Concorso detenzione stupefacenti: la prova nei gesti
Il concorso detenzione stupefacenti è un reato complesso da provare, specialmente quando la sostanza illecita non è in possesso diretto di uno degli accusati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito come il comportamento, i gesti e la presenza costante possano diventare elementi chiave per dimostrare la complicità. In questo articolo analizziamo una decisione che conferma come un comportamento sospetto possa valere più di mille parole, portando alla conferma di una condanna.
I Fatti del Caso: un Viaggio Sospetto
La vicenda giudiziaria ha origine da un’operazione di polizia presso una stazione ferroviaria periferica. Un uomo e una donna vengono notati mentre scendono da un treno proveniente dal capoluogo di provincia. I due erano arrivati insieme in auto alla stessa stazione nel primo pomeriggio, per poi intraprendere il viaggio. Al loro ritorno, l’uomo saluta la donna con ampi gesti, facendole segno di allontanarsi a piedi. Questo comportamento insospettisce gli agenti, che decidono di intervenire.
L’intervento porta al rinvenimento e al sequestro di un ingente quantitativo di hashish, circa 1.290 grammi, occultato nella borsa della donna. Sulla base di questi elementi, l’uomo viene accusato e condannato in primo grado per concorso nella detenzione illecita della sostanza stupefacente. La sua difesa aveva proposto una ricostruzione alternativa dei fatti, che però non ha convinto i giudici.
La Decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado. I giudici di secondo grado sottolineano che la difesa non aveva impugnato correttamente la propria versione dei fatti, rendendo il motivo d’appello su questo punto inammissibile. Inoltre, la Corte ha ritenuto pienamente fondata l’ipotesi accusatoria, basata sulla concatenazione logica degli eventi: il viaggio insieme, la costante presenza dell’uomo e, soprattutto, il gesto finale volto a far allontanare la donna dalla stazione. Secondo i giudici, questo comportamento non aveva altra spiegazione se non quella di allontanare da sé ogni sospetto, avendo probabilmente percepito la presenza delle forze dell’ordine.
Il Ricorso in Cassazione e il concorso detenzione stupefacenti
Contro la sentenza d’appello, l’imputato propone ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:
1. Errata valutazione della responsabilità: si contesta la ricostruzione dei fatti e l’affermazione della sua colpevolezza.
2. Eccessività della pena: si ritiene il trattamento sanzionatorio troppo severo.
La difesa ha tentato di smontare l’impianto accusatorio, sostenendo, ad esempio, l’assenza di prove relative a un’attività di spaccio al dettaglio, un argomento che la Corte ha ritenuto poco pertinente rispetto all’accusa di detenzione.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. In primo luogo, i giudici supremi hanno evidenziato come la censura sulla ricostruzione dei fatti fosse preclusa, dato che l’imputato non aveva contestato specificamente la declaratoria di inammissibilità del corrispondente motivo d’appello.
Nel merito, la Corte ha definito il percorso argomentativo dei giudici di secondo grado come logico e coerente. Le circostanze complessive – la presenza costante dell’uomo accanto alla donna e l’invito plateale ad allontanarsi a piedi da una stazione isolata – sono state ritenute prove decisive del suo concorso detenzione stupefacenti. Tale comportamento, in assenza totale di spiegazioni alternative plausibili, è stato interpretato come un chiaro tentativo di depistaggio. Le critiche mosse nel ricorso sono state giudicate generiche e poco congruenti con la vicenda processuale.
Anche la censura relativa alla pena è stata respinta per genericità. La Corte ha osservato che i giudici d’appello avevano già definito la pena “improntata a particolare benevolenza”, in quanto di poco superiore al minimo di legge, a cui era stato aggiunto un aumento per la recidiva qualificata, peraltro non contestata nel ricorso.
Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: nel processo penale, la prova della colpevolezza può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti. Il comportamento tenuto da un imputato prima, durante e dopo la commissione di un reato può assumere un valore probatorio decisivo. In questo caso di concorso detenzione stupefacenti, i gesti e le azioni dell’uomo sono stati interpretati come un “linguaggio del corpo” che tradiva la sua consapevolezza e il suo ruolo attivo nell’illecito. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e pertinenti, pena la loro inammissibilità.
Quando i gesti e la presenza costante possono provare il concorso in un reato?
Secondo la Corte, la costante presenza dell’imputato con la coimputata e i suoi gesti plateali finalizzati a farla allontanare da una stazione periferica, in assenza di qualsiasi altra spiegazione logica, costituiscono elementi indicativi sufficienti a dimostrare la sua complicità nel reato di detenzione di stupefacenti.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se i motivi presentati sono considerati generici, ovvero se non contestano in modo specifico e puntuale le argomentazioni logico-giuridiche della sentenza impugnata, ma si limitano a riproporre una diversa lettura dei fatti.
Cosa comporta una pena definita ‘improntata a particolare benevolenza’?
Significa che i giudici ritengono la sanzione applicata molto mite. Nel caso specifico, la pena era di poco superiore al minimo previsto dalla legge, a cui si aggiungeva solo l’aumento per una recidiva qualificata, rendendo la lamentela sulla sua presunta eccessività infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 328 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 328 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FAVARA il 28/07/1961
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputato del concorso nel reato di illecita detenzione dell’hashish rinvenuto nella borsa di NOMECOGNOME come meglio specificato in rubrica – ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 07/03/2023 dalla Corte d’Appello di Palermo (che ha confermato la decisione di condanna emessa dal Tribunale della stessa città), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con specifico riferimento all’affermazione di responsabilità e alla misura del trattamento sanzionatorio;
ritenuto, quanto alla prima censura, che la valutazione delle doglianze relative al mancato apprezzamento della ricostruzione alternativa proposta dalla difesa sia preclusa dalla mancata impugnazione della declaratoria di inammissibilità del corrispondente motivo di appello, avendo la Corte territoriale in tal senso stigmatizzato la mancata deduzione di tale diversa ricostruzione (cfr. pagg. 2-3 della sentenza impugnata). Peraltro, la Corte d’Appello ha diffusamente motivato in ordine alla fondatezza dell’ipotesi accusatoria, imperniata sulla complessiva attività di indagine che aveva visto il COGNOME e la COGNOME arrivare in auto nel primo pomeriggio, presso la stazione ferroviaria di Aragona Caldare, prendere un treno per Palermo e rientrare alla predetta stazione alle 19.45 con un convoglio proveniente dal capoluogo (all’arrivo, l’odierno ricorrente aveva salutato con ampi gesti la COGNOME, facendole segno di allontanarsi a piedi: l’immediato intervento degli operanti aveva consentito il rinvenimento e il sequestro di hashish per complessivi gr. 1.290, occultati nella borsa della donna). Tali complessive circostanze sono state ritenute indicative del concorso del COGNOME nella detenzione dell’hashish, sia per la costante sua presenza insieme alla COGNOME sin dall’arrivo in stazione, sia soprattutto perché l’invito finale ad allontanarsi a piedi da una stazione periferica di provincia, formulato dal ricorrente a gesti, non aveva altra spiegazione – in totale assenza di deduzioni idonee a prospettare una ricostruzione alternativa – diversa dall’intento del COGNOME di allontanare da sé ogni sospetto, avendo percepito la presenza degli operanti. Si tratta di un percorso argomentativo del tutto in linea con quello del primo giudice, in relazione al quale il ricorren prospetta censure del tutto generiche, ed in parte poco congruenti con la vicenda per cui è causa (cfr. pag. 6 del ricorso, in cui si fa ripetutamente riferimento all’assenza di prove circa l’attività di cessione al dettaglio da parte del BUGEA); Corte di Cassazione – copia non ufficiale ritenuto che ad analoghe conclusioni di genericità debba pervenirsi quanto alla residua censura, difettando concrete allegazioni idonee a superare la valutazione della Corte d’Appello, che ha ritenuto la pena inflitta dal primo giudice “improntata a particolare benevolenza” (sii tratta in effetti di un modesto scostamento dal minimo edittale, cui è stato aggiunto l’aumento di due terzi
correlato alla recidiva qualificata in relazione alla quale non sono state prospettate, in questa sede, doglianze di sorta;
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle 8krnmende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Rorna9I 1 dicembre 2023 Il Consiglier nsore COGNOME
Il Presidente