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Concorso di persone: la Cassazione sulla presenza

Un individuo condannato per rapina ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di non aver partecipato attivamente al crimine. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale sul concorso di persone: anche la sola presenza sul luogo del reato, se non meramente casuale, può configurare complicità. Questo avviene quando tale presenza fornisce un palese sostegno psichico all’autore materiale del reato e intimorisce le vittime, rafforzando l’azione criminosa.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso di persone nel reato: quando la semplice presenza diventa complicità

Il tema del concorso di persone nel reato è uno dei più dibattuti nel diritto penale. Non sempre è necessaria un’azione materiale per essere considerati complici. A volte, anche una presenza apparentemente passiva può integrare una piena responsabilità penale. Con l’ordinanza n. 22688/2024, la Corte di Cassazione torna su questo punto, chiarendo i confini tra mera presenza e contributo penalmente rilevante in un reato di rapina.

I fatti del caso e il ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato, condannato in appello per rapina consumata e tentata in concorso con un altro soggetto. La Corte d’Appello, pur riconoscendo alcune circostanze diminuenti, aveva confermato la sua responsabilità. L’imputato, tuttavia, decideva di ricorrere in Cassazione, contestando proprio la sua partecipazione al reato a titolo di concorso. La sua tesi difensiva si basava sull’assenza di un contributo attivo e materiale all’azione criminosa, sostenendo di essere stato un semplice spettatore.

La questione giuridica del concorso di persone

Il nodo centrale della questione era stabilire se la condotta dell’imputato potesse essere qualificata come concorso di persone nel reato di rapina. La difesa mirava a dimostrare che la sua sola presenza sul luogo del delitto non era sufficiente a fondare una condanna per complicità. La Corte di Cassazione era quindi chiamata a valutare se il ragionamento della Corte d’Appello fosse giuridicamente corretto e in linea con i principi consolidati della giurisprudenza.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure dell’imputato una semplice riproposizione di argomenti già correttamente respinti in appello. La Cassazione ha pienamente convalidato la valutazione dei giudici di merito, i quali avevano evidenziato come l’imputato, pur senza compiere atti materiali di rapina, avesse fornito un contributo causale decisivo.

Nello specifico, la sentenza impugnata aveva accertato che l’imputato aveva “affiancato il coimputato nelle azioni criminose, mantenendosi a distanza ravvicinata dalle vittime”. Questa condotta, secondo i giudici, non era affatto neutra. Al contrario, ha rappresentato un “palese sostegno psichico al coimputato” e ha “inevitabilmente influenzato la reazione delle vittime, spingendole a desistere da ogni tentativo di reazione”.

La Cassazione ha poi richiamato la sua giurisprudenza costante, secondo cui, ai fini della configurabilità del concorso di persone, è sufficiente anche la semplice presenza sul luogo del reato, a condizione che non sia meramente casuale. Tale presenza diventa penalmente rilevante quando:

1. Serve a fornire stimolo all’azione o un maggior senso di sicurezza all’autore materiale.
2. Palesa una chiara adesione alla condotta delittuosa.

Inoltre, la Corte ha ribadito che il concorso può realizzarsi anche tramite un’intesa spontanea sorta durante l’azione criminosa, senza bisogno di un accordo preventivo. L’elemento cruciale è il contributo causalmente efficiente, sia esso materiale o morale, alla realizzazione del reato.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di estrema importanza pratica: nel diritto penale, la passività può essere equiparata all’azione. La presenza consapevole e non casuale sulla scena di un crimine, che rafforzi l’intento criminale dell’esecutore materiale o contribuisca a intimidire la vittima, integra a tutti gli effetti il concorso di persone. La decisione sottolinea come il contributo morale, o ‘sostegno psichico’, sia un elemento sufficiente per fondare una condanna per complicità, inviando un chiaro monito sull’impossibilità di nascondersi dietro un’apparente inazione quando questa, nei fatti, agevola la commissione di un reato.

È sufficiente essere presenti sul luogo di un reato per essere considerati complici?
Sì, a condizione che la presenza non sia meramente casuale ma manifesti adesione alla condotta criminale, fornendo stimolo o un senso di maggiore sicurezza all’esecutore materiale del reato.

Per il concorso di persone è necessario un accordo preventivo tra i correi?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che il concorso di persone può realizzarsi anche attraverso un’intesa spontanea intervenuta nel corso dell’azione criminosa, senza che sia necessario un previo accordo di intenti.

Cosa si intende per ‘sostegno psichico’ nel concorso di persone?
Per ‘sostegno psichico’ si intende un contributo morale che rafforza la determinazione dell’autore materiale del reato nel suo proposito criminoso e, al contempo, influenza la reazione della vittima, ad esempio scoraggiando ogni suo tentativo di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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