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Concorso detenzione stupefacenti tra conviventi

Un uomo viene condannato per il reato di detenzione di stupefacenti in concorso con la propria convivente. La droga viene rinvenuta in parte addosso alla donna e in parte nel garage comune. L’imputato ricorre in Cassazione negando il proprio coinvolgimento. La Suprema Corte rigetta il ricorso, stabilendo che la presenza di materiale per il confezionamento e la pesatura della droga nelle aree comuni dell’abitazione costituisce prova sufficiente a configurare il concorso in detenzione di stupefacenti, dimostrando un consapevole contributo alla condotta illecita.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso in Detenzione di Stupefacenti: Quando l’Attrezzatura in Casa è Prova di Colpevolezza Comune

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27990/2025, affronta un caso emblematico di concorso in detenzione di stupefacenti tra conviventi, delineando i confini probatori della responsabilità penale condivisa. La decisione chiarisce come la presenza di strumenti per il confezionamento della droga negli spazi comuni di un’abitazione possa essere considerata una prova schiacciante del coinvolgimento di entrambi i partner, anche se la sostanza è materialmente occultata sulla persona di uno solo di essi.

I fatti del caso: droga nascosta sulla persona e nel garage

Il caso ha origine da una perquisizione effettuata presso l’abitazione di una coppia. Durante l’operazione, le forze dell’ordine rinvengono diverse quantità e tipi di sostanze stupefacenti. Una parte significativa, tra cui cocaina e marijuana, viene trovata occultata tra gli indumenti della donna. Un’altra cospicua quantità di marijuana viene invece scoperta all’interno di un armadio nel garage di pertinenza della casa.

La Corte d’Appello, confermando sostanzialmente la sentenza di primo grado, condanna entrambi i conviventi per detenzione ai fini di spaccio in concorso. La difesa dell’uomo, tuttavia, decide di ricorrere in Cassazione, sostenendo la sua totale estraneità ai fatti.

I motivi del ricorso: la tesi difensiva sul concorso in detenzione di stupefacenti

L’imputato basa il suo ricorso su diversi motivi, ma il fulcro della sua difesa è la contestazione del concorso in detenzione di stupefacenti. Egli sostiene di non essere a conoscenza della droga che la compagna nascondeva su di sé e che non vi fosse alcuna prova di un suo consapevole contributo alla detenzione. La tesi difensiva mirava a dimostrare che la detenzione fosse un fatto esclusivo e personale della convivente.

Inoltre, il ricorrente lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e contestava la qualificazione giuridica dei fatti come reato continuato, sostenendo si trattasse di un’unica condotta di codetenzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione: la prova del concorso di persone

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello logica, coerente e priva di vizi. Il punto cruciale della decisione risiede nella valorizzazione degli elementi indiziari raccolti durante la perquisizione.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che, all’interno della cucina dell’abitazione, un’area comune e accessibile a entrambi i conviventi, erano stati trovati tutti gli strumenti necessari per il confezionamento della droga: una macchina sottovuoto, bustine e un bilancino di precisione. Secondo la Corte, questi elementi non potevano essere ignorati e costituivano una prova logica del fatto che entrambi gli abitanti dell’immobile fossero coinvolti nell’attività illecita.

La Cassazione ha chiarito che non si trattava di una semplice connivenza passiva, ma di una vera e propria codetenzione. Il fatto che la donna, probabilmente allertata dall’arrivo delle forze dell’ordine tramite un sistema di telecamere, avesse tentato di occultare parte della droga sulla sua persona è stato interpretato non come un atto di detenzione esclusiva, ma come un maldestro tentativo di nascondere una parte dello stupefacente detenuto in comune. Di conseguenza, la Corte ha concluso che la detenzione della sostanza, sia quella trovata sulla donna sia quella nel garage, era riconducibile a entrambi gli imputati a titolo di concorso.

Anche le altre doglianze sono state respinte. La Corte ha ribadito che le attenuanti generiche non sono un diritto e la loro negazione era stata adeguatamente motivata. Infine, ha confermato la correttezza della pena applicata per la continuazione, già ridotta in appello in modo congruo.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un importante principio di diritto in materia di concorso in detenzione di stupefacenti nell’ambito di una convivenza. Stabilisce che la responsabilità penale può essere desunta non solo dal ritrovamento diretto della sostanza, ma anche da elementi circostanziali che, valutati nel loro insieme, dimostrano in modo inequivocabile la consapevolezza e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. La presenza di materiale per il confezionamento in aree comuni diventa, così, un indizio grave, preciso e concordante, capace di fondare una pronuncia di condanna per entrambi i conviventi, superando la tesi della detenzione a titolo esclusivamente personale.

Quando si configura il concorso in detenzione di stupefacenti tra conviventi?
Secondo la sentenza, il concorso si configura quando esistono prove che entrambi i conviventi contribuiscono consapevolmente alla detenzione, anche se la droga è fisicamente trovata addosso a uno solo. La presenza in aree comuni dell’abitazione (es. la cucina) di materiale per pesare e confezionare lo stupefacente è un elemento di prova fondamentale per dimostrare la codetenzione.

La semplice convivenza con una persona che detiene droga comporta una responsabilità penale?
No. La sentenza chiarisce che un semplice comportamento passivo, consistente nell’assistere alla perpetrazione del reato senza impedirlo, non configura concorso, a meno che non esista uno specifico obbligo giuridico di impedire l’evento. Per la responsabilità penale è necessario un contributo consapevole e attivo alla detenzione illecita.

Il giudice è obbligato a concedere le attenuanti generiche in assenza di elementi negativi sulla personalità dell’imputato?
No, la Corte ribadisce che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non è un diritto. La loro concessione richiede la presenza di elementi di segno positivo che giustifichino una riduzione della pena, e la sola assenza di elementi negativi non è di per sé sufficiente a motivarne il riconoscimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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