e un cappello- sono oggetti d’uso comune e, quindi, insufficienti a identificarlo come autore del furto. D’altro canto gli indumenti da rider non sono mai stati rinvenuti né nella disponibilità del ricorrente né altrove, ciò che è stato illogicamente minimizzato dai giudici di merito; 3) illogicamente trascurato, inoltre, è stato il rapporto d’amicizia e consueta frequentazione tra il ricorrente e il COGNOME, ciò che fornisce un’adeguata spiegazione alternativa sia alla circostanza della compresenza dei due, il giorno del delitto, nella zona di Valmaura sia al fatto che i telefoni cellulari dei due amici avessero agganciato la medesima cella verso l’ora del delitto.
2.2. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME presenta un unico motivo, con cui si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 110 cod. pen. Il ruolo del ricorrente avrebbe infatti dovuto essere qualificato nei termini di connivenza non punibile; operando malgoverno dei principi posti da questa Corte circa il concorso di persone nel reato, la Corte distrettuale non avrebbe fornito adeguata motivazione circa l’asserito contributo materiale del ricorrente alla causazione dell’ascritto furto. In particolare, sono stati trascurati i seguenti
profili: a) l’azione delittuosa, che ha caratterizzato il caso di specie, era di una semplicità tale da non richiedere alcun apporto materiale di una seconda persona; inoltre, la refurtiva, consistente in gioielli, era agevolmente trasportabile dal coimputato COGNOME a piedi, senza necessità di un passaggio in auto da parte del COGNOME; b) l’asserita presenza del ricorrente in auto, all’ora del delitto, su una pubblica via che egli percorreva quotidianamente, è un dato di per sé neutro e, comunque, irrilevante ai fini dell’asserito contributo causale.
2.3. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME espone due motivi, con cui si lamenta violazione di legge, in relazione all’art. 192 del codice di rito, e vizio di motivazione, sub specie di travisamento di prova. Nel sostenere che 1) la COGNOME forniva le chiavi dell’appartamento perché sarebbe stata l’unica persona a possederne copia e che la stessa 2) informava i complici circa l’orario in cui l’appartamento era libero mediante un messaggio telefonico vocale, in cui indicava l’orario in cui la moglie della persona offesa avrebbe lasciato l’appartamento, la Corte territoriale travisava i seguenti elementi: 1) il messaggio vocale non fu inoltrato ai complici, bensì a un’altra collaboratrice domestica che lavorava in quell’appartamento. Fu quest’ultima a inoltrare il messaggio vocale al COGNOME: in tesi difensiva, il messaggio fu inoltrato per errore; 2) all’incontro durante il quale furono restituite le chiavi dell’appartamento erano presenti l’imputata, l’altra collaboratrice domestica (COGNOME e il proprietario di casa, la persona offesa COGNOME: non è credibile, secondo la difesa, che l’imputata si fosse fatta restituire le chiavi in presenza di quest’ultimo; 3) incrociando gli orari dei singoli avvenimenti, emerge l’inverosimiglianza del costrutto accusatorio, posto che la persona travestita da rider, che usciva dall’appartamento alle 15.16, non avrebbe avuto il tempo materiale per restituire le chiavi alla COGNOME, la cui presenza nella zona in cui era presente anche la Jakus è stata registrata intorno alle 15.18. In conclusione, la Corte d’appello ha immotivatamente disatteso la versione alternativa prospettata dalla difesa, escludendo illogicamente i dati probatori forniti, del tutto idonei a far emergere un dubbio ragionevole rispetto alle apodittiche affermazioni dei giudici di merito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
All’udienza si è svolta trattazione orale dei ricorsi. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi alla requisitoria scritta già in atti, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi. È pervenuta memoria nell’interesse della parte civile NOME COGNOME con cui si chiede la reiezione dei ricorsi. La difesa di NOME COGNOME Avv. COGNOME ha fatto pervenire nomina del sostituto processuale Avv. NOME COGNOME per l’udienza odierna.
Considerato in diritto
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.
In maniera tutt’altro che illogica e attraverso una valutazione complessiva, sufficientemente ponderata, degli elementi probatori acquisiti, la Corte distrettuale ha disatteso le censure dedotte in appello, evidenziandone la principale debolezza, che caratterizza anche il ricorso proposto in questa sede. Ci si riferisce al fatto che il motivo di ricorso tende, per un verso, a isolare i singoli elementi indiziari (i contenuti delle riprese videoregistrate, gli indumenti trovati a casa dello Scialino, il rapporto di consueta frequentazione tra il ricorrente e il COGNOME), parcellizzandone l’analisi al fine di evidenziare l’asserita fragilità del corredo probatorio delineato dai giudici di merito e, per l’altro, a valorizzare profili non decisivi (quale, ad esempio, il mancato rinvenimento degli indumenti da rider, di cui -come ragionevolmente evidenziato dalla Corte- non era difficile sbarazzarsi) e, pertanto, non idonei a incrinare la tenuta logica della motivazione per il tramite dell’invocato canone di giudizio dell’oltre ogni ragionevole ragionevole dubbio.
A tal proposito, questa Corte ha chiarito che siffatto canone «descrive un atteggiamento valutativo imprescindibile che deve guidare il giudice nell’analisi degli indizi secondo un obiettivo di lettura finale e unitaria, vivificato dalla soglia di convincimento richiesto e, per la sua immediata derivazione dal principio di presunzione dì innocenza, esplica i sui effetti conformativi non solo sull’applicazione delle regole di giudizio, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto. (Sez. 5, n. 25272 del 19/04/2021, COGNOME Rv. 281468 – 1).
Alla luce di tali principi, si osserva che l’obiezione della difesa sarebbe fondata, ove i giudici di merito si fossero limitati a una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, o a procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, senza valutare preliminarmente i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e senza procedere, poi, a un esame globale degli elementi certi, «per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado dì credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S. Rv. 280605 – 2). Nel caso in scrutinio, i giudici di merito, con valutazione doppiamente
conforme, hanno evidenziato tanto la certezza e l’oggettività degli indizi (tratti, in particolare, dai tabulati telefonici del ricorrente) quanto la convergenza unitaria degli stessi con il quadro indiziario a carico del correo COGNOME e, in particolare, con i tempi e luoghi che, secondo le risultanze istruttorie valorizzate dalla Corte distrettuale, hanno caratterizzato gli spostamenti di quest’ultimo (infra, par. 2).
Tale doppia verifica degli elementi acquisiti nelle indagini risulta adeguatamente svolta nelle due conformi sentenze di merito, in cui non risulta che l’unitarietà della valutazione abbia comportato un abbassamento della soglia di verifica della tenuta razionale degli indizi (sul punto, v. anche Sez. 5, n. 1987 del 11/12/2020, dep. 2021, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, COGNOME, Rv. 260017-8); le reiterative censure proposte dal ricorrente appaiono tese a prospettare un’interpretazione alternativa e soggettivamente orientata del compendio probatorio, la cui asserita decisività non è, tuttavia, supportata da persuasive argomentazioni.
2. Anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. Va rilevata, innanzitutto, la mancata decisività delle eccezioni prospettate dalla difesa a fronte della tenuta razionale degli indizi come ricostruiti dal giudice di merito: sono, infatti, privi di efficacia disarticolante gli argomenti della semplicità dell’azione delittuosa (tale da non richiedere, in tesi difensiva, l’apporto materiale di una seconda persona) e della leggerezza della refurtiva agevolmente trasportabile a piedi dal coimputato, senza necessità di un passaggio in auto da parte del COGNOME. A tal riguardo, come osservato dai giudici del merito, l’assunto difensivo, secondo cui il correo COGNOME avrebbe potuto spostarsi con altre modalità, non riesce a scardinare l’evidenza fornita dalle immagini, riprese dalle singole postazioni, raffiguranti l’autovettura in uso al COGNOME e i suoi passaggi in orari e luoghi compatibili con i movimenti del correo COGNOME e con quelli del commesso reato.
Evitando di confrontarsi, in maniera critica ed effettiva, con la motivazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente non tiene in conto quanto ricordato dalla Corte territoriale a proposito della mancata prospettazione, da parte difensiva, di solide versioni alternative atte a giustificare la presenza del COGNOME in prossimità dell’abitazione dello Scialino ovvero a dimostrare la sua presenza altrove, al momento del delitto.
A tal proposito, la Corte d’appello ha evocato principio della c.d. “vicinanza della prova”, in base al quale l’imputato deve pur sempre fornire elementi di fatto idonei a consolidare il fondamento della tesi difensiva (cfr. Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01: «nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di
presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva»; Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, COGNOME, Rv. 261657 – 01).
Al riguardo, occorre operare una precisazione concettuale che non scardina le conclusioni raggiunte dal giudice di merito, ma che appare in linea con i principi generali del processo penale. Nell’economia della motivazione dell’impugnata sentenza, l’invocazione del principio della “vicinanza della prova”, lungi dall’implicare una malintesa inversione dell’onere probatorio, assume il mero significato di una ragionevole evidenziazione della mancata deduzione, da parte difensiva, di elementi di fatto idonei a contraddire la tesi del concorso nell’ascritto furto, quale emergente, al di là di ogni ragionevole dubbio, dalla razionale ricostruzione dei giudici di merito. Ne deriva la fallacia della tesi della connivenza non punibile, avendo la Corte distrettuale reso adeguate ragioni circa l’apprezzabile contributo, da parte del ricorrente (mediante i vari passaggi in auto prestati al coimputato), alla commissione del reato, idoneo a facilitarne l’esecuzione (cfr., ex plurimis, v. Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773; Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990 – 01: «per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato»).
3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato con riguardo, in particolare, alle censure -oggetto del secondo motivo- di vizio di motivazione e travisamento di prova, non emergendo con chiarezza, dalla motivazione dell’impugnata sentenza, un’adeguata spiegazione della precisa scansione temporale degli eventi illustrati e, in particolare, della compatibilità tra l’orario d’uscita (h. 15.16) della persona travestita da rider dall’appartamento e il momento della riconsegna delle chiavi dell’appartamento che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, avvenne in un luogo (INDIRIZZO da quel che risulta dalla motivazione: v. p. 9) e in un frangente temporale assai prossimo alle h. 15.16. A tal proposito, la Corte d’appello si è limitata a sottolineare la minima distanza (percorribile a piedi in 10 minuti, ancor più velocemente in auto) tra l’appartamento teatro del furto e il INDIRIZZO (dove avveniva
cc,
lo scambio di chiavi tra la COGNOME e l’imputata, in presenza della persona offesa). A parere del Collegio, ciò non basta, tuttavia, a replicare alle doglianze della ricorrente, in cui si evidenziano talune incongruenze della ricostruzione del compendio probatorio (v., in particolare, p. 4-5 del ricorso, dove si rimarca l’incompatibilità dell’orario -h. 15.16- d’uscita del rider dall’appartamento con l’orario -h. 15.18-, effettivamente assai ravvicinato, in cui è registrata la presenza della COGNOME nella medesima zona -teatro della riconsegna delle chiavi- in cui si trovava l’imputata) offerta dalla Corte distrettuale.
È in relazione a tali profili, non adeguatamente argomentati, della motivazione che il Collegio ritiene di dover annullare la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME rinviando per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste.
Per le ragioni illustrate, il Collegio annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME rinviando per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste; rigetta i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME condannando questi ultimi, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Trieste. Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME Mauro e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Il pre ‘dente
Così deciso in Roma, il 14/01/2025
Il consigliere estensore