Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29365 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29365 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: 1.COGNOME NOME nato a Barletta il 06/09/1984 rappresentato e difeso dall’ NOME COGNOME, di fiducia, 2.COGNOME NOME nato a Mazara del Vallo il 14/07/1971 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia 3.COGNOME NOME nato a Benevento il 11/07/1983 rappresentato e difes dall’avv. NOME COGNOME di fiducia 4.COGNOME NOME nato a Benevento il 01/07/1983 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza del 16/04/2024 della Corte di appello di Milano, terza sezi penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; preso atto che è stata richiesta la trattazione orale; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi, riportandosi alla memoria scritta già depositata per la precedente udienza del 04/12/2024; preso atto che il difensore della parte civile NOME COGNOME non è comparso all’odierna udienza; preso atto che i difensori dei ricorrenti non sono comparsi all’odierna udienza; lette le conclusioni scritte tempestivamente depositate dall’avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente Dello COGNOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; dato atto che la celebrazione del presente giudizio, fissato per l’udienza del 04/12/2024, è stato differito una prima volta al giorno 26/02/2025, ulteriormente al 04/04/2025 e, infine, alla data odierna per impedimento legittimo ed assoluto dell’avV. NOME COGNOME difensore del ricorrente, con conseguente sospensione dei termini di prescrizione;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano del 06/03/2023, così statuiva:
confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME Stefano per i delitti di sequestro di persona e tentata estorsione, entrambi aggravati, in danno di COGNOME (capi A e B di imputazione) e rideterminava la pena inflitta in anni due mesi cinque giorni dieci di reclusione ed euro 1088,00 di multa, con revoca della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque;
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME NOME per i delitti di sequestro di persona, tentata estorsione, lesioni personali, aggravati, in danno di COGNOME (capi A, B e D di imputazione) e rideterminava la pena inflitta in anni tre giorni venti di reclusione ed euro 1444,00 di multa;
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME Luca per i delitti di sequestro di persona, tentata estorsione, rapina e lesioni personali, aggravati, in danno di NOME COGNOME (capi A, B, C e D di imputazione) e la pena inflitta nella misura di anni quattro mesi due giorni dieci di reclusione ed euro 2.000,00;
confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME NOME per i delitt di sequestro di persona, tentata estorsione e lesioni personali, aggravati, in danno di COGNOME (capi A, B e D di imputazione) e rideterminava la pena inflitta in anni tre giorni venti di reclusione ed euro 1444,00 di multa.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
2.1. Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati quattro motivi.
2.1.1. Con il primo motivo si deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. in punto di elemento soggettivo dei contestati reati di sequestro di persona e tentata estorsione.
La Corte territoriale non ha fornito risposta ai temi difensivi proposti nell’atto di appello con riferimento alla consapevolezza dell’imputato di partecipare ad un sequestro di persona e ad una tentata estorsione, omettendo in particolare di confrontarsi con il tema della prevedibilità da parte di Rutigliano della realizzazione di tali illeciti, messi in atto con azione repentina da altri soggetti nei confronti NOME COGNOME reo della sottrazione di sostanza stupefacente a COGNOME NOME.
I giudici di secondo grado hanno affermato che Rutigliano avrebbe agito secondo la logica tipica di chi fa parte di un contesto criminale a lui noto, assunto smentito dal certificato del casellario giudiziale sul quale risultano apposte due condanne per diserzione ed una per sottrazione di cose sottoposte a sequestro.
La richiesta di denaro e l’impossessamento dei beni attuata nei confronti di COGNOME non si sono realizzati al cospetto dell’imputato che, alle ore 19,52, si allontanava dalla casa; l’avere, su richiesta di altri, condotto la vittima nell abitazione dove poi si è consumata, in sua assenza, un’azione estorsiva non lo rende sic et simpliciter concorrente in tale illecito.
Proprio con riferimento al delitto di rapina, Rutigliano è stato assolto dal giudice di primo grado (responsabile è stato ritenuto il coimputato COGNOME e cioè colui che materialmente si era impossessato di beni appartenenti a Fam) e logica avrebbe voluto che egli venisse ritenuto estraneo anche al reato di estorsione atteso che la richiesta di denaro è stata effettuata quando già si era allontanato dalla casa e nulla depone nella direzione di una prevedibilità da parte sua della azione estorsíva realizzata da altri, in sua assenza.
Dalla stessa ricostruzione fornita dalla persona offesa emerge che l’incontro nella casa di proprietà NOME non era finalizzato ad ottenere denaro con condotte violente, ma semplicemente a chiarire chi effettivamente avesse sottratto lo stupefacente di proprietà di COGNOME; risulta altresì che Rutigliano era presente nel momento della aggressione fisica alla quale aveva, tuttavia, passivamente assistito senza parteciparvi e nel corso della quale non era stata esplicitata alcuna richiesta di denaro.
Non si comprende la ragione per cui la posizione di Rutigliano e quella di NOME (proprietario della casa ove avvenivano i fatti), del tutto
sovrapponibili tra loro, siano state invece trattate diversamente. Nei confronti di NOME è stata formulata dal pubblico ministero richiesta di archiviazione, quando invece egli ha partecipato per intero ai fatti e ha ricoperto un ruolo assai più pregnante rispetto a quello di Rutigliano che da un certo punto si allontanava dalla abitazione.
2.1.2. Con il secondo motivo si deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. in punto di mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 116, comma secondo, cod. pen.
Rileva il ricorrente, alla luce delle considerazioni sviluppate nel primo motivo, che, essendosi trattato di azioni estemporanee non concertate dai partecipanti nelle loro modalità esecutive, ciascuno può essere chiamato a rispondere unicamente dei fatti che poteva prevedere e che sono caduti nella sua sfera di volizione, quantomeno in termini di accettazione del rischio.
L’imputato, pertanto, potrà al più rispondere del delitto di lesioni in danno di COGNOME potendosi ipotizzare che egli, nel momento in cui lo ha condotto nella abitazione, avesse avuto contezza che il gruppo aveva l’intenzione di “punirlo” per il furto dello stupefacente.
2.1.3. Con il terzo motivo si deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. in punto di quantificazione dell’aumento di pena operato a titolo di continuazione per reato di sequestro di persona.
Al riguardo nell’atto di appello si era invocato un minor aumento in considerazione del ridotto contributo di Rutigliano (il quale non aveva partecipato alla fase della immobilizzazione di Fam Maichel) che già il giudice di primo grado aveva riconosciuto e posto a base delle concesse circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione dei modesti precedenti penali.
La Corte territoriale ha reso una motivazione apparente: da un lato, facendo riferimento ai precedenti penali e non valorizzando il ruolo marginale svolto dall’imputato, così ponendosi in aperta contraddizione con la pronuncia di primo grado, e dall’altro evocando genericamente la “gravità dei fatti”.
2.2. Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento agli artt. 192 codice di rito, 110, 112, 116 e 56-629 cod. pen, difetto e contraddittorietà della motivazione.
Il giudice di primo ha assolto l’imputato per il contestato delitto di rapina in danno di Fam NOME ritenendo che tra l’esecutore materiale (COGNOME Luca) ed i coimputati non vi fosse stato un accordo per la realizzazione di tale azione
predatoria, del tutto avulsa dall’intesa che aveva portato il gruppo a chiedere conto a Fam del mancato pagamento di una fornitura di droga.
Rispetto alla condanna per i reati di tentata estorsione e lesioni personali, la Corte territoriale non ha motivato – se non in apparenza e comunque in via illogica e contraddittoria – le ragioni della conferma di tale giudizio di responsabilità.
L’unico dato a carico del COGNOME è la sua presenza (mai negata) all’appuntamento con NOME, senza alcuna partecipazione alla successiva aggressione di costui.
I giudici di appello hanno confuso la condotta di NOME (rimasto in realtà in disparte durante il pestaggio) con quella di altro soggetto pure presente (tale NOMECOGNOME i cui tratti somatici sono del tutto sovrapponibili a quelli dell’imputato, cos incorrendo in un errore di persona.
Il ricorrente non aveva alcun interesse economico nella vicenda sottostante ai fatti, non organizzava l’appuntamento con la vittima presso la casa di NOME (che non conosceva), si staccava dal gruppo nel momento in cui Fam negava di essere responsabile della sottrazione dello stupefacente contestatagli da NOME ed era aggredito da NOME e da NOME COGNOME, neppure partecipava ai successivi tentativi di recupero della droga o del suo corrispettivo; addirittura si recava nella casa con il proprio cellulare e con l’auto intestata alla moglie .
Il coimputato COGNOME ha dichiarato che proprio COGNOME era intervenuto per far cessare l’aggressione ai danni di COGNOME il quale non lo ha riconosciuto tra i suoi aggressori, confondendolo con NOME.
La deposizione di NOME (che ha indicato tra gli autori del pestaggio anche il COGNOME, oltre al NOME e a COGNOME) non è stata vagliata sotto il profilo della attendibilità, così come tale verifica non è stata effettuata rispetto al racconto connotato da intrinseche discrasie ( sotto il profilo delle condotte attribuite all’uno o all’altro dei soggetti componenti il gruppo) reso dalla persona offesa Fam che si è costituta parte civile e che ha tenuto un atteggiamento omertoso negando di essere un trafficante di droga e di essere a conoscenza della sottrazione della partita di hashísh.
Quand’anche il ragionamento logico sotteso alla sentenza impugnata fosse ritenuto coerente e non censurabile, rimane in ogni caso non adeguatamente motivata l’esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen. in virtù della qual l’imputato dovrebbe rispondere delle sole lesioni cagionate a Fam (in danno del quale poteva al più prevedere “qualche schiaffo”) e non anche del tentativo di estorsione e del sequestro di persona.
L’intendimento di COGNOME era solo quello di ottenere notizie in ordine alla sparizione della droga e risalire al Palazzolo (altro soggetto ritenuto coinvolto in tale vicenda); nel suo incarico non rientravano la successiva privazione della
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libertà personale della vittima e l’azione diretta a costringere costei a pagare una somma di denaro.
Anche le aggravanti contestate con riferimento alla tentata estorsione (uso di un’arma e fatto commesso in più persone riunite) non possono ascriversi all’imputato atteso che COGNOME non ha partecipato alla aggressione, che l’azione estorsiva non era stata pre-concordata e che l’utilizzo della pistola è avvenuto ad opera del solo COGNOME a fini di rapina.
2.2.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento agli artt. 605 e 628, comma terzo n. 2, cod. pen, difetto e contraddittorietà della motivazione
Una volta affermata la responsabilità per il delitto di sequestro di persona, la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere l’aggravante dello stato di procurata incapacità contestata in relazione al tentativo di estorsione, ritenendola assorbita nella concorrente fattispecie di cui all’art. 605 cod. pen.
2.3. Nell’interesse di COGNOME Luca sono stati articolati sei motivi di ricorso.
2.3.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla responsabilità dell’imputato per i reati ascritti.
La stessa Corte territoriale ha dato conto che il riconoscimento dell’imputato da parte di NOME COGNOME è avvenuto in termini di non assoluta certezza; la persona offesa ha anche fornito una descrizione del proprio assalitore in termini che non combaciano minimamente con le caratteristiche fisiche di COGNOME ed in merito a tali divergenze non è stato argomentato alcunchè.
I giudici di appello hanno altresì omesso di considerare l’ipotesi che ad aggredire il Fam sia stato il soggetto, pure presente nella casa, indicato come NOME, soggetto albanese e tatuato sul braccio.
2.3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 628 cod. pen. e agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen.
Il giudizio di responsabilità in ordine al delitto di rapina si fond esclusivamente sulle dichiarazioni rese dai coimputati atteso che la persona offesa non ha saputo indicare il soggetto che gli aveva sottratto un anello, una collana e le chiavi di casa.
Tali portati dichiarativi sono inattendibili perché contradditori e palesemente volti ad allontanare ogni sospetto da ciascun dichiarante, oltre che privi di riscontri i nd ivid ualizza nti .
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2.3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 628, comma terzo n. 1, cod. pen nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Rileva il ricorrente che le aggravanti contestate in relazione al delitto di rapina non si configurano: non ricorre quella dell’avere commesso il fatto in più persone riunite atteso che la responsabilità dell’azione predatoria è stata attribuita al solo COGNOME, neppure è integrata quella dell’uso di armi (coltello o pistola) poiché la persona offesa ha riferito di avere visto tali oggetti solo nella fase successiva al suo risveglio.
2.3.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 605 cod. pen e agli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Le concrete modalità con le quali la persona offesa sarebbe stata privata della libertà di locomozione rappresentano l’elemento materiale dei delitti di tentata estorsione e di rapina nei quali, dunque, il reato di sequestro di persona doveva ritenersi assorbito.
Nel caso di specie, infatti, la violenza usata per immobilizzare la vittima si esauriva con il mezzo immediato di esecuzione della rapina e del tentativo di estorsione.
2.3.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 132 cod. pen e all’art. 533, comma 2, cod. proc. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi in ordine alle censure dedotte nell’atto di appello relativamente agli aumenti di pena operati a titolo di continuazione dal primo giudice che, a sua volta, non aveva indicato le ragioni poste a base di tale dosimetria.
2.3.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen., per erronea applicazione della legge penale con riferimento agli art. 125, comma 3, e 546 cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità a carico dell’imputato richiamando semplicemente le fonti di prova raccolte senza, tuttavia, esplicitare alcun ragionamento in ordine alla loro concreta rilevanza rispetto alla partecipazione di COGNOME ai reati contestati.
2.4. Nell’interesse di COGNOME NOME sono stati articolati tre motivi di ricorso.
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2.4.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen.
La Corte territoriale ha individuato in capo a COGNOME il ruolo di mandante delle azioni delittuose contestate, materialmente commesse dai coimputati, e ha motivato tale assunto “ricorrendo a mere ipotesi… non suffragate da dati concreti”.
Agli atti non vi è prova di un “mandato” in tal senso, lo scopo dell’imputato non era una aggressione violenta, con armi e narcotici, in danno di Fam COGNOME, ma semplicemente quello di recuperare il suo denaro.
I giudici di appello hanno richiamato circostanze che non assurgono a indizi gravi precisi e concordanti: l’azione simultanea di COGNOME e di COGNOME, in sé e per sé non è sintomo della ricezione di un mandato da parte di COGNOME; l’avere attirato la vittima con un pretesto nella abitazione ove poi veniva aggredita è un dato neutro; la telefonata ricevuta la sera del fatto da Fam è irrilevante poiché quest’ultimo ha affermato che l’interlocutore era un tale NOME dall’accento napoletano e non COGNOME, a lui ben noto; la frase riferita dalla persona offesa (“siamo riusciti a trovarti dopo due mesi, adesso hai cinque giorni per pagare, cinque 5 giorni per portarci NOME, ad NOME facciamo peggio di quello che abbiamo fatto a te”) non prova l’esistenza del mandato, ma semmai la sola adesione ex post ad azioni delittuose altrui.
2.4.2. Con il secondo motivo si deduce carenza ed illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen.
I coimputati hanno agito oltre le intenzioni di COGNOME, ricorrendo ad azioni violente non volute né preventivate, come si ricava da un passaggio dell’interrogatorio di COGNOME il quale riferiva che, dopo i fatti, COGNOME avev rimproverato sia lui che COGNOME per quello che avevano “combinato” e aveva detto loro che Fam avrebbe dovuto solo essere spaventato.
La Corte di appello ha ritenuto inattendibile tale assunto, salvo poi contraddittoriamente dare credito ad altra parte delle dichiarazioni con le quali COGNOME aveva sostenuto che COGNOME aveva consegnato a COGNOME il narcotico e parte della refurtiva rapinata, così coinvolgendolo nella rapina da cui l’imputato è stato però assolto.
2.4.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in ordine alla configurazione delle aggravanti dell’uso di un coltello, di una pistola e di narcotico.
Sotto un primo profilo, rileva il ricorrente che di tali oggetti ha parlato solo l persona offesa la quale, con riferimento all’arma, non ha dichiarato di averla vista, bensì di avere avuto la sensazione che essa gli fosse stata puntata alla tempia; che il testimone oculare NOME non ha riferito dell’esistenza ed utilizzo di armi da parte degli aggressori; che le analisi mediche non recano traccia della assunzione di narcotico da parte di Fam.
Sotto un secondo profilo, osserva il ricorrente che, in ogni caso, non vi è prova che COGNOME abbia saputo, voluto o addirittura disposto che di tale strumentazione si facesse uso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME ha ad oggetto censure che attengono esclusivamente alla struttura motivazionale della sentenza impugnata e va dichiarato inammissibile.
1.1. Generici sono il primo ed il secondo motivo (correlati tra loro e, dunque, esaminabili congiuntamente) con i quali ci si duole della carenza e comunque manifesta illogicità del costrutto argomentativo con riferimento all’affermato giudizio di responsabilità concorsuale dell’imputato ed al mancato riconoscimento della attenuante di cui all’art. 116, comma secondo, cod. pen.
La difesa ricorrente non si confronta con l’ampia motivazione del provvedimento impugnato (pagg da 15 a 17) che, con argomentazioni non manifestamente illogiche ed aderenti al compendio probatorio richiamato in entrambe le pronunce di merito, ha ritenuto Rutigliano partecipe nei delitti di sequestro di persona e tentata estorsione con condotta adesiva al progetto concordato e poi realizzato in tali termini , escludendo conseguentemente l’ipotesi di concorso anomalo che ricorre allorquando il reato in concreto da altri commesso sia diverso da quello voluto.
La Corte territoriale muove da elementi fattuali non contestati in questa sede nella loro obiettiva esistenza dalla cui valenza complessiva ha ricavato la partecipazione fattiva e consapevole dell’imputato ai reati contestati e realizzati nella loro materialità da altri, in particolare ha valorizzato le seguenti circostanze:.
-Rutigliano, su incarico del coimputato COGNOME e con un pretesto, aveva attirato NOME COGNOME in una abitazione poiché questi doveva rendere conto di una partita di stupefacente a lui venduta dallo stesso COGNOME e non pagata;
per stessa ammissione di COGNOME e del correo COGNOME la problematica da risolvere non avrebbe potuto essere efficacemente affrontata e risolta con un semplice contatto telefonico o con un appuntamento in luogo diverso, al quale NOME COGNOME si sarebbe certamente presentato, sicchè occorreva trovare una scusa che lo inducesse a presentarsi;
-al cospetto di Rutigliano si era subito manifestata la violenza dei correi (circostanza significativa di un previo accordo con costoro) che, senza alcuna preliminare interlocuzione verbale, avevano bloccato NOME COGNOME non appena aveva fatto ingresso nella casa ove era atteso prendendolo per le spalle, gli avevano fatto perdere i sensi ponendogli su naso e bocca un panno imbevuto di
narcotico, lo avevano imbavagliato ed immobilizzato legandogli mani e piedi per poi aggredirlo con calci e pugni;
l’imputato aveva assistito a tale pestaggio rimanendo del tutto inerte ed anche totalmente indifferente alle reiterate richieste di aiuto di NOME COGNOME che, appunto, aveva lui stesso attirato con l’inganno nella abitazione con la piena consapevolezza del fatto che costui avrebbe dovuto dar conto all’intero gruppo del mancato pagamento dello stupefacente a COGNOME;
-Rutigliano, dopo i fatti, aveva chiesto al proprietario di casa e al coimputato COGNOME di essere percosso, in modo da precostituirsi una prova tangibile volta a dimostrare l’assenza di accordo con i correi rispetto alla brutale aggressione realizzata danno di NOME COGNOME.
In tale quadro, la Corte di appello ha ritenuto irrilevante – ai fini della integrazion della tentata estorsione anche in capo all’imputato- la circostanza che la richiesta della somma di 25.000,00, quale corrispettivo della partita di droga preteso a seguito del brutale pestaggio e ad esso funzionale, fosse stata formulata dai correi in un momento in cui Rutigliano aveva lasciato la casa, teatro della spedizione punitiva ove Fam Maichel era stato condotto proprio grazie al suo apporto con modalità e per ragioni in virtù delle quali egli aveva consapevolmente aderito alla programmata spedizione punitiva che contemplava un’azione violenta nei confronti di quest’ultimo (nel cui contesto gli veniva anche puntato un coltello sotto l’occhio) volta a costringerlo al pagamento della somma di cui era debitore.
La Corte distrettuale ha anche spiegato, in replica alle deduzioni difensive contenute nell’atto di appello, che nessun concreto apporto causale aveva, invece, fornito NOME COGNOME il proprietario della abitazione ove erano avvenuti i fatti, sicchè l’affermazione di responsabilità Rutigliano non presentava profili di contraddittorietà con la disposta archiviazione della posizione di costui, per nulla sovrapponibile; così come l’assoluzione dell’imputato per l’addebito di rapina era da ricondurre alla assenza di prova in ordine ad un contributo fornito rispetto a tale ulteriore ed estemporanea azione predatoria decisa e realizzata dal solo COGNOME e non si poneva, pertanto, a sua volta in contraddizione con il giudizio di colpevolezza per gli addebiti di sequestro di persona e tentata estorsione rispetto ai quali il compendio probatorio era, invece, concludente nel dimostrare un fattivo e consapevole apporto partecipativo.
Si tratta di un apparato motivazionale non illogico e condotto in osservanza della regola di giudizio dettata dal consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale, in caso di processo indiziario, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi raccolti, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare ciascuno di essi per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi
di fatti reali e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica), per poi successivamente, procedere ad un esame globale per accertare se la -astratta- relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa, in una visione unitaria, risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato” al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè co un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana e comunque prive di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali (ex multis Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020dep. 2021, S., Rv. 280605; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321-01; Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013, COGNOME, Rv. 255677).
La lettura della sentenza impugnata fornisce contezza di come la Corte distrettuale abbia operato l’opportuna valutazione, sia unitaria che globale, dei dati raccolti, e il loro logico raccordo per superare la parzialità del singolo elemento informativo, così giungendo all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato nel rispetto dello standard probatorio di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., che già la decisione di primo grado aveva ritenuto integrato.
Quanto alla valenza concorsuale della condotta prestata dal ricorrente, correttamente il collegio di merito ha affermato che nessun rilievo assume a detti fini la circostanza che l’imputato non abbia rivolto alla persona offesa alcuna minaccia ovvero agitato la richiesta estorsiva in quanto l’attività costitutiva del concorso di persone nel reato può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione o esecuzione, di talchè assume carattere decisivo l’unitarietà del ” fatto collettivo” realizzato che si verifica quando le condotte de ricorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in un unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati ed è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui ( Sez. 1, n. 28794 del 15/02/2019, COGNOME, Rv. 276820; Sez. 2 n. 990 del 13/06/2025, COGNOME, non mass.).
1.2. Non consentito e comunque generico è anche il terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta che la Corte di appello non avrebbe fornito motivazione in ordine alla mancata diminuzione degli aumenti di pena operati a titolo di continuazione con riferimento ai reati satellite.
Il collegio di merito ha, invece, precisamente argomentato in ordine alla congruità del quantum determinato ex art. 81 cod. pen. (pag. 18 della sentenza impugnata) richiamando espressamente la gravità dei fatti commessi (con
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implicito riferimento al già descritto apporto causale) e la negativa personalità dell’imputato gravato da precedenti penali plurimi, così correttamente applicando gli indici di commisurazione della pena previsti dall’art. 133 cod. pen.
Va ricordato il consolidato orientamento di questa Corte per il quale la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., proprio come avvenuto nella specie, sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione del giudizio di congruità la cui affermazione, come nella specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME Daniele, Rv. 281217).
È inoltre principio condiviso quello per cui è da ritenere adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo non essendo il giudice tenuto a una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che egli dia l’indicazione di quelli riten rilevanti e decisivi ( Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, COGNOME, Rv. 142252, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142-01, Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288).
2.11 ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è parimenti inammissibile.
2.1. Rispetto alle doglianze prospettate con il primo motivo, la difesa ricorrente mostra di obliterare l’ampia motivazione del provvedimento impugnato (pagg. 21 e 22) che, sempre nella corretta ottica di una valutazione non parcellizzata ma congiunta del compendio probatorio, ha ritenuto l’imputato concorrente nei delitti di sequestro di persona, tentata estorsione e lesioni personali poiché consapevole partecipe sia della fase ideativa ed organizzativa della aggressione violenta di Fam Maichel finalizzata ad ottenere il pagamento della partita di stupefacente di proprietà di COGNOME che di quella materialmente esecutiva e ha, pertanto, logicamente escluso l’ipotesi di concorso anomalo.
Muovendo, ancora una volta, dalla lettura congiunta e logica di elementi fattuali non contestati in questa sede nella loro obiettiva esistenza, la Corte di appello ha argomentato sulla piena adesione alla spedizione punitiva di Mori che aveva organizzato, per sua stessa ammissione, unitamente a COGNOME e COGNOME, la conduzione di Fam NOME nell’appartamento ove era avvenuta l’aggressione e la richiesta estorsiva, al preciso scopo di risolvere la questione relativa al mancato
pagamento della partita di stupefacente di proprietà di COGNOME; COGNOME aveva inoltre partecipato in prima persona al pestaggio di NOME, deponendo in tal senso il riconoscimento, seppure non assolutamente certo, della vittima che lo aveva indicato come l’uomo calvo e robusto facente parte del gruppo aggressore e le dichiarazioni fornite dal proprietario di casa NOME che aveva indicato, quali autori, proprio il COGNOME, oltre a COGNOME NOME e tale NOMECOGNOME
Il collegio di merito, con motivazione adeguata sia in fatto che in diritto, ha pertanto correttamente ricondotto l’agire di Mori nell’alveo della responsabilità a titolo di concorso ordinario, escludendo che Mori fosse stato semplicemente presente sul luogo teatro dei fatti nell’abitazione senza alcun ruolo attivo nella realizzazione degli stessi.
Né può dirsi- come ventilato nel ricorso – che i giudici di appello abbiano “confuso” il Mori con il NOME, al contrario hanno dato conto che entrambi avevano materialmente partecipato alla aggressione nei confronti di NOME, come to emerso dagli apporti dichiarativi della persona offesa (il cui giudizio di generale attendibilità, già puntualmente affermato nella sentenza di primo grado in virtù dei plurimi riscontri oggettivi raccolti in atti, è stato condiviso dal collegio) e testimone oculare NOMECOGNOME
Palesemente priva di pregio è anche la deduzione difensiva in ordine alla erronea configurazione in capo all’imputato delle aggravanti dell’avere commesso i fatti in più persone riunite e mediante l’uso di arma.
La censura parte dal presupposto che Mori non abbia preso parte alla spedizione punitiva, quando la Corte di appello, sulla scorta di una lettura aderente ai dati processuali, ha ritenuto, invece, l’imputato partecipe di tale progetto delittuoso, materialmente attuato con violenza collettiva alla persona e minaccia (quest’ultima consistita nel puntargli un coltello sotto l’occhio) da parte di un gruppo composto da almeno quattro persone, del quale egli aveva fatto parte.
2.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta la mancata esclusione, con riferimento al reato di tentata estorsione, della aggravante dello stato di procurata incapacità, poiché assorbita nell’addebito di sequestro di persona.
L’avere posto la vittima in stato di incapacità non solo di agire ma anche di volere (mettendole sulla bocca e sul naso un panno imbevuto di narcotico, così’ da farle perdere i sensi) è circostanza che esula dalla privazione della libertà personale che costituisce la condotta tipica del sequestro di persona.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è ugualmente inammissibile.
3.1. Il primo, il secondo ed il sesto motivo, con i quali si censura la violazione di legge, con riferimento agli artt. 125, comma 3, 192 e 546 cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione in punto di giudizio di responsabilità, sono non consentiti e comunque generici.
Indeducibile è il primo profilo di doglianza dovendosi richiamare e ribadire l’orientamento di questa Corte secondo il quale le doglianze relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191-01; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294-01; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567-01; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159-01). Di recente anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che “non è consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-04, in motivazione).
La deduzione, dunque, può essere esaminata solo sotto l’aspetto del vizio motivazionale che in questa sede è stato genericamente dedotto in forma cumulativa e cioè con riferimento al triplice profilo della mancanza, carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, chiaramente insussistente, alla luce delle argomentazioni sviluppate nella sentenza impugnata, in larga parte obliterate dalla difesa che, in sostanza, reitera una doglianza di puro merito, sollecitando in questa sede un sindacato sulle valutazioni effettuate ed invocando di fatto una inammissibile rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata.
La Corte di appello ha ritenuto la partecipazione di COGNOME ai reati di I sequestro di persona, tentata estorsione, lesioni aggravate ed anche al delitto di rapina (per il quale è stato ritenuto unico responsabile) fondando tale assunto non solo sul riconoscimento fotografico operato dalla persona offesa rispetto al quale dava conto che esso era stato effettivamente operato in termini di non assoluta certezza, ma anche su numerosi altri elementi, tutti convergenti nell’individuare l’imputato nell’aggressore ” tatuato con la maglia blu” descritto da NOME (pagg. 20 e 21 della sentenza impugnata). In particolare, il collegio di merito ha dato conto della effettiva presenza sugli arti superiori dell’imputato di plurimi tatuaggi, anche di grandi dimensioni (come direttamente apprezzati dal giudice di
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primo grado) e ha valorizzato l’attendibile ricostruzione della persona offesa e del testimone oculare NOME COGNOME oltre alle chiamate in correità operate dai coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME, ritenute assistite da riscontri individualizzanti rappresentati, appunto, dal narrato della vittima e del proprietario della casa, così operando la dovuta verifica di attendibilità alla stregua del criterio di cui all’a 192, comma 3 cod. proc. pen. che, pertanto, non è sindacabile in questa sede.
La lettura complessiva di tali elementi probatori indicava, quindi, l’imputato non solo come uno dei soggetti presenti nel luogo di appuntamento “trappola” ed incaricato di attirarlo in tale luogo con un pretesto, ma anche come colui che aveva bloccato Fam alle spalle, al momento dell’ingresso nella casa, gli aveva legato mani e piedi e, nel corso del pestaggio, si era pure impadronito della collana e dell’anello di proprietà della vittima portandoli con sé dopo l’allontanamento dall’abitazione.
3.2. Non consentiti sono il terzo e quarto motivo di ricorso con i quale si censurano, rispettivamente, la ritenuta sussistenza delle aggravanti contestate con riferimento al delitto di rapina ed il mancato assorbimento del delitto di sequestro di persona nei reati di rapina e tentata estorsione.
Si tratta di doglianze non proposte con l’atto di gravame avverso la sentenza di primo grado e, dunque, tardivamente prospettate, essendo indeducibili per la prima volta in sede di legittimità violazioni di legge non precedentemente proposte con i motivi di appello, come stabilito dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
3.3. Non consentito e comunque generico è anche il quarto motivo di ricorso con il quale si lamenta che la Corte di appello non avrebbe fornito motivazione in ordine alla mancata diminuzione degli aumenti di pena operati a titolo di continuazione con riferimento ai reati satellite.
Ribaditi i principi di diritto illustrati nel paragrafo 1.2., il collegio di merit invece, precisamente argomentato in ordine alla congruità del quantum determinato ex art. 81 cod. pen. richiamando espressamente la gravità dei fatti commessi e la negativa personalità dell’imputato gravato da precedenti penali plurimi e specifici, così correttamente applicando gli indici di commisurazione della pena previsti dall’art. 133 cod. pen.
Anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
4.1.Del tutto generiche sono le prospettazioni difensive contenute nel primo motivo di ricorso con cui si censura il giudizio di responsabilità assumendo che la Corte di appello avrebbe attribuito all’imputato il ruolo di mandante “ricorrendo a mere ipotesi … non suffragate da dati concreti”, valorizzando circostanze neutre che non assurgono a indizi gravi, precisi e concordanti, e omettendo di considerare che l’intento dell’imputato era solo quello di recuperare il proprio credito.
Ribadita la regola di giudizio applicabile in caso di processo indiziario già richiamata nel paragrafo 1.1., di essa ha fatto corretta applicazione la Corte di appello (pag. 18 e 19 della sentenza impugnata) valutando globalmente una serie di elementi probatori (che invece, nel ricorso, sono parcellizzati con valutazione atomistica) gravi, precisi e concordanti in merito al ruolo di COGNOME quale attivo e consapevole concorrente, in qualità di mandante, nei reati di sequestro di persona, tentata estorsione e lesioni personali.
In particolare, il collegio di merito ha raccordato tra loro le seguenti circostanze: –COGNOME era il soggetto che aveva personale interesse al recupero del corrispettivo della partita di droga ceduta a Fam Maichel;
COGNOME e NOME COGNOME erano stati da lui incaricati di tale recupero e per tale ragione avevano, con un pretesto, attirato il debitore nella casa;
–COGNOME e COGNOME avevano immobilizzato e percosso NOME COGNOME all’atto dell’ingresso di costui nella abitazione ove era stato condotto da Rutigliano ed ove era atteso, tale circostanza dimostrava che i tre avevano ricevuto il medesimo mandato, per di più la vittima era stata immediatamente narcotizzata, sicchè era implausibile l’ipotesi alternativa di un incarico finalizzato ad una mera interlocuzione verbale con il debito per sollecitarlo al pagamento dello stupefacente;
-il coimputato COGNOME aveva dichiarato che, successivamente alla esecuzione del mandato punitivo, COGNOME aveva consegnato a COGNOME la bottiglia utilizzata per narcotizzare la vittima.
In tale contesto già altamente significativo, la Corte distrettuale ha ritenuto decisiva, ai fini della responsabilità di COGNOME nel ruolo di mandante dell’azione estorsiva e del necessario riscontro individualizzante rispetto alle chiamate in correità operate nei suoi confronti, la telefonata ricevuta da Fam dopo la liberazione proveniente da un’ utenza che, nell’occasione, aveva agganciato celle non distanti dal luogo in cui COGNOME, all’epoca, si trovava agli arresti dorniciliari cui interlocutore era un soggetto con accento napoletano (COGNOME aveva riferito che effettivamente COGNOME parlava in tal modo).
Costui si era presentato con il nome di NOME ed aveva esordito con la frase “hai visto? Siamo riusciti a trovarti dopo due mesi! Adesso hai 5 giorni per pagare, hai cinque giorni per portarci NOME! Ad NOME facciamo peggio di quello che abbiamo fatto a te!…i miei amici albanesi sono stati bravi, pensa che volevano pure portarti via.. . . “, affermazione che, anche nell’uso della forma verbale al plurale, dimostrava come l’operato dei correi fosse stato esattamente corrispondente all’incarico a loro demandato e non una mera sollecitazione al pagamento della partita di stupefacente.
Tale chiamata era stata, tra l’altro, preceduta da altra telefonata proveniente dalla stessa utenza il cui interlocutore – dalla voce riconosciuto da COGNOME come uno dei soggetti presenti alla aggressione – gli aveva, a sua volta, ricordato di avere cinque giorni di tempo per consegnare i 25.000,00 euro, richiesti nel corso della aggressione, così ulteriormente illuminando la natura estorsiva della pretesa economica.
4.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo con il quale si deduce il vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen.
Del tutto logica è la conclusione alla quale è pervenuta la Corte di appello laddove, alla luce della valutazione probatoria richiamata al paragrafo precedente, ha escluso l’ipotesi del concorso anomalo atteso che gli esecutori materiali della spedizione punitiva consumata a fini estorsivi non erano andati oltre le intenzioni espresse da COGNOME ma, al contrario, avevano agito in maniera corrispondente all’incarico da lui impartito.
4.3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce l’insussistenza delle aggravanti contestate (uso di arma e procurata incapacità di volere mediante utilizzo di narcotico) e, in ogni caso, l’esclusione della imputazione soggettiva delle stesse a carico di COGNOME.
Quanto al primo profilo, dalla corretta ricostruzione fattuale operata dal collegio di merito, emerge che la complessiva azione criminosa è stata realizzata in più persone riunite, mettendo sul naso e sulla bocca della vittima un panno imbevuto di liquido che la faceva perdere momentaneamente i sensi ( senza alcuna ingestione di tale sostanza, della quale pertanto è logico non sia stata trovata traccia nelle analisi mediche) e con l’uso di un coltello che veniva puntato sotto l’occhio della vittima al suo risveglio.
Quanto al secondo profilo, sempre dalla ricostruzione fattuale discende, come la Corte di appello (pag. 19 della sentenza impugnata) abbia correttamente affermato che COGNOME aveva delegato una vera e propria spedizione punitiva nei confronti di NOME tanto da dire a quest’ultimo “ad NOME facciamo peggio di quello che abbiamo fatto a te” che ben poteva prevedere uso di oggetti atti ad offendere e volti a porre la vittima in condizioni tali da non potere reagire come in concreto effettivamente avvenuto.
Si tratta della corretta applicazione del disposto di cui all’art. 59, comma secondo, cod. pen. con riferimento al quale la “conoscenza” o l’ignoranza per colpa”, devono intendersi come “previsione” o “prevedibilità” della circostanza del reato avente natura oggettiva, in quanto concernente le modalità dell’azione che, in quanto tale, si comunica ai correi non presenti sul luogo della consumazione.
5. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento, ciascuno, della somma di euro tremila
in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Così deciso in Roma il 20/06/2025
Il Pr idente