Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37764 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37764 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA
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avverso la sentenza del 23/10/2024 della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE;
Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo: il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; l’inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Uditi i difensori:
AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che, riportandosi ai motivi di ricorso, ne chiede l’accoglimento;
AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che insiste per l’accoglimento del ricorso;
AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riporta;
AVV_NOTAIO NOME, per COGNOME NOME, che insiste affinché vengano accolti ì motivi di ricorso e annullata la sentenza impugnata;
AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME e COGNOME NOME, che, riportandosi ai motivi di ricorso, ne chiede l’accoglimento;
AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riporta;
AVV_NOTAIO NOME, per COGNOME NOME, che conclude riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l’accoglimento;
AVV_NOTAIO. COGNOME NOME, per COGNOME NOME, e, quale sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO. COGNOME NOME, per COGNOME NOME e COGNOME NOME, che insiste per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugNOME, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma della sentenza pronunciata all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in data 29 giugno 2022, ha confermato la declaratoria di responsabilità di NOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il concorso con altri (tra i quali NOME COGNOME non ricorrente), con il titolo in seguito rispettivamente indicato, nel tenta omicidio continuato pluriaggravato, esclusa l’aggravante dei motivi abietti, commesso in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME in RAGIONE_SOCIALE 1’8 agosto 2020 (artt. 81 cpv., 110, 112 n. 1, 56, 575, 416-bis.1 cod. pen. – capo D) e di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di concorso nella detenzione e nel porto di due pistole utilizzate nella circostanza (artt. 81 cpv., 110, 112 n. 1, 62 n. 2, 416-bis.1 cod. pen., 2, 4 e 7 I. 2 ottobre 1967, n. 895, –
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capo E) e NOME COGNOME per il solo reato di concorso nel porto delle suddette pistole.
Per quanto qui interessa la Corte di appello ha assolto NOME COGNOME dal capo G), NOME COGNOME dal concorso nel reato del capo D), NOME COGNOME dal reato di concorso nella detenzione delle armi del capo E), nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dai reati del capo E), applicando a questi ultimi tre la circostanza prevista dall’art. 116 cod. pen. in relazione al capo D), così rideterminando il trattamento sanzioNOMErio, avendo escluso per tutti l’aggravante dei motivi abietti contestata al capo D):
quattro anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione al reato del capo D), previo riconoscimento della circostanza attenuante dell’art. 116 cod. pen., prevalente sulle restanti circostanze aggravanti;
dodici anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E);
nove anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E);
nove anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E);
sette anni e quattro mesi di reclusione per COGNOME NOME in relazione al reato del capo D), esclusa la recidiva, previo riconoscimento della circostanza attenuante dell’art. 116 cod. pen., prevalente sulle circostanze aggravanti bilanciabili;
dieci anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E);
due anni di reclusione ed euro 3.200.00 di multa per COGNOME NOME in relazione al reato del capo E), ritenuta la recidiva reiterata e infraquinquennale non specifica;
nove anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E), limitatamente alla condotta di porto illegale di armi;
dieci anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E);
sette anni e quattro mesi di reclusione per COGNOME NOME in relazione al reato del capo D), previo riconoscimento della circostanza attenuante dell’art. 116 cod. pen., prevalente sulle circostanze aggravanti bilanciabili;
nove anni di reclusione per COGNOME NOME in relazione ai reati dei capi D) ed E), esclusa la recidiva.
1.1. A tali statuizioni si è giunti anche a seguito della parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale disposta in grado di appello che ha portato, salvo che per COGNOME NOME e COGNOME NOME (non ricorrente) assolti dal
capo D), a una diversa valutazione del grado di intensità del dolo per taluni imputati (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), i quali sono stati ritenuti concorrenti con dolo eventuale nel duplice tentativo di omicidio, mentre per altri (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), esclusa la concreta prevedibilità dell’evento morte, il contributo concorsuale è stato ritenuto qualificabile alla stregua dell’art. 116 cod. pen.
Il primo giudice, di contro, aveva qualificato per tutti gli imputati l’element psicologico come dolo diretto alternativo.
1.2. Il giudizio ha avuto origine dall’attività investigativa denominata “Centauri” avviata a seguito di un grave fatto di sangue occorso nel tardo pomeriggio dell’8 agosto 2020 nel quartiere di Librino di RAGIONE_SOCIALE, dove avveniva un conflitto a fuoco tra due gruppi contrapposti di soggetti ritenuti partecipi o vici a due gruppi mafiosi fra loro antagonisti (“RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“; “RAGIONE_SOCIALE“), nel corso del quale perdevano la vita COGNOME NOME e COGNOME NOME e rimanevano feriti COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (tutti del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“), nonché rimanevano feriti COGNOME NOME e COGNOME NOME (RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“).
Il cumulativo processo, in sede di udienza preliminare, subiva uno sdoppiamento in quanto si procedeva con rinvio a giudizio dinanzi alla Corte di Assise di RAGIONE_SOCIALE per gli imputati facenti parte del RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” (COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, accusati dell’omicidio di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché del tentato omicidio di COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti soggetti ritenuti appartenenti o vicini al contrapposto RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“). Dinanzi alla Corte di Assise venivano rinviati a giudizio anche alcuni gli imputati del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” che non avevano richiesto il rito abbreviato (COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, accusati del tentato omicidio di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, ritenuti partecipi o vicini al RAGIONE_SOCIALE contrapposto dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“).
Si procedeva, invece, con il rito abbreviato per tutti gli altri soggetti riten partecipi o vicini al RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME), accusati del tentato omicidio di COGNOME NOME e di COGNOME NOME
(capo D) e dei connessi reati in materia di armi (capo E), che formano oggetto di questo giudizio.
1.3. Il primo giudice, sulla scorta della ricostruzione dei fatti derivante dall prove di generica, dalle indagini, dalle captazioni e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (già appartenenti al RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME; già appartenenti al RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“: COGNOME NOME, COGNOME NOME) e degli imputati (del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“: COGNOME NOME, COGNOME NOME), affermava la responsabilità degli imputati per il delitto di tentato omicidio continuato in concorso descritto al capo D) e dei connessi reati in materia di armi, facendo leva sui seguenti elementi e passaggi logici: le evidenze accertate dimostrano che, in seguito all’aggressione subita da COGNOME NOME, il “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, sotto la regia di COGNOME NOME e COGNOME NOME e con l’assenso di COGNOME NOME (vertice del RAGIONE_SOCIALE), organizzava una rappresaglia che prevedeva la ricerca e l’aggressione fisica con armi di COGNOME NOME e dei suoi accoliti; ognuno dei ventotto partecipi alla “spedizione”, che viaggiavano in larga parte travisati a bordo di quattordici motocicli, forniva un contributo avente efficacia causale sotto il profilo materiale e psichico di rafforzamento dell’altrui proposito criminoso; le circostanze del caso concreto hanno evidenziato la sussistenza di un dolo alternativo, nel senso che gli agenti si sono prefigurati (e quindi hanno ugualmente voluto) alternativamente la morte o le lesioni carne evento pressoché certo o, comunque, altamente probabile della loro azione, considerato il numero di uomini, mezzi e armi, le modalità della condotta, nonché la finalità offensiva già dichiarata nella riunione avvenuta presso l’abitazione di COGNOME NOME, da porre in essere contro un pericoloso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE antagonista da andare a scovare nel “territorio di appartenenza”, sicché i soggetti agenti non si sono limitati ad accettare il rischio che l’evento si verificass (dolo eventuale), bensì hanno accettato l’evento stesso in quanto certa ne era la sua verificazione (dolo diretto e alternativo), carne poi verificatosi anche a causa della pronta controffensiva posta in essere dai “RAGIONE_SOCIALE” che fronteggiavano con veicoli e armi l’incursione del rivale RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, dando luogo alla violenta sparatoria; il carattere “collettivo” dell’azione organizzata, nel quale tutti i soggetti coinvolti erano ben consapevoli della pericolosità dell’azione e delle conseguenze che potevano scaturire, così come erano ben consapevoli della presenza di armi (quantomeno due poi effettivamente impiegate), l’utilizzo delle quali era tutt’altro che improbabile in caso di incontro con soggetti appartenenti del RAGIONE_SOCIALE antagonista dei “RAGIONE_SOCIALE“, che era tra l’altro lo scopo finale e dichiarato della “stesa” (vistosa scorribanda dimostrativa posta in essere da ventotto affiliati) con i motocicli nel territorio nemico degli avversari “curs Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RAGIONE_SOCIALE“; l’idoneità dell’azione non può essere esclusa per il solo fatto delle zone non vitali ove le vittime COGNOME NOME e COGNOME NOME sono state attinte, in quanto solo per la concitazione del momento le ferite cagionate alle persone offese non sono state mortali; va escluso il concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., atteso che, in caso di adesione a un programma criminoso che prevede comunque o un’azione violenta (controffensiva armata con la consapevolezza di dover reagire all’attacco prevedibile degli avversari nel loro territorio d appartenenza), la degenerazione in un evento più grave risulta plausibile sviluppo e dunque vi è il concorso ordinario ex art. 110 cod. pen.; sussiste l’aggravante prevista dall’art. 112 n. 1 cod. pen. e delle più persone riunite in considerazione del numero di persone coinvolte nello scontro e quella di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., stante l’evidente collegamento teleologico tra i due delitti; sussiste l’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. sotto il profilo dell’utilizzo metodo RAGIONE_SOCIALE in ragione del contesto criminoso nel quale si NOMEno gli episodi e delle modalità attuative del fatto, con volontà di ostentare la forza del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di appartenenza; sussiste l’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. anche sotto il profilo dell’agevolazione del RAGIONE_SOCIALE COGNOME, atteso che l’azione aveva anche la finalità di dimostrare la superiorità del RAGIONE_SOCIALE nel controllo del territorio, per aumentarne il prestigio criminale.
Il giudice di primo grado ha ritenuto tutti gli imputati responsabili anche per i delitti di detenzione e di porto in luogo pubblico di almeno due pistole calibro TARGA_VEICOLO contestati al capo E), sulla base dei seguenti elementi fattuali e logici: l disponibilità di pistole calibro TARGA_VEICOLO nell’arsenale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE risulta dall risultanze di altre indagini (atti del diverso procedimento penale n. 5052/20 RGNR definito “Minecraft” nei confronti di alcuni soggetti affiliati al RAGIONE_SOCIALE per i reati degli artt. 416-bis cod. pen.; 74 e 73 dpr. 309/90 e 416-bis.1 cod. pen.; 2, 4 e 7 legge n. 895/67 e correlati verbali di sequestro di armi eseguiti in occasione dei fermi disposti dalla Procura in quel procedimento); il potenziale utilizzo di armi nel corso della “spedizione punitiva” risultava noto a tutti i parteci alla stessa; il concorso di persone nel porto o nella detenzione di un’arma non può essere escluso dalla semplice appartenenza dell’arma a uno solo dei concorrenti, se con questo gli altri abbiano programmato dei reati prevedendo la necessità della utilizzazione dell’arma e abbiano poi realizzato questi reati accompagnandosi nel luogo ove essi dovevano essere consumati; nel caso in cui sia stato accertato il concorso di più persone in un reato, nel quale l’uso concreto di armi sia previsto e voluto come essenziale per la realizzazione del plano criminoso, è irrilevante, qualora le armi siano state effettivamente usate, accertare chi dei concorrenti le abbia materialmente detenute e portate, in quanto gli atti del singolo sono al tempo stesso suoi propri e comuni anche agli altri correi.
1.4. A seguito delle impugnazioni proposte, la Corte d’appello esaminava anzitutto alcune doglianze ritenute comuni, per poi dedicarsi a quelle specificamente riferibili ai singoli appellanti.
I motivi di appello valutati come comuni o sovrapponibili riguardavano: a) la ricostruzione della vicenda in termini di agguato (a confutazione della tesi accusatoria dello scontro a fuoco paritetico tra le due fazioni antagoniste con la presenza di armi nella disponibilità del “RAGIONE_SOCIALE“), cui sarebbe conseguita l’assoluzione per insussistenza del fatto; b) l’apporto contributivo in termini di concorso del singolo nell’ambito della consumazione collettiva di un reato, così da invocare l’assoluzione per non avere commesso il fatto; c) la valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, così da invocare l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato o la ricorrenza della circostanza attenuante del concorso anomalo ex art. 116 cod. pen.; d) la contestazione della idoneità e univocità della condotta, con conseguente richiesta di derubricazione del delitto di tentato omicidio nella meno grave ipotesi di reato di lesioni; e) la sussistenza delle contestate e ritenute circostanze aggravanti di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. ovvero dei motivi abietti.
1.5. I giudici di secondo grado hanno ricostruito la vicenda fattuale in termini del tutto sovrapponibili al giudice di primo grado, salve alcune specifiche determinazioni assunte con riguardo all’aggravante ex art. 61 n. 1 cod. pen. che è stata esclusa, al ruolo e al contributo, anche sotto il profilo psicologico, di alcun imputati.
In particolare, fatta eccezione per l’imputato COGNOME NOME (assolto, insieme a COGNOME NOME, per il concorso nel capo D), per tutti gli altri imputati è stato ritenuto il contributo causale in detto reato, at che, tanto per i soggetti partecipi o comunque “avvicinati” al RAGIONE_SOCIALE” (COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOMENOME, quanto per i soggetti estranei al RAGIONE_SOCIALE, ma che hanno agito con la piena consapevolezza di rapportarsi e agire sotto l’egida del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME), è stata ritenuta la piena consapevolezza dello scopo della spedizione e degli obiettivi perseguiti con conseguente determinismo nella causazione degli eventi, anche sotto il profilo di stimolo all’azione in termini di maggior senso di sicurezza o fornendo una garanzia di collaborazione.
Ciò non di meno, la responsabilità di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME per il capo D) è stata ritenuta attenuata ex art. 116 cod. pen., mentre è stata esclusa per il capo E); quanto a COGNOME NOME, ferma la partecipazione piena nel reato del capo D) e nel porto delle armi contestato al
capo E), il medesimo è stato assolto dalla detezione delle medesime armi, ritenuta addebitabile al RAGIONE_SOCIALE e agli altri soggetti che hanno partecipato alla spedizione con piena consapevolezza.
I giudici di appello, a differenza del primo giudice che ha qualificato l’elemento soggettivo di tutti gli imputati alla stregua del dolo diretto alternativo, so pervenuti a una differenziazione che assegna agli esecutori materiali dell’azione di fuoco (coloro che hanno sparato, non imputati in questo processo) il dolo alternativo, mentre attribuisce agli altri imputati – con l’eccezione, si ripete, COGNOME, COGNOME COGNOME COGNOME il dolo eventuale di concorso nell’azione dolosa degli esecutori materiali, in quanto consapevoli di partecipare a una spedizione punitiva finalizzata a dimostrare la supremazia territoriale del RAGIONE_SOCIALE, perché mossi da una logica tipicamente mafiosa e di contrapposizione agli avversari ovvero di rappresaglia per i fatti occorsi in precedenza, là dove anche consapevoli che i correi erano armati.
Secondo i giudici di appello, l’elemento soggettivo del dolo eventuale di concorso, oltre a essere pienamente compatibile con la fattispecie tentata, non conduce all’attenuazione della responsabilità ex art. 116 cod. pen., la quale deriva piuttosto dalla non prevedibilità in concreto dell’azione omicida posta in essere dagli esecutori materiali che il concorrente non sa essere armati.
Ricorrono gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, a mezzo dei rispettivi difensori.
NOME NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa due motivi di ricorso.
3.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., non essendosi tenuto conto della resipiscenza, del ravvedimento, del cambiamento di vita e dell’assenza di pericolosità sociale.
3.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 116, 133, 416-bis.1, terzo comma, 545-bis cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla misura della riduzione della pena per l’attenuante speciale della collaborazione, a quella del concorso anomalo e al giudizio di bilanciamento nonché con riguardo alla mancata sostituzione della pena.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa cinque motivi di ricorso.
4.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, 43 e 110 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 575 cod. pen. (capo D asseritamente sorretto dal dolo c.d. eventuale.
Vi è copiosa e granitica giurisprudenza di legittimità che conferma che il dolo eventuale è assolutamente e ontologicamente incompatibile con la fattispecie del delitto tentato.
Dal canto suo la Corte territoriale, a pp. 107 e 108 della sentenza impugnata, manifesta il convincimento che il dolo eventuale non sarebbe incompatibile col delitto tentato in caso di reato plurisoggettivo, potendosi in tali casi affermare l punibilità del concorrente che non abbia materialmente sparato, ma che abbia previsto e accettato l’evento più grave.
Si tratta di conclusioni contrarie alla lettera della legge, come interpretata da costante esegesi, atteso che l’incompatibilità fra dolo eventuale e delitto tentato nel reato monosoggettivo non può che affermarsi a maggior ragione nel caso del concorrente nel reato plurisoggettivo che non abbia materialmente compiuto l’azione.
Va ribadito che la necessaria intenzionalità dell’azione rende il tentativo incompatibile con il dolo eventuale. La ragione di ciò sta nell’intensità del momento rappresentativo e volitivo, che nel dolo diretto è totale, di contro a quell eventuale, caratterizzato dal residuo spazio della mera possibilità. Se, dunque, nel dolo diretto la volontà è protesa alla realizzazione del risultato avuto di mira, i quello eventuale si accetta, sin dal momento rappresentativo, la possibilità che dalla propria condotta possa scaturire un risultato diverso e ulteriore rispetto a quello programmato e avuto di mira, risultato che comunque deve essere oggetto di rappresentazione concreta già nella fase ideativa della condotta criminosa. L’accettazione del rischio della probabilità che dalla propria condotta possa generarsi un evento ulteriore implica, sul piano soggettivo, la previsione reale e in concreto di un evento diverso, anche se non voluto. Nell’accettazione del rischio, la volontà non si spinge sino alla sfera volitiva in ordine all’evento diverso rimanendo piuttosto confinata, per l’appunto, sul piano rappresentativo.
Nel caso in esame i contorni dell’azione che COGNOME ha inteso compiere, o di quella che ha sottovalutato potesse verificarsi (la sparatoria), non possono essere stati previsti in maniera tangibile. Il RAGIONE_SOCIALE non ha deciso di andare in un luogo determiNOME, dove normalmente la vittima si trova (a casa di una persona, in un luogo di lavoro o altro), al fine di affrontarla e percuoterla, circostanza nel quale il degenerare degli eventi, avrebbe potuto essere imputato a tutti.
Nel caso in esame, invece, i fatti sono accaduti dopo il verificarsi di una serie di eventi, non tutti prevedibili in concreto; si era previsto un “giro dimostrativ
per alcune vie cittadine; si sono incontrati appartenenti al RAGIONE_SOCIALE avverso, dopo che arbitrariamente alcuni del RAGIONE_SOCIALE hanno deviato rispetto al percorso inizialmente programmato; vi è stata la reazione a sorpresa da parte degli appartenenti al RAGIONE_SOCIALE avverso, tanto è che il ricorrente si è trovato vicinissimo alla sparatoria, completamente disarmato e senza casco, pertanto impreparato e ben riconoscibile.
La soluzione fatta propria dalla Corte di appello, quanto alla compatibilità fra dolo eventuale e tentativo in caso di reati plurisoggettivi, pare a maggior ragione aliena ai principi fondanti del sistema penale imperniato sulla concezione monistica del concorso di persone (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023 – dep. 2024, Gambacurta, Rv. 286581 – 01).
4.2. Il secondo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla assenza di dolo omicida in ragione della traiettoria (verso il basso) dei proiettil esplosi dagli autori materiali. –
Anche assumendo che a sparare siano stati membri del RAGIONE_SOCIALE degli imputati, resta un fatto oggettivo: le lesioni riportate da COGNOME NOME e COGNOME NOME non rispecchiano un dolo omicida in capo a coloro che hanno sparato, in quanto i due riportavano ferite soltanto alle gambe e l’esito delle perizie aggiunge che la traiettoria dei proiettili che le cagionavano era sempre dall’alto verso il basso.
Giacché sappiamo che gli imputati si sono trovati ad affrontare le persone offese a pochissima distanza, concentrati nello spazio di una strada stretta, e per ipotesi facendo fuoco anche (se non solo) trovandosi a bordo di motoveicoli, ecco che la natura delle ferite riportate dagli avversari appare singolare, certo non compatibile con la volontà di uccidere, vuoi pure per autodifesa.
4.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 116 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo al concorso anomalo.
La Corte di appello affida il discrimine fra le forme di concorso alla consapevolezza del singolo imputato circa la presenza di armi tra i partecipanti (cfr. p. 117 della sentenza impugnata), individuando la prova di detta consapevolezza in un insieme di presunti indizi e massime di esperienza.
Non v’è dubbio che COGNOME fosse presente sui luoghi del delitto, ma non personalmente armato né travisato; è sufficientemente provato che egli fosse presente a casa di COGNOME NOME durante le fasi ideative della spedizione, alle quali avrebbe partecipato da una prospettiva del tutto peculiare, in particolare smussando gli intenti bellicosi che si prefiguravano inizialmente.
Viceversa, non può dirsi provato che egli fosse consapevole della presenza di armi portate da altri, né tanto meno che egli avesse concretamente previsto e accettato una degenerazione potenzialmente letale degli eventi.
Quanto a COGNOME NOME, la Corte di appello scrive a p. 178 della sentenza impugnata che egli, in quanto soggetto di spicco del RAGIONE_SOCIALE, «non poteva non essersi rappresentate le conseguenze che potevano scaturire da tale condotta, nell’eventualità che, nel corso della spedizione, avessero incontrato i “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” in RAGIONE_SOCIALE e armati e, per tale motivo, è irragionevole sostenere che avesse dato il placet alla spedizione senza essere pienamente consapevole che alcuni dei correi si sarebbero armati».
Tale linea argomentativa si fonda su un sillogismo meramente presuntivo e contrario alla logica rispetto alla dinamica del fatto concreto per come restituita dalle propalazioni di NOME.
In sostanza, la sentenza impugnata rimprovera a COGNOME non di avere previsto e voluto un tentato omicidio, bensì di avere irragionevolmente confidato nella non verificazione del suddetto evento; ciò in aperto contrasto con la sentenza SU nel caso RAGIONE_SOCIALE. La Corte di appello, pur richiamando l’arresto di legittimità, finisce di fatto per commettere due fondamentali errori: la motivazione pone in ombra o affida a presunzioni assertive l’elemento qualificante e distintivo del dolo rispetto alla colpa, ovvero quello dell’adesione volontaristica all’evento; incorre in una sorta di eterogenesi dei fini rispetto all’individuazione delle prov relative all’elemento soggettivo del reato, ponendo nel nulla quelle emergenze probatorie che di per sé soie, in lineare applicazione degli insegnamenti della citata sentenza, avrebbero consentito di escludere la sussistenza del dolo eventuale in capo a COGNOME NOME, configurandovi al più colpa cosciente.
La motivazione della sentenza impugnata, quanto a COGNOME NOME, mostra come alla prova diretta e concreta del coefficiente psichico dell’imputato (in ordine al fatto se egli accettasse o meno di aderire ad azioni potenzialmente letali), fornita da COGNOME NOME – là dove riferisce della “linea morbida patrocinata da COGNOME presso l’abitazione di COGNOME NOME prima della partenza -, la Corte d’Appello ha sostituito indebitamente un sillogismo astratto che, lungi dal valorizzare il processo psichico reale che si configurava nella mente dell’imputato, si risolve di fatto in un simulacro di responsabilità oggettiva e posizione, mascherata da dolo eventuale.
Lo specifico assunto, secondo il quale la spedizione aveva una finalità “punitiva” e non solo dimostrativa, è disancorato dalle emergenze probatorie: una prospettiva oggettivamente diversa emerge dalla lettura delle dichiarazioni rese da NOME, unici elementi di prova che fanno luce sulla fase ideativa del corteo (in sede d’interrogatorio in data 11 marzo 2022, NOME affermava: «Alla fine, NOME COGNOME riuscì a convincere i presenti a compiere l’azione di forza, dicendo che ci saremmo limitati a picchiare qualcuno del RAGIONE_SOCIALE di COGNOME qualora lo avessimo trovato»). A ulteriore conforto del fatto che la finalità punitiv
era del tutto eventuale e comunque espressamente limitata all’aggressione non armata, soccorrono altre parole di COGNOME NOME (p. 55 della sentenza: «Giudice: Quando lei parla di atto dimostrativo cosa intende? Collaboratore NOME: L’atto dimostrativo è la classica stesa … Quella che era stata la frase detta da COGNOME NOME era che magari avessimo preso qualcuno ci saremmo limitati a malmenarlo con qualche colpo di casco, e magari minacciarlo in maniera un po’ più forte. Ma quella doveva essere l’azione che si doveva fare. E questo ha convinto anche a partecipare il COGNOME e COGNOME NOME»).
Dunque, il beneplacito, accordato da COGNOME solo dopo essersi sincerato che la “stesa” venisse confinata entro limiti ben definiti che ne impedissero degenerazioni incontrollabili, non può risolversi, come sostiene la sentenza impugnata, in un «contributo materiale e morale assolutamente determinante» rispetto all’evento incomparabilmente più grave poi verificatosi.
Se, quindi, ci si pone realmente in un’ottica di prognosi postuma ex ante, non possiamo non rilevare che l’imputato ha semmai fatto valere il proprio peso criminale per porre un vero e proprio veto contro le iniziali prospettive di scontro frontale col RAGIONE_SOCIALE avverso, accettando di partecipare alla spedizione solo allorquando si era giunti a tracciarne i confini – anche fisicamente, con la programmazione del percorso da fare – in guisa tale che si potessero scongiurare preventivamente scenari di violenza incontrollabile.
Con motivazione che si appalesa manifestamente illogica, la sentenza impugnata pare adombrare che all’accordo esplicito teso a limitare l’azione a «due colpi di casco» avrebbe fatto da contraltare un presunto accordo implicito fra i partecipanti di ricorrere all’utilizzo di armi da fuoco, appunto in contraddizione logica insanabile con quanto esplicitamente discusso fra loro; sicché la sentenza impugnata sostituisce alla prova del dolo una inammissibile responsabilità oggettiva derivante dalla qualifica soggettiva di COGNOME NOME quale capo dell’omonimo RAGIONE_SOCIALE.
Facendo tesoro del reale discrimine fra dolo eventuale e colpa cosciente, individuato da Sez. U. “RAGIONE_SOCIALE” non nel momento della rappresentazione del rischio bensì in quello della sua accettazione a livello psichico, si censura la sentenza impugnata in quanto essa ha in sostanza attribuito a COGNOME di avere non solo previsto, ma anche accettato un rischio che egli aveva inteso a torto, cioè in colpa cosciente, di scongiurare.
4.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt 110 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967, e il vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità per il capo E).
La sentenza impugnata, a pag. 185 ss., opera un richiamo alla natura armata del corteo e alla consapevolezza di tutti i correi rispetto alla presenza di a mi,
sostenendo poi, con specifico riferimento alla posizione di COGNOME, che «poiché le armi utilizzate erano dell’associazione mafiosa di cui COGNOME NOME era il capo indiscusso, deve ritenersi che egli avesse contezza del luogo in cui erano custodite le armi del RAGIONE_SOCIALE ed avesse altresì la possibilità di accedervi, dunque potendone acquisire in qualsiasi momento la disponibilità materiale».
La presenza di armi è, però, esclusa dagli accordi raggiunti circa l’esclusivo uso dì violenza fisica (colpo di casco), sicché non vi è prova della consapevolezza della natura armata della azione, mentre viene unicamente evocata la posizione apicale per attribuire a COGNOME COGNOME disponibilità delle armi.
4.5. Il quinto motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla recidiva, alle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzioNOMErio.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa quattro motivi di ricorso.
5.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento alle norme incriminatrici, e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per i reati dei capi D) ed E).
Sostiene il giudice di appello che la responsabilità di COGNOME risulta provata sulla base dell’intercettazione, captata in data 27.12.2020 progr. n. 7544 nell’ambito di altro procedimento penale recante il n. 5052/2020 R.G.N.R., tra lo stesso e un ignoto interlocutore, «nonché in forza delle videoriprese e delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME» (così si esprime il ricorso) sull’asserita appartenenza al RAGIONE_SOCIALE, richiamando al riguardo l’imputazione per i reati di partecipazione alla suddetta associazione mafiosa e di detenzione e porto di armi contestatigli in detto procedimento ancora sub judice, enfatizzando la portata dei suddetti elementi, considerandoli quindi sufficienti a fondare una pronuncia di condanna.
Nella conversazione captata, viceversa, COGNOME ha preso le distanze dall’episodio, fermo restando che nessuno dei sei collaboratori di giustizia ha mai fatto il nome di COGNOME NOME, nonostante il ruolo fiduciario che costui avrebbe ricoperto in seno al RAGIONE_SOCIALE asseritamente guidato da COGNOME; circostanza alquanto singolare, ove si consideri che ben quattro dei sei collaboratori di giustizia erano dichiaratamente appartenenti al RAGIONE_SOCIALE di COGNOME; nell’ambito del diverso citato procedimento, COGNOME ha escluso la propria partecipazione all’associazione mafiosa contestata.
Il giudice di secondo grado opera una valutazione frazionata delle propalazioni di COGNOME che è illogica, poiché attribuisce valenza alle stesse riguardo all’identificazione dell’imputato, mentre ne sminuisce la credibilità su tutto il resto
sorvolando, inoltre, sulla circostanza della mancata indicazione di COGNOME tra i centauri da parte degli altri collaboranti.
Mentre costituisce dato pacifico la mancata partecipazione di COGNOME alle riunioni tenutesi precedentemente alla spedizione, difetta qualsivoglia elemento che consenta di affermare che lo stesso fosse presente a Monte Pidocchio all’arrivo di COGNOME e di COGNOME NOME e che quindi avesse conosciuto la deliberazione definitiva o piuttosto si fosse aggregato successivamente, con conseguente venire meno della consapevolezza degli intenti e della natura armata dell’azione che sarebbero stati decisi nel corso delle riunioni alle quali egli non ha preso parte, non potendosene inferire la consapevolezza in ragione delle presunte comuni conoscenze “mafiose”.
Del resto, NOME, che riferisce in generale di tale modus operandi («ci stiamo andando a preparare»), non è riscontrato da COGNOME e COGNOME, i quali non hanno avuto conoscenza della deliberazione finale che sarebbe stata assunta nel corso delle precedenti riunioni.
D’altra parte, come riferito da NOME, l’obiettivo era di assestare «qualche colpo di casco» ovvero di «scassare» qualche affiliato al RAGIONE_SOCIALE rivale che fosse stato occasionalmente incontrato lungo la strada, così dovendosi escludere qualunque preventiva programmazione o ideazione dell’azione di fuoco, frutto di una degenerazione degli avvenimenti che non può essere addebitata a COGNOME, come pure l’esplosione di colpi, peraltro neppure diretti al “bersaglio grosso”, ma alle parti basse.
Dal punto di vista della violazione di legge, del resto, la sentenza evoca il dolo eventuale senza tenere conto della pacifica incompatibilità con il delitto tentato e di quanto statuito dalla sentenza SU nel caso “RAGIONE_SOCIALE“.
Al più, tenuto conto di quanto già rilevato circa l’assenza di partecipazione alle riunioni e di consapevolezza sulla presenza di armi, la condotta di COGNOME doveva essere qualificata alla stregua dell’art. 116 cod. pen., come, del resto, il giudice di appello ha operato per COGNOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME, con conseguente palese illogicità della motivazione.
5.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento alle norme incriminatrici, e il vizio della motivazione con riguardo alla riqualificazione del capo D) nel reato di lesioni.
Nessuno dei due soggetti feriti è stato colpito in zone vitali, bensì alla regione sotto glutea destra, il primo, e al gluteo e agli arti inferiori, il secondo; sc certamente non casuale da parte dell’agente che, se avesse voluto, avrebbe certamente potuto colpire mortalmente i suddetti, circostanza questa che sul piano logico avrebbe dovuto condurre a escludere il dolo omicida e al più configurare il dolo di lesioni in capo allo sparatore ed eventualmente ai concorrenti. P ltro,
non può escludersi che lo sparatore abbia agito a meri fini difensivi, tenuto conto dell’utilizzo di armi da parte del RAGIONE_SOCIALE antagonista.
5.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 56 terzo e quarto comma, cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla desistenza attuata dai motociclisti che si sono dati alla fuga immediatamente dopo essere venuti in contatto col RAGIONE_SOCIALE rivale.
5.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze e al trattamento sanzioNOMErio.
La circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è stata applicata in assenza di motivazione, a fronte di un’azione determinata da contrasti personali che riguardano COGNOME e per la asserita appartenenza di COGNOME al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza è priva di adeguata motivazione con riguardo al rigetto della richiesta di applicazione delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen. e al trattamento sanzioNOMErio.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa quattro motivi di ricorso.
6.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, 43 e 110 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 575 cod. pen. (capo D asseritamente sorretto dal dolo c.d. eventuale, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
6.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 116 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo al concorso anomalo, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
Che COGNOME fosse presente sui luoghi del delitto, nel RAGIONE_SOCIALE di Monte Pidocchio e senza armi, non v’è dubbio alcuno; non v’è dubbio nemmeno che egli non fosse presente a casa di COGNOME NOME durante le fasi ideative della spedizione. Non può dirsi lo stesso in ordine alla sua consapevolezza dello scopo della azione, della presenza di armi portate da altri e, dunque, della concreta previsione del fatto che la spedizione in corteo poteva tradursi in una aggressione armata. Altro dato certo è che egli fosse lì perché appartenente della associazione mafiosa capeggiata da COGNOME e dunque a disposizione del medesimo, quale mero sottoposto.
L’azione criminosa, inoltre, ha avuto – come chiarito dalla istruttoria e dalle dichiarazioni del collaboratore NOME – un decorso causale del tutto
diverso da quello originariamente deliberato dai vertici, ivi compreso dallo stesso RAGIONE_SOCIALE.
La motivazione della sentenza impugnata, oltre a essere disancorata dalle doglianze difensive (si veda pag. 273, ove si dice che la difesa «contestava la presenza del COGNOME», mentre in seno all’atto di appello, lungi dal negare la presenza di COGNOME sui luoghi, se ne contestava la consapevolezza in ordine alla presenza di armi e al potenziale degenerativo della spedizione in procinto di partire), si palesa del tutto illogica e priva di adeguato valore logico argomentativo.
La Corte fa proprio il principio di comune esperienza secondo il quale nelle «notorie relazioni dinamiche in ambito RAGIONE_SOCIALE» sarebbe stato irrealistico, per il COGNOME, partecipare senza essere compiutamente informato del carattere e delle finalità della spedizione, nonché della presenza di armi a disposizione del RAGIONE_SOCIALE.
L’illogicità della motivazione è ancora più evidente se solo si considera che proprio le relazioni dinamiche mafiose postulano spesso che il sodale, in ruolo non apicale, si ponga a disposizione del capo per qualsiasi necessità e in qualsiasi momento, senza alcun bisogno di essere puntualmente informato sui dettagli delle azioni programmate.
Ciò vale a maggior ragione a fronte di una azione collettiva affollatissima, proprio a sostegno dell’azione rappresentativa che volevasi portare agli occhi del RAGIONE_SOCIALE rivale. Il fatto che NOME non avesse armi da sparo dimostra che lo stesso fosse ignaro di tutto.
La Corte di appello scrive che la rappresentazione del rischio futuro di eventi degenerativi e potenzialmente letali era subordinata nel caso concreto alla eventualità che, nel corso della spedizione, avessero incontrato i «RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE e armati»; cioè, una doppia condizione ipotetica che esclude la prevedibilità.
6.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967, e il vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità per il capo E).
La sentenza impugnata, a pag. 277 e ss., opera un richiamo a quanto prima argomentato in ordine alla natura armata del corteo e alla consapevolezza di tutti i correi rispetto alla presenza di armi, sostenendo poi, con specifico riferimento alla posizione di COGNOME che «poiché le armi utilizzate erano dell’associazione mafiosa ed il COGNOME deve ritenersi soggetto intraneo al RAGIONE_SOCIALE medesimo, se ne deve desumere che ne avesse contezza del luogo in cui erano custodite le armi del RAGIONE_SOCIALE ed avesse altresì la possibilità di accedervi, dunque potendone acquisire in qualsiasi momento la disponibilità materiale».
La sentenza, senza dare atto degli elementi concreti dai quali desumere la sussistenza dei requisiti richiamati dalla esegesi giurisprudenziale, e di fatto facendo malgoverno dei principi di diritto, ha ritenuto la sussistenza della colpevolezza pur a fronte della assenza di un necessario e concordato piano che prevedesse di munirsi ed eventualmente fare uso di armi.
Il ragionamento operato in sentenza è viziato, giacché la contestazione non riguarda le armi del RAGIONE_SOCIALE genericamente considerate (COGNOME ha riportato condanna in seno al diverso procedimento n. 5250/2020 RGNR), ma il porto e la detenzione di «almeno due pistole TARGA_VEICOLO» in stretta correlazione finalistica rispetto alla specifica condotta del capo D) dell’imputazione.
6.4. Il quarto motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzioNOMErio.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa due motivi di ricorso.
7.1. Il primo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per i reati dei capi D) ed E).
Il tentato omicidio, come afferma il giudice di secondo grado, era non previsto in concreto, ma soltanto in concreto prevedibile. Dunque, il ricorrente sarebbe andato all’incontro senza nutrire volontà omicida né consapevolezza che altri la potessero avere, ma avrebbe potuto prefigurarsi che altri la avrebbero potuta avere. E tale giudizio di prevedibilità, la Corte di appello lo ritiene possibile p riconoscendo che l’imputato non era armato né sapeva o immaginava che altri lo fossero e che era stato lasciato all’oscuro della finalità dell’azione dai correi che lo avevano escluso dalle riunioni deliberative in quanto estraneo alla loro organizzazione.
Non è chiarito come si sia passati dalla volontà di compiere un’azione dimostrativa (sfilare in corteo nel territorio degli avversari) alla responsabilità p avere partecipato, disarmato, a un conflitto a fuoco.
7.2. Il secondo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze e al trattamento sanzioNOMErio.
La circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è stata applicata in assenza di motivazione, a fronte di un’azione determinata da contrasti personali che riguardavano COGNOME e senza che siano rese evidenti le finalità agevolative da parte dell’imputato, ritenuto estraneo al RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza è priva di adeguata motivazione con riguardo al rigetto della richiesta di applicazione delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen. e al trattamento sanzioNOMErio; il giudice di appello, nel determinare quest’ultimo, ha illogicamente
differenziato tra l’aumento di un terzo per l’aggravante speciale e la diminuzione non nella misura massima per la diminuente dell’art. 116 cod. pen.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa quattro motivi di ricorso.
8.1. Il primo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla mancata applicazione della diminuente ex art. 116 cod. pen.
La difesa lamenta l’insanabile contraddittorietà dell’impugnata sentenza che, in punto di riconoscimento a carico di COGNOME di una responsabilità concorsuale per il tentato omicidio oggetto del presente procedimento e di contestuale esclusione dell’attenuante dell’art. 116 cod. pen., entra in palese contraddizione con inequivocabili riscontri oggettivi e, in particolare, con le dichiarazioni de collaboratori di giustizia.
Non vi è dubbio che COGNOME NOME abbia ricevuto costanti rassicurazioni in merito alla volontà di compiere un’azione esclusivamente dimostrativa, come reiteratamente confermato da NOME; pure è emersa la deviazione dal percorso originariamente stabilito, con imprevedibilità dei successivi accadimenti.
Alla luce delle risultanze istruttorie appare evidente come COGNOME NOME non fosse per nulla a conoscenza del percorso che era stato realmente pianificato e che pertanto lo stesso non poteva in alcun modo rappresentarsi e/o prevedere, o addirittura accettare, l’esito nefasto di quello che più volte il collaboratore d giustizia definisce atto dimostrativo.
All’udienza del 25 marzo 2024, il collaboratore di giustizia NOME confermava integralmente l’assunto difensivo ribadendo ancora una volta che: «Su quello che era il da farsi c’erano diciamo due correnti. C’era una corrente, quella del COGNOME NOMECOGNOME, che comunque non volevano che si facesse un’azione di forza nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE» (pagina 7 verbale udienza del 25 marzo 2024). Lo stesso, inoltre, precisava nuovamente i connotati dell’azione: «l’atto dimostrativo doveva essere la classica stesa, girare con gli scooter in cerca di …. per fare si vedere e magari pizzicare qualcuno …. »; ma soprattutto COGNOME chiariva e circoscriveva due dati fattuali di straordinaria importanza probatoria che determinano un’indiscutibile, oggettiva e insuperabile, conferma di quanto rappresentato dal difensore a sostegno dell’applicabilità del concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., affermando testualmente e inequivocabilmente che l’accordo all’interno del cosiddetto “RAGIONE_SOCIALE” prevedeva che: «se magari avessimo preso qualcuno ci saremmo limitati a malmenarlo con qualche colpo di casco, e magari minacciarlo in maniera un po’ più forte. Ma quella doveva essere l’azione», nonché chiarendo definitivamente perché COGNOME si trovasse all’interno del corteo di motocicli e quale fosse la circostanza che lo aveva convinto, affermando
testualmente che: «ma quella doveva essere l’azione che si doveva fare (la “stesa”). E questo ha convinto anche a partecipare il COGNOME NOME» (pagina 9 verbale udienza del 25 marzo 2024).
Converge con tale ricostruzione anche il collaboratore COGNOME.
Quanto sopra palesa l’evidente impossibilità giuridica di teorizzare una responsabilità concorsuale piena a carico di COGNOME NOME e conferma la fondatezza della tesi difensiva sulla applicazione dell’art. 116 cod. pen., in virtù dei seguenti elementi: COGNOME ha fatto di tutto per riappacificare i contendenti; COGNOME aveva avuto la garanzia che non ci sarebbe stato nessun utilizzo di arma da fuoco, ma che ci si sarebbe limitati eventualmente a qualche colpo di casco; COGNOME non ha mai accettato nessun rischio rispetto alla commissione di reati con armi da fuoco, né esiste la prova che lo stesso fosse a conoscenza della presenza di armi e soprattutto riceveva esplicite e sicure garanzie sulla natura meramente dimostrativa dell’azione; COGNOME non si rappresentava affatto i rischi connessi alle conseguenze di una possibile azione delittuosa, ma il pericolo connesso alla reazione a una possibile azione dimostrativa e non poteva rappresentarsi le conseguenze di quanto accaduto perché non ha mai aderito a un progetto criminoso che prevedeva il passaggio del corteo di moto dalla roccaforte dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
8.2. Il secondo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze attenuanti generiche in ragione del comportamento da sempre rivolto a evitare uno scontro armato e riappacificare gli animi.
8.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, 43 e 110 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 575 cod. pen. (capo D asseritamente sorretto dal dolo c.d. eventuale, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
In particolare, COGNOME NOME ha tenuto i comportamenti sopra descritti, del tutto incompatibili con il dolo eventuale, comunque non applicabile nel caso di specie.
8.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967, e il vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità per il capo E), anche in considerazione delle dichiarazioni di NOME, che esclude la presenza di armi a casa di COGNOME NOME, e di COGNOME, che conferma il dissenso dell’imputato in merito all’uso di armi.
NOME NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa quattro motivi di ricorso.
9.1. Il primo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla consapevolezza della detenzione e del porto delle armi del capo E), a fronte dell’assoluzione per il capo D).
Si legge in sentenza, a pag. 400 e segg., che «le risultanze probatorie acquisite, sebbene non consentono di ritenere accertato che COGNOME NOME fosse personalmente armato, rilevano tuttavia oltre ogni ragionevole dubbio che questi fosse pienamente consapevole della presenza di armi tra i correi».
La Corte territoriale trae la sua convinzione: dalla «chiara natura punitiva» della spedizione perorata da NOME e COGNOME NOME e avallata da COGNOME NOME; dalla presenza di COGNOME NOME alla riunione del mattino dell’8 agosto 2020 a casa di NOME, quanto a quella del pomeriggio dello stesso giorno a casa del padre COGNOME NOME; dalla “dimostrata” finalità violenta e punitiva della spedizione della quale NOME COGNOME era certamente consapevole.
Quanto sopra, tuttavia, non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrent non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà.
La sentenza della Corte territoriale, nella parte in cui argomenta la desistenza dal capo D), è esplicita nel ritenere che COGNOME NOME non ha fornito nessun contributo alla fase ideativa e di progettazione e programmazione della spedizione punitiva e che ha abbandoNOME la fase esecutiva quando ancora la spedizione non era giunta al confronto con il RAGIONE_SOCIALE antagonista; allora è corretto ritenere che la sua uscita dal RAGIONE_SOCIALE ha fatto venire meno la finalità della sua presenza di rafforzamento del RAGIONE_SOCIALE, comprensiva della finalità di concorrere moralmente nel porto e nella detenzione dell’altrui arma.
9.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla recidiva, applicata soltanto per ì precedenti penali, senza invece considerare la desistenza, dimostrativa di una positiva personalità che non è stata valutata.
9.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
Secondo la tesi del decidente, «l’imputato aveva piena contezza dell’agevolazione che la condotta criminosa posta in essere assicurava al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui faceva parte».
In verità, al di là della mera contestazione formale, in concreto non è ravvisabile l’aggravante in capo a COGNOME NOME, atteso che dalla sua condotta non sono emersi elementi idonei a dimostrare la sussistenza dell’aggravante soggettiva in questione.
9.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze attenuanti generiche.
NOME COGNOME, con gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, sviluppa cinque motivi di ricorso.
10.1. Il primo motivo denuncia la violazione della legge penale e processuale, in riferimento agli artt. 192, 546, 533, 603, 495, 125 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per il capo D), anche in riferimento alla mancata assunzione di una nuova prova, al rigetto della consulenza tecnica sul cellulare in uso a COGNOME e all’omessa risposta alle doglianze sulla attendibilità e credibilità del collaboratore NOME.
Secondo il ricorso: «compito della difesa sarà, pertanto, quello di confrontarsi con gli elementi utilizzati dalla Corte e confutare passo dopo passo la circolarità della pronuncia di condanna, dimostrando il vulnus di legittimità che ha subìto la testi difensiva, e ciò attraverso: 1) La ricostruzione del movente che ha dato luogo alla vicenda occorsa il pomeriggio dell’8 agosto 2020 e la sua attribuibilità congetturale, non supportata da idonei riscontri probatori, alla vicenda personale del COGNOME, origine del ragionamento circolare. Connessa analisi della figura di NOME COGNOME e della reale natura giuridica da attribuire al coinvolgimento del COGNOME unitamente alla valutazione resa dal decidente alla valenza delle dichiarazioni da questi rese l’intervento del Sig. NOME, zio del COGNOME, da questi contattato nell’immediatezza dei fatti, risulta, per il decidente, possedere in sé il requisito della specificità (“ha un peso specifico”, vedasi pag. 417 Sentenza), rappresentando questi il tramite del RAGIONE_SOCIALE, il contatto tra i due gruppi mafiosi. Posizione dell’NOME non ritenuta specifica dal giudice di prime cure e su cui la difesa ha rappresentato specifiche argomentazioni che non sono state oggetto di contraria valutazione giuridica, ma solo di una presunzione congetturale a-giuridica. 2) Analisi dichiarazioni collaboratori di giustizia, criticità giuridich ordine all’attendibilità credibilità del collaborante NOME – rigetto richi consulenza tecnica di parte in forza di prova nuova e sopravvenuta; elementi che fondano l’architrave del ragionamento circolare e punto centrale della cd. praesumptio de praesumpto. 3) Valutazioni giuridiche in ordine alla violazione in punto di prova ex art. 192 c.p.p.; valutazione in punto di rigetto consulenza di parte ex art. 603 c.p.p., 495, comma 2, c.p.p; infine, violazione del dovere motivazionale».
10.1.1. Il ricorso contesta il movente (contrasto a seguito del pestaggio di COGNOME) poiché non è univoco né esclusivo, fermo restando che è del tutto congetturale.
Il ricorso, dopo essersi posto la domanda: «Se il COGNOME non avesse subito il pestaggio, i due RAGIONE_SOCIALE non si sarebbero scontrati?», risponde negativamente, poiché vi è stato il litigio tra i capi RAGIONE_SOCIALE che sarebbe la causa di quanto accaduto.
Ad avviso del ricorrente è stata forzata la lettura delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME che valorizzano l’episodio ai danni di COGNOME, anche perché NOME è estraneo al RAGIONE_SOCIALE e, quindi, non poteva intervenire sui capi del RAGIONE_SOCIALE COGNOME per chiedere protezione in favore dell’imputato. A dimostrazione dell’estraneità di NOME, si deduce che egli non sapeva di ciò che avvenne la notte tra il 7 e 1’8 agosto, tanto che la mattina seguente si è comunque recato presso il bar San NOME.
Prosegue il ricorso: «COGNOME era venuto a conoscenza di quanto accaduto al COGNOME? Si; Si è mosso solo perché il COGNOME ha subito il pestaggio? NO». Risulta chiaro, ad avviso della difesa, che le dichiarazioni dei collaboratori non sconfessano l’assunto difensivo, ma anzi lo confermano, dimostrando come realmente COGNOME si fosse rivolto allo zio NOME, intervenuto esclusivamente a titolo personale, al fine di poter intermediare quanto accaduto, spaventato per le botte prese e per le minacce che NOME aveva proferito nei suoi confronti.
Pure le dichiarazioni di NOME COGNOME sono state puntualmente confutate dalla difesa nell’atto di appello, ma la Corte di secondo grado si è rifugiata in risposte evasive e prive di sostegno probatorio.
La Corte di appello non si è attenuta, quanto al movente, alle indicazioni autorevolmente espresse dalla Corte di legittimità (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226094 – 01).
Conclude la difesa: «La circolarità auto-referenziale di cui si duole la difesa e su cui si tornerà nel proseguo, finirà per inficiare l’intera piattaforma probatoria poiché partendo dall’attribuzione del movente in capo al COGNOME, proseguendo con l’attribuzione in capo all’NOME di una posizione, inesistente, di mediatore tra RAGIONE_SOCIALE, si propaga a macchia d’olio sino a coinvolgere persino la validità stessa delle dichiarazioni rese dal COGNOME nell’immediatezza dei fatti, portando il decidente al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 6 c.p.p., avanzata dalla difesa all’udienza del 24 giugno 2024, “non ritenendola necessaria”».
La difesa lamenta, del resto, che non siano state ritenute attendibili, in modo ingiustificato e preconcetto, le dichiarazioni di COGNOME e sottolinea che: «le dichiarazioni del COGNOME vengono, invece, considerate attendibili e riscontrate, nonostante le numerose doglianze svolte da questa difesa a cui la Corte di appello
non risponde (vedasi ad esempio la riferita presenza, nel corteo, di soggetti con i guanti in lattice neri, e la successiva smentita di tale affermazione, attraverso le immagini prodotte in sede di discussione che dimostrano come, invece, nessuno dei soggetti indicati dal COGNOME, a bordo delle Moto XADV bianca e nera, e cioè il COGNOME NOME e l’COGNOME ed i loro passeggeri, indossavano guanti in lattice nero; o ancora la non riscontrata, anzi confutata, ora in cui si sarebbe svolto di mattina l’incontro in INDIRIZZO con la presenza del COGNOME NOMENOME atteso che, in virtù di un servizio di videosorveglianza attivato dalla polizia giudiziaria davanti casa dello stesso, è accertato che quest’ultimo si trovasse in compagnia della moglie a casa propria nello stesso lasso temporale in cui NOME NOME NOME in INDIRIZZO insieme a lui stesso ed altri intenti a decidere il da farsi rispetto ag accadimenti della notte prima) non dovendo essere tratti in inganno da quanto riportato in sentenza a pag.416».
10.1.2. La difesa prosegue illustrando i denunciati vizi: «il secondo passaggio logico attiene alla valutazione delle dichiarazioni rese dal collaborante NOME, alla sussistenza o meno dei requisiti di attendibilità e credibilità che dovrebbero sorreggere il suo narrato, nonché alla sussistenza di un riscontro esterno che ne dia forza probatoria».
La difesa sottolinea che: «il semplice presentarsi presso l’abitazione del COGNOME non può, da solo, dar vita ad un’automatica adesione volitiva futura da parte del COGNOME, anzi, a contrario, sono proprio le dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME a confermare ancora una volta come il pestaggio del COGNOME si fosse inserito all’interno di una vicenda più grande di lui, poiché è lo stesso COGNOME, sulla base di quanto dichiarato dai collaboranti, che riferisce e da conferma degli scontri avvenuti durante la notte, ergo COGNOME si muove non per il COGNOME ma per se stesso. Passaggio saliente, che, invece, merita trattazione a questo punto del ricorso, è la riunione tenutasi il pomeriggio di giorno 8 agosto presso l’abitazione del COGNOME NOME partendo da un dato processualmente acquisito perché unanimemente confermato dai collaboratori COGNOME e COGNOME all’interrogatorio del 20 agosto: l’appuntamento dato dal COGNOME al COGNOME a casa del COGNOME è stato fissato alle ore 18:00».
La scansione temporale avallata dai giudici di merito è però errata: «al fine di far emergere la circolarità del ragionamento operato dal decidente che fa delle dichiarazioni del COGNOME l’architrave che sorregge l’impianto accusatorio, la difesa partirà: – dalle dichiarazioni del COGNOME, contrastanti con quelle del COGNOME e del COGNOME, e, vedremo, poi, anche con i risultati dei tabulati telefonici, circa il da tecnico degli orari di arrivo dei partecipanti alla riunione, e in particolare di quel del COGNOME, non accompagNOME, a suo dire, dal COGNOME (anche questo dato divergente dagli altri collaboratori) che sarebbe arrivato successivamente, e che
identifica nel verbale del 25 marzo pagina 14, su domanda specifica del Procuratore generale in ordine alla descrizione fisica dello stesso, così “COGNOME NOME non era una persona molto alta, però era robusta, aveva gli occhiali e i capelli scuri, anche lui era scuro di carnagione”. Dichiarazioni queste sulla fisicità del COGNOME che sono più volte ribadite dal COGNOME che già prima, vedasi verbale dell’Il marzo, nel raccontare quando aveva conosciuto il COGNOME, così dichiarerà: “Il COGNOME, che in quell’occasione mi avevano presentato, mi aveva detto che comunque anche lui era arrivato ad una colluttazione con il COGNOME … io guardavo fisicamente il COGNOME che non era molto, non era molto grosso. Era piccolino come tipo. Lo guardavo e mi veniva un attimino da ridere perché dicevo ‘ma come ha fatto, tu dici, a darici …’. Poi invece mi hanno detto ‘no, con le mani è uno capace’ “. Ebbene dall’esame autoptico del COGNOME emerge che trattasi di un soggetto alto 1.75 m. quindi una persona che può essere considerata mediamente alta, non semplicemente robusta ma bensì addirittura pingue, e non scuro di carnagione. Ergo, il collaborante rappresenta una fisicità incompatibile con le reali fattezze del povero COGNOME».
Quanto alla inattendibilità di COGNOME, in specie sugli orari che risultano significativi per la responsabilità di COGNOME, il ricorso stigmatizza che: «La Corte pur ascrivendo un errore al COGNOME sull’orario di partecipazione del COGNOME, che si ritiene debba essere intorno alle ore 16,55 (in questo non confermando quanto scritto dal Gup che aveva, invece, indicato tale orario poco prima delle 17,25; ulteriore conferma che non ci troviamo, su punti salienti della sentenza, di fronte ad una doppia conforme), ritiene che il riscontro alle dichiarazioni rese dal COGNOME sul punto provenga dalle dichiarazioni dei collaboranti COGNOME e COGNOME). Ma i due collaboranti citati, non solo non confermano il NOME sull’orario ma altresì non lo riscontrano sul contenuto della riunione, non essendo presenti. Quindi il racconto del COGNOME appare, sul punto, privo di riscontro. Anzi, confutato da riscontro contrario. I due collaboranti confermano che il COGNOME andò all’incontro, circostanza invero ammessa dallo stesso COGNOME nei suoi interrogatori, ma smentiscono il COGNOME di oltre due ore rispetto al suo racconto e di oltre 1 ora e mezza rispetto alla ricostruzione operata dalla Corte. B) La Corte di Appello nel disperato tentativo di riscontrare il COGNOME commette un ulteriore errore, a pag. 433. Invero il COGNOME afferma, riguardo all’arrivo del COGNOME che questi sopraggiungeva con COGNOME “circa 20 minuti dopo il suo arrivo” e, quindi, verso le 16:55; mentre il COGNOME arrivava ancora più tardi insieme ad un RAGIONE_SOCIALE di scooter con altri soggetti, tra cui c’era anche RAGIONE_SOCIALE. Questo racconto del COGNOME non è riscontrato dai collaboranti COGNOME e COGNOME
che NOMEno il COGNOME sempre insieme al COGNOME e di come lo stesso ebbe a recarsi alla riunione dopo le 18 insieme al COGNOME ed al COGNOME NOME».
Ad avviso della difesa, «la NOMEzione della fase decisionale tra le 17:30 e le 18:30 non può considerarsi riscontrata da COGNOME e COGNOME che non solo NOMEno l’appuntamento alle ore 18:00, ben 30 minuti dopo, ma sono sorrette dalle risultanze dei tabulati telefonici e dalle celle di aggancio delle diverse utenz che addirittura attesteranno la presenza del COGNOME alle ore 18:30; accertamenti, questi, che ovviamente non potevano essere preventivati dal COGNOME al momento delle sue irriscontrate dichiarazioni. Ergo, “la divergenza di orario”, sminuita dal decidente, unitamente ai mancati riscontri, a contrario risultano essere forieri da un lato di inattendibilità e mancanza di credibilità del COGNOME e dall’altro di circola motivazionale da parte del giudicante che parte dalle dichiarazioni di questi costruendo su di esse un apparente ragionamento privo dei canoni che ne dovrebbero cristallizzare la fondatezza».
Il ricorso passa, quindi, a esaminare le risultanze dei dati ottenuti dai tabulati telefonici e dall’aggancio delle diverse celle, oggetto di una consulenza tecnica prodotta e acquisita all’udienza del 5 marzo 2024; ad avviso della difesa i risultati della consulenza non sono stati presi in considerazione soltanto perché non combaciano con le dichiarazioni di COGNOME. La Corte non ha tenuto conto delle valutazioni del tecnico: «dall’esame dei tabulati risulta che l’apparato terminale di COGNOME NOME, con SIM N° 3248253967 è del tipo 4G, ma non abilitato al traffico VOLTE, difatti notiamo che, mentre le connessioni “Dati” vengono effettuate su rete LTE, ciò si evince dal tipo di connessione (23 – uscente DATI) e dal LAI-CI della cella (es. 89837 53) che indica essere una cella 4G; viceversa durante le connessioni in fonia (Tipo I -Uscente Voce, 2 – Entrante Voce) il telefono si accampa sulle celle 2G e 3G (es. 46009 5040). A conferma di quanto ricavabile dai tabulati, si precisa che l’operatore Mobile ha introdotto il servizio VOLTE sulle proprie SIM a partire dal 27 ottobre 2020, e quindi in data successiva a quella in cui si sono svolti i fatti».
Quindi, ad avviso della difesa, «il terminale del COGNOME dalle 15:50 si aggancia alle celle di “stazione Acquicella” rimanendo in connessione fino alle 17:25. Durante questo intervallo di tempo, alle 17:21, dall’apparecchio parte una chiamata in fonia. In queste condizioni il terminale resta connesso: – in dati alla BTS “stazione Acquicella”; – mentre per la fonia si accampa sulla cella CI:5040. Stessa situazione si verifica alle 18:10:03 quando il telefonino, sempre agganciato in dati alla cella “Stazione Acquicella” effettua ben due chiamate in fonia sempre sulla cella 5040 la prima e con inizio su 4590 e fine 5040, ed una seconda chiamata alle 18:13:19 sempre verso lo stesso numero di telefono e cioè il NUMERO_TELEFONO e con inizio su 5040 e fine 4590. Ma cosa accade dopo che il COGNOME effettua
la seconda chiamata, quella delle 18:13:19? Avviene che il suo telefono rimane agganciato in connessione con la cella “Dati” fino alle 23:06 su due celle: 89837 51 (stazione Acquicella) e 89843 51 indicata in tabulato solo come CT RAGIONE_SOCIALE (senza indicazione dell’indirizzo), questa cella risulta essere situata in INDIRIZZO e punta in direzione nord».
Da quanto sopra, secondo la difesa, promana la smentita alle dichiarazioni di NOME; la Corte avrebbe dovuto accantonarle ovvero disporre perizia sulle questioni tecniche che lo sono state sottoposte.
La difesa conclude: «L’omesso accertamento rende errato, sotto il profilo tecnico, l’assunto della Corte e, in conseguenza, incongruo il ragionamento logico sui movimenti del COGNOME e sulla prova della presenza di COGNOME in quell’ora e in quel posto, inficiando quindi la tenuta probatoria della dichiarazione di COGNOME. Si badi, è proprio in rapporto alla presenza di COGNOME in quell’ora ed in quel posto che i giudici fanno discendere la sua percezione del carattere armato del corteo, la sua adesione alla dimostrazione di forza quale finalità del gesto e, in ultima analisi, la sua responsabilità ex art. 110 c.p. rispetto alla contestazione di cui a capo D) della rubrica».
10.1.3. Il motivo di ricorso si concentra, poi, sulla questione della rinnovazione istruttoria.
La difesa denuncia l’ordinanza di rigetto della rinnovazione dell’istruttoria al fine di acquisire la consulenza dell’ing. COGNOME su una chiamata e un messaggio che COGNOME avrebbe ricevuto da NOME COGNOME NOME 1’8 agosto dopo le ore 18:00.
La chiamata e il messaggio su “Instagram” di COGNOME alle ore 18:26 avrebbero attestato che NOME non si trovava a casa di COGNOME all’orario indicato da NOME, risultando logico che, se i due soggetti si fossero trovati nell stesso luogo, di certo l’uno non avrebbe chiamato l’altro.
Del resto, la presenza di COGNOME non trova riscontro neppure nelle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito.
Il giudice di appello ha rigettato senza motivazione l’istanza di rinnovazione istruttoria su una questione decisiva.
10.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, 43, 110 e 116 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per i reati dei capi D) ed E), sia con riguardo al dolo c.d. eventuale, sia con riguardo al concorso anomalo.
10.2.1. Quanto al concorso anomalo, il ricorso stigmatizza che la Corte territoriale è incorsa in una evidente contraddizione in quanto, dopo aver descritto un quadro fattuale che esclude la prova di una spedizione punitiva comprensiva
della soppressione di vite umane, anche come possibile sviluppo dell’azione, ha affermato la sussistenza, a carico di COGNOME, di un concorso ordinario ex art. 110 cod. pen., escludendo l’applicabilità dell’ipotesi del concorso anomalo; tuttavia, proprio alla luce di quanto rappresentato nella stessa sentenza e in considerazione del piano di azione concordato, o meglio del disegno relativo alle modalità di realizzazione, viene a mancare la possibilità di una qualche proiezione prognostica avente a oggetto la morte di un uomo, in contrasto con i principi di diritto applicabili: era prevista soltanto una azione dimostrativa priva di violenza e, dunque non punitiva, che non prevedeva l’utilizzo delle armi a scopo offensivo, con ciò rafforzando ancor di più l’idea che lo sviluppo dell’azione fu sottoposto ad una spinta del tutto occasionale e atipica, non condivisa in alcun modo da COGNOME, perciò disancorata dalla deliberazione originaria e caratterizzata da una iniziativa impulsiva del tutto autonoma e incontrollabile dei suoi autori materiali.
Se era opinione di NOME che «comunque qualche arma dietro l’avessero», è anche vero che – come si legge in sentenza – «nessuno nel corso della riunione ave parlato espressamente di armi (“nessuno di noi aveva armi … armi a casa di COGNOME non ce n’è”)», risulta palese la non prevedibilità del reato più grave.
10.2.2. Quanto al dolo eventuale, il ricorso ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha sempre escluso che sia ipotizzabile per il delitto tentato.
La sentenza si avventura in interpretazione contra legem, neppure aderente ai dati di fatto.
10.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, con riferimento alle norme incriminatrici, e il vizio della motivazione con riguardo al porto delle armi del capo E), a fronte dell’assoluzione dalla detenzione delle medesime armi e alla insussistenza di elementi di responsabilità.
Il ricorso, richiamate le critiche sviluppate al primo motivo, sottolinea nuovamente che la deliberazione assunta dal RAGIONE_SOCIALE non prevedeva il porto di armi e che COGNOME è estraneo al contesto RAGIONE_SOCIALE, non si è recato al raduno di Monte Pidocchio e non ha avuto neppure la possibilità di verificare de visu la presenza delle armi.
D’altra parte, la frase «andare a prepararsi» è per COGNOME, soggetto estraneo agli ambienti criminali, del tutto priva di significato.
10.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge, con riferimento all’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen., e il vizio della motivazione in relazione alla mancata applicazione della circostanza attenuante speciale della collaborazione, in ragione del contributo offerto e della palese dissociazione dal clima di omertà nel quale si sono svolti i fatti.
Il ricorso sottolinea le tempestive e decisive dichiarazioni rese dall’imputato e lamenta che la Corte di appello le abbia del tutto svalutate.
COGNOME, sin dal primo approccio con l’autorità giudiziaria, ha indicato i motivi di quanto accaduto e gli episodi prodromici all’evento del corteo di motocicli e ha individuato una pluralità di soggetti, altrimenti sino a quel momento mai identificati, e ha descritto le fasi concitate dello scontro con i soggetti appartenen al RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” che spararono per primi, ferendo anche COGNOMENOME
Del resto, nella sentenza di primo grado, le dichiarazioni di COGNOME sono valorizzate e impiegate a sostegno dell’affermazione di responsabilità di vari imputati (COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME).
10.5. Il quinto motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzioNOMErio.
Non sono stati valorizzati il comportamento processuale e il sostanziale contributo alle indagini, l’estraneità ad ambienti mafiosi.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa cinque motivi di ricorso.
11.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 56, 43 e 110 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 575 cod. pen. (capo asseritamente sorretto dal dolo c.d. eventuale, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
11.2. Il secondo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla assenza di dolo omicida in ragione della traiettoria (verso il basso) dei proiettil esplosi dagli autori materiali, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
11.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 116 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo al concorso anomalo, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
In sintesi, stante il fatto incontestabile che COGNOME non solo non ha partecipato alla fase ideativa della spedizione, ma che anche nel momento in cui lui e gli altri soggetti presenti presso la dépendance ne sono usciti per vedere quale fosse il da farsi, è stato COGNOME NOME a unirsi alla discussione dei vertici e a udi le parole di COGNOME NOME «ci stiamo andando a preparare»; la Corte di appello affida il proprio convincimento sull’elemento rappresentativo e volitivo in capo a COGNOME a una serie di presunzioni non corredate da motivazione a supporto, né poste a confronto con le argomentazioni di segno contrario enucleate dalla difesa.
In particolare, a p. 489 della sentenza, si legge che COGNOME «aveva poi ricevuto l’invito del NOME di presentarsi all’appuntamento pomeridiano a casa di COGNOME NOME ed è implausibile sostenere che il COGNOME non avesse informato l’appellante delle ragioni di quella riunione». A detta riunione, secondo l’immotivato convincimento della Corte di appello, «partecipavano solo ed esclusivamente soggetti intranei al RAGIONE_SOCIALE, ciò riscontrando, in fatto, il ruolo di associato attribuito al COGNOME dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME».
La motivazione è apodittica e, inoltre, omette di confrontarsi con la ipotesi avanzata dalla difesa che COGNOME fosse presente alla riunione per la sola e semplice ragione che, fin dalla mattina, era rimasta in sospeso la questione della rapina da organizzare presso Giardini Naxos.
Inoltre, a leggere le dichiarazioni di NOME, risulta che COGNOME non era presente alla prima occasione e non aveva la possibilità di udire quello che veniva detto da dentro la dépendance dove si trovava nella seconda.
Del resto, quanto alla fatidica espressione «ci stiamo andando a preparare» pronunciata da COGNOME, ritenuta indicativa dell’intenzione di munirsi di armi da fuoco, è sufficiente leggere il verbale dell’udienza del 28 aprile 2022, nel quale NOME, rispondendo alla domanda su chi avesse udito la suddetta espressione, non includeva COGNOME.
11.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 895 del 1967, e il vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità per il capo E), sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di NOME COGNOME.
La sentenza impugnata, a pagg. 507 – 509, afferma la consapevolezza di tutti i correi rispetto alla presenza di armi, sostenendo, con specifico riferimento alla posizione di COGNOME, che «poiché le armi utilizzate erano dell’associazione mafiosa di cui COGNOME NOME faceva parte, deve ritenersi che egli avesse contezza del luogo in cui erano custodite le armi del RAGIONE_SOCIALE ed avesse altresì la possibilità di accedervi, dunque potendone acquisire in qualsiasi momento la disponibilità materiale».
Tuttavia, COGNOME non annovera alcun precedente penale ex art. 416-bis cod. pen., né altri reati aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen., sicché la motivazione è apodittica là dove afferma la responsabilità sulla base della ritenuta sussistenza di un preciso e premeditato piano di azione, del quale, però, non vi è traccia.
Del resto, l’imputazione non si riferisce genericamente alla detenzione delle armi del RAGIONE_SOCIALE, ma piuttosto alle due pistole che sarebbero state impiegate nella circostanza, sicché le argomentazioni della sentenza sono del tutto apodittiche.
11.5. Il quinto motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo alla recidiva, alle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzioNOMErio.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa sei motivi di ricorso.
12.1. Il primo motivo denuncia la violazione della legge penale e processuale, in riferimento agli artt. 125 cod. proc. pen., 116 e 56, 575 cod. pen., e il vizi della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per il capo D).
Può concludersi, sulla base dei messaggi postumi all’evento e del fatto che l’imputato non era travisato né armato, che la Corte, con una motivazione illogica e in violazione di legge, abbia emesso un giudizio di prevedibilità dell’evento diverso da quello voluto, senza operare una valutazione in concreto degli innumerevoli elementi che avrebbero dovuto deporre per una totale assenza di responsabilità dell’imputato, avuto riguardo alla assoluta inconsapevolezza della presenza di armi che ha reso imprevedibile l’evoluzione dell’azione.
12.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per quanto riguarda il metodo RAGIONE_SOCIALE.
Agli occhi di COGNOME, ignaro dell’esistenza di eventuali moventi ulteriori innestatisi su quello originario legato alla vicenda privata di COGNOME, la sfilata dei motocicli diretti verso l’aggressore del nipote non poteva apparire come espressione di un metodo RAGIONE_SOCIALE.
12.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen., per quanto riguarda l’agevolazione del RAGIONE_SOCIALE.
La Corte, così come ha riconosciuto l’assenza della prova della avvenuta comunicazione a COGNOME dell’altrui detenzione di armi, allo stesso modo avrebbe dovuto logicamente ritenere l’assenza della prova della avvenuta comunicazione dei moventi ulteriori riconducibili a logiche mafiose, se è vero che COGNOME aveva avuto contezza della esistenza di una riunione che si sarebbe tenuta a casa di COGNOME, come ritenuto a pagina 544 della sentenza, non essendo dimostrato che l’esito del convegno gli era stato «comunicato da NOME NOME».
12.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla recidiva, in ragione della vetustà dei precedenti e della applicata diminuente ex art. 116 cod. pen. che è logicamente incompatibile con la ritenuta accresciuta capacità criminale, posto che il più grave reato è addebitato per colpa.
12.5. Il quinto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla determinazione della pena che ha individuato il
massimo edittale, contra legem, in 32 anni di reclusione, non potendosi eccedere gli anni 30 di reclusione.
Inoltre, è errata la individuazione della pena per il tentativo in due estremi: due terzi del massimo; un terzo del minimo; anziché una riduzione di eguale misura.
Del pari, è immotivata l’opzione di discostarsi dal minimo della pena, ancorata per l’ipotesi prevista dall’art. 116 cod. pen. a elementi non pertinenti (modalità esecutive; plurima esplosione di colpi).
Analogamente è illogica la valorizzazione della esistenza di precedenti penali poiché il reato è addebitato per colpa ex art. 116 cod. pen.
12.6. Il sesto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla misura di sicurezza della libertà vigilata in relazione a un reato colposo.
12.7. Il difensore ha depositato motivi nuovi con i quali ha censurato, in particolare, l’attribuzione del fatto più grave perché ritenuto prevedibile, pur avendolo assolto dai reati in materia di armi che, nel caso in esame, costituiscono proprio lo strumento che ha determiNOME il fatto diverso.
NOME COGNOME, con l’AVV_NOTAIO, sviluppa quattro motivi di ricorso.
13.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento alle norme incriminatrici, e il vizio della motivazione con riguardo alla affermazione di responsabilità per i reati dei capi D) ed E), sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di COGNOME.
Nessuno dei collaboratori ha saputo indicare il nominativo di COGNOME; COGNOME non ricorda di averlo visto nel RAGIONE_SOCIALE partito da Monte Pidocchio; non è stato individuato tra i componenti di detto RAGIONE_SOCIALE da parte dei collaboratori di giustizia facenti parte del RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“; non è identificato attraverso i frames dei filmati delle telecamere di sorveglianza poste lungo il tragitto.
Del resto, tenuto conto della mancata partecipazione alle riunioni tenutesi precedentemente alla spedizione, difetta qualsivoglia elemento che consenta di affermare che COGNOME fosse presente a Monte Pidocchio all’arrivo di COGNOME e COGNOME NOME e che, quindi, avesse conosciuto la deliberazione assunta o piuttosto si fosse aggregato successivamente.
Manca, in particolare, l’elemento soggettivo, anche perché le dichiarazioni di NOME («ci stiamo andando a preparare») non trovano riscontro nei collaboratori COGNOME e COGNOME.
In ogni caso, NOME ha riferito che COGNOME avrebbe rassicurato i presenti alla riunione, dicendo che avrebbero compiuto un mero atto dimostrativo, chg-ial
massimo avrebbe comportato «qualche colpo di casco»; secondo COGNOME, COGNOME avrebbe affermato soltanto che sarebbero andati numerosi «per scassarli» (interrogatorio del 20 agosto 2020); COGNOME afferma che agli incontri non avrebbe «sentito nessuno parlare della necessità di armarsi in vista della spedizione organizzata per andare a cercare NOME COGNOME e i suoi uomini» (interrogatorio del 20 agosto 2020).
Da quanto sopra deriva che la degenerazione degli accadimenti era del tutto imprevedibile.
Del resto, il dolo eventuale non è compatibile con il tentativo, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, sicché l’addebito a COGNOME è privo di sostanza.
Il ricorso, sul punto, richiama ampiamente la giurisprudenza, anche in tema di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen., come già altri ricorsi sul medesimo tema.
13.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento alle norme incriminatrici, e il vizio della motivazione con riguardo alla riqualificazione del capo D) nel reato di lesioni, sviluppando censure analoghe a quelle contenute nel ricorso di COGNOME.
13.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 56, terzo e quarto comma, cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla desistenza attuata dai motociclisti che si sono dati alla fuga immediatamente dopo essere venuti in contatto col RAGIONE_SOCIALE rivale.
13.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alle circostanze e al trattamento sanzioNOMErio.
La circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è stata applicata in assenza di motivazione.
La sentenza è priva di adeguata motivazione con riguardo al rigetto della richiesta di applicazione delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen. e al trattamento sanzioNOMErio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di tutti gli imputati sono nel complesso infondati.
Le principali censure comuni saranno esaminate nei primi due paragrafi; nel prosieguo saranno analizzati i singoli motivi di ricorso.
Sulla attendibilità e credibilità dei collaboratori e sulla ricostruzione in fatt deve concludersi per la complessiva infondatezza dei motivi di ricorso, pur essendo state formulate alcune deduzioni inammissibili.
2.1. In particolare, quanto alla questione dello scontro a fuoco, che in appello le difese avevano proposto di qualificare come agguato in danno dei “RAGIONE_SOCIALE” salvo poi abbandonare tale fantasiosa ipotesi, alla luce dei dati obiettivi consegnati dalle risultanze processuali e delle quali si dirà anche infra -, e dell’assenza di armi, questione oggi riproposta da quasi tutti i ricorrenti sotto il diverso profi dell’inattendibilità dei collaboratori di giustizia e dell’assenza di armi, si è f notare che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che hanno offerto l’evidenza della presenza di componenti armati nel RAGIONE_SOCIALE COGNOME e dell’esplosione di colpi di arma da fuoco verso i rivali, si sono arricchite in sede di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen. mediante la concordata acquisizione delle dichiarazioni di NOME, private degli omissis circa l’identità dei due associati che erano armati (COGNOME NOME e COGNOME NOME, poi colpiti da misura cautelare per il concorso nei reati dei quali si discute).
Il detto convergente panorama probatorio si è pure arricchito, come hanno sottolineato i giudici di merito, delle dichiarazioni di: COGNOME NOME, divenuto collaboratore di giustizia solo in epoca successiva, che hanno rafforzato l’originario compendio probatorio e riscontrato la dichiarazione di NOME anche in forza delle confidenze acquisite direttamente da NOME COGNOME (presente alla sparatoria e rimasto ferito nella circostanza); COGNOME NOME (RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“) che ha reso dichiarazioni del tutto coincidenti con quelle di NOME (RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“), essendo seduto in auto al suo fianco nell’occasione della quale si tratta. Questi ultimi due hanno riferito, come i ricors omettono di contestare specificamente, di avere sentito plurimi spari ancor prima che, viaggiando a bordo della Mini Countryman, superassero la curva della strada ove si erano affrettati a presentarsi avendo ricevuto la segnalazione della “invasione” dell’avverso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e raggiungessero la Fiat Panda dei rivali, già abbandonata con lo sportello aperto e con gli occupanti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE datisi alla fuga per essersi accorti della reazione del RAGIONE_SOCIALE avverso, quale segno inequivocabile di un vero e proprio conflitto a fuoco, sostenuto dalle armi a disposizione di entrambe le fazioni.
Come già precisato, i ricorsi, pur avendo abbandoNOME la tesi dell’agguato ordito dai “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, forniscono una critica generica e parcellizzata che si palesa inidonea a svalutare le conclusioni raggiunte, con una doppia conforme, dai giudici di merito, tant’è che non viene confutata in modo specifico la valorizzazione della dichiarazione di NOME, il quale ha individuato specificatamente il momento nel quale COGNOME veniva ferito dagli appartenenti al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (quando essi – il dichiarante NOME COGNOME insieme a COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME NOME – avevano circondato il
rivale COGNOME NOME, che giaceva a terra ferito, essendo investiti da una raffica di spari – alcuni dei quali colpivano COGNOME – che provenivano da soggetti facenti parte del RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“, atteso che tutti gli accoliti dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” erano attorno a COGNOME NOME e l’unico assente era COGNOME NOME che, tuttavia, era già fuggito perché ferito).
Le doglianze, riproposte pedissequamente nei ricorsi, alla credibilità e attendibilità di COGNOME e COGNOME NOME, oltre ad apparire prive di adeguata capacità critica alla luce della convergenza delle dichiarazioni dei suddetti e degli altri collaboratori sugli aspetti centrali e decisivi, nonché in ragione degli elementi di prova generica e captativa, sono del tutto generiche in merito alla specifica e autonoma rilevanza delle dichiarazioni di COGNOME NOME che convergono pienamente con le prime due dichiarazioni.
Del resto, le critiche alla presunta progressione dichiarativa di NOME e alle presunte omissioni contenute nel suo narrato sono state rintuzzate con il richiamo a elementi di prova che i ricorsi non criticano in modo specifico: quanto alla disponibilità di armi, oltre all’individuazione dei due accoliti (COGNOME NOME e COGNOME NOME) che portavano le armi al seguito in occasione dello scontro del quale si discute e alle risultanze della perizia balistica, che ha repertato la presenza di almeno una pistola TARGA_VEICOLO in possesso del RAGIONE_SOCIALE, i giudici di merito hanno ricordato il filmato, ritratto da un passante, di alcune fasi della sparatoria dal quale emerge senza alcun dubbio l’impiego, dall’una e dall’altra parte, di armi.
Quanto a COGNOME NOME, la valutazione frazionata risulta logicamente giustificata dall’umano tentativo di questi, nel contesto di un racconto sostanzialmente veritiero, di alleggerire il pur ammesso coinvolgimento nella vicenda dei propri NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti appartenenti ai “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
Del resto, come evidenziano i giudici di merito che non ricevono una critica specifica, il racconto di COGNOME NOME in ordine ai “problemi” insorti con COGNOME NOME risulta pienamente riscontrato anche dai collaboratori di giustizia del RAGIONE_SOCIALE antagonista COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Come hanno evidenziato i giudici di merito, che non ricevono una critica specifica, anche gli accadimenti della notte tra il 7 e 1’8 agosto descritti da NOME (eventi che hanno poi portato al naufragio del tentativo di un incontro chiarificatore tra le parti a valle della “vicenda” COGNOME, in ragione dell’aggressione subita dal figlio del boss dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“), risultano pienamente riscontrati non soltanto dalle dichiarazioni dei collaboratori del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma anche dai collaboratori NOME, NOME
NOME e COGNOME NOME, tutti componenti dell’antagonista RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
Preme evidenziare che è ineccepibile la motivazione dei giudici di merito, i quali hanno concluso che alcuni dei “centauri” del RAGIONE_SOCIALE erano sicuramente armati e hanno sparato.
Orbene, premesso che è inconsistente la deduzione difensiva secondo la quale non si sarebbe trattato di una spedizione punitiva perché i protagonisti non erano travisati – mentre dai fotogrammi estrapolati dalle telecamere dei vari esercizi commerciali posti lungo il percorso, che hanno ripreso il passaggio dei motocicli, è emerso che delle ventotto persone a bordo dei quattordici motoveicoli, ben ventiquattro di esse indossavano il casco -, va anche disattesa l’argomentazione difensiva secondo la quale, tenuto conto che dalle immagini estrapolate dalle telecamere non è stata accertata la presenza di soggetti con i guanti in lattice o in possesso di armi, sarebbe venuta meno la attendibilità dei collaboratori di giustizia COGNOME NOME e COGNOME NOME, che tali elementi riferiscono.
Si è logicamente osservato che le immagini in questione ritraggono unicamente il passaggio dei veicoli in velocità, sicché è impossibile verificare la presenza di guanti e di armi, anche perché risulta logico ritenere, conformemente alle lucide argomentazioni dei giudici di merito, che dette armi erano occultate per ovvie ragioni di contesto (spedizione punitiva attuata in pieno giorno nelle vie cittadine).
Proprio il protrarsi delle discussioni all’interno del RAGIONE_SOCIALE e del grupp militarmente organizzato per compiere la scorribanda in territorio avverso dimostrano, come hanno logicamente affermato i giudici di merito, la inadeguatezza delle critiche sviluppate dai ricorsi.
Non è, del resto, convincente la critica che si appunta, per escludere la natura armata dell’azione e la consapevolezza da parte dei partecipanti, sulle supposte divergenze nel percorso da seguire ovvero sulle deviazioni che sarebbero in grado di elidere il legame tra il programma e l’attuazione di esso con conseguente esclusione della responsabilità.
Gli elementi essenziali del programma, logicamente valutati dai giudici di merito per qualificare l’azione come punitiva, sono rimasti sempre fermi e condivisi da tutti i componenti del RAGIONE_SOCIALE che hanno partecipato e determiNOME l’azione collettiva. Infatti, i numerosi affiliati o “avvicinati” che si muniscono di motocicle e caschi per invadere parte del territorio degli avversari – con lo scopo di dimostrare, in ragione dei recentissimi contrasti, la propria supremazia e per dare una lezione a un qualsiasi componente del RAGIONE_SOCIALE rivale che avessero incontrato avevano ben chiara l’irrilevanza dell’identità del rivale da “scassare” con il casco.
È, quindi, inconsistente l’argomentazione difensiva secondo la quale l’opzione di avvicinarsi alla roccaforte avversaria – dalla quale si sono prontamente mossi gli appartenenti ai “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” con l’obiettivo di respingere l’invasione e tutelare i propri accoliti presi di mira dall’inseguimento dei “RAGIONE_SOCIALE” -, sarebbe stata isolatamente presa da qualcuno, mentre era logicamente prevista e condivisa, come pure l’inseguimento dell’appartenente al RAGIONE_SOCIALE rivale – preso di mira per portare a termine l’intento di “scassare” qualche avversario -, inseguimento che, come era logico attendersi, ha scateNOME la reazione dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
2.2. Tanto premesso sulla ricostruzione dei fatti, sulla credibilità e attendibilità dei dichiaranti e sulla natura della spedizione che ha dato corso ai tentati omicidi, è utile esaminare in dettaglio la problematica del contributo dei concorrenti diversi dagli autori materiali (separatamente giudicati). Per ciò che concerne, a livello generale, il contributo concorsuale degli imputati, i giudici di merito hanno correttamente valorizzato, in conformità alla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 6237 del 15/09/2021 – dep. 2022, COGNOME, Rv. 282620 – 01: «in tema di concorso di persone, il contributo psichico rilevante ai sensi dell’art. 110 cod. pen., in caso di azione collettiva, deve essere espressivo di condivisione dell’evento, in forma solo verbale o accompagnata da manifestazioni esteriori diverse dalla condotta tipica, ed idoneo a semplificare o agevolare l’ideazione o l’esecuzione dell’azione, anche se solo nei confronti di una parte consistente di compartecipi»), il contesto nel quale si sono sviluppati i fatti, atteso che risulta dato pacifico come la diatriba, sebbene scaturita da un alterco di natura personale che ha interessato COGNOME NOME e COGNOME NOME, ha poi assunto una dimensione associativa, venendosi a contrapporre gli appartenenti a due opposte consorterie: i “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, capeggiati da COGNOME NOME, e i “COGNOME“, rispetto ai quali COGNOME NOME è stato logicamente ritenuto un soggetto “avviciNOME“, essendosi rivolto a tale ultimo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per ricevere tutela, per il tramite dello zio NOME COGNOME, soggetto ritenuto partecipe o comunque vicino al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, proprio in ragione della piena consapevolezza che COGNOME apparteneva all’avverso RAGIONE_SOCIALE e che, dunque, ogni eventuale “soddisfazione” non poteva che provenire da un contatto tra i vertici dei gruppi criminali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ferma la inammissibilità delle critiche sul ruolo di NOME, poiché versate in fatto e confutative, non risulta neppure specificamente contestato anche il tentativo di NOME, zio di COGNOME NOME, di organizzare per il giorno 8 agosto 2020 un incontro chiarificatore sulle ragioni del pestaggio di COGNOME con COGNOME NOME (incontro pacificamente rientrante nelle logiche mafiose di controllo del territorio e di esercizio della supremazia su di esso e sugli associati e
gli “avvicinati”); non risulta neppure controverso che i contatti intercorsi tra i du RAGIONE_SOCIALE volti a una composizione bonaria della vicenda avevano subìto una brusca interruzione a causa dì ulteriori e gravi accadimenti che la notte tra il 7 e 1’8 agosto avevano visto coinvolti NOME COGNOME NOME (partecipe del RAGIONE_SOCIALE COGNOME) e il figlio di COGNOME NOME NOMEpartecipe del RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“), evento a seguito del quale nelle prime ore del mattino dell’8 agosto erano stati esplosi colpi di arma da fuoco nei pressi di un centro scommesse gestito da un fratello di COGNOME, proprio a dimostrazione dell’ormai inarrestabile escalation nel livello dello scontro tra i due avversi RAGIONE_SOCIALE.
Priva di rilievo, anche perché de-assiale, è la doglianza che sostiene che NOME non fosse stato messo al corrente degli eventi notturni: la ricostruzione dei giudici di merito circa il ruolo di COGNOME, infatti, non poggia sul momento nel quale NOME sarebbe stato informato delle emergenze notturne, quanto piuttosto sul fatto che, come il ricorso neppure contesta specificamente alla luce delle convergenti risultanze dichiarative, di ciò fosse consapevole COGNOME, il quale perorava l’aiuto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per ottenere “soddisfazione” dello ‘affronto’ subìto dai “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, dunque muovendosi in una logica prettamente mafiosa.
Appare perciò del tutto logico, nonché strettamente aderente alle risultanze processuali, quanto affermato dai giudici di merito secondo i quali la decisione già assunta da NOME nel corso della riunione presso la sua abitazione nella mattina dell’8 agosto di “reagire” (determinazione poi confermata nella riunione del pomeriggio a casa di COGNOME NOME alla presenza dei vertici del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, essendo presenti, non soltanto NOME, ma anche COGNOME NOME e COGNOME NOME), ha completamente mutato il contesto storico degli accadimenti, sfociati in un ostentato regolamento di conti tra gruppi mafiosi, tanto da venire pianificata una spedizione punitiva nel territorio nemico dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, anche a cagione dell’ormai cristallizzatosi attrito tra i RAGIONE_SOCIALE in dipendenza di opposti e confliggenti interessi criminali.
In proposito, il collaboratore di giustizia NOME COGNOME ha riferito del palesata volontà di COGNOME di imporre a tutte le piazze di spaccio esistenti nel quartiere di San Berillo di rifornirsi di stupefacente dai “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, con l conseguenza che il detto territorio e quello di INDIRIZZO sarebbero stati rivendicati dal suddetto RAGIONE_SOCIALE ai danni dei “RAGIONE_SOCIALE“.
Così tenuto in debito conto il contesto associativo, assume rilevanza il tema del reciproco condizionamento volitivo e il meccanismo di rafforzamento che esercitano le condotte dei singoli sulla volontà degli altri associati o fiancheggiatori sulla determinazione e attuazione di azioni collettive, quale quella della spedizione
punitiva organizzata dai “RAGIONE_SOCIALE” per il pomeriggio del’8 agosto 2020 nel territorio dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“.
L’obiettivo rafforzamento del coefficiente psichico che deriva dalle azioni collettive costituisce, come correttamente ritenuto dai giudici di merito, il collante e allo stesso tempo il propellente psicologico dell’azione dei singoli che si manifesta nella condivisione del disegno criminale nei suoi vari aspetti e momenti qualificanti: nella fase esecutiva, in quella ideativa, ovvero in quella preparatoria; la giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito che «la frequentazione e condivisione degli interessi di un RAGIONE_SOCIALE, da cui derivi la conoscenza del progetto delittuoso maturato al suo interno, integra concorso nel reato quando si traduca in un rafforzamento della volontà criminale degli altri compartecipi, nella fase preparatoria o in quella esecutiva. Si fuoriesce, dunque, dai confini della mera connivenza non punibile quando vi sia stata una anticipata programmazione di attività di copertura, che abbia rafforzato il proposito criminoso degli esecutori del reato» (Sez. 1, n. 32851 del 06/05/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 241233 – 01).
Alla luce di ciò, le critiche dei ricorsi si palesano infondate, sia in fatto – ove si appuntano su presunte inadeguatezze probatorie che gemmano dalle inconsistenti critiche sulla convergenza delle dichiarazioni e degli altri elementi di prova -, che in diritto – là dove non sono in grado di scardinare l’inquadramento e la rilevanza deterministica delle azioni dei singoli in quella collettivamente attuata.
2.3. Il tema della prevedibilità in concreto dell’evento e quello dell’elemento soggettivo sono stati affrontati, a livello generale, sulla base di una premessa in diritto che si fonda sulla ammissibilità della responsabilità del concorrente, non esecutore materiale, nel delitto tentato di omicidio.
L’operata perimetrazione dell’elemento soggettivo del detto concorrente in termini di dolo eventuale sarà oggetto di specifica analisi nei prossimi paragrafi, dovendosi qui ribadire, quanto alla questione della prevedibilità, che la decisione impugnata non si presta a critiche in merito al criterio ermeneutico seguito, il quale risulta pienamente aderente al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex multis, Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018, B., Rv. 273977 – 01, ribadisce che l’evento più grave, concretamente realizzato, non deve essere conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base).
Infatti, riservando l’esame delle singole posizioni cui si attenderà in seguito, deve prendersi atto che il giudice di appello, sul punto in sostanziale sovrapposizione con le argomentazioni sviluppate sul tema della prevedibilità dal giudice di primo grado, ha condivisibilmente affermato che l’originaria prospettiva coltivata dagli agenti, per le circostanze di fatto (ampiamente descritte alle pagg.
19 e seguenti della sentenza impugnata) che i ricorsi hanno vanamente contestato, rendeva prevedibile in concreto la manifestazione di condotte lesive da parte di uno degli attori concorsuali, specie in considerazione della prevedibile reazione di appartenenti al RAGIONE_SOCIALE antagonista, notoriamente agguerrito e armato nonché sfrontatamente “sfidato” all’interno del territorio di competenza; sicché è stato escluso l’intervento di fattori esterni dotati di forza autonoma nonché idonei ad alterare in modo imprevedibile il logico sviluppo dell’azione concordata, risultando, in proposito, irrilevante, sotto tale profilo, che il concorrente fosse conoscenza della presenza di armi da fuoco poiché era ben chiaro a tutti che sarebbe stata utilizzata la violenza, anche con armi improprie, nei confronti di soggetti adusi a reagire con particolare aggressività.
2.3.1. Del resto, è vana la critica sulla presunta assenza di armi, le quali dai ricorsi sono volutamente intese come “armi da fuoco”, mentre correttamente i giudici di merito si rifanno alla nozione esplicitata «agli effetti della legge penale» dall’art. 585, cpv., cod. pen.
La non contestata decisione di ricorrere all’uso dei caschi da motociclista per colpire gli avversari dimostra che, alla luce della giurisprudenza di legittimità che qualifica tali oggetti come armi improprie (Sez. 5, n. 30572 del 18/07/2011, COGNOME, Rv. 250590 – 01: «in tema di lesioni personali volontarie, il porto del casco da motociclista, per le sue caratteristiche di massa e durezza, può diventare un’arma impropria se utilizzato per offendere, così come il porto di ogni altro oggetto non destiNOME per sua natura a offendere, cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione e viene utilizzato in guisa di arma impropria»), fin dall’inizio era appunto previsto l’impiego di strumenti di offesa alla persona, sicché l’impiego di armi da fuoco non si pone affatto, come logicamente affermato dai giudici di merito, al di fuori della originaria e condivisa deliberazione punitiva assunta dai partecipi della spedizione nel territorio avversario dei “cursori RAGIONE_SOCIALE“.
Sicché risultano infondate le censure difensive che si appuntano sulla presunta assenza di consapevolezza sulla presenza e l’impiego di armi, tenuto conto che tutti i ricorrenti omettono di criticare specificamente l’accertata e condivisa opzione violenta di utilizzare delle armi per “scassare” e comunque colpire gli avversari occasionalmente incontrati nel corso della scorribanda in territorio nemico; piuttosto, i ricorsi fanno leva vanamente sul previsto utilizzo dei caschi per argomentare le inconsistenti censure sull’impiego di armi.
Infatti, in disparte le generiche critiche sulla convergenza del narrato dei collaboratori e della logica interpretazione delle loro dichiarazioni – anche alla luce del contesto RAGIONE_SOCIALE nel quale, senza una specifica critica difensiva, sono stati inquadrati i fatti -, non viene criticata con argomenti convincenti l’affermazione
della sentenza secondo la quale tutti coloro che hanno partecipato alle riunioni e al concentramento di forze militarmente inquadrate a “Monte Pidocchio” erano perfettamente al corrente del previsto impiego della forza e delle armi, nel senso anzidetto, anche in considerazione della intrinseca rischiosità dell’azione che si era deliberata di effettuare, con piena condivisione da parte di tutti i partecip ponendo in atto una spedizione punitiva in territorio avverso.
Il dichiarato scopo di “scassare” qualche avversario non è altrimenti spiegabile, come hanno logicamente ritenuto i giudici di merito, perché diversamente non si spiegherebbe la vastità dei mezzi (14 motocicli) e degli uomini coinvolti (28 uomini) nonché l’impiego dei caschi, non certo per rispettare le norme del codice della strada, ma, piuttosto al palese fine di rendersi irriconoscibili ne corso dell’azione violenta da attuare in territorio avverso.
D’altra parte, la presenza e l’impiego di armi da parte del RAGIONE_SOCIALE nella occasione della quale si discute è rimasta accertata, in piena convergenza con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, proprio sulla base dalle risultanz obiettive che hanno consentito di identificare i due accoliti che hanno utilizzato le due pistole indicate nel capo E).
Orbene, prima di esaminare la problematica del dolo eventuale, che alla luce della sentenza impugnata viene in rilievo per tutti quegli imputati che non hanno materialmente esploso i copi di pistola che hanno attentato alla vita di COGNOME e COGNOME NOME, è utile premettere che la sentenza impugnata sovrappone tale questione a quella della prevedibilità in concreto, mentre l’elemento soggettivo, anche ove qualificato alla stregua del dolo eventuale, non coincide con tale aspetto prognostico, dovendosi piuttosto affiancare, alla significativa possibile verificazione dell’evento, la considerazione del fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, ai quali consegue la determinazione ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261104 – 01).
Ciò non di meno, come si dirà, l’aspetto psicologico è adeguatamente trattato nella sentenza impugnata, in conformità alle indicazioni giurisprudenziali del caso di specie.
3.1. Come si è visto al precedente paragrafo n. 2, la questione della prevedibilità in concreto è stata correttamente risolta, così da applicare la diminuente dell’art. 116 cod. pen. a coloro che, secondo i giudici di secondo grado, non avevano previsto il reato diverso.
Viceversa, il dolo eventuale è stato attribuito a coloro che hanno avuto contezza della disponibilità di armi in capo ai correi, nonché la volontà di
partecipare all’azione violenta e militarmente organizzata per colpire gli appartenenti al RAGIONE_SOCIALE avversario, penetrando nel territorio controllato dall’avversata fazione al dichiarato scopo di aggredire qualunque appartenente al RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“, nonché consapevoli del fatto che la diatriba personale, che aveva coinvolto la sera precedente COGNOME NOME, e i successivi gravi episodi di reciproca aggressione intercorsi tra i due RAGIONE_SOCIALE nelle ore precedenti alla spedizione punitiva avevano ampiamente travalicato il confine della vicenda personale per assumere quello dello scontro tra gruppi mafiosi per regolare opposti interessi e il controllo del territorio, così come stabilito dal vertice del RAGIONE_SOCIALE nel corso delle riunioni succedutesi prima dell’azione, anche mediante la mobilitazione del RAGIONE_SOCIALE di Monte Pidocchio.
Di seguito saranno analizzate le problematiche di diritto che sono sottese alla questione del dolo eventuale nel concorso in un delitto tentato da parte del soggetto che non ha materialmente compiuto l’azione idonea ex art. 56 cod. pen.
3.2. In generale sul dolo, vanno sottolineati l’evoluzione e il progressivo affinamento della giurisprudenza di legittimità, sempre più attenta a cogliere l’adesione volontaristica dell’agente all’evento prodotto, muovendo da quanto da tempo statuito: «in tema di elemento soggettivo del reato, possono individuarsi vari livelli crescenti di intensità della volontà dolosa. Nel caso di azione posta in essere con accettazione del rischio dell’evento, si richiede all’autore una adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda che egli consideri maggiore o minore la probabilità di verificazione dell’evento. Nel caso di evento ritenuto altamente probabile o certo, l’autore, invece, non si limita ad accettarne il rischio, ma accetta l’evento stesso, cioè lo vuole e con una intensità maggiore di quelle precedenti. Se l’evento, oltre che accettato, è perseguito, la volontà si NOME in un ulteriore livello di gravità, e può distinguersi fra un evento voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale, ed un evento perseguito come scopo finale. Il dolo va, poi, qualificato come “eventuale” solo nel caso di accettazione del rischio, mentre negli altri casi suindicati va qualificato come “diretto” e, nell’ipotesi in c l’evento è perseguito come scopo finale, come “intenzionale”» (Sez. U, n. 748 del 12/10/1993 – dep. 1994, Cassata, Rv. 195804 – 01; con riferimento al caso di specie, relativo a un tentato omicidio, il Supremo Collegio ha ritenuto che dovesse qualificarsi come dolo diretto non intenzionale – e non come dolo eventuale l’atteggiamento psichico dell’agente che, per sottrarsi alla cattura dopo una rapina, aveva risposto al colpo di avvertimento, esploso da una guardia giurata, sparando, ad altezza d’uomo e a breve distanza, numerosi colpi con una pistola ed attingendola a una coscia).
Ferma la condivisibile differenziazione delle gradazioni del dolo operata dalla giurisprudenza di legittimità fin dagli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, sul dol
eventuale è necessario, tuttavia, richiamare i più recenti approdi del medesimo massimo consesso di legittimità, secondo il quale «in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determiNOME ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi» (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261104 – 01, comunemente nota come “sentenza RAGIONE_SOCIALE“).
Se, infatti, si ha dolo diretto quando la volontà non si dirige verso l’evento tipico e, tuttavia, l’agente si rappresenta come conseguenza certa o altamente probabile della propria condotta un risultato, che però non persegue intenzionalmente, la distinzione dal dolo eventuale consiste nella rappresentazione del livello di possibilità di verificazione del risultato (l’agente si rappresenta u possibile risultato della sua condotta e ciononostante s’induce ad agire accettando la prospettiva che l’accadimento abbia luogo).
Si è anche chiarito che «il dolo eventuale è compatibile con due figure in relazione alle quali si verifica talvolta qualche confusione: il dolo indetermiNOME ed il dolo alternativo. La prima fattispecie si configura quando il soggetto agisce volendo alternativamente o cumulativamente due o più risultati che non sono tra loro incompatibili, come quando si spara contro un RAGIONE_SOCIALE di persone volendo cagionare indifferentemente la morte di una o più persone. Il dolo alternativo si caratterizza invece per il fatto che i diversi fatti previsti sono incompatibili fra lo nel senso che la realizzazione dell’uno esclude la realizzazione dell’altro: si spara per ferire od uccidere indifferentemente. In ambedue le figure in questione il dolo potrà configurarsi come intenzionale, diretto o eventuale» (Sez. U, COGNOME, cit., p. 154).
Questa ultima precisazione si rileva, come si vedrà, particolarmente utile nel caso oggetto del ricorso, poiché il richiamo al dolo alternativo era stato operato dal primo giudice, tanto che non appare distonica la qualificazione alla stregua del dolo eventuale operata dal giudice d’appello.
Il «dolo eventuale si ha quando il rischio viene accettato a seguito di un’opzione, di una deliberazione con la quale l’agente consapevolmente subordina un determiNOME bene ad un altro», tanto che «il risultato intenzionalmente perseguito trascina con sé l’evento collaterale, il quale viene dall’agente coscientemente collegato al conseguimento del fine. Non basta, quindi, la previsione del possibile verificarsi dell’evento; è necessario anche – e soprattutto – che l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determiNOME risultato».
Si ricorre, nel caso di specie, alla cd. prima formula di NOME, operando la verifica logica se l’agente avrebbe agito anche nella certezza di produrre il risultato.
L’astrattezza delle formule va però calata nelle diverse tipologie delittuose. Nei casi di uso delle armi, come nota sempre Sez. U, COGNOME, cit., p.161 – 162, il tipo di arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la zona del corpo attinta, fanno ritenere certo o altamente probabile il verificarsi di eventi lesivi o mortali, accanto a quello primariamente perseguito dell’altrui intimidazione ovvero di coazione a fermarsi o a desistere. In tali casi, come precisa la giurisprudenza più autorevole, sarebbe ingenuo parlare di mera accettazione del rischio e di dolo eventuale, essendo evidenti gli estremi dell’accettazione di eventi certi o altamente probabili e quindi della volontà di essi, ovvero gli estremi della volontà, sia pure strumentalmente a un fine ulteriore, di perseguire l’evento che connotano il dolo diretto in entrambi i casi (Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, Cassata, Rv. 195804).
Nel caso della ricettazione, volendosi distinguerla dall’incauto acquisto, si è sottolineata la necessità, oltre alla rappresentazione della concreta possibilità della provenienza da delitto, che l’agente abbia optato per l’azione e cioè che l’agente non avrebbe agito diversamente anche se avesse avuto la certezza di tale provenienza (Sez. U., n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323), valorizzandosi così la scelta consapevole, cioè l’atteggiamento volitivo di adesione.
Viceversa, «il dubbio descrive una situazione irrisolta, di incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell’illecito, con una decisione per l’illecito, ma ove concretamente superato, avendo l’agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l’evento, volitivamente accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale (Sez. 1, n. 30472 del 11/07/2011, Braidic, Rv. 251484; Sez. 4, n. 36399 del 05/09/ 2013, NOME., Rv. 256342).
Risulta dirimente l’atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta, fermo restando che l’evento oggetto della rappresentazione deve appartenere al mondo del reale in termini di prospettiva sufficientemente concreta e sia caratterizzato da un apprezzabile livello di probabilità.
Se, dunque, è errata l’opinione che identifica il dolo eventuale con l’accettazione del rischio, è piuttosto necessario «andare alla ricerca della volontà o meglio di qualcosa a essa equivalente nella considerazione umana, in modo che possa essere sensatamente mosso il rimprovero doloso e la colpevolezza quindi si concretizzi».
Si devono ricercare i segni dai quali inferire la sicura accettazione degli effetti collaterali della propria condotta; è necessario comprendere se l’agente si sia raffigurata la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effetto collaterale della sua condotta e, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determiNOME ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa.
Nella scelta d’azione deve essere ravvisabile una consapevole presa di posizione di adesione all’evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà: «una volontà indiretta», come si esprime Sez. U, COGNOME, cit., che abbracci gli effetti collaterali possibili.
Approfondendo, poi, il tema dell’accertamento giudiziale e della prova, con particolare riferimento alla ricostruzione logico-deduttiva dei processi psicologici che governano la volontà umana, Sez. U, COGNOME, cit., ha anzitutto sottolineato la rilevanza del “movente”, inteso quale fine della condotta o “motivazione di fondo dell’agire”, chiarendo che l’assenza di un movente, nel senso prima precisato, costituisce un primo ostacolo alla qualificazione in termini volontaristici dell’azione; viceversa, il movente, anche se non esclusivo (Sez. U, Andreotti, cit.), consente di sceverare i tratti del dolo e «capire il senso agli accadimenti».
COGNOMEa specifica rilevanza sintomatica dell’elemento volontaristico nei cd. “fatti di sangue già si è detto, tanto che Sez. U, COGNOME, cit., p.184 vi ritorna in modo fermo.
Si sottolinea, poi, che «la personalità, la storia e le precedenti esperienze talvolta indiziano la piena, vissuta consapevolezza delle conseguenze lesive che possono derivare dalla condotta; e la conseguente accettazione dell’evento», al pari della «conoscenza del contesto nel quale sono maturati i fatti e quindi l’acquisita consapevolezza degli esiti collaterali possibili».
Allo stesso modo, sono rilevanti «la durata e la ripetizione della condotta», tanto che un comportamento inusuale o repentino può deporre per un’insufficiente ponderazione delle conseguenze dell’azione, all’opposto di un comportamento programmato, studiato o pianificato che appare sintomo di volontarietà e consapevolezza dei possibili esiti.
La «condotta successiva al fatto» è, del pari, sintomatica dal punto di vista indiziario: la fuga, la negazione di responsabilità e in genere le artificiose condotte postume sono la plastica rappresentazione della anteriore consapevolezza e adesione agli esiti verificatosi; al contrario della piena disponibilità a soccorrere la vittima o a collaborare che palesano l’assenza di volontaria adesione al fatto verificatosi.
Analogamente, il contesto illecito, fermo l’inammissibile utilizzo del brocardo qui in re illicita «indizia più gravemente il dolo» poiché lascia trasparire la coloritura volontaristica dell’atteggiamento psicologico di adesione alle possibili conseguenze collaterali dell’agìto.
In termini di ulteriore verifica degli indizi del dolo alternativo può, infine, f ricorso al giudizio controfattuale della “prima formula di NOME“, dovendosi verificare se, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, sia possibile ritenere che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento, così sottoponendosi alla finale confutazione della convergenza indiziaria sulla base della quale è stata individuata l’adesione volontaria.
3.3. Conformemente alla premessa metodologica, in questo paragrafo sarà esaminata la questione del dolo eventuale nella fattispecie concorsuale tentata, alla luce dei principi prima richiamati.
Recentemente, Sez. 1, n. 22007 del 30/04/2025, Uccello, Rv. 288176 – 01, ha affermato che: «in tema di concorso di persone nel reato, il concorrente morale, diversamente dall’autore della condotta tipica, risponde del delitto tentato anche se l’evento sia stato da lui voluto non con dolo diretto, ma con dolo eventuale». In motivazione la Corte ha altresì chiarito che il fatto non può essere ascritto al concorrente morale a titolo di concorso anomalo, in quanto, avendo egli agito con dolo, ha già considerato il reato più grave come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata.
La citata Sez. 1, Uccello, si è posta in consapevole continuità con Sez. 1, n. 7350 del 12/06/1991, COGNOME, Rv. 187758 – 01, secondo la quale: «perché il concorrente morale risponda del delitto di tentato omicidio, non è necessario, come per l’esecutore materiale, che l’evento-morte sia stato da lui voluto con dolo diretto, ma è sufficiente che sia stato voluto con dolo eventuale: il che significa che il concorrente morale deve aver concorso all’azione dell’esecutore materiale non soltanto prevedendo in concreto l’evento-morte come possibile conseguenza dell’azione concordata, ma addirittura accettandone il rischio di accadimento, pur di realizzare l’azione concordata (sempre che l’evento-morte non sia soltanto una possibile conseguenza dell’azione concordata, ma rientri, in modo diretto e conseguenziale, nello schema esecutivo di tale azione)».
Si consideri che Sez. 1, COGNOME, cit. è a sua volta richiamata anche da altre pronunce:
Sez. 1, n. 9487 del 27/09/1996, Colombo, Rv. 205994 – 01: «sussiste responsabilità a titolo di dolo eventuale, e non concorso anomalo in reato più grave di quello inizialmente concordato, ai sensi dell’art. 116 cod. pen., nel caso di partecipazione ad un’azione di attacco nei confronti della forza pubblica, schierata
in servizio di ordine pubblico e munita di appositi strumenti di dissuasione, quando detta azione sia condotta anche da soggetti che, preventivamente, in fase organizzativa, siano stati dotati di armi da sparo, essendo ragionevolmente prevedibile che di queste ultime venga fatto uso e connotandosi il dolo eventuale proprio per l’accettazione del rischio connaturato al prevedibile sviluppo dell’azione posta in essere». Il principio è stato affermato con riguardo a delitti di omicidio tentato omicidio di appartenenti alle forze dell’ordine commessi da vari appartenenti a organizzazioni eversive, armati di fucile a canne mozze, pistole e revolver, in occasione di manifestazione di piazza svoltasi nel 1977 in INDIRIZZO a Milano ove rimase ucciso il brig. COGNOME (è assai la nota fotografia scattata in quel frangente);
– Sez. 1, n. 9273 del 28/06/1995, Cocuzza, Rv. 202419 – 01: «il concorso anomalo previsto dall’art. 116 cod. pen. ricorre nel caso in cui l’evento diverso sia rimasto nella sfera della prevedibilità, mentre ricorre la fattispecie di cui all’ 110 stesso codice allorché detto evento sia stato in concreto previsto e accettato come rischio, dato che in quest’ultima ipotesi il correo ha agito con dolo eventuale ed è, perciò, configurabile piena responsabilità concorsuale». Il principio è stato affermato in una fattispecie relativa ad accordo per commettere una rapina nel corso della quale era stato consumato il più grave reato di tentato omicidio; la Corte di legittimità ha ritenuto che quest’ultimo più grave evento non potesse reputarsi imprevedibile, atipico e del tutto svincolato dal concordato reato di rapina, in quanto questa determina sempre un gravissimo pericolo per la vita dei rapiNOME, portato, per impulso naturale, a resistere alla violenza o alla minaccia e a sperimentare qualsiasi mezzo per sottrarsi ad essa, di talché l’omicidio – o il tentato omicidio – appare legato alla rapina da un rapporto di regolarità causale e può considerarsi un evento che rientra, secondo l’id quod plerumque accidit, nell’ordinario sviluppo della condotta di rapina).
Orbene, in disparte alcuni precedenti giurisprudenziali richiamati da Sez. 1, Uccello, cit., che tuttavia non appaiono conferenti rispetto all’analisi che qui s conduce (Sez. 6, n. 6214 del 05/12/2011, dep. 2012, Mazzarella, Rv. 252405 01, riguarda l’ipotesi dell’art. 116 cod. pen., che non può essere richiamata a contrariis per rivitalizzare Sez. 1, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 2481 del 04/06/2021, dep. 2022, COGNOME, n.m., riguarda un caso di strage cui è conseguita la morte ex art. 422, secondo comma, cod. pen., riqualificata dai giudici di merito alla stregua dell’omicidio preterintenzionale), nonché tralasciata la ipotizzata rilevanza, ai fini che qui rilevano, dell’affidamento del concorrente alla condotta e alla volontà del compartecipe che sia l’autore materiale (Sez. 1, n. 11495 del 12/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284246 – 01), deve essere condiviso l’approdo finale cui è recentemente giunta questa Corte (Sez. 1, Uccello, cit.) che
ha ammesso il dolo eventuale del concorrente che non sia esecutore materiale del delitto tentato.
La conclusione cui è pervenuta Sez. 1, Uccello, cit., è, del resto, pienamente aderente allo sviluppo giurisprudenziale cui si è assistito con riguardo all’elemento psicologico del dolo eventuale, poiché ciò che importa è che tale elemento sia caratterizzato e provato nei limiti e secondo i canoni probatori stabiliti dalla richiamata Sez. U, COGNOME.
Come si è osservato in dottrina, infatti, la formula di COGNOME, proprio perché esalta il momento di adesione volontaria dell’agente rispetto all’evento del quale si discute, finisce per realizzare, pur nella distinzione concettuale tra le due figur del dolo eventuale e del dolo diretto, una parificazione ideale con riguardo alla giustificazione dell’imputazione soggettiva.
3.4. Proprio quest’ultima puntualizzazione, che fotografa l’irrobustimento logico-giuridico della componente volontaristica del dolo eventuale e i correlati doveri dimostrativi della pubblica accusa e argomentativi del giudice, rappresenta uno dei percorsi che consentono di superare l’obiezione difensiva, che si appunta anche, come ampiamente esposto nei ricorsi, sulla presunta illegittimità del diverso criterio di imputazione soggettiva nella fattispecie tentata monosoggettiva e in quella concorsuale che deriverebbe dall’opzione interpretativa accolta dal giudice di appello.
I ricorsi stigmatizzano, infatti, che ammettere la punibilità a titolo dì dol eventuale del concorrente non esecutore materiale, sia per un verso illogico, là dove l’esecutore materiale non potrebbe essere incrimiNOME a tale titolo, e, per altro verso, illegittimo poiché la punibilità del concorrente portatore del dolo eventuale sarebbe affermata nonostante, qualora egli fosse l’autore materiale, andrebbe esente da responsabilità.
3.4.1. Sul dolo eventuale nel delitto tentato non può farsi a meno di muovere da un autorevole arresto giurisprudenziale (Sez. U, n. 6309 del 18/06/1983, Basile, Rv. 159825 – 01) che, a prima vista, sembra però essere stato trascurato dalla successiva evoluzione giurisprudenziale, nonostante la dottrina, persino quella che non concorda con la soluzione adottata, continui a proporlo come orientamento stabile e consolidato.
Nell’importante arresto, sulla premessa che la figura del tentativo delineata nell’art. 56 cod. pen. si esteriorizza rispetto al reato consumato soltanto in un’entità ridotta perché priva dell’evento o della parte finale dell’azione, si precisato che «il dolo eventuale è ipotizzabile in caso di reato tentato».
La questione, che sembrava risolta dalle SU, Basile, cit., appare tuttora, nonostante il prevalente orientamento contrario della giurisprudenza, lontana, sul piano logico e argomentativo, dall’essere definita in modo tranquillizzante; essa si
incentra prevalentemente sul piano della incompatibilità strutturale tra il requisito della univocità degli atti e la natura indiretta della volontà che caratterizza il dol eventuale.
La giurisprudenza di legittimità, con il richiamato arresto del 1983, era appositamente intervenuta per risolvere il già manifestatosi contrasto giurisprudenziale che deriva dall’adesione all’una o all’altra teorica dottrinale (entrambe presenti nella manualistica); ciò non di meno, la successiva giurisprudenza ha varie volte ribadito che «in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, poiché, quando l’evento voluto non sia comunque realizzato – e quindi manchi la possibilità del collegamento a un atteggiamento volitivo diverso dall’intenzionalità diretta -, la valutazione del dolo deve avere luogo esclusivamente sulla base dell’effettivo volere dell’autore e, cioè, della volontà univocamente orientata alla consumazione del reato, senza possibilità di fruizione di gradate accettazioni del rischio, consentite soltanto in caso di evento materialmente verificatosi» (ex plurimis, Sez. 6, n. 14342 del 20 marzo 2012, Rv. 252565).
3.4.2. Come si è detto, la contrapposizione degli orientamenti interpretativi giurisprudenziali e dottrinali si incentra anzitutto attorno al significato del requisit della univocità degli atti.
Tuttavia, dopo l’abbandono della lettura soggettiva del requisito della univocità degli atti – ormai correttamente riportati a «caratteristica oggettiva della condotta» (ex multis, Sez. 3, n. 15656 del 02/02/2022, Rocca, Rv. 283045 – 01) -, bisogna domandarsi se, piuttosto, non debba essere valorizzato il ruolo del dolo nella fattispecie tentata quale elemento selettivo dell’intenzione di offendere il bene protetto.
Occorre prendere atto che finora, a fronte di tale evoluzione interpretativa che porta a oggettivizzare l’idoneità degli atti, non ha fatto seguito un’adeguata riflessione sul ruolo del dolo come elemento soggettivo tipizzante nella fattispecie tentata.
A ben guardare i termini originari della disputa interpretativa sul dolo eventuale nel tentativo risultavano condizionati dall’utilizzo, all’epoca dell’insorgere della frattura interpretativa, della formula dell’accettazione del rischio per qualificare l’elemento soggettivo; a tale formula, per lungo tempo, è stato affidato il compito di selezionare la meno intensa forma del dolo.
Si comprende, in effetti, che l’incompatibilità tra dolo eventuale e tentativo trovava terreno fertile nella condivisibile constatazione che, fondare la punizione a titolo di tentativo sull’accettazione da parte dell’agente del rischio di un evento che poi non si verifica, equivale ad attribuire la responsabilità sulla base di una
duplice prognosi: quella della idoneità degli atti e quella della accettazione del rischio del verificarsi di un evento (che non si verifica).
Anche autorevole dottrina aveva notato che l’elemento soggettivo, «pur concernendo innanzitutto il comportamento materiale, va necessariamente correlato a un corrispondente atteggiamento psicologico, e cioè appunto alla volontà diretta (intenzionale) a conseguire il risultato criminoso avuto di mira».
L’opposta tesi, favorevole all’applicazione del dolo eventuale nel tentativo, è stata consacrata nella richiamata Sez. U., Basile, la quale ha consapevolmente prescelto quella corrente dogmatica che fa leva sulla coincidenza tra il dolo del delitto consumato e quello del delitto tentato, quale discende dalla formulazione dell’art. 43 cod. pen., essendosi già chiarito che il criterio della “direzione” ex ar 56 cod. pen. riguarda gli atti e non l’elemento psicologico.
È utile ricordare, per comprendere che le questioni delle quali si discute erano già ben chiare e delineate negli anni ’80 del secolo scorso, che la sentenza Sez. U, Basile, cit., all’atto di argomentare l’opzione per la compatibilità del dol eventuale, aveva ricordato: «La prevalente giurisprudenza della Cassazione, sulla scia del noto aforisma secondo cui “il dolo del tentativo è il dolo della consumazione”, riconosce la possibilità di configurazione del tentativo anche nel caso di dolo eventuale . Una corrente nettamente minoritaria e con sortite molto rade e saltuarie nel tempo ritiene invece il tentativo compatibile solo con il dolo cosiddetto intenzionale . Quanto alla dottrina, quella tradizionale e pi illustre è in linea con la prevalente giurisprudenza; mentre quella più recente, sul rilievo che l’art.56 c.p. crea della fattispecie tipiche collaterali a quelle prev dalle varie forme incriminatrici, richiede quasi unanimemente la consapevolezza da parte dello autore di tutti gli elementi della fattispecie, e quindi anche di quell della univocità degli atti compiuti; onde l’incompatibilità del tentativo con il do meramente eventuale».
3.4.3. Tanto premesso, è necessario ribadire che il richiamato autorevole arresto Sez. U, COGNOME, cit., ha puntualmente individuato e profondamente modificato, con una sensibile restrizione, il concetto di dolo eventuale.
Esso è stato ancorato non già all’accettazione del rischio, ma piuttosto a elementi oggettivi della dimensione volitiva (a esempio, il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare) che, ancorché non agevolmente dimostrabili in quanto implicano un’approfondita indagine su temi psicologici da verificare tramite prove e indizi, sono giudicati idonei a selezionare, nel rispetto del principio d responsabilità personale ex art. 27 Cost., i comportamenti punibili a livello di dolo.
Tali considerazioni hanno indotto autorevole dottrina a ritenere che il fatto tipico del delitto tentato ha una componente oggettiva e una soggettiva: la prima è delineata dall’art. 56 cod. pen. (atti esecutivi, idonei e univoci rispetto a u
determiNOME delitto che non si concretizza); la seconda non presenta alcuna peculiarità che la diversifichi da quella del delitto consumato poiché la legge penale la riporta sotto il medesimo canone normativo dell’art. 43 cod. pen., sicché non vi è motivo di limitarla alle forme più esplicite di dolo allo scopo di omologarla alla componente materiale del fatto tipico.
Del resto, la richiamata Sez. U, Basile, cit., aveva lucidamente evidenziato che la tesi sull’incompatibilità del dolo eventuale con il tentativo «si basa su un argomento suggestivo, ma inconsistente: la necessità, cioè, perché si abbia tentativo, che l’azione sia univocamente correlata con una determinata fattispecie criminosa (art. 56, primo comma, cod. pen.), univocità che mancherebbe evidentemente nel dolo eventuale, stante la pluralità, e quindi la equivocità, delle tendenze finalistiche della relativa azione. Senonché, a parte che la dottrina più autorevole e la prevalente giurisprudenza intendono la univocità dell’azione in senso oggettivo , è da osservare che questa caratteristica della azione nella struttura del reato tentato ha la funzione di segnare l’inizio dell’a punibile, costituendo la linea di demarcazione tra liceità e illiceità penale . naturale che l’azione coincide con la parte iniziale di una singola fattispecie legale e che il tentativo in tanto può realizzarsi, in quanto questa coincidenza sia intenzionale . Pertanto, nel caso che una determinata azione realizzi insieme il reato di lesione personale e quello di tentato omicidio, come appunto nella fattispecie, il problema della identificazione del reato concretamente punibile non va risolto in base al criterio della univocità dell’azione di cui all’art. 56 cod. pen bensì in virtù della regola su cui si fonda il reato progressivo, atteso che le norme sul tentato omicidio (artt. 56 e 575) disciplinano una fattispecie di grado più avanzato, e quindi assorbente, rispetto a quella prevista dall’art. 582 cod. pen. […i». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si è, pertanto, sottolineato che: «Il carattere nettamente complementare e sussidiario del tentativo rispetto al reato consumato è chiaramente denunciato dal condizionamento della sua punibilità al mancato perfezionamento materiale del reato consumato (“se l’azione non si compie e l’evento non si verifica”). Il tentativo, senza il paradigma di riferimento del reato consumato, è un nulla giuridico o, eventualmente, un reato del tutto diverso, come può agevolmente argomentarsi dal terzo comma dell’art. 56 cod. pen. Il relativo fatto è tale solo in senso normativo, e non anche in senso finalistico, essendo costituito da un frammento, da un moncone del fatto tipico previsto dalla incriminatrice. Come tale, non può essere animato da un dolo proprio, fine a sé stesso, ma deve essere vivificato dal dolo dell’intero fatto finalisticamente inteso, soltanto in vista e dipendenza del quale assume rilevanza penale come suo succedaneo. Né si può pretendere che accanto al dolo proprio del tentativo debba coesistere quello del
reato consumato, perché il dolo è unico e deve riguardare il traguardo finale della azione tipica, e non anche, almeno espressamente, quelli intermedi».
Si è ben consapevoli, d’altra parte, che la giurisprudenza successiva delle Sezioni unite ha poi affrontato la questione spesso attraverso una ridefinizione dei contorni, nel caso concreto, del dolo, giungendo a ravvisare ipotesi di dolo diretto (v., ad es., le conclusioni di Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804 – 01 e di Sez. U, n. 3571 del 14/02/1996, Mele, Rv. 204167 – 01).
Il che, per vero, come dimostra anche la presente vicenda, si spiega con il fatto che, quanto più si innalza, come doveroso, il coefficiente di adesione volontaristica dell’autore della condotta all’evento, tanto più sfumano le distinzioni tra le categorie qualificatorie. Sul punto si tornerà alla fine del par. 3.5.
Ad ogni modo, su un piano generale, e ferme le specificità del caso concreto, sulle quali si tornerà infine della presente trattazione, si può affermare che l’atteggiamento psicologico orientato alla produzione di un determiNOME evento può contenere anche i connotati gradati di un dolo diverso da quello intenzionale, i quali sarebbero emersi in corrispondenza di un evento consumato, ma che, nel caso di specie, sono riferibili a un evento non direttamente avuto di mira dall’autore di atti che esprimono oggettivamente una direzione univoca, oltre che idonea a produrre un evento che, per ragioni indipendenti dalla volontà dell’autore, non si verifica.
D’altra parte, l’univocità di direzione degli atti, come dato obiettivo della fattispecie del delitto tentato, che pure è destiNOME a essere incluso nel fuoco del dolo non implica affatto esclusività del fine, come dimostra la costante giurisprudenza che ammette la compatibilità fra dolo alternativo e tentativo (v., ad es., di recente, Sez. 1, n. 47339 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 287335 – 01; Sez. 1, n. 43250 del 13/04/2018, COGNOME, Rv. 274402 – 01; Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259465 – 01).
In altri termini, fermo restando che le censure sul punto nel caso concreto sono solidamente ancorate alle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza in tema di dolo nel concorrente nel reato plurisoggettivo (Sez. 1, n. 22007 del 30/04/2025, Uccello, Rv. 288176 – 01 cit. e la giurisprudenza menzionata), deve rilevarsi che il tentativo è certamente configurabile ogni qualvolta siano individuati elementi che descrivono un atteggiamento di adesione volontaristica dell’agente rispetto a un determiNOME risultato, per quanto non direttamente perseguito.
3.5. Orbene, alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, devono trarsi le conseguenti conclusioni per quello che riguarda l’elemento psicologico del concorrente che non sia anche l’esecutore materiale.
La disamina delle singole posizioni degli imputati, anche sotto l’indicato profilo soggettivo, è riservata al prosieguo della trattazione.
È ora utile sottolineare a livello generale che, quanto all’elemento psicologico, la motivazione del provvedimento impugNOME – colta nella sua dimensione di ricostruzione dei fatti e dei dati dai quali è stato desunto il coefficiente soggetti e salve le distinzioni delle posizioni di alcuni imputati -, in disparte l’opzio qualificatoria per il dolo eventuale, non diverge sostanzialmente da quella del primo giudice e pone in luce significativi elementi della componente volitiva che colorano adeguatamente l’intensità del dolo degli imputati.
Si consideri, del resto, che gli elementi sostanziali sui quali si poggia l’elemento psicologico, al di là della formale nomenclatura, sono stati di recente valorizzati (Sez. 1, n. 10088 del 23/01/2025) per individuare l’elemento psicologico in capo al concorrente COGNOME NOME, separatamente giudicato per il concorso, senza essere l’esecutore materiale, nei delitti di tentato omicidio continuato, porto e detenzione delle armi, in modo del tutto aderente all’approccio seguito dalla sentenza impugnata.
3.6. Ricorrono, in effetti, tutti gli elementi indiziari indicati da Sez COGNOME, cit., per scorgere quantomeno il dolo eventuale: contesto illecito; programmazione e preordinazione di un’azione collettiva a contenuto dichiaratamente e ostentatamente violento; movente punitivo ed espressivo di supremazia criminale; palese pericolosità dell’avversario, noto per la capacità di agire e reagire con violenza; presenza di armi; personalità e storia, anche criminale, dei protagonisti; assoluta consapevolezza delle conseguenze che sarebbero scaturite dal ricercato confronto con gli antagonisti e che, del tutto ragionevolmente, secondo massime di esperienza desunte dal modo di operare delle contrapposte consorterie mafiose nella gestione del territorio, si sono puntualmente verificate.
A tali generali rilievi, devono aggiungersi le considerazioni che seguono sollecitate dalle specifiche difese dei ricorrenti.
Il ricorso di NOME NOME COGNOME, che presenta deduzioni in larga parte inammissibili, è nel complesso infondato.
4.1. Il primo motivo, sulle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., è privo di adeguata capacità critica poiché gli elementi indicati sono già stati valutati, sia nell’ambito dell’attenuante speciale dell’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen. (già art. 8 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), sia all’atto di determinare la pena ex art. 133 cod. pen.
Si è, del resto, da tempo chiarito che «in tema di circostanze, gli elementi posti a fondamento dell’attenuante a effetto speciale di cui all’art. 8 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203,
non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche» (Sez. 1, n. 7184 del 15/11/2022 – dep. 2023, Prestieri, Rv. 284374 – 01).
4.2. Anche il secondo motivo, sul bilanciamento e la sostituzione della pena, è infondato poiché i giudici di merito hanno illustrato (pagg. 154 e segg.) i parametri dei quali hanno fatto discrezionale applicazione, sicché, ferma l’insussistenza della denunciata violazione di legge, la motivazione è avversata con critiche inadeguate a superare la logica argomentazione dei giudici di merito che sovente è sottoposta a critiche generiche e rivalutative non sono consentite in questa sede.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
5.1. Il primo e il terzo motivo, che riguardano il dolo eventuale di concorso nel capo D) e il concorso anomalo, sono infondati.
Fermo quanto si è affermato in merito ai paragrafi n. 2 e n. 3, il contributo causale è ben descritto da pag. 161 a pag. 174, mentre quello psicologico da pag. 175 a pag. 184.
In particolare, la Corte di secondo grado ha specificamente evidenziato, senza che il ricorso sia in grado di sminuire le conclusioni raggiunte, che:
COGNOME NOME aveva acconsentito alla “linea dura” promossa da NOME, NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, che prevedeva di compiere un’azione chiaramente violenta nel territorio dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, essendo stata pianificata una spedizione punitiva;
COGNOME NOME ha aderito e poi anche partecipato materialmente alla spedizione, fornendo un contributo morale e materiale giudicato, in ragione dei convergenti elementi forniti dai collaboratori, determinante, sia nella fase ideativa – che necessitava del beneplacito del ricorrente -, sia in quella partecipativa alla spedizione;
COGNOME NOME partecipava fisicamente al corteo e con i correi deviava dal percorso originario per inseguire NOME e, pur avendo avuto piena coscienza di avere finalmente imboccato INDIRIZZO – dove abitavano i NOME – e del rischio connesso che derivava dalla proditoria invasione del campo avversario – proseguiva verso il fatidico incontro con i “cursotl RAGIONE_SOCIALE“;
i fatti sopra descritti e accertati, letti nel contesto delle relazioni dinamiche in ambito RAGIONE_SOCIALE in una fase di forte fibrillazione – quale quella che si stava vivendo per i contrasti criminali tra i due RAGIONE_SOCIALE per il controllo delle zone di spaccio, per i contrasti personali tra partecipi e soggetti vicini o avvicinati, culminati negl episodi del 7 agosto ai danni di COGNOME e in quelli della notte tra il 7 e 1’8 ai danni
di appartenenti all’uno e all’altro RAGIONE_SOCIALE -, supportano, secondo la logica valutazione dei giudici di merito, l’affermazione che COGNOME NOME, non soltanto era consapevole delle conseguenze che sarebbero potute scaturire dalla spedizione programmata, ma ha operato, consentito e partecipato attivamente affinché la spedizione armata inseguisse e cercasse il contatto con gli esponenti del RAGIONE_SOCIALE rivale, in adempimento della preventiva determinazione di “scassare” qualcuno di essi.
5.2. Il secondo motivo, che invoca la diversa qualificazione giuridica del fatto, è inammissibile perché non dedotto in appello, come risulta dalla non contestata sintesi dei motivi riportata a pag. 160.
Del resto, come si avrà modo di dire quando si esamineranno i motivi sviluppati da altri ricorrenti, la doglianza è manifestamente infondata, anche solo se si consideri che i colpi sparati alle gambe palesano, insieme alle modalità del fatto e dell’azione, i caratteri propri del tentativo di omicidio, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008 – dep. 2009, Antonucci, Rv. 241574 – 01).
5.3. Il quarto motivo, che riguarda la responsabilità per il capo E), è infondato. La ritenuta infondatezza dei motivi sul capo D), unitamente alle considerazioni espresse dai giudici di merito a pagg. 185 e segg., conducono a rigettare il motivo che è del pari infondato.
Non è, infatti, consentita la rilettura degli elementi di prova, alla quale tende il ricorso con deduzioni generiche rispetto alle argomentazioni della sentenza, poiché la spedizione punitiva, come si è detto, prevedeva l’impiego di armi che, di fatti, sono state utilizzate da due appartenenti al RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” e, dunque, detenute e portate in concorso.
In proposito è pertinente il richiamo alla giurisprudenza di legittimità che ha tempo chiarito che «concorre nei delitti di illecita detenzione e di illecito porto in luogo pubblico di arma colui che partecipa insieme ad altri all’ideazione e alla preparazione di un reato da commettere con armi, essendo irrilevante il suo mancato intervento materiale durante la fase esecutiva del reato programmato» (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023 – dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785 – 01; in precedenza, Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 274364 – 01).
Il ricorso non è idoneo a superare la logica motivazione estesa dalla Corte d’appello in conformità al richiamato indirizzo giurisprudenziale.
Non è, del resto, fondata né decisiva l’argomentazione difensiva secondo la quale all’imputato sarebbe stata in realtà addebitata la mera disponibilità delle armi del RAGIONE_SOCIALE.
Anzitutto il ricorso non contesta che il RAGIONE_SOCIALE avesse varie armi nella disponibilità; in secondo luogo, l’affermazione dei giudici di merito, secondo la quale le armi utilizzate erano verosimilmente nella disponibilità dell’organizzazione criminale capeggiata da COGNOME, lungi dall’essere impiegata per fondare la responsabilità dell’imputato per il fatto del capo E), è utilizzata come elemento logico per confermare l’accertata disponibilità delle armi nell’occasione per la quale si procede.
5.4. Il quinto motivo, sulla recidiva, le circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 191 e segg.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
6.1. Il primo motivo, sulla responsabilità per i reati dei capi D) ed E), è inammissibile poiché esclusivamente versato in fatto e finalizzato a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito.
Il ricorso, in disparte la confusione del ruolo processuale attribuito a COGNOME (che non è affatto un collaboratore di giustizia, come invece propugna il ricorso, a riprova dell’inconsistenza delle critiche), si risolve in una diversa valutazione degli elementi di prova (dettagliatamente descritti alle pagg. 201 e segg.), senza che siano specificamente dedotti travisamenti e senza neppure criticare il riconoscimento dell’imputato che lo NOME sul luogo dei fatti, quale appartenente al RAGIONE_SOCIALE di motociclisti di Monte Pidocchio, appositamente costituito dai vertici mafiosi per invadere il territorio avversario e “scassare” quale appartenente al RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“.
Del resto, i giudici di merito hanno logicamente evidenziato che la captazione del 27 dicembre 2020 – qualificabile alla stregua di una confessione stragiudiziale – NOME COGNOME, a cagione delle chiare espressioni utilizzate dall’imputato, sui luoghi della sparatoria, rivelando inoltre il ruolo decisorio assunto nella vicenda da RAGIONE_SOCIALE e il ruolo di “vice” nella gestione degli affari del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE assunto proprio da COGNOME, a definitiva dimostrazione della conoscenza e veicolazione delle ragioni della spedizione nel territorio del RAGIONE_SOCIALE antagonista dei “RAGIONE_SOCIALE” e sullo scopo punitivo e di rappresaglia di essa.
Non è, d’altra parte, consentita la diversa interpretazione di conversazioni che, invece, il ricorso propugna, al pari della generica critica alla credibilità, attendibi e convergenza del narrato dei collaboratori di giustizia (principalmente, !COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME), affidabilità della quale già si è detto al paragrafo n. 2.
Analogamente, le doglianze sulla natura armata della spedizione e sulla previsione dell’evento più grave poi verificatosi sono manifestamente infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3.
Le questioni sul dolo eventuale e sulla diminuente dell’art. 116 cod. pen., peraltro genericamente sviluppate, sono infondate alla luce di quanto si è esposto al paragrafo n. 3, tanto che, in merito alla gradazione del dolo, è sufficiente richiamare quanto logicamente esposto dai giudici di merito:
COGNOME era ben addentro (quale “vice” di NOME COGNOME NOME) alle dinamiche associative e partecipava alle più rilevanti determinazioni, avendo, nel caso di specie, avuto costanti informazioni sulla militare pianificazione della spedizione (pag. 223) e sulle profonde ragioni di fibrillazione che imponevano, nella logica mafiosa, l’azione di rappresaglia ai danni dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“;
COGNOME ha fatto parte del RAGIONE_SOCIALE di Monte Pidocchio, nel quale si trovavano i due soggetti armati di pistola (pag. 224) e coloro che, per non lasciare tracce, avevano indossato i guanti (pag. 225);
COGNOME ha confessato al sodale che «poteva succedere una guerra», così plasticamente mostrando le proprie intime determinazioni allorquando prese parte alla spedizione punitiva.
6.2. Il secondo motivo, sulla riqualificazione del capo D), è inammissibile.
Premesso che la natura e gravità delle lesioni non rilevano per la qualificazione in tentato omicidio (Sez. 1, n. 52043 del 10/06/2014, COGNOME, Rv. 261702 – 01: «in tema di tentato omicidio, la scarsa entità o anche l’inesistenza delle lesioni provocate alla persona offesa non sono circostanze idonee ad escludere di per sé l’intenzione omicida, in quanto possono essere rapportabili anche a fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, come un imprevisto movimento della vittima, un errato calcolo della distanza o una mira non precisa»), neppure è specifica la deduzione sulla traiettoria dei proiettili, essendosi chiarito, a fronte d un ricorso meramente confutativo, che la gragnuola di colpi esplosi da più parti e in diverse direzioni e il fuoco incrociato venutosi a creare nella fase dell’azione nella quale sono rimasti feriti COGNOME e COGNOME mostrano piuttosto la concitazione del momento e il deficit esecutivo degli sparatori, cioè elementi esterni in ragione dei quali i proiettili non hanno raggiunto punti vitali.
Non è specifica, oltre a essere de-assiale, la doglianza che ipotizza che l’esecutore materiale abbia agito per difesa, quando invece è risultato accertato che l’aggressione è stata attuata proprio dagli appartenenti al RAGIONE_SOCIALE.
6.3. Il terzo motivo, sulla desistenza, è inammissibile.
Anzitutto esso muove dalla contraddittoria premessa, sviluppata al primo motivo, che COGNOME non abbia preso parte all’azione, sicché la questione della desistenza è palesemente incompatibile, oltre a essere priva di qualsiasi supporto
argonnentativo tenuto conto che COGNOME non ha mai asserito di avere tenuto un tale comportamento.
È pacifico, del resto, in ordine alla prospettata desistenza che, in conformità alla maggioritaria giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che nei reati a forma libera la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che, come nella specie, siano stati posti in essere gli atti dai quali origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020, P., Rv. 279170; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272677; Sez. 5, n.50079 del 15/05/2017, COGNOME, Rv. 271435; Sez. 5, n. 18322 del 30/01/2017, COGNOME, Rv. 269797).
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che, riguardo al delitto di omicidio, reato di danno a forma libera, il tentativo si perfeziona co l’attivazione del meccanismo causale capace di produrre – salvo l’intervento di fattori esterni – l’evento, determinandosi in questo caso quello che suole qualificarsi come tentativo compiuto.
Una volta realizzata tale condotta, non è più configurabile la desistenza volontaria a norma dell’art. 56, terzo comma, cod. pen., norma che non esime l’agente da pena, ma prende in considerazione solo gli atti già compiuti, se e in quanto costituiscano diverso reato, mentre non è escluso, ai più limitati effetti della diminuzione di pena prevista, il recesso attivo regolato dal comma successivo, allorquando sia tenuta dall’agente una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento.
Per i suddetti reati di danno a forma libera, quindi, la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto, mentre non è configurabile una volta che siano stati attuati gli atti dai quali origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento (Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Rv. 252259 – 01; Sez. 1, n. 25917 del 12/02/2004, Rv. 228239 – 01; con riferimento ad altri reati, v. Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020, Rv. 279170 – 01; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, Rv. 272677 – 01; Sez. 5, n. 50079 del 15/05/2017, Rv. 271435 – 01).
È, infine, manifestamente infondata la questione della desistenza poiché non si confronta con la motivazione del provvedimento impugNOME e con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale «in tema di tentativo il concorrente nel reato plurisoggettivo, per beneficiare della desistenza volontaria, non può limitarsi ad interrompere la propria azione criminosa, occorrendo, invece, un quid pluris consistente nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione
che fino a quel momento si sono prodotte» (Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, Losurdo, Rv. 259250; recentemente: Sez. 5, n. 33100 del 01/03/2018, S., Rv. 274590).
Il ricorso, in proposito, neppure deduce che il ricorrente abbia realizzato qualsivoglia comportamento idoneo alla eliminazione delle conseguenze dell’azione compiuta dal RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, che abbia posto nel nulla il contributo dal medesimo fornito ai compartecipi, l’intento criminoso dei quali è stato ritenuto rafforzato proprio dalla condotta dell’imputato.
6.4. Il quarto motivo, che riguarda le circostanze e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile.
6.4.1. La doglianza sulla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è dedotta in modo generico e assertivo perché incentra la questione su un presupposto errato, cioè che l’azione sia stata determinata da contrasti personali che riguardavano soltanto COGNOME.
Il ricorso non si confronta con l’ampia motivazione estesa alle pagg. 127 e segg., là dove si valorizzano le caratteristiche dell’azione logicamente ritenute tipicamente mafiose in ragione, tra l’altro, dell’ostentazione della forza nel territorio sottoposto a vincolo RAGIONE_SOCIALE.
Anche nella prospettazione ermeneutica più restrittiva, secondo la quale «l’aggravante dell’utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è configurabile nel caso di condotte eziologicamente collegate all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole commissione del reato e non in quello di mera connotazione mafiosa dell’azione o mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa» (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 01), risulta ampiamente chiarito dai giudici di merito, con una motivazione che non viene specificamente criticata, che l’azione punitiva si è avvalsa della metodologia mafiosa, sia nella ideazione, sia nell’organizzazione, sia nella fase esecutiva.
È stata analogamente ampiamente chiarita dai giudici di merito la finalità di agevolazione, soggettivamente percepita e condivisa dai partecipi, non solo perché larga parte dei correi risulta associata o comunque legata al RAGIONE_SOCIALE, ma soprattutto, specie con riguardo agli estranei all’organizzazione criminale, per essere a tutti noto il forte contrasto esistente con il RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE” come pure la finalità della pianificata azione violenta compiuta, come accertato dai giudici di merito e non specificamente contestato dai ricorsi, per riaffermare il potere del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, prendendo spunto dalle recentissime crisi derivanti dall’aggressione di NOME e dai successivi atti di violenza e intimidazione reciprocamente compiuti dai RAGIONE_SOCIALE in contrasto.
6.4.2. Il motivo, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 238 e segg.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
7.1. Il primo e il secondo motivo, sulla responsabilità per i reati dei capi D), sul concorso anomalo e sulla responsabilità per il capo E), sono nel complesso infondati.
Fermo quanto si è affermato in merito ai paragrafi n. 2 e n. 3, il contributo causale è ben descritto da pag. 242 a pag. 258, mentre quello psicologico da pag. 259 a pag. 275.
In particolare, la Corte di secondo grado ha specificamente evidenziato, senza che il ricorso sia in grado di sminuire le conclusioni raggiunte, che:
risulta accertata l’organizzazione, da parte di soggetti rivestenti posizioni apicali nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (tra cui COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME), di una spedizione con finalità violente da attuarsi nel territorio dell’antagonista e pericoloso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“;
nel corso della riunione deliberativa, vi era piena consapevolezza della pericolosità dell’azione e della necessità di armarsi, anche solo a scopo cautelativo, tanto da potersi parlare di un programmato porto di armi;
NOME NOME e NOME COGNOME NOME, fautori e organizzatori della spedizione, si sono allontanati dal luogo della riunione prima degli altri proprio per andare ad avvertire il RAGIONE_SOCIALE già pronto a Monte Pidocchio;
NOME, pur non presente alla riunione deliberativa, ha partecipato materialmente alla spedizione quale soggetto facente parte del RAGIONE_SOCIALE di Monte Pidocchio;
NOME risulta essere soggetto intraneo al RAGIONE_SOCIALE, facente parte proprio del RAGIONE_SOCIALE riconducibile a RAGIONE_SOCIALE, tra l’altro avente dimestichezza con l’uso di armi, come del resto dimostrato dagli esiti del richiamato e parallelo procedimento penale n. 5052/2020 r.g.n.r.;
nel momento in cui il RAGIONE_SOCIALE proveniente dall’abitazione di COGNOME NOME sopraggiungeva nel punto di incontro, trovava ad attenderlo il secondo RAGIONE_SOCIALE, del quale faceva parte COGNOME NOME, che si irreginnentava e proseguiva nel percorso, opportunamente già preallertato e preparato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali avevano, appunto, dichiarato: «ci stiamo andando a preparare», così rendendo palese il compito che spettava al RAGIONE_SOCIALE del quale faceva parte COGNOME;
– i fatti sopra descritti e accertati, letti nel contesto delle relazioni dinami in ambito RAGIONE_SOCIALE in una fase di forte fibrillazione – quale quella che si stava vivendo per i contrasti criminali tra i due RAGIONE_SOCIALE per il controllo delle zone di spaccio per i contrasti personali tra partecipi e soggetti vicini o avvicinati, culminati ne episodi del 7 agosto ai danni di COGNOME e in quelli della notte tra il 7 e 1’8 ai danni di appartenenti all’uno e all’altro RAGIONE_SOCIALE -, supportano, secondo la logica valutazione dei giudici di merito, l’affermazione che COGNOME NOME, non soltanto era consapevole delle conseguenze che sarebbero potute scaturire dalla spedizione programmata, ma ha operato, consentito e partecipato attivamente affinché la spedizione armata inseguisse e cercasse il contatto con gli esponenti del RAGIONE_SOCIALE rivale, in adempimento della preventiva determinazione di “scassare” qualcuno di essi.
Le doglianze sulla natura armata della spedizione e sulla previsione dell’evento più grave poi verificatosi sono manifestamente infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3.
Del resto, il ricorso propone censure che muovono dal presupposto – smentito dal razionale accertamento dei giudici di merito – che COGNOME non fosse presente nei luoghi ove si sono svolti i fatti; esse, peraltro, risulta intrinsecamente illogiche quando, mutando completamente prospettiva, ne ammettono la presenza e la partecipazione alla spedizione, ostinatamente reiterando le generiche censure in punto di imprevedibilità del reato più grave e di assenza di consapevolezza sulla presenza di armi da fuoco.
Dunque, come correttamente concludono i giudici di appello, COGNOME, concorrendo con gli esecutori materiali, ha operato la precisa scelta di portare a compimento l’avviata impresa criminosa che prevedeva l’uso di armi e l’impiego delle stesse per “scassare” gli avversari dopo essersi provocatoriamente introdotti nel territorio avversario per dare la caccia a qualunque associato al RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“.
7.2. Il terzo motivo, che riguarda la responsabilità per il capo E), è infondato. La ritenuta infondatezza dei motivi sul capo D), unitamente alle considerazioni espresse dai giudici di merito a pagg. 276 e segg., conducono a rigettare il motivo.
In disparte la non consentita rilettura degli elementi di prova e la genericità delle deduzioni rispetto alle argomentazioni della sentenza, poiché la spedizione punitiva, come si è detto, prevedeva l’impiego di armi che, di fatti, sono state utilizzate da due appartenenti al RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, armi dunque detenute e portate in concorso (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023 – dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785 – 01: «concorre nei delitti di illecita detenzione e di illecito porto in luo pubblico di arma colui che partecipa insieme ad altri all’ideazione e alla preparazione di un reato da commettere con armi, essendo irrilevante il suo
mancato intervento materiale durante la fase esecutiva del reato programmato»; in precedenza, Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 274364 – 01), il motivo di ricorso si ostina a negare la partecipazione del ricorrente, invece pienamente e attivamente coinvolto nella spedizione punitiva armata.
Non è, del resto, fondata né decisiva l’argomentazione difensiva secondo la quale all’imputato sarebbe stata in realtà addebitata la mera disponibilità delle armi del RAGIONE_SOCIALE; anzitutto il ricorso non contesta che il RAGIONE_SOCIALE avesse varie armi nella disponibilità; in secondo luogo l’affermazione dei giudici di merito, secondo la quale le armi utilizzate erano verosimilmente nella disponibilità dell’organizzazione criminale capeggiata da COGNOME, lungi dall’essere impiegata ben fondare la responsabilità dell’imputato per il fatto del capo E), è utilizzata, come elemento logico, per confermare l’accertata disponibilità delle armi nell’occasione per la quale si procede.
7.3. Il motivo, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 279 e segg.
Il ricorso di NOME COGNOME, cui è stata applicata la diminuente ex art. 116 cod. pen., è nel complesso infondato.
8.1. Il primo motivo, sulla responsabilità per i reati dei capi D) ed E), è inammissibile poiché esclusivamente versato in fatto e finalizzato a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito.
Il ricorso, omette di criticare, preferendo restare fedele all’originaria impostazione difensiva che propugna la totale inconsapevolezza dell’imputato, la ricostruzione dei giudici di merito circa la presenza, il comportamento e il ruolo attivo tenuti da COGNOME nel corso delle riunioni preparatorie e deliberative, nonché nel corso dell’azione, in occasione della quale era sullo stesso motociclo con COGNOME NOME che aveva raccolto dai vertici associativi le disposizioni operative della spedizione punitiva dallo stesso caldeggiata per tutto il giorno, a dimostrazione della piena partecipazione e consapevolezza da parte di COGNOME, sempre in contatto con COGNOME e partecipe egli stesso a varie riunioni organizzative.
Le doglianze sulla natura armata della spedizione e sulla previsione dell’evento più grave poi verificatosi sono manifestamente infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3 che, ad avviso del Collegio, valgono anche per il ricorrente COGNOME.
I giudici di appello concludono che COGNOME NOME, concorrendo con gli esecutori materiali, ha agito con il necessario coefficiente psicologico, avendo questi operato la precisa scelta di portare a compimento l’avviata impresa criminosa.
Tuttavia, ad avviso del giudice di appello, egli non era a conoscenza della presenza e del possibile impiego delle armi, sicché il reato più grave che è stato ritenuto conseguenza dell’uso di esse, pur prevedibile, non era voluto neppure a livello di dolo eventuale.
Orbene, mancando l’impugnazione della pubblica accusa, non può che prendersi atto dell’epilogo decisorio che, quale che sia la condivisibilità di tal esito, ha applicato la diminuente dell’art. 116 cod. pen. pur avendo riconosciuto che il ricorrente aveva contezza della natura armata della spedizione, da attuare con l’impiego di caschi per “scassare” gli avversari, e del previsto uso della violenza fisica, operando una artificiosa distinzione tra arma propria e impropria. Tant’è la decisione adottata non può essere emendata in peius, ma ciò non può essere impiegato dalla difesa per sostenere la mancanza di responsabilità.
Il ricorso, infatti, risulta incapace di sostenere l’assenza del contributo causale e la prevedibilità in concreto dell’evento più grave.
8.2. Il secondo motivo, che riguarda le circostanze e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile.
8.2.1. La doglianza sulla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è dedotta in modo generico e assertivo perché incentra la questione su un presupposto errato, cioè che l’azione sia stata determinata da contrasti personali che riguardavano soltanto COGNOME.
Il ricorso non si confronta con l’ampia motivazione estesa alle pagg. 127 e segg., là dove si valorizzano le caratteristiche dell’azione logicamente ritenute tipicamente mafiose in ragione, tra l’altro, dell’ostentazione della forza nel territorio sottoposto a vincolo RAGIONE_SOCIALE.
Anche nella prospettazione ermeneutica più restrittiva, secondo la quale «l’aggravante dell’utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è configurabile nel caso di condotte eziologicamente collegate all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole commissione del reato e non in quello di mera connotazione mafiosa dell’azione o mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa» (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 01), risulta ampiamente chiarito dai giudici di merito, con una motivazione che non viene specificamente criticata, che l’azione punitiva si è avvalsa della metodologia mafiosa, sia nella ideazione, sia nell’organizzazione, sia nella fase esecutiva.
È stata analogamente ampiamente chiarita dai giudici di merito la finalità di agevolazione, soggettivamente percepita e condivisa dai partecipi, non solo perché larga parte dei correi risulta associata o comunque legata al RAGIONE_SOCIALE, ma soprattutto, specie con riguardo agli estranei all’organizzazione criminale, per essere a tutti noto il forte contrasto esistente con il RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE come pure la finalità della pianificata azione violenta compiuta, come accertato dai giudici di merito e non specificamente contestato dai ricorsi, per riaffermare il potere del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, prendendo spunto dalle recentissime crisi derivanti dall’aggressione di NOME e dai successivi atti di violenza e intimidazione reciprocamente compiuti dai RAGIONE_SOCIALE in contrasto. 8.2.2. Il motivo, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 295 e segg.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
9.1. Il primo motivo, sulla mancata applicazione della diminuente ex art. 116 cod. pen., e il terzo motivo, sul dolo eventuale di concorso, sono nel complesso infondati, pur presentando per larga parte deduzioni inammissibili poiché esclusivamente versate in fatto e finalizzate a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito.
Il ricorso si dilunga nell’esporre stralci di dichiarazioni dei collaboratori giustizia dai quali pretende di desumere che COGNOME NOME non fosse per nulla a conoscenza del percorso che era stato realmente pianificato e che pertanto lo stesso non poteva in alcun modo rappresentarsi e/o prevedere, o addirittura accettare, l’esito nefasto di quello che più volte il collaboratore di giustizia avrebbe definito come atto dimostrativo. Il ricorso, inoltre, sviluppa sul dolo eventuale delle questioni di diritto del tutto sovrapponibili a quelle del ricorso COGNOME.
In realtà, le doglianze sulla natura armata della spedizione, sulla previsione dell’evento più grave poi verificatosi e sul dolo eventuale sono infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3 che, ad avviso del Collegio, valgono anche per il ricorrente COGNOME NOME.
La circostanza che inizialmente COGNOME NOME, nell’abitazione del quale si sono tenute alcune riunioni organizzative (a dimostrazione del rilievo attribuito all’imputato dai partecipi), abbia sostenuto la linea meno aggressiva, non toglie la significativa rilevanza al successivo, ampiamente riferito dai collaboratori, cambio di linea insieme a COGNOME NOME (vertice associativo), con il quale, del resto, ha pure preso parte alla spedizione punitiva che aveva gli scopi e le modalità già ampiamente chiarite ai richiamati paragrafi n. 2 e n. 3, dovendosi qui
richiamare espressamente le argomentazioni svolte in merito alla natura armata, alla condivisa finalità dell’azione violenta, alla previsione del reato più grave, al irrilevanza della presunta deviazione del percorso (peraltro compiuta anche da COGNOME NOME) per colpire un esponente del RAGIONE_SOCIALE avverso.
In particolare, la Corte di secondo grado ha specificamente evidenziato, senza che il ricorso sia in grado di sminuire le conclusioni raggiunte, che:
COGNOME NOME aveva acconsentito alla linea dura promossa da NOME, NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, che prevedeva di compiere un’azione chiaramente violenta nel territorio dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, essendo stata pianificata una spedizione punitiva;
COGNOME NOME ha aderito e poi anche partecipato materialmente alla spedizione, fornendo un contributo morale e materiale giudicato, in ragione dei convergenti elementi forniti dai collaboratori, determinante, sia nella fase ideativa – che necessitava del beneplacito del ricorrente -, sia in quella partecipativa alla spedizione;
COGNOME NOME partecipava fisicamente al corteo e con i correi deviava dal percorso originario per inseguire NOME e, pur avendo avuto piena coscienza di avere finalmente imboccato INDIRIZZO – dove abitavano i NOME – e del rischio connesso che derivava dalla proditoria invasione del campo avversario – proseguiva verso il fatidico incontro con i “cursotl RAGIONE_SOCIALE“;
i fatti sopra descritti e accertati, letti nel contesto delle relazioni dinamich in ambito RAGIONE_SOCIALE in una fase di forte fibrillazione – quale quella che si stava vivendo per i contrasti criminali tra i due RAGIONE_SOCIALE per il controllo delle zone di spaccio per i contrasti personali tra partecipi e soggetti vicini o avvicinati, culminati neg episodi del 7 agosto ai danni di COGNOME e in quelli della notte tra il 7 e l’8 ai danni di appartenenti all’uno e all’altro RAGIONE_SOCIALE -, supportano, secondo la logica valutazione dei giudici di merito, l’affermazione che COGNOME NOME, non soltanto era consapevole delle conseguenze che sarebbero potute scaturire dalla spedizione programmata, ma ha operato, consentito e partecipato attivamente affinché la spedizione armata inseguisse e cercasse il contatto con gli esponenti del RAGIONE_SOCIALE rivale, in adempimento della preventiva determinazione di “scassare” qualcuno di essi.
9.2. Il quinto motivo, che riguarda la responsabilità per il capo E), è infondato. La ritenuta infondatezza dei motivi sul capo D), unitamente alle considerazioni espresse dai giudici di merito a pagg. 370 e segg., conducono a rigettare il motivo.
In disparte la non consentita rilettura degli elementi di prova e la genericità delle deduzioni rispetto alle argomentazioni della sentenza, poiché la spedizione punitiva, come si è detto, prevedeva l’impiego di armi che, di fatti, sono state utilizzate da due appartenenti al RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, armi dunque detenute e
portate in concorso (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023 – dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785 – 01: «concorre nei delitti di illecita detenzione e di illecito porto in luogo pubblico di arma colui che partecipa insieme ad altri all’ideazione e alla preparazione di un reato da commettere con armi, essendo irrilevante il suo mancato intervento materiale durante la fase esecutiva del reato programmato»; in precedenza, Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 274364 – 01), il motivo di ricorso si ostina a negare la partecipazione del ricorrente, invece pienamente e attivamente coinvolto, secondo il razionale accertamento dei giudici di merito, nella spedizione punitiva armata.
Non è, del resto, fondata né decisiva l’argomentazione difensiva secondo la quale sarebbe stata esclusa la presenza di armi a casa di COGNOME, poiché tale specifica condotta non è contestata nell’imputazione, che si riferisce, invece, alla comune detenzione e porto delle armi impiegate nell’agguato, in disparte l’inconsistenza della tesi difensiva che vorrebbe sostenere il dissenso di COGNOME all’uso di armi, risultando, per le ragioni dette, il pieno assenso all’uso della violenza e dei caschi, costituenti comunque arma impropria.
9.3. Il secondo motivo, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 373 e segg.
Il ricorso di NOME COGNOME, assolto dal capo D), è nel complesso infondato.
10.1. Il primo motivo, sulla responsabilità per il capo E) è nel complesso infondato, pur presentando per larga parte deduzioni inammissibili poiché esclusivamente versate in fatto e finalizzate a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito, con particolare riguardo all’attendibilità e credibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori ch hanno descritto la vicenda e il ruolo dell’imputato.
Va premesso che il giudice di appello ha assolto il ricorrente dal capo D), rilevando che: «il contributo offerto dall’appellante al progetto delittuoso era limitato alla fase esecutiva e all’ingrossamento delle file del RAGIONE_SOCIALE, è evidente come, abbandonando il RAGIONE_SOCIALE e tornando a casa, questi non solo ha in concreto interrotto la propria condotta di partecipazione alla commissione del reato, ma ha altresì contestualmente elimiNOME completamente il contributo causale fino a quel momento fornito (dato dall’effetto rafforzativo della mera presenza), non potendosi rinvenire altre e diverse conseguenze dell’azione già prodottesi e non eliminabili con il mero abbandono del RAGIONE_SOCIALE».
Viceversa, il giudice di appello ha ritenuto, quanto al capo E), che l’esistenza di un preventivo accordo esplicito tra coloro che hanno deliberato e attuato la spedizione punitiva costituisce elemento idoneo a fondare la responsabilità per il capo E).
Le doglianze sulla natura armata della spedizione sono infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3 che, ad avviso del Collegio, valgono anche per il ricorrente COGNOME NOME, dovendosi, inoltre, rimarcare che durante la riunione deliberativa l’imputato si accompagnava a NOME, soggetto risultato pienamente al corrente del dettaglio del fatto, e, per il resto, operava in sinergia con il padre COGNOME NOME, sul ruolo del quale già si è detto.
Sicché, l’esclusione della responsabilità per il capo D), derivante dall’incidente occorso a COGNOME NOME all’inizio del percorso per recarsi nella roccaforte del “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, non è in grado di interferire sulle anteriori condotte, pienamente consumate, di detenzione e porto delle armi impiegate nella circostanza.
Valgono, quanto al capo E), le considerazioni già espresse con riguardo a COGNOME NOME al paragrafo n. 9.2.
10.2. Il terzo motivo, che riguarda la circostanza aggravante dell’art. 416bis.1 cod. pen., è inammissibile perché non dedotto in appello, come risulta dalla non contestata sintesi dei motivi riportata a pag. 380.
Del resto, come si è avuto modo di dire quando si sono esaminati i motivi sviluppati da altri ricorrenti, la doglianza è manifestamente infondata (v. par. 6.4.1).
10.3. Il secondo e il quarto motivo, sulla recidiva, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, sono inammissibili perché generici e assertivi, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 406 e segg.
11. Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
11.1. Il primo motivo, sulla responsabilità, sull’attendibilità del collaboratore NOME e sulla mancata rinnovazione dell’istruttoria per disporre una perizia, e il secondo motivo, sul concorso anomalo e sul dolo eventuale, sono nel complesso infondati, pur presentando per larga parte deduzioni inammissibili poiché esclusivamente versate in fatto e finalizzate a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito.
11.1.1. Il ricorso, che si è dovuto in larga parte riprodurre per intero, senza potere fare ricorso all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. a causa della farraginosità logica e della verbosità che lo caratterizzano, affastella e accomuna diversi aspetti e piani, con la conseguenza che risulta confuso nonché infarcito di domande
retoriche che trovano una scontata risposta nei commenti dello stesso redattore, quasi che si trattasse di una perorazione orale.
Del resto, il ricorso si dilunga nell’esporre stralci di dichiarazioni de collaboratori di giustizia dai quali pretende di desumere che COGNOME non fosse per nulla a conoscenza delle vicende che si sono scatenate a seguito della sua richiesta di “soddisfazione” presentata, invece che alle forze dell’ordine, al RAGIONE_SOCIALE e a marginalizzare, con censure tipicamente di merito, le azioni e le sollecitazioni dallo stesso compiute ed effettuate che risultano pacificamente dai convergenti contributi offerti da numerosi collaboratori di giustizia, le dichiarazioni dei quali il ricorso attacca in modo parcellizzato, generico e inconsistente.
D’altra parte, il ricorso si concentra vanamente sul movente, confondendone: – sia l’individuazione: i giudici di merito hanno individuato varie e concorrenti causali per spiegare il determinismo psichico che ha indotto gli imputati a organizzare la spedizione punitiva (profondi, radicati e crescenti contrasti di “affari” tra i due RAGIONE_SOCIALE avversari; richiesta di “soddisfazione” avanzata da COGNOME al RAGIONE_SOCIALE COGNOME, evidentemente, ritenuto vicino alle sue necessità e aspirazioni; episodi violenti e miNOMEri occorsi la notte tra il 7 e 1’8 agosto; ecc.), che il ricor critica in modo assertivo, con una oscura frase caratterizzata da una doppia negazione verbale, proponendo censure di merito al ruolo di NOME, la rilevanza del quale, tuttavia, è riconosciuta soltanto dal ricorso;
– sia la decisività: non è pertinente il richiamo a Sez. U, Andreotti, cit., poiché, come si è visto, il movente non è esclusivo e dunque non ha avuto, secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, un’efficacia determinante per la individuazione dei responsabili, posto che essi sono stati individuati sulla base di prove materiali e dichiarative.
È del pari inammissibile la deduzione secondo la quale non sarebbe stato dato adeguato credito alle dichiarazioni di COGNOME, posto che, invece, le stesse sono state attentamente vagliate da entrambi i giudici di merito con un criterio logico pienamente aderente ai principi di diritto applicabili, all’esito del quale larga parte del suo narrato è stato giudicato inattendibile poiché proteso a limitarne o escludere la responsabilità in contrasto con gli elementi probatori acquisiti, tutti, invece, tra loro convergenti e riscontrati, ovvero a riferire di fatti che non poteva negare, e in larga parte già noti agli investigatori.
Le critiche alle dichiarazioni di COGNOME si appuntano in larga parte sulla scansione temporale degli incontri del pomeriggio dell’8 agosto, senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugNOME che, conformemente ai convergenti elementi di prova, che derivano da plurime dichiarazioni ed elementi oggettivi, ha ricostruito, con ragionevole approssimazione, quelle fasi della giornata (pagg. 426 e segg.).
I giudici di merito hanno, in particolare, sottolineato che, indipendentemente dal rilievo cronometrico, per la ragioni esposte (in particolare a pag. 431), «La divergenza di orario indicata dalla difesa come elemento saliente dell’inattendibilità del racconto del COGNOME, pertanto, non è affatto tale. Di cont appare molto più rilevante osservare come gli stessi collaboratori COGNOME COGNOMECOGNOME a prescindere dal dato meramente indicativo dell’orario, hanno entrambi chiaramente indicato il COGNOME come soggetto che aveva partecipato alla riunione vera e propria e che, terminata la stessa, era passato a chiamarli a casa del COGNOME (dove erano in attesa) e non come soggetto che si era invece ivi recato a riunione finita (come paventato dalla difesa del COGNOME)».
Proprio le convergenti dichiarazioni di COGNOME hanno logicamente spinto i giudici di appello a ritenere superflua, anche perché esplorativa, la richiesta di perizia.
Del resto, anche la critica alla valutazione compiuta dai giudici di merito sugli esiti della consulenza tecnica di parte è generica posto che si è fatto logicamente notare che «l’analisi delle risultanze dei tabulati telefonici, affidata a una relazion di tecnico di parte prodotta dalla difesa e acquisita agli atti all’udienza de 05.03.2024, in alcun modo supporta la tesi difensiva. Va al riguardo in primo luogo osservato che l’utenza cellulare di COGNOME NOME risulta spenta dalle 16.43 alle 21.25 (dunque da orario antecedente alla riunione, ad orario successivo alla sparatoria). L’analisi dei tabulati viene dunque condotta esaminando i dati del cellulare di COGNOME NOME, ma già qui è rilevabile un vizio di metodo dato dal fatto che si presuppone la compresenza del COGNOME e del COGNOME alla riunione, laddove invece il COGNOME ha riferito che i due erano arrivati in temp leggermente differenti (dalla ricostruzione desumibile dalle propalazioni del COGNOME, come sopra esaminate, si è detto che il COGNOME sopraggiungeva non prima delle 16.55, mentre il COGNOME arrivava “più tardi” insieme a un RAGIONE_SOCIALE di scooter tra cui vi era anche RAGIONE_SOCIALE NOME)».
Pertanto, quali che siano le argomentazioni sviluppate dalla difesa sulla presunta rilevanza dei dati di traffico del cellulare di COGNOME dei quali si discute, resta non contestato l’errore metodologico sul quale si sono innestate la consulenza e la linea difensiva, fermo restando che il ricorso neppure critica la finale argomentazione della Corte d’appello: «nulla aggiunge la CTP prodotta dalla difesa, atteso che il dato certo e dirimente (che nemmeno il consulente di parte può sottacere) è che la cella “Stazione Acquicella” copre sia l’abitazione di COGNOME NOME e quella limitrofa di COGNOME NOME (distanti 228 metri dall’antenna), sia quella di COGNOME NOME (distante 764 metri dall’antenna)»; né sono consentite le critiche di merito introdotte con il ricorso a tale ricostruzione in fat
Sono, pertanto, manifestamente infondate le doglianze difensive sul rigetto della perizia sui tracciati telefonici per individuare le celle di aggancio deg apparati, posto che, se il telefono dell’imputato era spento, è stata giudicata non necessaria detta attività alla luce dei risultati raggiunti dalla prova dichiarativa dalla confutazione della prova tecnica prodotta dalla parte, fermo restando che la perizia non può essere considerata una prova decisiva (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936 – 01).
Fermo quanto si è detto, sono, dunque, inammissibili le doglianze che riguardano la richiesta di perizia sull’apparato radiomobile nel quale dovrebbe rinvenirsi traccia di una conversazione “Instagram” (tentativo di chiamata delle ore 18:26), dalla quale dovrebbe desumersi che l’imputato sarebbe giunto nel luogo in un momento successivo rispetto a quello indicato da NOME, poiché si è logicamente chiarito che la eventuale presenza di un tentativo di contatto, non andato a buon fine, non dimostra affatto, come invece pretende in modo ipotetico il ricorso, che COGNOME e il chiamante si trovassero in luoghi diversi, ma unicamente che l’uno ha cercato l’altro senza riuscirvi perché il telefono dell’imputato era scollegato (come sovente accade in contesti illeciti), senza, peraltro, alcuna reiterazione o insistenza nei tentativi di contatto, a riprova che detto contatto è verosimilmente avvenuto di persona.
11.1.2. Quanto al concorso anomalo e al dolo eventuale è sufficiente ricordare le conclusioni alle quali già si è pervenuti nei paragrafi precedenti.
Le doglianze sulla natura armata della spedizione, sulla previsione dell’evento più grave poi verificatosi e sul dolo eventuale sono infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3 che, ad avviso del Collegio, valgono anche per il ricorrente COGNOME NOME.
Quanto alla prevedibilità è sufficiente ricordare, a fronte delle confutative doglianze contenute nel ricorso, che COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME e COGNOME NOME, aveva sostenuto la necessità della spedizione punitiva in danno dei “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, pienamente consapevole della presenza di soggetti armati lungo il corteo e della caratura delinquenziale di COGNOME NOME e del suddetto RAGIONE_SOCIALE.
La presenza del RAGIONE_SOCIALE armato, chiaramente palesata dalla frase proferita da COGNOME «ci stiamo andando a preparare», era, del resto, ben nota a COGNOME perché, secondo la logica e coerente valutazione dei giudici di merito basata sul convergente apporto dichiarativo di vari collaboratori (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME), si trattava di una questione risaputa già nel corso della riunione, cui l’imputato aveva partecipato, e oggetto di ampia discussione e valutazione da parte di coloro che stavano assumendo la determinazione di procedere alla spedizione punitiva, non a caso largamente caldeggiata da COGNOME NOME ha
riferito: «già il COGNOME e il COGNOME NOME avevano avvisato che comunque così era otto scooter, dieci scooter, pronti, tra motociclette e scooter, pronti a Monte Pidocchio. Già loro erano organizzati … a Monte Pidocchio già si erano riuniti prima. Era stato organizzato prima, perché già COGNOME NOME, il COGNOME NOME … anche il COGNOME NOME … già sapevano a Monte Pidocchio c’era un altro RAGIONE_SOCIALE pronto. Quindi loro hanno formato il RAGIONE_SOCIALE non lo so. Però già il RAGIONE_SOCIALE a Monte Pidocchio c’era, era pronto già … che c’era il RAGIONE_SOCIALE a Monte Pidocchio io l’ho saputo da NOME COGNOME, da COGNOME e da COGNOME»).
11.2. Il terzo motivo, sulla responsabilità per il porto delle armi del capo E), è nel complesso infondato.
Superate le questioni agitate con il primo motivo, è infondata, oltre che in larga parte inammissibile per genericità e reiterazione, la critica sul concorso nel porto delle armi, anche alla luce di quanto si è detto con riguardo a COGNOME NOME al paragrafo n. 9.2.
La disposta assoluzione per il concorso nella detenzione delle armi non influisce neppure dal punto di vista logico sulla diversa determinazione assunta per le armi portate e utilizzate nella programmata e attuata spedizione punitiva, trattandosi di strumenti necessari al compimento della stessa e alla luce della già accertata consapevole adesione al complessivo progetto delinquenziale.
11.3. Il quarto motivo, sulla mancata applicazione della circostanza attenuante speciale della collaborazione ex all’art. 416-bis.1, terzo comma, cod. pen., è inammissibile.
I giudici di merito, con ampia e coerente motivazione, hanno negato l’applicazione della circostanza attenuante speciale, mentre il ricorso – che con argomentazione intrinsecamente illogica e contradditoria, si scaglia ostinatamente anche contro la ricostruzione dei fatti – si limita a contestare tale giudizio.
11.4. Il quinto motivo, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 465 e segg.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
12.1. Il primo motivo, sulla responsabilità, sull’attendibilità dei collaboratori e sul dolo eventuale, il secondo motivo, sull’assenza di dolo omicida in ragione della traiettoria dei proiettili, e il terzo motivo, sul concorso anomalo, sono nel complesso infondati, pur presentando per larga parte deduzioni inammissibili poiché esclusivamente versate in fatto e finalizzate a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito.
Fermo quanto si è affermato in merito ai paragrafi n. 2 e n. 3, il contributo causale e l’elemento psicologico sono ben descritti da pag. 472 a pag. 505.
In particolare, la Corte di secondo grado ha specificamente evidenziato, senza che il ricorso sia in grado di sminuire le conclusioni raggiunte, che:
COGNOME è rimasto ferito da colpi di pistola nel corso della spedizione punitiva, come lo stesso ha confermato pur tentando di accreditare l’occasionalità della sua presenza, smentita da convergenti e riscontrate fonti dichiarative (da ultimo quelle dello sparatore COGNOME NOME, oltre a COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME, che riferisce anche ciò che ha appreso direttamente dall’imputato anche in merito alla presenza di COGNOME NOME e COGNOME NOME, risultati armati delle pistole usate nell’occasione) e da convergenti risultanze obiettive (captazioni; videoregistrazioni);
NOME, avvertito fin dalla mattina del’8 agosto delle gravi tensioni con il RAGIONE_SOCIALE avverso e della necessità di non “esporsi troppo” agli avversari, era stato invitato da NOME, che ben conosceva lo scopo dell’incontro, a recarsi a casa di COGNOME NOME per partecipare alla riunione con gli altri associati nel corso della quale sono state assunte le determinazioni sulla spedizione punitiva, per dirigersi poi, insieme agli altri associati, verso il territorio nemico, passando raccogliere il RAGIONE_SOCIALE armato di pistole che si era concentrato a Monte Pidocchio;
COGNOME, del resto, si trovava insieme allo sparatore COGNOME quando costui, immediatamente dopo la sparatoria, ha minacciato un passante con l’arma per consentire loro di guadagnare la fuga.
12.2. Il quarto motivo, sulla responsabilità per il capo E), è inammissibile.
La ritenuta infondatezza dei motivi sul capo D), unitamente alle considerazioni espresse dai giudici di merito a pagg. 507 e segg., conducono a rigettare il motivo.
In disparte la non consentita rilettura degli elementi di prova e la genericità delle deduzioni rispetto alle argomentazioni della sentenza, poiché la spedizione punitiva, come si è detto, prevedeva l’impiego di armi che, di fatti, sono state utilizzate da due appartenenti al RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, emerge chiaramente che esse sono state detenute e portate in concorso (Sez. 1, n. 6223 del 05/12/2023 dep. 2024, COGNOME, Rv. 285785 – 01: «concorre nei delitti di illecita detenzione e di illecito porto in luogo pubblico di arma colui che partecipa insieme ad altri all’ideazione e alla preparazione di un reato da commettere con armi, essendo irrilevante il suo mancato intervento materiale durante la fase esecutiva del reato programmato»; in precedenza, Sez. 1, n. 40702 del 21/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 274364 – 01).
Non è, del resto, fondata né decisiva l’argomentazione difensiva secondo la quale all’imputato sarebbe stata in realtà addebitata la mera disponibilità delle armi del RAGIONE_SOCIALE; anzitutto il ricorso non contesta che il RAGIONE_SOCIALE avesse varie armi nella
disponibilità; in secondo luogo l’affermazione dei giudici di merito, secondo la quale le armi utilizzate erano verosimilmente nella disponibilità dell’organizzazione criminale capeggiata da COGNOME, lungi dall’essere impiegata ben fondare la responsabilità dell’imputato per il fatto del capo E), è utilizzata come elemento logico per confermare l’accertata disponibilità delle armi nell’occasione per la quale si procede.
12.3. Il quinto motivo, sulla recidiva, le circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 509 e segg.
Il ricorso, con motivi nuovi, di NOME COGNOME, per il quale è stata applicata la diminuente dell’art. 116 cod. pen. e pronunciata assoluzione dal capo E), è nel complesso infondato.
13.1. Il primo motivo, sulla responsabilità per il capo D), è inammissibile perché propone, senza alcuna specifica critica alla motivazione, una diversa lettura delle risultanze probatorie in merito alla prevedibilità del più grave reato commesso dai correi, esclusivamente incentrata sulla valorizzazione di alcune conversazioni postume, ritenute artificiose in base a una logica valutazione che si fonda pure su convergenti elementi probatori di natura dichiarativa e obiettiva che il ricorso non critica.
Del resto, quanto alla prospettata illogicità e contraddittorietà con riguardo all’assoluzione per il capo E), la critica è generica perché non si confronta con la motivazione estesa dai giudici di appello, tanto che non critica gli elementi ritenuti dimostrativi della partecipazione all’azione, pur nella accertata mancata previsione dell’evento omicida, caratterizzati dalla programmazione e partecipazione alla spedizione punitiva nella quale era comunque previsto l’uso della forza e delle armi nel senso dianzi chiarito.
13.2. Il secondo e il terzo motivo, sulla circostanza aggravante dell’art. 416bis.1 cod. pen., sono inammissibili.
La doglianza sulla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è dedotta in modo generico e assertivo perché incentra la questione su un presupposto errato, cioè che l’azione sia stata determinata da contrasti personali che riguardavano soltanto COGNOME.
Il ricorso non si confronta con l’ampia motivazione estesa alle pagg. 127 e segg., là dove si valorizzano le caratteristiche dell’azione logicamente ritenute tipicamente mafiose in ragione, tra l’altro, dell’ostentazione della forza nel territorio sottoposto a vincolo RAGIONE_SOCIALE.
Anche nella prospettazione ermeneutica più restrittiva, secondo la quale «l’aggravante dell’utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 416-bís.1 cod. pen., è configurabile nel caso di condotte eziologicamente collegate all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole commissione del reato e non in quello di mera connotazione mafiosa dell’azione o mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa» (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 01), risulta ampiamente chiarito dai giudici di merito, con una motivazione che non viene specificamente criticata, che l’azione punitiva si è avvalsa della metodologia mafiosa, sia nella ideazione, sia nell’organizzazione, sia nella fase esecutiva.
Per il resto, è sufficiente rinviare alle considerazioni svolte supra sub 6.4.1.
Il ricorso è, sul punto, generico perché si limita a negare la pacifica consapevolezza del contesto e del fine dell’azione punitiva che è stata desunta dalla puntuale ricostruzione degli accadimenti e dei contatti tra gli imputati, che il ricorso non critica specificamente.
13.3. Il quarto, il quinto e il sesto motivo sono complessivamente infondati.
13.3.1 Sulla recidiva, il ricorso muove da un presupposto che non trova appiglio giuridico là dove pretende che la recidiva non sia applicabile per la natura colposa della responsabilità per il capo D).
Va premesso che la Corte costituzionale, con sentenza n. 42 del 1965, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 cod. pen., ha precisato che: «La interpretazione che in definitiva si è affermata nella giurisprudenza, pur tra qualche difformità e incertezza di formulazione, esige, sostanzialmente, come base della responsabilità ex art. 116 del codice penale, la sussistenza non soltanto del rapporto di causalità materiale, ma anche di un rapporto di causalità psichica, concepito nel senso che il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza. Tale interpretazione questa Corte, accogliendo i motivi che la giurisprudenza ne ha via via esposti e sviluppati, ritiene di dover pienamente condividere, escludendo con ciò che l’art. 116 del codice penale importi una violazione del principio della personalità della responsabilità penale: principio che nella partecipazione psichica dell’agente al fatto trova la sua massima affermazione. Essendo ciò sufficiente per riconoscere infondata la questione proposta, non è compito di questa Corte il delimitare particolarmente la natura e gli aspetti del coefficiente di colpevolezza che ricorre nella fattispecie dell’art. 116, né lo stabilire se dalla semplice colpa esso possa
addirittura assurgere alla forma dolosa, nel qual caso, è anche dubbio che si rientri nella ipotesi del predetto art. 116».
Tanto premesso, se non è decisivo , ai fini che qui interessano, stabilire il titolo di attribuzione della responsabilità per il reato diverso – questione che impegna la dottrina, la quale è sostanzialmente orientata per la natura dolosa della responsabilità -, resta fermo che il fatto originariamente voluto dal compartecipe ex art. 116, secondo comma, cod. pen., ha natura dolosa e, ciò, anche in considerazione della unitarietà del titolo di responsabilità per tutti i concorrenti di quanto si è detto sull’elemento soggettivo nelle fattispecie concorsuali.
Anche il giudice delle leggi (Corte cost., sent. n. 55 del 2021) ha evidenziato la natura dolosa della responsabilità, là dove ha chiarito che: «In ciò la norma esibisce tutto il suo rigore sanzioNOMErio se solo la si compara ad un’altra fattispecie generale e per certi versi simile: quella dell’art. 83 cod. pen. Norma questa che, al di fuori dell’ipotesi del concorso, prevede che, se l’«evento diverso da quello voluto», l’agente è responsabile a titolo di colpa e quindi solo ove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo. Invece l’art. 116, primo comma, cod. pen. non opera questo décalage da reato doloso a reato colposo. Prevede al contrario la stessa responsabilità per il reato, diverso da quello voluto con l’accordo delittuoso, commesso da altro correo, parificando così a quest’ultimo la posizione del concorrente che non ha voluto il fatto-reato».
Va quindi ribadito che, anche prestando credito all’opinione che attribuisce la responsabilità per l’evento più grave a titolo di colpa, va, tuttavia, osservato che l’applicazione della diminuente dell’art. 116 cod. pen. non determina affatto che il reato assuma la natura di reato colposo, anche perché vi è unanime consenso nel qualificarla alla stregua di una circostanza attenuante a effetto comune che, ai sensi dell’art. 65 cod. pen., comporta la diminuzione della pena in misura non eccedente il terzo, nonché soggetta al giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. (Corte cost., sent. n. 55 del 2021).
Dal punto di vista motivazionale, infine, la sentenza impugnata, conformemente ai condivisi principi giurisprudenziali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838 – 01), ha applicato la recidiva in considerazione della maggiore capacità a delinquere e dell’esistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali (reati contro il patrimonio; reati in tema di stupefacenti; associazione di tipo RAGIONE_SOCIALE) e i fatti oggetto del giudizio, i quali, in effetti, a cau del contesto e della finalizzazione dell’azione, risultano obiettivamente fortemente indicati della accertata pericolosità.
13.3.2. Il motivo sul trattamento sanzioNOMErio è infondato in diritto e inammissibile per la critica motivazionale perché generico e assertivo, nonché
volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 547 e segg.
Va premesso che, conformemente alla giurisprudenza di legittimità che lascia libera l’opzione metodologica (Sez. 5, n. 40020 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277528 – 01: «La determinazione della pena nel caso di delitto tentato può essere indifferentemente effettuata con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il metodo bifasico, mediante scissione dei due momenti indicati, fermi restando la necessità del contenimento della riduzione della pena prevista per il reato consumato nei limiti di legge e l’obbligo di dar conto in motivazione della scelta commisurativa»), il giudice di appello ha optato per l’utilizzo del metodo bifasico, individuando dapprima la cornice edittale (forbice tra minimo e massimo) per il reato consumato aggravato – tenendo conto dei criteri stabiliti da Sez. U, n. 42414 del 29/04/2021, Cena, Rv. 282096 – 01: «Le circostanze attenuanti che concorrono con aggravanti soggette a giudizio di comparazione ed una aggravante che non lo ammette in modo assoluto devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta per il reato aggravato dalla circostanza “privilegiata”, senza tener conto delle stesse» -, salvo poi ridurla per il tentativo sulla scorta dei parametri dell’art. 133 cod. pen.
In dettaglio, la Corte di appello ha così provveduto:
in relazione al delitto consumato del capo D), essendo prevista una pena «non inferiore ad anni 21 di reclusione», ha individuato la cornice edittale da 21 a 24 anni di reclusione;
ha attribuito prevalenza alla circostanza attenuante dell’art. 116 cod. pen. sulle circostanze aggravanti della recidiva e dell’art. 112, primo comma, cod. pen., con la conseguente necessità di operare sulla cornice edittale, dapprima l’aumento per la circostanza aggravante privilegiata dell’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen. e, successivamente, la diminuzione per la circostanza attenuante del concorso anomalo, ritenuta prevalente sulle altre aggravanti bilanciabili. In particolare, l’aumento di pena per la circostanza aggravante privilegiata è stato stabilito nella misura di un terzo sulla cornice edittale, così giungendosi a una forbice da 28 a 32 anni di reclusione, sulla quale applicare la diminuzione, non nella misura massima, per la circostanza attenuante dell’art. 116 cod. pen., giungendo a una cornice edittale da 22 a 25 anni di reclusione;
ha individuato la cornice edittale per la forma tentata, operando la diminuzione massima di due terzi sul minimo edittale di 22 anni di reclusione e la diminuzione minima di un terzo sul massimo di 25 anni di reclusione, così
perimetrando la forbice edittale per il delitto circostanziato tentato da 7 anni e 4 mesi di reclusione a 16 anni e 8 mesi di reclusione;
ha determiNOME la pena in 11 anni di reclusione, ridotta a 7 anni e 4 mesi per il rito.
È, all’evidenza, inconsistente la denunciata violazione dell’art. 66 cod. pen., sotto il profilo della cornice edittale da 28 a 32 anni di reclusione per effetto delle circostanze aggravanti privilegiate dell’art. 416-bis.1 cod. pen., poiché si tratta, non certo della pena da applicare, ma della cornice di uno dei passaggi che hanno condotto alla individuazione della forbice edittale per il reato tentato circostanziato nell’ambito della quale, poi, la pena è stata determinata nel rispetto del limite massimo di trenta anni.
Sotto il profilo motivazionale, del resto, la corretta applicazione dei parametri legali e l’ampia motivazione che accompagna i singoli fattori del calcolo, ivi compresa la differenziata individuazione della diminuzione da apportare per il tentativo nei suoi estremi del massimo e del minimo sanzioNOMErio, non si presta alle assertive critiche del ricorso.
13.3.3. Quanto si è detto al paragrafo n. 13.3.1. sulla natura del reato palesa l’inconsistenza del sesto motivo che si appunta la misura di sicurezza.
Il ricorso di NOME COGNOME è nel complesso infondato.
14.1. Il primo motivo, sulla responsabilità per i reati dei capi D) ed E), è inammissibile poiché esclusivamente versato in fatto e finalizzato a sollecitare una diversa valutazione di elementi di prova conformemente soppesati dai giudici di merito.
Valgono, anzitutto, le argomentazioni offerte in risposta all’analogo motivo di ricorso sviluppato nell’interesse di COGNOME, anche per quanto concerne alla attendibilità e credibilità dei collaboratori, al riconoscimento operato, alla prevedibilità, al concorso anomalo e al dolo.
Il ricorso si risolve in una diversa valutazione degli elementi di prova (dettagliatamente descritti alle pagg. 562 e segg.), senza che siano specificamente dedotti travisamenti e senza specificamente criticare il riconoscimento effettuato che lo NOME sul luogo dei fatti e, in particolare, all’inseguimento di COGNOME insieme al RAGIONE_SOCIALE di motociclisti appositamente costituito dai vertici mafiosi per invadere il territorio avversario e “scassare” quale appartenente al RAGIONE_SOCIALE dei “RAGIONE_SOCIALE“.
Analogamente, le doglianze sulla natura armata della spedizione e sulla previsione dell’evento più grave poi verificatosi sono manifestamente infondate per le ragioni dette ai paragrafi n. 2 e n. 3.
Le questioni sul dolo eventuale e sulla diminuente dell’art. 116 cod. pen., peraltro genericamente sviluppate, sono infondate alla luce di quanto si è esposto al paragrafo n. 3, tanto che, in merito alla gradazione del dolo, è sufficiente richiamare quanto logicamente esposto dai giudici di merito in merito agli stretti rapporti criminali esistenti con COGNOME, che risultano dalle non criticate dichiarazioni del collaboratore COGNOME, il quale conferma il ruolo di “uomo di fiducia” di COGNOME attivamente svolto da COGNOME, la partecipazione al RAGIONE_SOCIALE di Monte Pidocchio, opportunamente preallertato della missione da compiere, del quale facevano parte proprio i due sparatori (NOME COGNOME e NOME COGNOME).
14.2. Il secondo motivo, sulla riqualificazione del capo D), è inammissibile per le ragioni già dette a proposito dell’identico motivo di ricorso sviluppato nell’interesse di COGNOME.
14.3. Il terzo motivo, sulla desistenza, è inammissibile per le ragioni già dette a proposito dell’identico motivo di ricorso sviluppato nell’interesse di COGNOME.
Anzitutto esso muove dalla contraddittoria premessa, sviluppata al primo motivo, che NOME non abbia preso parte all’azione, sicché la questione della desistenza è palesemente incompatibile, oltre a essere priva di qualsiasi supporto argomentativo tenuto conto che NOME non ha mai asserito di avere tenuto un tale comportamento.
È pacifico, del resto, in ordine alla prospettata desistenza che, in conformità alla maggioritaria giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che nei reati a forma libera la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che, come nella specie, siano stati posti in essere gli atti da cui origine il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento (Sez. U, n. 29541 de116/07/2020, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020, P., Rv. 279170; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272677; Sez. 5, n.50079 del 15/05/2017, COGNOME, Rv. 271435; Sez. 5, n. 18322 del 30/01/2017, COGNOME, Rv. 269797).
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che, riguardo al delitto di omicidio, reato di danno a forma libera, il tentativo si perfeziona con l’attivazione del meccanismo causale capace di produrre – salvo l’intervento di fattori esterni – l’evento, determinandosi in questo caso quello che suole qualificarsi come tentativo compiuto.
Una volta realizzata tale condotta, non è più configurabile la desistenza volontaria a norma dell’art. 56, terzo comma, cod. pen., norma che non esime l’agente da pena, ma prende in considerazione solo gli atti già compiuti, se e in
quanto costituiscano diverso reato, mentre non è escluso, ai più limitati effetti della diminuzione di pena prevista, il recesso attivo regolato dal comma successivo, allorquando sia tenuta dall’agente una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento.
Per i suddetti reati di danno a forma libera, quindi, la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto, mentre non è configurabile una volta che siano stati attuati gli atti dai quali origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento (Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Rv. 252259 – 01; Sez. 1, n. 25917 del 12/02/2004, Rv. 228239 – 01; con riferimento ad altri reati, v. Sez. 5, n. 17241 del 20/01/2020′ Rv. 279170 – 01; Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018, Rv. 272677 – 01; Sez. 5, n. 50079 del 15/05/2017, Rv. 271435 – 01).
La censura, infine non si confronta con la motivazione del provvedimento impugNOME e con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale «in tema di tentativo il concorrente nel reato plurisoggettivo, per beneficiare della desistenza volontaria, non può limitarsi ad interrompere la propria azione criminosa, occorrendo, invece, un quid pluris consistente nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione che fino a quel momento si sono prodotte» (Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, Losurdo, Rv. 259250; recentemente: Sez. 5, n. 33100 del 01/03/2018, S., Rv. 274590).
Il ricorso, in proposito, neppure deduce che il ricorrente abbia realizzato qualsivoglia azione idonea alla eliminazione delle conseguenze dell’azione compiuta dal RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, che abbia posto nel nulla il contributo dal medesimo fornito ai compartecipi l’intento criminoso dei quali è stato ritenuto rafforzato proprio dalla condotta dell’imputato.
14.4. Il quarto motivo, che riguarda le circostanze e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile.
14.4.1. La doglianza sulla circostanza aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen. è dedotta in modo generico e assertivo perché incentra la questione su un presupposto errato, cioè che l’azione sia stata determinata da contrasti personali che riguardavano soltanto COGNOME.
Il ricorso non si confronta con l’ampia motivazione estesa alle pagg. 127 e segg., là dove si valorizzano le caratteristiche dell’azione logicamente ritenute tipicamente mafiose in ragione, tra l’altro, dell’ostentazione della forza nel territorio sottoposto a vincolo RAGIONE_SOCIALE.
Anche nella prospettazione ermeneutica più restrittiva, secondo la quale «l’aggravante dell’utilizzo del metodo RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è configurabile nel caso di condotte eziologicamente collegate all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole commissione del reato
e non in quello di mera connotazione mafiosa dell’azione o mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa» (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 01), risulta ampiamente chiarito dai giudici di merito, con una motivazione che non viene specificamente criticata, che l’azione punitiva si è avvalsa della metodologia mafiosa, sia nella ideazione, sia nell’organizzazione, sia nella fase esecutiva.
Anche in questo caso è sufficiente, per il resto, rinviare alle considerazioni svolte sub 6.4.1.
14.4.2. Il motivo, sulle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzioNOMErio, è inammissibile perché generico e assertivo, nonché volto a introdurre una diversa valutazione degli elementi sui quali si basa la decisione impugnata, dettagliatamente descritti alle pag. 597 e segg.
Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 29 ottobre 2025.