Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7675 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7675 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Nuoro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2023 della Corte di appello di Cagliari – Sezion Distaccata di Sassari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurato generale NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. COGNOME NOME ricorre avverso la decisione della Corte di appello di Cagl – Sezione Distaccata di Sassari, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Nuo che lo aveva dichiarato colpevole in ordine al delitto di cui agli artt. 99, quarto ultimo periodo, 61, primo comma, n. 11 -quater), cod. pen. e 110 cod. pen. 73, comma 4, e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, condannandolo alla pena di anni quattro, mesi due di reclusione ed euro 15.000 di multa.
Secondo l’accusa il COGNOME, in concorso con la propria convivente – giudic separatamente -, avrebbe illecitamente detenuto un’ingente quantità di sosta stupefacente del tipo marijuana (parte essiccata e parte in fase di essicca
contenente complessivamente chilogrammi 3.930,48 di principio attivo sufficiente per la predisposizione di 157.219 dosi medie singole), occultata all’interno di uno stabile abbandonato confinante con l’abitazione ove si trovava agli arresti donniciliari; fatti accertati ad Orune il 27 agosto 2016.
Secondo quanto rilevato dalla Corte di appello, gli elementi valorizzati dalla decisione di primo grado erano sufficienti a ritenere che il quantitativo di stupefacente rinvenuto fosse ascrivibile, non solo alla convivente, che nell’immediatezza del fatto se ne era assunta l’esclusiva titolarità, ma anche al COGNOME, persona all’epoca dei fatti detenuta agli arresti domiciliari e, come la donna, in condizione di accedere all’immobile in cui erano stati trovati involucri di sostanza stupefacente del tipo marijuana.
La decisione evidenzia come il quantitativo della sostanza stupefacente, che supera i due chilogrammi di principio attivo, sia compatibile con i principi della giurisprudenza di questa Corte in tema di aggravante ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 e la pena fosse stata determinata in maniera congrua dal primo giudice.
Per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, il ricorrente deduce quattro motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce vizi di motivazione e violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ed all’art. 192 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 3. 24 e 111 Cost, art 546, lett. e), n. 1 e n. 4, cod. proc. pen..
La Corte di appello non ha dato conto delle prove che deponevano per il consapevole concorso morale e materiale del COGNOME nel reato contestato, tali da agevolare o rafforzare la condotta posta in essere dalla convivente che, sin da subito, ha attribuito a sé stessa la titolarità dello stupefacente.
I testi della difesa, colleghi di lavoro avevano riferito di non essersi mai fermati durante il percorso che percorrevano per andare e ritornare dal lavoro, che il COGNOME era autorizzato a svolgere durante l’esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, mentre i militari competenti avevano evidenziato la frequenza dei controlli a cui il COGNOME era periodicamente sottoposto.
Non sussiste, pertanto, alcuna possibilità, a causa dell’attività lavorativa e dei controlli della polizia giudiziaria, che il ricorrente potesse occuparsi della detenzione dello stupefacente, costituendo mero pregiudizio la parte della motivazione che spiega le dichiarazioni della convivente quale tentativo di tenere il COGNOME al riparo dalle accuse mossegli.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 110 cod. pen. nella parte in cui è stato attribuito il concorso nel reato sulla base della sola convivenza con la compagna che si era assunta ogni responsabilità in merito.
Non sussiste alcun elemento probatorio dal quale potersi evincere la pur irrilevante connivenza del ricorrente nella condotta di reato della donna.
Non è emerso dalle indagini quale sia stato il contributo morale e fattuale all’attività di detenzione della sostanza stupefacente riferibile alla compagna NOME.
2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen.; la concessione delle circostanze attenuanti generiche avrebbero consentito di applicare al ricorrente una pena più congrua.
2.4. Con il quarto motivo si deduce l’errata applicazione del criterio del cumulo materiale delle due aggravanti ad effetto speciale in luogo del cumulo giuridico previsto dall’art. 63, quarto comma, cod. pen. allorché si verta in ipotesi di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e secondo motivo, nella parte in cui censurano la motivazione in ordine al contributo – materiale o morale – fornito dal COGNOME alla condotta di detenzione della convivente, è fondato.
Ai fini dell’integrazione del concorso nel reato ed in particolare, per quel che concerne il caso sottoposto a scrutinio, nel delitto di illecita detenzione ai fini spaccio di sostanza stupefacente, è necessario un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte non realizzano la fattispecie concorsuale (Sez. 4, n. 3924 del 05/02/1998, Brescia, Rv. 210638; cfr. anche Sez. 6, n.11383 del 20/10/1994, COGNOME, Rv. 199634).
Di contro, per la configurazione del concorso, è sufficiente la partecipazione all’altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all’agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell’altro di poter contare su una propria attiva collaborazione (cfr., con riferimento al concorso del coniuge, Sez. 6, n. 9986 del 20/05/1998, COGNOME, Rv. 211587).
Sotto altro, ma pertinente aspetto, tenuto conto che l’accesso ai luoghi in cui è stata rinvenuta la sostanza stupefacente sono stati ritenuti, in concreto, accessibili unicamente dall’immobile in cui abitavano il COGNOME e la convivente, deve farsi cenno all’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare
alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà d arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito (Sez. 6, n. 14606 del 18/02/2010, lemma, Rv. 247127; Sez. 4, n. 4948 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246649).
In ordine al contributo partecipativo, significativo è il contributo quanto meno all’occultamento, custodia e controllo dello stupefacente che, per essere finalizzati ad evitare che lo stesso venga rinvenuto e quindi a protrarne la illegittima detenzione, costituiscono apporto concorsuale al reato in questione (Sez. 4, n. 40167 del 16/06/2004, Volpe, Rv. 229565). Il principio di diritto si è ritenuto ricorresse proprio nei casi di convivenza nella stessa abitazione, consentendo di valutare in termini di concorso di persone l’apporto, per esempio, del figlio, titolare dell’appartamento in cui lo stupefacente era nascosto (Sez. 4, n. 12777 del 12/10/2000, COGNOME F, Rv. 217903).
Ciò detto in generale quanto ai canoni che avrebbero dovuto sovrintendere alle valutazioni operate dai Giudici di merito, la responsabilità a carico del ricorrente e, conseguentemente, il contributo dato alla condotta della convivente NOME sono stati ritenuti sussistenti sulla base dell’accertato accesso al luogo di occultamento della sostanza per il tramite di un agile passaggio dall’appartamento in cui conviveva la coppia e della valorizzazione dell’inattendibile versione resa dalla donna che ha dichiarato di esserne l’esclusiva titolare.
3.1. Per giungere a detta conclusione la Corte territoriale, per mezzo di articolata motivazione, ha messo in evidenza come costituisse dato incontestato il fatto che l’accesso sul luogo in cui era stata rinvenuta la sostanza stupefacente era stato effettuato dall’abitazione in cui era agli arresti domiciliari il ricorrente ed in conviveva con la compagna che aveva dichiarato, nell’immediatezza dei fatti, di essere l’esclusiva detentrice della sostanza stupefacente sequestrata.
La decisione ha fondato l’illazione sul contenuto delle testimonianze dei verbalizzanti e delle foto effettuate all’atto della perquisizione; queste davano conto di come l’accesso al casolare abbandonato in cui è stata ritrovata la sostanza stupefacente, seppure astrattamente possibile da altri punti esterni dell’edificio, proprio per le condizioni in cui tali luoghi si presentavano, si era realizzato proprio dall’abitazione del COGNOME.
3.2. Per dimostrare, inoltre, che il ricorrente avesse concorso nel delitto della NOME, la Corte di merito ha assegnato preponderante valenza alla ritenuta inattendibilità della donna, specie nella parte in cui aveva dichiarato di essere stata l’esclusiva titolare della sostanza stupefacente che gli era stata consegnata alcuni
giorni prima da un connazionale – che conosceva da lunga data ma di cui non ricordar o intendeva riferire il nome – al solo fine di farla essiccare.
Dalla ritenuta implausibilità della versione resa dalla NOME in ordine ai tempi motivi della detenzione, la Corte di appello è pervenuta alla conclusione ch dichiarazioni fossero tese a coprire la responsabilità del convivente in ordin detenzione della sostanza stupefacente.
3.3. Proprio tale passaggio della motivazione realizza una frattura logica t responsabilità della donna e quella concorrente del convivente, visto che l’illazion risulta supportare l’ipotizzato contributo, morale o materiale, che l’uomo avrebbe all’indiscussa condotta posta in essere dalla donna che, da quanto evidenziato n decisione, risulta essere stata creduta nella parte in cui ha affermato di es titolare della sostanza stupefacente, ma non anche allorché se ne è assunta l’escl titolarità.
Poiché la questione non afferisce alla quota della responsabilità della convive ma attiene, piuttosto, alla necessaria individuazione di elementi che porti ritenere accertato un contributo che a detta detenzione avrebbe dato il convivent Collegio osserva come non si si riveli sufficiente dimostrare che le dichiarazioni convivente non fossero compatibili (solo in parte) con un’esclusiva detenzione de sostanza stupefacente, se non si evidenziano, al contempo, quali sono le ragioni portano a ritenere che proprio il convivente abbia fornito un apporto moral materiale alla fattispecie contestata ex art. 110 cod. pen..
Se, infatti le dichiarazioni della convivente possono essere ritenute inattendib valutazione in tali termini espressa non risulta ex se idonea a corroborare una ricostruzione indiziaria in ordine all’ipotizzato contributo fornito dall’uomo, rendere anche una logica spiegazione delle ragioni che hanno portato a ritene esistente un contributo sorretto su dati certi e non, invece, fondato proprio stesse dichiarazioni che si assumono inattendibili.
In conclusione, l’apporto conoscitivo cui la Corte territoriale è perve attraverso il giudizio di inattendibilità della donna, se da un canto può giust l’elisione, con riferimento alla posizione del ricorrente, di un dato a costui favore quanto astrattamente idoneo ad escludere la responsabilità (la parte del propalato ha inteso attribuire solo alla dichiarante la titolarità dello stupefacente), i neutro in tal modo raggiunto, d’altro canto, non costituisce un elemento idone dimostrare, in positivo, la sussistenza di un contributo a titolo di concor spettava alla Corte di appello ricostruire in concreto: l’assenza di prove dell’inn dell’imputato, pertanto, non può essere sufficiente a dimostrare la sua responsabil
Da quanto sopra consegue l’annullamento della sentenza con rinvio alla Cort di appello di Cagliari che dovrà, attenendosi ai principi di diritto sopra espr
merito ai presupposti per la integrazione del concorso nel reato di detenzione di sostanza stupefacente posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE, rimotivare in ordine al contributo se del caso – fornito dal COGNOME.
I residui motivi afferenti alla sussistenza della aggravante dell’ingente quantità e in merito alla determinazione della pena risultano superati dalla presente decisione di annullamento e dalla previa verifica della sussistenza della responsabilità del ricorrente.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Cagliari.
Così deciso il 31/01/2024