Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33314 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33314 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/12/2023 del TRIB. LIBERTA di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, e quelle del ricorrente, che ha insistito per il suo accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 dicembre 2023 il Tribunale del riesame di Catania, procedendo ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato il ricorso presentato da NOME COGNOME avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città, il 7 dicembre 2023, gli ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di detenzione di armi comuni da sparo, detenzione di arma clandestina e ricettazione.
La vicenda nell’ambito della quale sono stati emessi i menzionati provvedimenti è scaturita dall’irruzione, il 4 dicembre 2023, delle forze dell’ordine, seguita ad un’operazione di appostamento e controllo, all’interno di un edificio sito in Catania, INDIRIZZO, nella disponibilità della famiglia di NOME NOME il quale, nell’occasione, lo occupava unitamente ad altri giovani, i quali detenevano tre pistole, una delle quali con matricola abrasa, corredate del relativo munizionamento.
Stando all’ipotesi di accusa, avallata dai giudici della cautela, gli indagati appartenenti ad uno dei gruppi criminali che si contendono il controllo del territorio etneo e timorosi di subire la ritorsione di una compagine rivale, si sono temporaneamente rifugiati all’interno dell’immobile di INDIRIZZO, abitato nel solo periodo estivo e sito in un’area recintata e di difficile accesso, con il confort di micidiale armamento, del quale hanno inutilmente tentato di disfarsi all’atto dell’intervento dei Carabinieri.
Giudice per le indagini preliminari e Tribunale del riesame hanno, in proposito, stimato la responsabilità concorsuale di NOME COGNOME – il quale, in sede di interrogatorio di garanzia, si è professato innocente ed ha sostenuto che, portatosi in quel sito per stare in compagnia degli amici, non si è reso conto della presenza delle pistole – in ordine alla detenzione delle armi de quibus agitur sulla scorta, tra l’altro:
delle parziali ammissioni, concernenti anche la sua responsabilità, rese dai coindagati COGNOME e COGNOME;
dell’implausibilità, già dal punto di vista logico, di una ricostruzione de fatti alternativa rispetto a quella accusatoria; tutti i soggetti identificati er invero, presenti all’interno dell’immobile almeno da alcune ore prima dell’irruzione e NOME, in particolare, in quel torno di tempo non se ne era mai allontanato; al momento dell’ingresso dei militi nello stabile, i giovani presenti hanno posto in essere un’azione previamente concordata, taluno, come NOME, cercando di ritardare l’accesso degli operanti al luogo in cui le armi eraffo
custodite, altri cercando di disfarsene gettandole, insieme ai telefoni cellulari, dal terrazzino;
dell’assenza di riscontro alcuno alla tesi secondo cui gli astanti si erano ritrovati in quell’immobile per preparare e consumare un pasto, laddove, invece, il luogo risultava attrezzato (stante la presenza di scorte alimentari e di brandine) in funzione di una permanenza prolungata.
Il Tribunale del riesame ha, altresì, ritenuto la proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare di massimo rigore, desunta dal precedente coinvolgimento dell’indagato in altra, quantunque meno grave, vicenda relativa alla detenzione di armi, oltre che dalla condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale e, soprattutto, dalla probabile iscrizione dell’episodio nell cornice della contrapposizione tra sodalizi di criminalità organizzata, che concorre a concretizzare il pericolo che egli, se sottoposto a misura meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari, approfitti della relativa libe movimento in tal modo garantitagli per rendersi autore di reati analoghi.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione vedente su due motivi, dei quali si darà atto, ai sensi dell’ad. 173, comma 1, disp. att., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con il primo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sul rilievo che il Tribunale del riesame, lungi dall’esaminare criticamente le obiezioni rivolte al titolo genetico della misura cautelare, ha replicato attraverso mere formule di stile e senza svolgere argomentazioni calibrate rispetto alla sua posizione.
Tanto, con riferimento: alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, prive, nei suoi confronti, di effettiva attitudine indiziante; alla durata, che non risu precisamente stabilita, della sua permanenza nell’immobile della famiglia COGNOME; alla connotazione strategica, da escludersi, stante l’assenza di vie di fuga diverse dalla via d’accesso principale, dell’appartamento quale luogo in cui trovare riparo dagli attacchi della fazione avversa; al contegno serbato, da lui e dai coindagati, una volta trovatisi di fronte ai Carabinieri, dettato dalla paura e dall’agitazion anziché, come adombrato, dall’intento di sottrarre le armi alla vista dei militi; alla modestia del suo background delinquenziale; all’occasionalità della sua presenza nel luogo di custodia delle armi, testimoniata dall’indisponibilità dei presidi (dal punto di vista dell’abbigliamento e dell’igiene personale) necessari per una più lunga permanenza; all’irrilevanza, in chiave accusatoria, della sua pregressa frequentazione con alcuni dei soggetti che nella circostanza sono stati identificati.
Il ri orrente deduce, ulteriormente, che qualora pure si reputasse che eglL TARGA_VEICOLO9i faZI a parte della presenza, in quel sito, delle pistole e delle munizioni, non potrebbe, comunque, discorrersi, in difetto di una relazione stabile con i beni, di detenzione penalmente rilevante ma, al più, di mera tolleranza, dettata dalla relazione amicale che lo legava agli altri soggetti tratti in arresto, che si tradotta in connivenza non punibile o, semmai, nella contravvenzione di omessa denuncia sanzionata dall’art. 697, secondo comma, cod. pen..
Con il secondo motivo, COGNOME eccepisce violazione di legge in relazione alla possibilità di tutelare le esigenze cautelari mediante l’applicazione degli arresti domiciliari, che il Tribunale del riesame ha escluso sulla base di un percorso argomentativo incongruo, che non tiene conto dell’inconsistenza della piattaforma indiziaria e dell’assenza di informazioni certe in ordine alla sua contiguità con ambienti di criminalità organizzata.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, con atto del 26 febbraio 2024, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, mentre COGNOME, con memoria del 19 marzo 2024 (cui ha allegato documentazione), ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della produzione documentale effettuata dal ricorrente unitamente alla memoria del 19 marzo 2024, avente ad oggetto un’annotazione di polizia giudiziaria formata e versata in atti nel febbraio 2024, ovvero in epoca successiva alla celebrazione dell’udienza ex art. 309 cod. proc. pen., alla pubblicazione del provvedimento impugnato ed alla presentazione del ricorso per cassazione.
Tanto, in ossequio al consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di impugnazioni cautelari, eventuali elementi sopravvenuti al momento della chiusura della discussione dinanzi al tribunale del riesame non assumono alcun rilievo nel successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatti valere soltanto con una nuova richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare al giudice competente» (Sez. 3, n. 23151 del 24/01/2019, COGNOME, Rv. 275982 – 01; Sez. 2, n. 8460 del 14/02/2013, COGNOME, Rv. 255308 – 01; Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013, Notarianni, Rv. 256445 – 01).
Per quanto attiene ai motivi di ricorso, è opportuno ricordare, in linea preliminare, che, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimit relativo alla verifica di sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari deve riscontrare, nei limiti della devoluzione, la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: in particolare, il controllo di legittimità non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostitui l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori.
Di conseguenza, non possono ritenersi ammissibili le censure che, pur formalmente investendo la motivazione, si risolvono, in realtà, nella sollecitazione a compiere una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito: ove sia, dunque, denunciato il vizio di motivazione del provvedimento cautelare in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, la Corte di legittimità deve controllare essenzialmente se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare i vaglio delle risultanze probatorie (sull’argomento, cfr. Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 1, n. 50466 del 15/06/2017, NOME, non massimata; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha compiutamente illustrato, con motivazione ampia ed esaustiva, le ragioni che lo hanno indotto a ritenere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di NOME COGNOME in relazione alla detenzione delle armi sequestrate il 4 dicembre 2023.
A tal fine, ha valorizzato una pluralità di elementi – analiticamente richiamati, sopra, nell’esposizione del fatto – che, sinergicamente considerati, convincono .sia della consapevolezza, in capo all’indagato, della presenza delle armi all’interno dell’abitazione messa a disposizione da COGNOME, sia dell’avere egli, ivi trattenendosi per alcune ore e cooperando, al sopraggiungere dei Carabinieri, a porre in essere un’azione diversiva, volta a consentire ai correi di disfarsi delle armi, consapevolmente offerto un contributo causalmente rilevante alla detenzione del piccolo arsenale.
Se è vero, infatti, che la pregressa relazione amicale con gli altri soggetti presenti autorizza, in linea di principio, la proposta lettura in chiave alternati lecita della vicenda, non può trascurarsi, per converso, che la tesi della innocente riunione conviviale è priva di qualsivoglia riscontro logico e fattuale, mentre,
invece, le dichiarazioni di alcuni correi sono coerenti con il dato logistico ed ambientale e con l’atteggiamento serbato, all’unisono, da tutti i soggetti presenti all’arrivo delle forze dell’ordine.
In questo contesto, l’evocazione della contrapposizione tra il gruppo criminale cui gli indagati, o, perlomeno, alcuni di loro, risultano contigui ed altra consorteria attiva sul territorio di Catania offre una più che plausibile giustificazione ad un’iniziativa, di carattere marcatamente difensivo e prudenziale, che è stata posta in essere con l’apprezzabile contributo, sul piano causale, di COGNOME il quale, stando all’ordinanza impugnata, mantenendosi nello stabile per almeno tre ore, avrebbe instaurato con le armi – la cui collocazione gli era certamente nota – una relazione che, tanto più nell’ambito di un giudizio a base indiziaria, si presta ad essere qualificata in termini di autonoma disponibilità e, quindi, di detenzione penalmente rilevante.
Al cospetto di un percorso argomentativo alieno da fratture razionali ed aderente alle emergenze istruttorie, il ricorrente articola obiezioni di stampo eminentemente confutativo che, nell’accreditare una diversa esegesi delle singole evidenze fattuali (dalla portata delle dichiarazioni dei correi sino all durata della programmata permanenza nell’immobile, all’attitudine del rifugio a soddisfare le ipotizzate esigenze di sicurezza, al contegno serbato di fronte ai Carabinieri, alla dimensione dei rapporti intrattenuti con COGNOME e gli altri astanti) non riescono ad enucleare, nel provvedimento impugnato, specifici profili di illogicità, tantomeno manifesta, o di contraddittorietà e, quindi, non valgono ad eccitare l’esercizio del potere censorio del giudice di legittimità, confinato – nella sede cautelare – nei limiti sopra indicati.
Il ricorso pecca, d’altro canto, di genericità perché non accompagnato dalla materiale allegazione degli atti di cui sollecita una diversa interpretazione, ed appare, sotto questo punto di vista, non autosufficiente, come attestato dall’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione» (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263601),
Sul piano giuridico, poi, COGNOME, deduce di essere rimasto all’oscuro della presenza delle armi all’interno dell’immobile e di non avere, comunque, offerto alcun apporto eziologicamente utile alla condotta di detenzione, non avendo, dunque, il suo atteggiamento travalicato la sfera della semplice connivenza: di
tal fatta, egli svolge, ancora una volta, considerazioni che, quantunque astrattamente plausibili, non riescono ad incrinare la solidità logicoargomentativa della motivazione dell’ordinanza impugnata, che si mantiene nel solco dell’esercizio dei poteri di valutazione riconosciuti al giudice di merito e calibrati sulla natura del giudizio compiuto ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen..
Non dissimili sono le valutazioni che si impongono con riferimento alle esigenze cautelari, primariamente di tipo specialpreventivo, che il Tribunale del riesame àncora – oltre che alla propensione criminale di NOME, già condannato per detenzione di un tirapugni e resistenza a pubblico ufficiale – alla spiccata offensività della condotta, sintomatica della prossimità a perniciosi ambienti delinquenziali.
Il collegio siciliano ha, peraltro, ritenuto che il pericolo di reiterazione de condotta criminosa sia tanto intenso da lasciar temere che NOME, se sottoposto ad una misura meno restrittiva, ivi compresa quella degli arresti domiciliari, non esiterebbe a rendersi protagonista di nuove imprese criminose: giudizio, questo, che, in quanto espressione della valutazione discrezionale del giudice della cautela, non manifestamente illogica né contraddittoria, sfugge alle censure del ricorrente, che appaiono, anche in questo caso, di stampo essenzialmente rivalutativo perché ispirate – oltre che a considerazioni che attengono al distinto parametro della gravità indiziaria e a non consentite valutazioni di opportunità ad una diversa esegesi dell’episodio, dell’antefatto che lo ha generato, dell’atteggiamento dei protagonisti, dell’animus che sorresse l’azione illecita, nonché del curriculum criminale dell’indagato.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 27/03/2024.