Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2764 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2764 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MARCIANISE il 06/02/1963
avverso la sentenza del 11/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta dal PG, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 19/01/2023 dal GUP presso il Tribunale di Napoli Nord, all’esito di giudizio di abbreviato, con la quale NOME COGNOME era stata condannata alla pena di un anno di reclusione per il reato previst dall’art.589bis cod.pen., con il beneficio della sospensione condizionale e con applicazione della sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, con condanna al risarcimento dei danni – da liquidare in separato giudizio – nei confronti della costituita parte civile.
1.1 Era stato contestato all’imputata, nell’atto di esercizio dell’azio penale, di avere, in data 11/11/2021, alla guida della vettura modello Renault Capture tg. TARGA_VEICOLO, effettuato una manovra di retromarcia dalla INDIRIZZOsita nel Comune di Carinaro), una strada senza uscita ove non risultava possibile effettuare inversione di marcia, andando ad urtare contro la persona di NOME COGNOME che, a seguito del contatto, batteva contro il suolo con il capo e cagionandone il successivo decesso, sopravvenuto il 25/11/2021; il tutto per imprudenza, negligenza e imperizia nonché con violazione delle disposizioni dettate dall’art.141, comma 2 e 4, d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 nonché delle disposizioni previste in caso di sosta dei veicoli.
1.2 La Corte territoriale ha premesso l’integrale richiamo per relationem alla ricostruzione dell’evento nonché alle argomentazioni in punto di diritto spiegate dal GUP.
La Corte – passando all’esame delle censure spiegate nell’atto di appello – ha ritenuto infondato il punto di doglianza attinente al diniego, espress dal primo giudice, di accesso al rito abbreviato condizionato all’ammissione della testimonianza di NOME COGNOME già escussa in sede di indagini difensive; rilevando che tale rilievo doveva intendersi precluso per effetto della successiva scelta dell’imputata di accedere al rito abbreviato c.d. secco
1.3 In punto di censure attinenti alla ricostruzione del sinistro, la Cort ha premesso che gli elementi desumibili sulla base degli atti esaminati dal giudice di primo grado dovevano ritenersi confermativi della ricostruzione contenuta nell’atto di esercizio dell’azione penale, dando atto del contenuto degli atti di indagine nonché delle dichiarazioni rese dall’imputata a seguit della notifica dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Ha quindi ritenuto infondato il motivo con il quale era stata chiesta l’assoluzione dell’imputata per non aver commesso il fatto, risultando dagli atti di indagine – oltre ogni ragionevole dubbio – che la persona offesa er
stata investita da pate dell’imputata medesima nel corso dell’esecuzione di una manovra di retromarcia.
Mentre la versione in base alla quale l’urto risultato fatale alla vittim fosse da ascrivere a un’autonoma caduta è stata ritenuta non corroborata da alcun elemento di indagine e tanto in base, soprattutto, alle dichiarazion rese da NOME COGNOME il quale, con assoluta certezza, aveva affermato che la COGNOME era stata investita dalla vettura condotta dall’imputat persona a lui nota, mentre in compagnia della vittima stava percorrendo a piedi la INDIRIZZO; credibilità ritenuta confermata dalle dichiarazioni de relato ricevute dal COGNOME diacono della parrocchia, dallo stesso COGNOME nell’immediatezza del fatto.
La Corte ha quindi ritenuto che non rivestisse alcun rilievo il fatto che i COGNOME avesse indicato che la vettura era di colore bianco o beige, sia perché il colore del mezzo era comunque di colore chiaro (beige con tetto nero) e sia in quanto l’informatore aveva comunque riferito di avere visto l’imputata uscire dall’automobile; ritenendo altresì non dirimente il fatto ch la vittima, al momento dei soccorsi, non avesse rappresentato nell’immediatezza di essere stata investita, trattandosi di elemento da ritenere invece coerente con la dinamica del sinistro e la posizione della persona offesa che – essendo collocata di spalle rispetto al mezzo – non aveva potuto avvedersi della causa dell’urto; ritenendo, ulteriormente, non credibile la versione alternativa fornita dall’imputata, arricchita in sede interrogatorio di particolari non menzionati in sede di originarie spontanee dichiarazioni; evidenziando pure la non perfetta conciliabilità tra l dichiarazioni dell’imputata e quella resa dalla COGNOME in sede di indagini difensive.
1.4 Ha quindi ritenuto che all’imputata fosse rimproverabile una condotta colposa consistita nell’avere eseguito una manovra di retromarcia in modo imprudente, pur trovandosi in una strada stretta e in cui la presenza di pedoni doveva ritenersi evenienza del tutto fisiologica, non essendo quindi stata in grado di affrontare una prevedibile situazione di pericolo; con conseguente violazione delle norme specifiche dettate dal codice della strada in punto di regole comportamentali da tenere nei confronti dei pedoni, con particolare riferimento all’obbligo di attenzione teso al relativo avvistamento.
Quanto al nesso di causalità, ha ritenuto infondata l’argomentazione in base al quale il sinistro sarebbe stato da ascrivere al comportamento della vittima in quanto non atipico e imprevedibile; ritenendo, sulla scorta di tal considerazioni, non riconoscibile l’attenuante di cui all’art.589bis, comma settimo, cod.pen..
Ha altresì ritenuto infondate le doglianze difensive in ordine alla determinazione della pena, ritenendo non sussistenti i presupposti per l’applicazione della diminuzione conseguente alla concessione della circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione e ritenendo la sanzione finale del tutto adeguata rispetto alla gravità del fatto; ritenuto altresì infondata la censura attinente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna; ha, infine, ritenuto non applicabile la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria attesa la non cumulabilità con il beneficio della sospensione condizionale.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di impugnazione ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la manifesta illogicità e contraddittoriet della motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità della ricorrente e in riferimento agli artt. 589bis cod.pen., 192 e 546, comma 1, lett.e), cod.proc.pen..
Ha argomentato che le sentenze di merito si fondavano essenzialmente sulle dichiarazioni rese dal COGNOME, considerato quale unico ed effettivo teste oculare della vicenda, attesa la definizione di inattendibilità attribu alla versione dei fatti fornita da NOME COGNOME ha dedotto che i giudici di merito avevano omesso una effettiva valutazione di attendibilità rispetto a quanto dichiarato dal COGNOME, anche in considerazione del fatto che lo stesso era stato inizialmente reticente di fronte agli operanti.
Specificamente, ha evidenziato che il COGNOME era stato escusso in sede di sommarie informazioni testimoniali e poi in sede di successivo sopralluogo; evidenziando che i giudici di merito non avevano fornito risposta in ordine a quanto argomentato dalla difesa in merito alla dedotta contraddittorietà di quanto riferito dall’informatore in data 15/11/2021; risultando essere non chiarito come il COGNOME avesse potuto vedere la vettura che urtava la vittima pur essendo indirizzato nella medesima direzione di questa e quindi posizionato di spalle rispetto al mezzo; essendo altresì rimasto non chiarito il punto preciso di impatto tra la vettura e il co del pedone, non essendo stato adeguatamente valorizzato il dato negativo della mancanza di segni sul mezzo riconducibili all’eventuale urto.
Ha dedotto che appariva illogico il ricorso – quali elementi di conferma della credibilità del COGNOME – alle prove dichiarative rese da altri sogget quali il COGNOME, meramente confermative di quanto riferito dal COGNOME
medesimo nonché il giudizio di inattendibilità rispetto a quanto riferito dall COGNOME, che aveva riferito di avere visto la COGNOME porsi alla guid della vettura e, senza che quest’ultima la urtasse, la COGNOME perde l’equilibrio e finire in terra; ulteriormente illogica veniva ritenut motivazione nella parte in cui aveva tratto elementi di conferma in ordine alla ricostruzione del sinistro sulla base delle risultanze dell’autopsia quanto contenenti una mera valutazione di compatibilità tra la asserita dinamica del sinistro e le lesioni riportate dalla vittima.
Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale prevista dall’art.589bis, comma settimo, cod.pen. anche in riferimento agli artt. 192 e 546 cod. p roc. pen..
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe operato una non consentita parcellizzazione del materiale probatorio al solo fine di escludere la predett circostanza, attraverso una disamina superficiale e carente dell’intera dinamica del sinistro; in particolare, ha dedotto che il dato del concors colposo della vittima era desumibile dalle stesse dichiarazioni del COGNOME, atteso che questi aveva riferito che la vittima, prima dell’urto, avev proseguito la propria marcia sulla sede stradale anziché risalire su marciapiede, in tal modo contribuendo causalmente rispetto al successivo impatto.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella qual ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente al secondo motivo.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutaz della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n.
11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Ciò posto, le argomentazioni contenute nel motivo di ricorso sono tendenti a ottenere una non consentita rivisitazione degli elementi di fatto posti alla base delle sentenze di merito e, in queste, valutate in assenza d evidenti elementi di illogicità.
Sotto tale profilo, deve infatti essere premesso – in via logicamente pregiudiziale – che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi d accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal tes impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556, tra le altre).
Ricordando, altresì, che non è consentita in sede legittimità una rivalutazione nello stretto merito delle risultanze processuali, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, RV. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601); essendo, infatti, stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa
ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibili delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
Ancora più specificamente, deve rilevarsi come le argomentazioni contenute nel motivo di ricorso tendano a sollecitare questa Corte a smentire il giudizio formulato dalla Corte territoriale in punto di attendibilit delle dichiarazioni testimoniali valutate nelle sentenze di merito; con particolare riferimento a quelle rese dal COGNOME nonché a quelle rese dalla COGNOME e acquisite in sede di indagini difensive.
Deve quindi osservarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione in diretta conseguenza dei principi generali sopra riassunti – sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicit quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria d singolo elemento (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Ulteriormente, in relazione al dedotto vizio di travisamento, va ricordato che il vizio medesimo può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso – come quello di specie – di cosiddetta “doppia conforme “, nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motiv di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155); ricordando che tale vizio vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esa trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacific distorsione, in termini quasi di “fotografia “, neutra e a-valutativa, d “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370).
In particolare, il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali no esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività , ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’element fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risult incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, l tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
Deve quindi osservarsi che le valutazioni della Corte territoriale appaiono immuni dal denunciato vizio di illogicità – con specifico rilievo al dedotto profilo di travisamento – in particolare riferimento al contenuto delle dichiarazioni rese dal COGNOME, la cui valutazione appare intrinsecamente coerente con il complesso delle risultanze processuali.
I giudici di merito hanno infatti sottolineato che la ricostruzione dell dinamica del sinistro operata dal suddetto dichiarante è apparsa congrua e non adeguatamente smentita da altri elementi valutabili ai fini della decisione; avendo lo stesso riferito, con assoluta chiarezza, che la persona offesa è stata investita, mentre stava percorrendo a piedi la INDIRIZZO dalla vettura condotta dall’imputata – persona a lui conosciuta – che era scesa dal mezzo immediatamente dopo l’urto.
Intrinsecamente logica, ai fini della valutazione della credibilità de dichiarante, deve altresì ritenersi la valutazione – operata dal Collegio delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME il quale ha esposto che, nell’immediatezza dell’incidente, il COGNOME gli aveva riferito una versione dei fatti coincidente con quella poi esposta in sede di sommarie dichiarazioni.
Non valgono altresì a fondare alcun giudizio di illogicità intrinseca, in ordine alla valutazione delle dichiarazioni del COGNOME, gli elementi fattuali illustrati dal ricorrente.
In particolare, non è idonea a perfezionare alcuna fattispecie di intrinseca contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal suddetto l
circostanza che lo stesso avrebbe avuto contezza della dinamica del sinistro mentre camminava nello stesso senso di marcia della persona offesa e nemmeno quella relativa alla mancata indicazione del punto d’urto tra la vettura e il corpo del pedone (risultando la percezione del sinistro, anche nella posizione tenuta dal dichiarante, del tutto compatibile con la relativ dinamica, anche attesa la moderata velocità tenuta dal mezzo procedente in retromarcia).
D’altra parte, in ordine ad altra argomentazione contenuta nel motivo di ricorso, non concretizza – in relazione ai principi predetti – alcuna illogic denunciabile in questa sede il giudizio di non credibilità della dichiarant COGNOME, escussa in sede di indagini difensive e che, in quella sede, aveva fornito una ricostruzione della dinamica dei fatti del tutto incompatibile con quella esposta dal COGNOME.
Difatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, tale valutazione non si fonda su una apodittica valutazione di non credibilità ma risulta sostenuta da specifici argomenti motivazionali contenuti nelle sentenze di merito, a propria volta non fatti oggetto di alcuna effettiva specifica censura.
In particolare, il giudice di primo grado ha evidenziato che le dichiarazioni rese dalla COGNOME – persona affetta da disabilità e necessitante di assistenza anche per camminare – si presentavano del tutto generiche e non attendibili nelle parte in cui la stessa aveva riferito di a visto la persona offesa crollare a terra per poi rientrare all’interno de chiesa, disinteressandosi della vicenda nonostante l’interessamento della COGNOME, che l’aveva ivi accompagnata.
D’altra parte, lo stesso GUP ha sottolineato che la presenza della COGNOME non era stata segnalata da alcuno degli altri dichiaranti escussi e che quanto dalla stessa esposto si trovava in contraddizione con quanto riferito dall’altra dichiarante NOME COGNOME – la cui presenza sul luogo era stat confermata dal COGNOME – la quale (contrariamente a quanto riferito dalla stessa COGNOME) non aveva riferito di averla incontrata all’interno dell chiesa.
D’altra parte, la Corte territoriale ha sottolineato come le dichiarazion rese dalla COGNOME si presentassero contraddittorie anche rispetto a quanto riferito dalla stessa imputata in sede di interrogatorio; avendo la dichiarante riferito di una contestualità tra la discesa dall’auto de COGNOME e la percezione della caduta della COGNOME; mentre, secondo la ricostruzione dell’imputata, al momento di tale caduta la COGNOME
avrebbe dovuto trovarsi all’interno della sala parrocchiale, dove era stata accompagnata a causa delle proprie difficoltà di deambulazione.
Deve quindi ritenersi che tutte le argomentazioni spiegate dalla difesa, tendenti a contestare il giudizio di credibilità delle dichiarazioni poste fondamento delle decisioni di merito, si rappresentino inidonee a configurare alcun vizio di illogicità sotto il profilo del travisamento probatorio; così come appaiono inidonee a sostenere il relativo vizio di illogicità nella parte in c non è stata ritenuta attendibile la proposta ricostruzione alternativa dell’evento.
6. Il secondo motivo di ricorso è fondato.
La motivazione della Corte territoriale in ordine alla riconoscibilità dell’attenuante prevista dall’art.589bis, comma settimo, cod.pen., si presenta, infatti, oltre che sostanzialmente distonica rispetto all argomentazioni contenute nel motivo di appello anche intrinsecamente illogica
In particolare, la motivazione dei giudici di secondo grado – al fine di escludere l’applicazione della suddetta attenuante – ha argomentato che «non può certo sostenersi che la condotta della vittima, che in un centro abitato, in una strada particolarmente angusta e con marciapiedi di minime dimensioni, camminando sulla carreggiata, si sia posta come causa da sola sufficiente a determinare l’evento, tale, cioè, per la sua atipicità imprevedibilità, ad avere provocato l’interruzione del nesso causale tra l’azione dell’imputata e l’evento stesso».
Va quindi osservato che tale motivazione – nel fare riferimento alla dedotta assenza di fattori causali idonei, da soli, a potere essere ritenu causa dell’evento – fa, da un lato, riferimento alla problematica inerente all’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, in riferimento alle cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità, ovvero quelle che innescano un processo causale completamente autonomo da quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell’agente, ovvero danno luogo ad uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se eziologicamente riconducibile ad essa; problematica del tutto distinta rispetto a quella introdotta dalla richiesta applicazione della suddetta circostanza attenuante e che fa riferimento alla sola presenza di fattori concausali rispetto al comportamento dell’agente.
Di conseguenza, la motivazione (con una lacuna argomentativa non colmabile sulla base della lettura della sentenza di primo grado, facente riferimento ai medesimi argomenti di fatto e di diritto) ha omesso di
considerare la tematica, da ritenersi introdotta con il motivo di appello, inerente al rispetto – da parte della vittima e nella propria qualità di pedone – del disposto dell’art.190, comma 1, C.d.s., il quale prescrive che «I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione»; atteso che, come emerso in modo univoco dalle sentenze di merito, al momento dell’impatto la vittima stava percorrendo la strada al di fuori del marciapiede.
Ricordando, sul punto che – per giurisprudenza consolidata di questa Corte – in tema di omicidio stradale, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589bis, comma settimo, cod. pen., che fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole, è configurabile nel caso in cui sia accertato il concorso di colpa, anche solo di minima rilevanza, della vittima (Sez. 4, n. 54576 del 07/11/2018, COGNOME, Rv. 274504; Sez. 4, n. 20091 del 19/01/2021, COGNOME Rv. 281173).
Conclusivamente, la sentenza va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli affinché provveda a rivalutare – sulla base dei predetti principi – i presupposti per la concessione della circostanza attenuante prevista dall’art.589bis, comma settimo, cod.pen..
Al giudice del rinvio va altresì rimessa la regolazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.624 cod.proc.pen., va dichiarata la irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità della ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla concessione della circostanza attenuante di cui all’art.589-bis, comma settimo, cod.pen., con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l’art.624 c.p.p. dichiara
l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputata.
Così deciso il 12 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Preside te