Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1973 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1973 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BIELLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BIELLA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a EBOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso’: udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME; letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME, erano imputati del delitto di cui agli artt. 110, 624 e 625 nn.4 e 5 cod. pen. perché, in concorso tra loro, dopo aver spintonato COGNOME NOME, distraendola, le avevano asportato, dall’interno della 3 orsa, il portafogli contenente la somma di euro 300 circa, la patente di guida, la carta d’identità e la carta bancomat, con l’aggravante del fatto commesso con destrezza e da tre persone (capo A) e del delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e 55, comma 9, d. Igs. 21 novembre 2007, n.231 perché, in concorso tra loro, al fine di trarne profitto, indebitamente avevano utilizzato, non essendor e titolari, la carta bancomat di cui al capo a), effettuando presso lo sportello ATM della banca Intesa Sanpaolo – Agenzia di Borgosesia un prelievo contante per un importo di euro 250 con pari danno per COGNOME NOME (capo B), con recidiva specifica e infraquinquennale. In Borgosesia il 10 giugno 2017.
Gli imputati, ad eccezione di COGNOME NOME che è stata assolta, sono stati dichiarati responsabili dei reati loro ascritti il 12/04/2(121 dal Tribunale d Vercelli, previa qualificazione del fatto di cui al capo B) ai sensi dell’art. 493 ter cod. pen. e, riconosciute in favore di tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva e alle aggravanti, condannati alla pena di un anno e mesi quattro di reclusione ed euro 600 di multa.
La Corte di appello di Torino; con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza di primo grado.
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso, con unico atto, deducendo, con unico articolato motivo, violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta assenza dell’allegazione di un’alternativa ipotesi ricostruttiva degli accadimenti, in ordine al contributo causale apportato da ciascun prevenuto alla commissione del furto, e per il riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui all’art. 625, comma 1 nn. 4 e 5 cod. pen. I ricorrenti sottolineano come, ignorando le allegazioni difensive concernenti ipotesi alternative, la Corte di appello abbia attribuito rilievo loro sfavorevole all’assenza degli imputati e abbia ignorato le allegazioni difensive circa l’insussistenza di alcuna indiscutibile prova della responsabilità dei prevenuti in ordine alla commissione del fatto; non essendo provata l’azione furtiva, neppure potevano essere riconosciute le aggravanti contestate. Dal racconto della vittima era emerso come il furto fosse stato commesso da un uomo e da una donna la cui descrizione fisica non collimava con quella degli imputati.. La difesa aveva
ipotizzato che il furto fosse stato commesso da due individui diversi dagli imputati o che uno dei due o entrambi i prevenuti avessero commesso il furto all’insaputa degli altri, intervenuti esclusivamente per fornire ausilio nell’operare un indebito prelievo. Si era sostenuto che l’assoluta mancanza di prove su chi avesse compiuto materialmente il furto e il delitto di cui all’art. 493 ter cod. pen. non fosse superabile con mere congetture e nel ricorso si lamenta come il giudice abbia ritenuto che i precedenti penali degli imputati fossero indizi idonei a confortare la tesi accusatoria. Si deduce la violazione di legge per avere la Corte attribuito rilevanza probatoria all’assenza in giudizio dell’imputato, al silenzio, per aver ignorato le ricostruzioni alternative degli accadimenti forniti dalla difesa e per aver attribuito valore di contributo indiziario ai precedenti penali dei prevenuti. Si deduce il vizio della motivazione per non avere il giudice di appello tenuto conto di quanto esposto dalla difesa con specifico motivo di impugnazione, omettendo di spiegare per quale motivo sia stato ritenuto implausibile che uno solo o anche due dei tre imputati abbiano perpetrato il furto all’oscuro degli altri, informandoli della sottrazione solo dopo la commissione del reato. Anche con riferimento alle circostanze aggravanti dell’aver agito con destrezza e in tre o più persone si deduce vizio di motivazione, avendo la Corte rilevato l’impossibilità di individuare lo specifico contributo fornito al furto ciascuno dei concorrenti e avendo ritenuto tale carenza irrilevante.
NOME COGNOME ha proposto ricorso censurando la sentenza, con il primo motivo, per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110 e 493 ter cod. pen. in quanto la COGNOME si è limitata ad attendere a bordo della Opel Corsa, insieme alla quarta componente del gruppo, che il COGNOME e la COGNOME terminassero l’operazione di prelievo, non ha assunto il ruolo di «palo» e non ha agevolato la fuga della figlia e del genero, non avendo apportato alcun contributo causale alla condotta delittuosa del COGNOME e della COGNOME. Neanche sotto il profilo della partecipazione morale è stato indicato il contributo fornito dalla ricorrente, che si è limitata a una condotta connivente.
4.1. Con il secondo motivo deduce mancanza di motivazione con riferimento agli artt. 110 e 493 ter cod. pen. per non avere il giudice di appello né il giudice di primo grado spiegato quale sia stato l’apporto causale, materiale o morale, fornito dalla COGNOME alla COGNOME e al COGNOME, sebbene non fosse in alcun modo evidente in che modo la stessa avesse concorso alla realizzazione del fatto attendendo in auto la figlia e il genero.
4.2. Con il terzo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110, 114 e 493 ter cod. pen. per non avere i giudici di merito tenuto conto del fatto che, in ogni caso, la condotta della COGNOME sarebbe stata talmente
irrilevante, sia dal punto di vista materiale sia dal punto di vista morale, da meritare un trattamento sanzionatorio più mite in applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen.
4.3. Con il quarto motivo deduce mancanza di motivazione con riferimento agli artt. 110, 114 e 493 ter cod. pen. Il giudice di primo grado e il giudice di appello hanno omesso di confrontarsi con la questione dell’applicabilità alla fattispecie concreta della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen. Difetta quale sia la condotta contestata alla COGNOME e quale sia stata la sua rilevanza rispetto alla commissione della condotta tipica da parte della COGNOME e del COGNOME, così come a fortiori è incomprensibile quale sia la ragione per la quale è stata ritenuta inapplicabile la circostanza attenuante in parola.
4.4. Con il quinto motivo deduce mancanza di motivazione con riferimento agli artt. 20 bis cod. pen., 133 cod. pen., 545 bis cod. proc. pen., 53 e 58 legge 24 novembre 1981, n.689. Non è rinvenibile nella sentenza di appello alcuna spiegazione del perché, pur in presenza delle condizioni oggettive e soggettive, la Corte di appello non abbia concesso a NOME COGNOME la sostituzione della pena detentiva con una delle sanzioni previste dall’art. 20 bis cod. pen. e dall’art. 53 I.n.689/1981. Sul tema non può ritenersi sufficiente una motivazione implicita.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi non superano il vaglio di ammissibilità.
Il fatto è stato così ricostruito dal giudice di primo grado: la mattina del 10 giugno 2017 NOME NOME era stata spintonata da qualcuno mentre si trovava al mercato e le era stato sottratto dalla borsa il portafogli, in cui erano presenti i contanti e una carta bancomat con annesso codice PIN che la stessa conservava su un pezzettino di carta; la donna era stata spintonata da tre o quattro persone, tra le quali un uomo e tre donne; aveva successivamente presentato querela segnalando, altresì, che dal conto a lei cointestato risultava un prelievo di 250 euro effettuato in data 10 giugno 2017 alle ore 10:26 presso lo sportello della filiale Intesa San Paolo di Borgosesia; tale prelievo era stato disconosciuto dalla titolare del conto e si collocava a breve distanza dal furto, avvenuto verso le 10-10.15; erano state acquisite le immagini del circuito di
videosorveglianza della banca, nelle quali i militari inquirenti avevano riconosciuto COGNOME NOME e COGNOME NOME quali persone che quella mattina avevano effettuato il prelievo; l’individuazione era stata agevolata dalla circostanza che i Carabinieri della Stazione di Borgosesia avevano personalmente dato esecuzione il 13 giugno 2017 a un’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Novara che aveva loro applicato la misura degli arresti domiciliari in relazione a un furto aggravato in concorso commesso nel mese di febbraio; l’appuntato COGNOME aveva affermato che, in quella circostanza, aveva avuto modo di conoscere anche la madre di COGNOME NOME precisando oltretutto che COGNOME NOME e COGNOME NOME erano vestiti nello stesso modo rispetto al giorno di commissione del reato a Borgosesia denunziato dalla COGNOME; i Carabinieri avevano identificato e riconosciuto anche la madre di NOME COGNOME, originariamente indicata in COGNOME NOME ma, a seguito di nuovo esame dibattimentale, indicata in NOME COGNOME, mentre COGNOME NOME era stata riconosciuta dai Carabinieri di Biella.
Il Tribunale ha ritenuto, quindi, provata oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità per il furto aggravato in capo a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, anche perché le immagini acquisite mostravano la presenza sul luogo, al momento dei fatti, di quattro persone immortalate nell’atto di camminare a breve distanza tra loro nella piazza del mercato dirigendosi, sempre insieme, verso l’uscita, prima di allontanarsi, tutte insieme, in auto, desumendone che l’azione criminosa fosse stata commessa con la presente collaborazione di almeno tre persone. I giudici hanno chiarito che le immagini mostravano una vicinanza tra i soggetti ritratti e una loro compresenza tra le bancarelle, non essendosi divisi se non nel momento antecedente e prossimo al prelevamento in banca da parte dei correi più giovani, desumendone che tutti i complici fossero fisicamente presenti all’atto della sottrazione del portafogli. L’utilizzo indebito della carta bancomat è stato accertato sulla base delle inequivoche immagini riprese dalle videocamere della banca.
Va premesso, in linea di principio che, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte di legittimità, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt.606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., dispone che non possano essere dedotte con ricorso per cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, a meno che si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni sta e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre con il gravame. Tale regola trova il suo fondamento nella necessità di evitare che possa sempre essere dedotto un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non sottoposto al controllo della
Corte di Appello, in quanto non devoluto con l’impugnazione (Sez.4, n.10611 del 4/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv.25663101).
3.1. Dalla lettura di tali disposizioni in combinato disposto con l’art.609, comma 1, cod. proc. pen., che limita la cognizione di questa Corte ai motivi di ricorso consentiti, si evince l’inammissibilità delle censure che non siano state, pur potendolo essere, sottoposte al giudice di appello, la cui pronuncia sarà inevitabilmente carente con riguardo ad esse (Sez. 5, n.28514 del 23/04/2013, COGNOME NOME, Rv. 25557701; Sez.2, n.40240 del 22/11/2006, COGNOME, Rv.23550401; Sez.1, n.2176 del 20/12/1993, dep. 1994, Etzi, Rv.19641401).
3.2. Per tale ragione, il secondo e il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME, con i quali si deduce il difetto di motivazione su questioni non sottoposte al giudice di appello, sono inammissibili.
Con riguardo al motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché al primo motivo di ricorso proposto da NOME COGNOME, si tratta di censure aspecifiche, che non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata che, dopo aver ripercorso la disamina delle prove acquisite in primo grado, ha sottolineato che la testimonianza resa da NOME COGNOME fosse sicura, che le immagini del mercato erano c:hiare e mostravano i tre imputati e la persona rimasta non identificata allontanarsi insieme da mercato a bordo dell’autovettura intestata al padre di NOME COGNOME e coniuge di NOME COGNOME, che le immagini della banca mostravano il prelievo effettuato dalla COGNOME alle ore 10:26, mentre il COGNOME l’attendeva a qualche passo di distanza, e che il raffronto tra le immagini e i cartellini fotosegnaletici degli imputati confermava la testimonianza del COGNOME. Ha, quindi, ritenuto di poter risalire da tali dati certi alla sottrazione del portafogli secondo le modalità descritte dalla vittima, nonostante l’assenza di immagini che immortalassero la condotta materiale.
4.1. Tale motivazione risulta pienamente conforme al principio interpretativo secondo il quale, in tema di validazione della prova indiziaria, l’operazione di lettura complessiva dell’intero compendio probatorio di natura indiretta deve essere preceduta dall’operazione propedeutica, da cui non può prescindersi, che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere (Sez. Un. n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231678; Sez. 1 n. 30448 del 9/06/2010, COGNOME, Rv. 248384; Sez. 2 n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967). Nell’ambito di tale metodo di formazione della prova, di tipo inferenziale e di natura logico-deduttiva, assume rilevanza determinante il dato della certezza dell’indizio, che costituisce
espressione del requisito normativo della precisione codificato dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., nel senso che ciascun indizio deve corrispondere a un fatto certo, e cioè realmente esistente e non soltanto verosimile o supposto (Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266882 – 01; Sez. 1 n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321). La circostanza fattuale da assumere come indizio deve pertanto, perché da essa possa desumersi la prova, indiretta, dell’esistenza di un (altro) fatto, essere certa; i giudici di merito hanno, in particolare, vagliato i singoli indizi spiegando le ragioni per le quali ciascuno di essi, compresa l’identificazione di NOME COGNOME e la compattezza dei movimenti del gruppo, rappresentasse un fatto certo, da tanto logicamente desumendo che le stesse persone che si muovevano compatte nel mercato e che, dopo essere salite insieme in auto, erano state riprese dalle telecamere della banca ove era stata utilizzata la tessera bancomat, fossero coloro che avevano poco prima spintonato la COGNOME nell’atto di sottrarle il portafogli.
4.2. Ferma restando la conformità della decisione ai suindicati criteri di valutazione ed efficacia probatoria del dato indiziario, nel ricorso non è contestata la certezza dei dati indiziari acquisiti, dunque non si contesta in maniera funzionale al giudizio di legittimità il vizio di motivazione in rapporto alle regole di valutazione della prova indiziaria, proponendosi piuttosto una inammissibile lettura alternativa dei fatti.
4.3. In tale lettura alternativa si scorge un elemento comune ai due ricorsi, consistente nel prospettare come non attribuibile a taluno dei coimputati il delitto di cui al capo A) ovvero il delitto di cui al capo B). La genericità delle censure le rende inammissibili, non essendo consentito prospettare in fase di legittimità una lettura alternativa del compendio istruttorio priva di qualsivoglia riferimento al travisamento di prova ovvero all’omessa valutazione di concreti elementi, da considerare decisivi.
4.4. La Corte territoriale ha affermato, a pag.9, che gli elementi a disposizione non consentivano di individuare lo specifico contributo fornito al furto da ciascuno dei concorrenti, ma ha ritenuto tale carenza non indispensabile ai fini della condanna degli imputati né in relazione all’accertamento della circostanza aggravante della destrezza. Con riguardo alla circostanza aggravante del numero dei concorrenti, ha sottolineato l’assenza di elementi che spiegassero il motivo per il quale i quattro si trovassero insieme al mercato, fossero saliti insieme sulla stessa autovettura, fossero andati insieme alla banca e, due di loro, avessero effettuato il prelievo, valutando tali acquisizioni unitamente alla testimonianza della persona offesa, che aveva riferito di aver visto più persone all’atto dello spintonamento.
4.5. Il Collegio ritiene necessario, sul punto, ribadire che ai fini della configurabilità del concorso di persone nel delitto è sufficiente anche la semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, quando sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o maggior senso di sicurezza nel proprio agire, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa (Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia, Rv. 257979 – 01), dovendosi ritenere che la sentenza qui impugnata abbia evidenziato il contributo fornito da ogni concorrente laddove ha descritto le modalità operative del gruppo, connotate da un agire compatto e consonante, senza che fosse necessario distinguere il ruolo singolarmente svolto o l’identità dell’autore materiale della condotta (Sez. 1 n. 12309 del 18/02/2020 , COGNOME, Rv. 278628 – 01; Sez. 2, n. 48029 del 20/10/2016, Siesto, Rv. 268177 – 01).
Con riguardo al terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME, si tratta di censura manifestamente infondata in quanto il mancato esercizio del poteredovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge e una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni, nel giudizio di appello (Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596 – 02).
Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME è inammissibile in quanto non risulta dagli atti che la parte abbia formulato istanza di zipplicazione di pena sostitutiva ai sensi dell’art.545 bis cod. proc. pen. Ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, ri. 150, in caso di procedimento di appello pendente in data successiva al 30 dicembre 2022, il giudice di appello «può» pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20 bis cod. pen. Occorre, dunque, rimarcare che l’applicazione di una pena sostitutiva non costituisce diritto dell’imputato, rientrando nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice. E, considerato che la disciplina normativa introdotta continua a subordinare la sostituzione a una valutazione giudiziale ancorata ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., in assenza di una richiesta formulata in tal senso dall’appellante, non vi è obbligo per il giudice di secondo grado di motivare in ordine alla insussistenza dei presupposti per la sostituzione della reclusione con una delle nuove pene elencate nell’art. 20 bis cod. pen. (Sez. 2, n.43848 del 29/09/2023, D., Rv. 285412 – 01; Sez. 6, n.33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090 – 01).
Per tali ragioni i ricorsi devono dichiararsi inammissibili. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», i ricorrenti vanno condannati al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il giorno 11 gennaio 2024
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