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Concorso di persone: Cassazione chiarisce la prova

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di tre individui condannati per tentato furto in un supermercato. Si afferma il principio del concorso di persone nel reato: la responsabilità sussiste anche senza l’individuazione del ruolo specifico di ciascun correo, se l’azione è stata palesemente coordinata e condivisa.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso di Persone nel Reato: La Cassazione e la Prova del Ruolo Individuale

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di concorso di persone nel reato: non è sempre necessario provare il singolo, specifico contributo di ogni complice per affermarne la responsabilità penale. Questa decisione nasce dal ricorso di tre individui condannati per tentato furto aggravato in un supermercato, i quali sostenevano che, non essendo stato identificato l’autore materiale della sottrazione, non potessero essere tutti condannati.

I Fatti del Caso

Tre individui sono stati accusati e condannati nei primi due gradi di giudizio per aver tentato di rubare merce da un grande supermercato. Secondo la ricostruzione, confermata anche dalle testimonianze del personale di sicurezza, i tre avevano agito in modo coordinato: avevano prelevato dei prodotti dal banco frigo, li avevano occultati all’interno di uno zaino e avevano poi superato le casse senza pagare. Sebbene l’azione fosse stata collettiva, durante il processo non era emerso con certezza chi, tra i tre, avesse materialmente eseguito la sottrazione e l’occultamento della merce.

Il Ricorso in Cassazione e il Principio del Concorso di Persone nel Reato

La Tesi Difensiva

I tre imputati, attraverso il loro difensore, hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione lamentando che la loro condanna fosse ingiusta. Il motivo principale del ricorso si basava proprio sull’incertezza del ruolo di ciascuno. La difesa sosteneva che la semplice presenza contestuale all’interno del supermercato non potesse, di per sé, integrare una condotta penalmente rilevante, specialmente in assenza della prova certa su chi avesse compiuto l’atto illecito.

L’Applicazione del Principio di Concorso

La Corte di Cassazione ha respinto questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. Nel farlo, ha rafforzato un orientamento consolidato sul concorso di persone nel reato. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato come, per affermare la responsabilità di tutti i partecipanti, non fosse necessaria una “dettagliata attribuzione a ciascuno di uno specifico segmento dell’azione”.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso “aspecifico”, ovvero non in grado di confrontarsi criticamente con le solide argomentazioni della Corte d’Appello. La decisione si fonda su un punto cruciale: l’azione coordinata e la condivisione del fine illecito sono sufficienti a dimostrare il concorso.

La Corte ha valorizzato la testimonianza del responsabile della sicurezza, il quale aveva osservato i tre imputati agire “insieme”. Questo agire collettivo, che si è manifestato nella sottrazione, nell’occultamento e nel tentativo di superare le casse senza pagare, ha dimostrato l’esistenza di un proposito criminoso condiviso. Secondo la Cassazione, ciascun individuo ha contribuito alla condotta illecita, se non con un’azione materiale diretta, quantomeno rafforzando il proposito criminoso degli altri e garantendo, con la propria presenza, una maggiore probabilità di successo dell’azione. Questa forma di partecipazione, anche solo “morale”, è pienamente sufficiente a integrare gli estremi del concorso di persone nel reato previsto dall’art. 110 del codice penale.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione conferma che nel concorso di persone nel reato l’elemento chiave è la coscienza e volontà di cooperare all’azione criminosa, anche senza un accordo preventivo esplicito. La prova di questa cooperazione può derivare da elementi fattuali, come il comportamento coordinato tenuto dai soggetti sulla scena del crimine.

In pratica, ciò significa che chi partecipa a un’azione di gruppo con finalità illecita non può sperare di sfuggire alla responsabilità semplicemente perché non è stato l’esecutore materiale. La presenza consapevole e collaborativa sul luogo del reato costituisce di per sé un contributo causale alla sua realizzazione. La decisione comporta la condanna definitiva dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a causa dell’inammissibilità del loro ricorso.

Se più persone commettono un furto, è necessario dimostrare chi ha materialmente preso la merce per condannarle tutte?
No, secondo questa ordinanza non è necessaria la dettagliata attribuzione a ciascuno di uno specifico segmento dell’azione. Se è provato che tutti hanno agito insieme con un proposito criminoso comune, sono tutti responsabili in concorso, anche se non si individua l’autore materiale di ogni singola azione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché ritenuto ‘aspecifico’. Gli imputati non hanno contestato in modo critico e puntuale le motivazioni della sentenza d’appello, ma si sono limitati a lamentare in modo generico una presunta carenza di motivazione, atteggiamento non sufficiente per un ricorso in Cassazione.

Cosa significa partecipare a un reato secondo questa ordinanza?
Partecipare a un reato non significa solo compiere materialmente l’azione. Anche un contributo morale, come rafforzare il proposito criminoso degli altri con la propria presenza e agendo in modo coordinato, è sufficiente a integrare la responsabilità per concorso di persone nel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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