Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27630 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27630 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME NOME nato a CARIATI il 18/06/1984 COGNOME NOME nato in GERMANIA l ‘ 11/06/1971 NOME nato a CIRO’ MARINA il 20/08/1971 NOME nato a VIBO VALENTIA il 05/08/1978
avverso la sentenza del 17/05/2024 della Corte d’appello di Catanzaro.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME, il rigetto dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
L’Avv. COGNOME Renato del foro di Roma in difesa delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME Maria si riporta alle conclusioni scritte, chiedendo che venga pronunciato il rigetto di tutti i ricorsi, che deposita congiuntamente alla nota spese.
L’Avv. COGNOME NOME del foro di Crotone in difesa di NOME NOME si riporta ai motivi del ricorso e chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
L’Avv. COGNOME NOME del foro di Castrovillari in difesa di COGNOME NOME si riporta ai motivi del ricorso.
L’Avv. COGNOME NOME del foro di Crotone in difesa di COGNOME NOME insiste nei motivi del ricorso chiedendo venga pronunciato annullamento della sentenza impugnata.
L’Avv. COGNOME Vincenzo COGNOME del Foro di Reggio Calabria in difesa di NOME COGNOME insiste nei motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro, confermava la responsabilità dei ricorrenti per gli altri reati loro ascritti e, segnatamente, di NOME COGNOME per i reati descritti ai capi b), c), i), j), l) ed m) (quattro rapine di cui due tentate, delle lesioni ed un danneggiamento), di NOME COGNOME per i reati descritti ai capi b), l), m) (tre rapine di cui due tentate), di NOME COGNOME per i reati descritti ai capi b), c), o) e p) (una rapina, delle lesioni, una ricettazione ed una truffa), di NOME COGNOME per il reato descritto al capo b) (una rapina).
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 628 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per la rapina descritta al capo b): sarebbe stata travisata la testimonianza di NOME COGNOME che, contrariamente a quanto ritenuto, non avrebbe riconosciuto il ricorrente come colui che guidava la Fiat 600 utilizzata per l’azione criminosa; inoltre non sarebbe un elemento idoneo a confermare la responsabilità il fatto che l ‘Ausilio fosse stato controllato dai carabinieri su una Fiat 600 di colore nero; si allegava, infine, che non vi sarebbe la prova di nessun pestaggio.
La motivazione sarebbe illogica e carente anche in relazione alla conferma della responsabilità per la rapina descritta al capo i) in quanto i testi escussi non avrebbero individuato l’COGNOME come colui che, al momento della tentata rapina, si trovava all’interno dell’autovettura controllata dai carabinieri.
Identiche criticità presenterebbe la motivazione relativa alla conferma della responsabilità in ordine ai capi e) ed m) della rubrica accusatoria: la condanna sarebbe fondata solo sulla valorizzazione dei contenuti delle intercettazioni, invero insufficienti a dimostrare la colpevolezza, anche tenuto conto della assenza di conferme da parte dei testimoni che avevano reso al riguardo dichiarazioni generiche;
2.2. violazione di legge (artt. 582, 585 e 535 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per i reati contestati ai capi c) e j), che sarebbe stata giustificata con motivazione insufficiente;
2.3. violazione di legge (art. 62bis cod. pen.) e vizio di motivazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche: il diniego del beneficio sanzionatorio sarebbe stato giustificato con motivazione insufficiente.
Ricorreva per cassazione anche il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
3.1. violazione di legge (art. 628 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per la rapina contestata al capo b): si deduceva che (a) non sarebbero stati adeguatamente considerati i rilievi proposti con la prima impugnazione in ordine alla capacità dimostrativa della conversazione intercettata il 2 marzo 2015 intercorsa tra la COGNOME e COGNOME, (b) non sarebbero state valutate le allegazioni in ordine alla discrasia tra l’orario in cui era stata consumata la rapina e quello in cui erano intervenuti i contatti tra il COGNOME e la COGNOME, (c) sarebbe stata illogicamente confermata la responsabilità in relazione al capo b) sulla base di una ipotetica azione agevolatrice avente ad oggetto la condotta contestata al capo e), (d) sarebbero state illogicamente valorizzate le richieste di denaro rivolte al COGNOME dai correi (che, secondo i giudici di merito sarebbero giustificate dal fatto che il COGNOME aveva reclutato la COGNOME e, quindi, doveva risponderne per il comportamento inaffidabile);
3.2. violazione di legge (art. 628 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per le condotte descritte ai capi l) ed m): si deduceva che sarebbe stata erroneamente interpretata la conversazione intercettata il 24 febbraio 2015 e risulterebbero illogicamente svilite le circostanze rappresentate dalla difesa, che aveva allegato che dalla enfatizzata conversazione emergerebbe solo che il COGNOME aveva raccontato alla COGNOME di essere a conoscenza del fatto che gli autori della rapina erano stati lasciati per strada in altre occasioni, facendo riferimento a fatti diversi da quelli contestati;
3.3. violazione di legge (art. 110 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla identificazione del contributo concorsuale del COGNOME in relazione alle condotte descritte ai capi l) ed m): si deduceva che non sarebbe stato identificato il tipo di concorso materiale o morale – del ricorrente;
3.4. violazione di legge (art. 133 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: la Corte di appello si sarebbe limitata a confermare il trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice, dichiarando la prescrizione di alcuni reati, senza indicare quale fosse il reato base e senza indicare le ragioni poste a fondamento della determinazione degli aumenti per la continuazione;
3.5. violazione di legge (art. 62bis cod. pen.) e vizio di motivazione: la giustificazione in ordine in ordine al rigetto delle circostanze attenuanti generiche sarebbe carente.
Ricorreva per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
4.1. violazione di legge (art. 110, 628 cod. pen.) e vizio di motivazione non sarebbero state considerate le doglianze proposte con l’atto d’appello in ordine all ” improcedibilità ‘ che sarebbe maturata in ragione del fatto che erano decorsi due anni dalla proposizione della prima impugnazione;
4.2. violazione di legge (art. 133 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: non sarebbe stato considerato che chi svolge il ruolo di ‘ palo ‘ ha un comportamento marginale, che merita una sanzione più lieve rispetto a quella irrogata agli autori materiali;
4.3. violazione di legge (artt. 628, 640, 648 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per le condotte descritte ai capi b), o) e p): non sarebbe stato considerato il fatto che la ricorrente aveva esibito il proprio documento di identità, azione che sarebbe incompatibile con la sua partecipazione alla programmazione della rapina; si deduceva che la ricorrente non sarebbe stata a conoscenza dell’attività illecita organizzata dal COGNOME, come sarebbe stato confermato dalle lamentele della COGNOME emergenti dal contenuto delle intercettazioni ambientali;
4.4. violazione di legge (art. 628 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle intercettazioni e che sarebbero state poste a conferma della responsabilità nonostante la Barone non fosse stata presente alla rapina;
4.5. violazione di legge (art. 521 cod. proc. pen., 378 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione e la rapina come favoreggiamento;
4.6. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato rispetto della regola di giudizio de ‘ l’al di là di ogni ragionevole dubbio ‘;
4.7. violazione di legge (art. 533 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per la condotta descritta al capo b), che sarebbe palesemente contraddetta dalla circostanza che la ricorrente aveva esibito il proprio documento d’identità;
4.8. violazione di legge (art. 62bis cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ricorrevano per cassazione i difensori di NOME COGNOME che deducevano:
5.1. violazione di legge (artt. 110, 628 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla identificazione del contributo concorsuale della ricorrente all’attività criminosa contestata: la Corte d’appello avrebbe riprodotto la motivazione della sentenza di primo grado senza prendere in considerazione i rilievi proposti con la prima impugnazione.
Segnatamente si deduceva che (a) la Corte avrebbe travisato il contenuto della conversazione del 24 febbraio 2015, considerato che il suo tenore letterale indicherebbe solo il rammarico della ricorrente per non avere impedito al COGNOME di consumare la rapina; (b) che la COGNOME non avrebbe conosciuto i dettagli dell’organizzazione e, segnatamente,
della persona che doveva guidare l’autovettura il giorno della rapina), (c) che la stessa si sarebbe recata ad una funzione funebre durante la rapina; (d) che non avrebbe fornito alcun contributo alla scelta dei partecipi alla azione delittuosa, dato che avrebbe appreso da NOME COGNOME i nominativi ed i ruoli solo dopo la consumazione della stessa; (e) che le preoccupazioni mostrate nei confronti di eventuali esternazioni accusatorie della Popa, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, confermerebbero la sua estraneità all’azione criminosa.
In conclusione, si deduceva che non vi sarebbe alcuna prova del contributo causale della COGNOME al l’ attività delittuosa contestata: si ribadiva al riguardo (a) che dalla conversazione del 24 febbraio 2015, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, non emergerebbe la conferma che la stessa avesse effettuato dei sopralluoghi con l’auto durante le fasi della rapina (invero dalla conversazione emergerebbe solo che gli interlocutori non avrebbero fatto riferimento alla data della rapina, ma ad una data anteriore, ovvero a quella del 9 gennaio 2015), (b) che il fatto che la donna avesse avuto contatti telefonici con gli esecutori materiali non sarebbe dirimente dato che sarebbe ignoto il contenuto di tali contatti, (c) che nessun rilievo assumerebbe l’attività post delictum, tenuto conto che l’ attività concorsuale deve essere valutata in relazione al contributo causale fornito alla condotta criminosa prima e durante la sua sua consumazione, mentre il contributo prestato post delictum può rilevare a titolo di concorso solo nei casi in cui lo stesso esprima la concretizzazione di un accordo preventivo;
5.2. violazione di legge (art. 521 cod. proc. pen., art. 378 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione della condotta nel reato di favoreggiamento: l’eventuale aiuto prestato dopo la commissione del fatto non avrebbe potuto essere considerato come contributo concorsuale, ma solo come favoreggiamento personale;
5.3. violazione di legge (art. 114 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante prevista art. 114 cod. pen.: qualora fosse ritenuto esistente il contributo della Sculco alla rapina non potrebbe che essere considerato ‘ marginale ‘ ;
5.4. violazione di legge (art. 133 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio: la motivazione sarebbe carente ed illogica: si deduceva che (a) la valorizzazione della pervicacia delinquere per denegare le attenuanti generiche costituirebbe una duplicazione della valorizzazione dei precedenti penali, sicché la mancata concessione del beneficio sarebbe ingiustificato (b) l’aumento per la continuazione sarebbe eccessivo e non giustificato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Tutti i ricorsi non superano la soglia di ammissibilità e, pertanto non possono essere accolti.
I ricorrenti propongono infatti una articolata serie di doglianze dirette ad ottenere dalla Cassazione una integrale rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove, attività esclusa dalla competenza della Corte di legittimità.
Sul punto il Collegio intende ribadire, in via preliminare, alcune coordinate ermeneutiche relative (a) ai limiti della cognizione in sede di legittimità quando si invoca la rivalutazione delle prove e della capacità dimostrativa delle intercettazioni, (b) ai limiti della deducibilità della violazione del canone d i giudizio de l”al di là di ogni ragionevole dubbio’ previsto dall’art. 533 cod. proc. pen.
2.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di ‘merito’ in ordine alla capacità dimostrativa delle prov e, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate -o indicate – in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,O., Rv. 262965).
Deve essere altresì affermato che le intercettazioni non possono essere rivalutate in sede di legittimità se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioè che in sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione ‘diversa’ da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep.2018, COGNOME, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 259516). La valutazione della credibilità dei contenuti delle conversazioni captate è infatti un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacità dimostrativa della prova, sicché la sua critica è ammessa in sede di legittimità solo ove si rileva una illogicità manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata.
Il Collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516); segnatamente: non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,O., Rv. 262965).
2.2. Deve essere altresì chiarito, in via preliminare, che la limitazione del perimetro di deducibilità del vizio di motivazione impedisce alla Cassazione la valutazione alternativa delle prove, essendo consentita solo la valutazione della ‘tenuta’ del ragionamento posto alla base dell’accertamento di responsabilità. La motivazione, tuttavia, deve rispettare le regole di valutazione previste dal codice, tra le quali, è compresa, nel caso di condanna anche quella del rispetto del ‘criterio generalissimo’ del superamento di ogni ‘ragionevole dubbio’, ovvero del para metro indicato dal legislatore del 2006 come guida ineludibile per il giudizio che si risolve in una condanna, la cui matrice costituzionale è stata rinvenuta nella presunzione di innocenza (così, Sez. U. n. 18620 del 19 gennaio 2017, Patalano; Sez. U. n. 14800 del 21 dicembre 2017, dep. 2018, Troise).
1.2.La rilevanza della regola di valutazione de ‘ al di là del l’oltre ogni ragionevole dubbio’ è cresciuta in ragione della centralità ad essa assegnata da successive (e ravvicinate) pronunce delle Sezioni unite hanno identificato in capo al giudice d’appello che riformi in peius la sentenza di primo grado un onere motivazionale aggravato che deve esprimersi, nei casi in cui sia in valutazione l’attendibilità intrinseca dei dichiaranti, anche attraverso la valutazione diretta delle testimonianze che devono essere obbligatoriamente rinnovate (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269786); si tratta di un onere, che ha trovato un conforto normativo nella novella dell’art. 603 cod. proc. pen ad opera della Legge n. 103 del 2017 e che non si estende ai casi di riforma in melius , dato che la motivazione della assoluzione non deve ‘nutrirsi’ degli elementi probatori acquisiti attraverso la rinnovazione che, in tal caso, rimane un esito facoltativo (così Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
Tale intervento interpretativo, si fonda sulla estrema valorizzazione del potere conformativo del criterio dell” al di là di ogni ragionevole dubbio’, indicato dal codice (art. 533 cod. proc. pen.) come criterio di giudizio solo per le sentenze di condanna, e si è risolto nella legittimazione della asimmetria tra il procedimento che, attraverso la riforma radicale del primo giudizio, si conclude con la condanna rispetto a quello che, invece, termina con la assoluzione (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 2724309)
La estrema rilevanza assegnata a tale criterio dalla giurisprudenza di legittimità e la limitazione della sua operatività all ‘ area del giudizio di cognizione impongono uno sforzo interpretativo per assegnare allo stesso una configurazione positiva e riconoscibile.
L’importazione nel nostro codice della formula dell”oltre ogni ragionevole dubbio’ (ovvero della regola b.a.r.d., acronimo dell’inglese ‘ beyond any reasonable doubt ‘) è stata effettuata con le c.d. riforma del giusto processo (legge n. 46 del 2006), orientata a rafforzare la struttura accusatoria del rito anche attraverso l’importazione di alcuni elementi del processo anglossassone e, segnatamente di quello nordamericano.
Nel processo statunitense la esortazione a giudicare ‘oltre ogni ragionevole dubbio’ fa parte delle instructions che il giudice deve impartire alla giuria, che decide con verdetto immotivato: si tratta pertanto di una raccomandazione che, in quell’ordinamento non ha alcun controllabile precipitato nella motivazione.
Dopo l’importazione della formula nel tessuto codicistico italiano la dottrina prevalente ha collegato il criterio alla presunzione di non colpevolezza contenuta nell’art. 27 , comma 2 della Carta fondamentale, trovando autorevole conferma nella giurisprudenza delle richiamate pronunce a Sezioni unite.
La dottrina ha ritenuto, altresì, che il criterio valutativo in questione segni il superamento del principio del principio del ‘libero convincimento del giudice’ e, quindi, della necessità che la condanna sia fondata sulla valorizzazione delle prove assunte in contraddittorio le quali, per rispettare il canone valutativo, devono avere una capacità dimostrativa sufficiente a neutralizzare la ‘ valenza antagonista ‘ delle tesi alternative.
Condividendo tale apprezzabile tentativo di positivizzazione della formula b.a.r.d. il collegio ritiene che il criterio in questione non possa tradursi nella valorizzazione di uno ‘ stato psicologico ‘ del giudicante, invero soggettivo ed imperscrutabile, ma sia indicativo della necessità che il giudice effettui un serrato confronto con gli elementi emersi nel corso della progressione processuale e, nei casi in cui decida su un’impugnazione a struttura devolutiva, anche con gli argomenti di criti ca proposti dall’appellante oltre che con le ragioni poste a sostegno della prima decisione.
Ricondotta la formula dell”oltre ogni ragionevole dubbio’ alla necessità di considerare le tesi antagoniste risulta visibilmente attenuata la capacità conformativa che gli è stata riconosciuta: ogni provve dimento di ‘secondo grado’ su base devolutiva deve infatti necessariamente confrontarsi con gli argomenti spesi dal primo giudice (Sez. 2, n. 15756
del 12/12/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 225564), oltre che con i motivi di impugnazione; sicché la asimmetria tra il procedimento che si conclude con la assoluzione rispetto a quello che si conclude con la condanna permane solo in relazione all’obbligo di rinnovazione delle prove dichiarative, attivo esclusivamente nei casi di reformatio in peius (ora su base legislativa ex art. 603, comma 3bis, cod. proc. pen.).
Tanto chiarito, il collegio rileva che il mancato rispetto di tale regola di valutazione (come anche di quella indicata nell’art. 192 cod. proc. pen) non può essere tradotto nella invocazione di una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero di un’attività di valutazione del merito della responsabilità esclusa dal perimetro della giurisdizione di legittimità. La violazione di tale regola può invece essere invocata solo ove precipiti in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna. Non ogni ‘dubbio’ sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito si traduce infatti in una ‘illogicità manifesta’, essendo necessario che sia rilevato un vizio logico che incrini, in modo severo, la tenuta della motivazione, evidenziando una frattura logica non solo ‘manifesta’, ma anche ‘decisiva’, in quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giustificativo della condanna.
Si ritiene, cioè, che il parametro di valutazione indicato da ll’art. 533 cod. proc. pen. che richiede che la condanna possa essere pronunciata solo se sia fugato ogni ‘dubbio ragionevole’ opera in modo diverso nella fase di merito e in quella di legittimità: solo innanzi alla giurisdizione di merito tale parametro può essere invocato per ottenere una valutazione alternativa delle prove; diversamente in sede di legittimità tale regola rileva solo nella misura in cui la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale. Infatti può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte; l’apprezzamento de lla capacità dimostrativa delle singole prove, come anche dei complessi indiziari è attività tipica ed esclusiva della giurisdizione di merito e non può essere in alcun modo devoluta alla giurisdizione di legittimità se non nei limitati casi in cui si deduca, e si alleghi, un travisamento. Diversamente, in sede di legittimità la violazione delle regole di valutazione delle prove e, segnatamente, del criterio indicato dall’art. 533 cod. proc. pen. è invocabile solo quando precipiti in una illogicità manifesta del percorso argomentativo.
In conclusione : la ‘regola b.a.r.d.’ (acronimo anglosassone: ‘ beyond any reasonable doubt ‘) in sede di legittimità rileva solo se la sua violazione ‘precipita’ in una illogicità manifesta e decisiva del tessuto motivazionale, l’unico ad essere sottoposto al vaglio di un organo giurisdizionale che non ha alcun potere di valutazione autonoma delle fonti di prova. La nuova o diversa valutazione delle prove può, invece, essere invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell”oltre ogni ragionevole dubbio’ non incontra il limite
funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270108).
Tutti i ricorrenti contestavano, inoltre, la definizione del trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Anche in tale materia Il Collegio intende richiamare le consolidate linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità.
3.1. In punto di quantificazione della pena i giudici di merito godono di un ampio margine di discrezionalità che deve essere esercitato nel rispetto dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., il collegio rileva che, nel caso in esame, la motivazione in or dine al trattamento sanzionatorio risulta ineccepibile in quanto priva di illogicità manifeste ed aderente alle emergenze processuali.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 -01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142, Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754). La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello.
3.2. Si ribadisce, inoltre, che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (tra le altre: Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
Diversi ricorrenti contestano inoltre la conferma della responsabilità allegando l’assenza di un contributo concorsuale. Sul punto devono essere ribadite, infine, le
consolidate linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità in materia di diagnosi differenziale tra condotta concorsuale e connivenza.
Il collegio ribadisce che si ha concorso ai sensi dell’art. 110 Cod. Pen. e non semplice connivenza, ogni qualvolta l’agente partecipa in qualsiasi modo alla realizzazione dell’illecito e quindi anche quando con la propria presenza agevola o rafforza il proposito criminoso altrui, giacché tale situazione è ben diversa, sotto il profilo ontologico e giuridico dell’adesione interna ad una altrui realizzazione criminosa, che nessun contributo arreca alla connessione del delitto (Sez. 1, n. 1172 del 27/11/1991, dep.1992, Terranova, Rv. 189075; Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, Rv. 229200; Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Abbate Rv. 280244).
In tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226101 -01).
Si riafferma inoltre che in tema di concorso di persone, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (tra le altre: Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258953 01)
Premesse le richiamate linee ermeneutiche, il Collegio rileva l’inammissibilità dell’impugnazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME
5.1. Il primo motivo di impugnazione non supera la soglia di inammissibilità in quanto – in contrasto con le linee ermeneutiche indicate ai §§ 2.1. e 2.2. – propone una valutazione alternativa delle prove raccolte che non è consentita in sede di legittimità.
Invero, contrariamente a quanto dedotto, la motivazione offerta dalla Corte territoriale in relazione alla conferma della responsabilità per i reati contestati non si presta ad alcuna censura: il collegio di merito evidenziava (a) che NOME COGNOME aveva chiaramente individuato un’autovettura Fiat 600 di colore nero che, nei momenti immediatamente precedenti la fuga dei rapinatori, si era allontanata a forte velocità, (b) che gli ulteriori accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria avevano consentito di verificare il passaggio della medesima autovettura nel momento in cui la stessa entrava nel centro di Cirò la stessa mattina della rapina, (c) che tale autovettura risultava in uso al ricorrente, (d) che le conversazioni intercorse tra il COGNOME e la COGNOME confortavano gli elementi a carico dell’COGNOME, indicando il suo ruolo fondamentale di supporto logistico nel corso dell’attività criminosa (pag. 23 della sentenza impugnata), (e) che nel corso di un’intercettazione ambientale in carcere l’NOME ammetteva di avere partecipato alla rapina ai danni della ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘, ammettendo di essersi allontanato solo perché i complici erano rimasti troppo a lungo nel negozio (pag. 26 della sentenza impugnata).
Si tratta di una motivazione logica, accurata ed aderente alle emergenze processuali che non si espone ad alcuna censura in questa sede.
5.2. I motivi di ricorso proposti con il secondo ed il terzo motivo di ricorso nei confronti della conferma della responsabilità dell’Ausilio per le condotte descritte ai capi c), m) e j) non superano la soglia di ammissibilità in quanto generici.
Con le doglianze proposte il ricorrente si limita ad indicare la insufficienza degli elementi di prova ricavati dai contenuti dell’attività di intercettazione senza identificare specifiche criticità del percorso logico- argomentativo tracciato dalla Corte di appello, in ipotesi, idonee a legittimare un annullamento della sentenza.
Si ribadisce che per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il “punto” che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del 6.2.2003, Valle, Rv. 227195; Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, COGNOME, Rv. 241477; Sez . 6, n. 32227 del 16/07/2010, T. Rv. 248037, S e z . 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l’ appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante,
è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822).
5.3. L’ultimo motivo di ricorso che contesta il la legittimità della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche non supera la soglia di ammissibilità in quanto non si confronta con le linee ermeneutiche indicate al capo al paragrafo 3.2 puntualmente osservate dalla Corte d’appello che, a pag. 26 della sentenza impugnata, ha rilevato che il mancato riconoscimento delle attenuanti atipiche era giustificato dalla presenza di seri elementi ostativi quali le cruente modalità del fatto e la personalità dell’imputato.
Anche in questo caso la motivazione non si presta ad alcuna censura in questa sede.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME non supera la soglia in di ammissibilità.
6.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la conferma della responsabilità per la rapina contestata al capo b) si risolve nella richiesta di integrale rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove non consentita in Cassazione come ribadito ai §§ 2.1. e 2.2.
Il ricorrente contestava in particolare il contenuto della conversazione del 2 marzo 2015 intercorsa tra la COGNOME ed il COGNOME: contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello ha offerto una persuasiva ed accurata motivazione in ordine alla conferma della responsabilità del ricorrente rilevando, in particolare che le captazioni delle conversazioni avvenute in carcere avessero consentito di accertare con chiarezza il ruolo assunto dal COGNOME, il quale non solo si era occupato della preparazione logistica della rapina (effettuando nei giorni precedenti dei sopralluoghi), ma aveva anche prestato il suo aiuto nelle fasi successive (quando uno degli esecutori doveva sottrarsi all’arresto da parte delle forze dell’ordine).
Inoltre la Corte di appello aveva rilevato che i tabulati telefonici dimostravano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la presenza del COGNOME nei luoghi della rapina e che era emerso che il ricorrente era stato impegnato nella ricerca della COGNOME , anch’essa coinvolta nell’azione criminosa .
La Corte di appello aveva infine rilevato che le intercettazioni delle conversazioni intercorse tra i coniugi COGNOME confermavano il quadro probatorio dato che gli interlocutori avevano pacificamente attribuito anche al ricorrente l’insuccesso dell’azione criminosa, confermando il suo coinvolgimento ed avevano ritenuto che bisognasse chiedere allo stesso un risarcimento per avere coinvolto nella rapina una persona non adeguata come la COGNOME.
6.2. Sono del pari inammissibili, in quanto non consentiti, il secondo ed il terzo motivo che allegano censure rivolte nei confronti della conferma della responsabilità del COGNOME per le rapine descritte ai capi l) ed m).
Il collegio, al riguardo, richiama quanto descritto al § 4 in ordine alla differenza tra concorso e connivenza. La Corte di appello, in coerenza con le indicate linee ermeneutiche, a pag. 29 della sentenza impugnata rilevava che la prima impugnazione era aspecifica in quanto non si confrontava con la puntuale motivazione del primo giudice; e ribadiva che per integrare il concorso era sufficiente un contributo apprezzabile alla commissione dell’azione criminosa rinvenibile anche nel semplice rafforzamento del proposito criminosi degli agenti materiali o nell’agevolazione, agita precedentemente o durante il delitto, della condotta dei concorrenti.
6.3. Le doglianze proposte nei confronti del trattamento sanzionatorio con il quarto ed il quinto motivo di ricorso non superano la soglia di ammissibilità.
Si richiamano, al riguardo, le linee ermeneutiche indicate al § 3.
Nel caso in esame, in coerenza con le richiamate coordinate interpretative, la motivazione offerta dalla sentenza impugnata in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio non si presta ad alcuna censura.
Invero la Corte territoriale confermava la legittimità delle valutazioni effettuate dal Tribunale -impugnate in modo del tutto generico con l’appello – e, nel determinare la sanzione, valorizzava negativamente il rilevante numero di reati commessi dal ricorrente nell’arco di meno di un mese, circostanza che, secondo la logica valutazione della Corte di merito, comprovava l’ evidente disprezzo manifestato dal COGNOME per le regole della civile convivenza e la sua particolare pervicacia a delinquere.
Si rilevava, inoltre, che il comportamento dell’imputato non supportava la concessione delle circostanze attenuanti generiche, che non venivano riconosciute a causa della mancata emersione di elementi positivi (pag. 29 della sentenza impugnata).
Infine, il Collegio rileva che, in assenza di impugnazione specifica sia in ordine alla definizione della pena base che alla determinazione degli aumenti per la continuazione, la motivazione della sentenza impugnata -implicita sul punto – non si presta ad alcuna censura.
In materia il collegio riafferma che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 -01Sez. 3 n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700).
7.Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME non è ammissibile.
7.1. Il primo motivo di ricorso che denuncia il decorso del termine di ‘ improcedibilità ‘ è manifestamente infondato, tenuto conto che l’improcedibilità è un istituto che riguarda solo i reati consumati successivamente al 2020, mentre quelli in contestazione si riferiscono a condotte precedenti a tale data.
7.2. Il secondo motivo di ricorso che contesta il trattamento sanzionatorio rilevando un ipotetico ruolo marginale della Barone correlato al suo ruolo di ‘ palo ‘ non si confronta con la specifica motivazione offerta dalla Corte territoriale sul punto.
I giudici della Corte di appello hanno, infatti, ritenuto, effettuando un ‘ accurata analisi delle prove raccolte, che la ricorrente avesse avuto un ruolo di rilievo nella pianificazione e nell’organizzazione della rapina, il che consentiva di escludere in radice la possibilità di concedere l’attenuante della partecipazione di minima importanza. La Corte rilevava, altresì, con motivazione che non si presta a nessuna censura, che la particolare pervicacia delinquere palesata dalla ricorrente – gravata da numerosi precedenti – veniva confermata dalla condotta criminosa contestata (pag. 31 della sentenza impugnata).
7.3. Il terzo ed il settimo motivo di ricorso non superano la soglia di ammissibilità in quanto si risolvono nella richiesta di una rivalutazione non consentita dalla capacità di dimostrativa delle prove e, tra l’altro, sottopongono al collegio la valutazione di una circostanza -quella dell’esibizione del documento d’identità come elemento decisivo per ritenere la Barone estranea all’azione criminosa – che non era stato allegato con la prima impugnazione.
Sul punto il collegio ribadisce che la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (tra le altre: Sez . 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME Rv. 256631). A ciò si aggiunge che non sono deducibili per la prima volta davanti alla Corte di cassazione le questioni giuridiche che presuppongono un’indagine di merito (Sez . 5, n. 11099 del 29/01/2015; El Baghdadi, Rv. 263271)
Contrariamente a quanto dedotto, la Corte d’appello, con motivazione accurata e persuasiva, rilevava come la consapevole partecipazione della Barone ai reati contestati si evincesse da tutte le convergenti prove raccolte; in particolare, la Corte di merito rilevava che le lamentele della COGNOME nei confronti del comportamento tenuto dalla ricorrente, chiaramente emergenti dalle intercettazioni, consentissero di confermare con certezza la partecipazione della ricorrente all’azione criminosa.
In conclusione, la Corte di appello con motivazione accurata e persuasiva, priva di frattura logiche e coerente con le emergenze processuali – non rivisitabile in questa sede come chiarito ai §§ 2.1. e 2.2. – confermava la costante presenza della Barone nei vari segmenti della articolata organizzazione ed esecuzione della rapina alla gioielleria Romeo (pagg. 30 e 31 della sentenza impugnata).
7.4. Il quarto ed il sesto motivo di ricorso non superano la soglia di ammissibilità in quanto contestano, in modo assolutamente generico, il contenuto delle intercettazioni ed il mancato rispetto della regola di giudizio dell’ ‘ al di là di ogni ragionevole dubbio ‘ (in relazione alla quale si richiama quanto riportato al § 2.2.), senza allegare quale fosse la tesi antagonista allegata dalla difesa e non analizzata dalla Corte di appello.
7.5. Il quinto motivo di ricorso non supera la soglia di ammissibilità in quanto non si confronta con la persuasiva valutazione effettuata dalla Corte d’appello che nel valutare il la condotta della ricorrente – costantemente presente – aveva ritenuto che il contributo reso offerto dalla stessa non fosse affatto inquadrabile come ‘ favoreggiamento ‘, ma integrasse piuttosto la consapevole partecipazione concorsuale alla rapina, alla quale la Barone aveva fornito un contributo fondamentale sin dalla fase dell’ organizzazione, il che esclude che il suo intervento nella gestione delle fasi successive alla rapina possa essere inquadrato come favoreggiamento, tenuto conto del fatto che l’art. 378 cod. pen. esclude che il favoreggiamento possa essere contestato a coloro che abbiano concorso nel reato cui l’azione agevolativa post delictum si riferisce (pag.31 della sentenza impugnata).
7.6. L’ultimo motivo di ricorso, che contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche non si confronta con la motivazione offerta dalla Corte di appello che, in coerenza con le linee ermeneutiche indicate al § 3.2 rilevava che le modalità del fatto e la personalità della ricorrente ostassero alla concessione del beneficio invocato (pag. 31 della sentenza impugnata).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME non è ammissibile.
8.1. Il primi due motivi di ricorso non sono consentiti perché si risolvono nella richiesta di una integrale di valutazione del compendio probatorio diretta ad assegnare alle prove raccolte una diversa capacità dimostrativa, attività esclusa dalla competenza della Corte di legittimità (si richiamano, al riguardo, le linee ermeneutiche indicate ai §§ 2.1. e 2.2).
La ricorrente contesta, in particolare, la sussistenza di una concreta attività concorsuale a lei riferibile: al riguardo il Collegio richiama le linee ermeneutiche indicate al § 4 in relazione alla distinzione tra l’attività di concorso nel reato e la mera convivenza.
In coerenza con tali indicazioni la Corte d’appello analizzava le prove offrendo una motivazione priva di vizi logici ed aderente alle emergenze processuali che indicava come la Sculco avesse sicuramente ‘ concorso ‘ alla consumazione della rapina contestata.
Veniva rilevato infatti come le prove raccolte – e segnatamente i contenuti delle conversazioni intercettate – indicassero che la ricorrente non era solo ‘ a conoscenza ‘ di quanto accaduto, ma aveva fornito un consapevole contributo concorsuale alla rapina.
In particolare è stato rilevato (a) che dal contenuto delle intercettazioni era emerso che la COGNOME aveva mostrato il suo rammarico per il comportamento tenuto dall ‘NOME, nel quale aveva erroneamente risposto la sua fiducia coinvolgendolo nell’operazione criminosa; e che fosse anche molto preoccupata per eventuale dichiarazioni eteroaccusatorie che la COGNOME avrebbe potuto effettuare nei suoi confronti (la preoccupazione era tale che la stessa non aveva esitato a manifestare la volontà di effettuare delle pressioni violente nei confronti della COGNOME e del figlio: pag. 32 della sentenza impugnata), (b) che la COGNOME durante l’esecuzione della rapina si trovava a bordo dell’auto del marito ed aveva effettuato dei giri di perlustrazione in prossimità del luogo della rapina, (c) che i tabulati delle utenze telefoniche dimostravano i continui contatti che la stessa aveva avuto con tutti i complici, ed in particolare con l’Ausilio, (d) che, appreso l’esito infausto della rapina, si era prodigata per occultare le prove ed eludere le investigazioni ricevendo i correi presso la propria abitazione, confermando il suo ruolo di organizzatrice.
La Corte rilevava che quanto emerso non provava un intervento post delictum , ma anche una consapevole azione concorsuale agita fin dalla fase della ideazione del reato, tenuto conto che la COGNOME aveva svolto compiti di decisiva importanza nel reclutamento dei partecipanti all’attività criminosa e nella pianificazione del delitto.
Come legittimamente ritenuto dalla Corte di appello (pag. 33 della sentenza impugnata), l ‘impegno della ricorrente fin dall a fase dell’organizzazione della rapina realizza il concorso nella stessa ed esclude che le attività post delictum possano essere inquadrate nella fattispecie del favoreggiamento, tenuto anche conto della clausola di esclusione prevista dall’art. 378 cod. pen. per il concorrente nel medesimo reato ( tra le altre: Sez. 6, n. 51709 del 24/10/2017, Flussi, Rv. 272193 -01).
8.2. Non superano una soglia di ammissibilità neanche il terzo e il quarto motivo di ricorso che contestano la definizione del trattamento sanzionatorio (a) invocando il riconoscimento dell’illegittimità della mancata concessione dell’attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen., (b) contestando la legittimità della motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento sia alla gravosità degli aumenti per la continuazione che al diniego delle circostanze attenuanti generiche, (c) allegando la violazione del divieto del ne bis in idem in relazione all’utilizzo della ‘pervicacia a delinquere sia per denegare le attenuanti generiche che per confermare l’aggravante della recidiva.
Invero tali doglianze si profilano come reiterative delle medesime censure proposte con la prima impugnazione, già puntualmente disattese dalla Corte di merito.
8.2.1. Con riferimento al diniego dell’attenuante della partecipazione di lieve entità la Corte, con motivazione ineccepibile, ha valorizzato il rilievo indiscusso svolto dalla ricorrente sia nella pianificazione che nell’organizzazione della rapina ed ha ritenuto -con giudizio di merito insindacabile in questa sede, in quanto privo di fratture logiche ed aderente alle emergenze processuali – che le sue condotte indicassero una particolare pervicacia delinquere, confermata dai numerosi precedenti vantati (pag. 33 della sentenza impugnata).
La Corte, con motivazione che non si presta a censure, rilevava, inoltre, che le circostanze attenuanti generiche non potessero essere concesse in ragione dell’assenza di elementi positivi, oltre che del comportamento processuale della ricorrente (si richiama quanto indicato al § 3); sul punto veniva peraltro rilevata anche la genericità delle richieste della difesa (pag. 33 della sentenza impugnata).
8.2.2. Infine, il Collegio rileva che la legittimità e congruità della determinazione degli aumenti per la continuazione disposta dal primo giudice veniva confermata con motivazione implicita, tenuto conto della genericità delle contestazioni avanzate con la prima impugnazione (si richiama, sul punto la giurisprudenza indicata sub § 6.3.)
8.2.3. Da ultimo si rileva che non si registra alcuna violazione del principio del ne bis in idem nella parte della motivazione che, da un lato , valorizza l’emersione della pervicacia della dedizione al delitto della COGNOME per denegare la concessione delle circostanze atipiche e, dall’altro , riconosce la recidiva.
E’ già stato deciso, con interpretazione che si condivide e ribadisce, che il giudice può negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il principio del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi (Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME Rv. 274783 -01; Sez. 6, n. 47537 del 14/11/2013, COGNOME, Rv. 257281 – 01).
In sintesi, il Collegio ritiene che nessuna censura può pertanto essere rivolta nei confronti della motivazione della sentenza impugnata anche nella parte in cui la stessa espone le ragioni della definizione del trattamento sanzionatorio.
9.Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila. Il Collegio dispone inoltre la condanna, in solido degli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di
Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso, il giorno 14 maggio 2025.