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Concorso del socio in bancarotta: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16413/2025, ha annullato con rinvio la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di alcuni soci di una società fallita, chiarendo che il loro concorso nel reato dell’amministratore deve essere provato con condotte specifiche e non può essere presunto. La Corte ha invece confermato la responsabilità degli amministratori di fatto per aver distratto beni aziendali e tenuto la contabilità in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio. Questo caso evidenzia la distinzione tra la posizione dei soci e quella degli amministratori nel concorso del socio in bancarotta.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso del Socio in Bancarotta: Non Basta Essere Soci per Essere Condannati

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 16413/2025) ha fornito chiarimenti cruciali sulla responsabilità penale dei soci in caso di fallimento societario. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: per affermare il concorso del socio in bancarotta fraudolenta, non è sufficiente la sua mera qualità di socio, ma è necessario dimostrare un suo contributo attivo e consapevole al reato commesso dall’amministratore. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso

Il caso riguardava il fallimento di una società a responsabilità limitata. Gli amministratori (uno di diritto e uno di fatto) e diversi soci erano stati condannati in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’accusa principale era quella di aver distratto beni strumentali essenziali per l’attività aziendale, trasferendoli a una società estera senza ricevere un adeguato corrispettivo e senza garanzie, in un momento in cui la società era già in grave crisi finanziaria. Agli amministratori veniva contestata anche la bancarotta documentale, per aver tenuto la contabilità in modo frammentario, tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, sia gli amministratori che i soci hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha adottato decisioni diverse per le due categorie di imputati:

* Per i Soci: La Corte ha annullato la sentenza di condanna e ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. La condanna è stata ritenuta viziata per mancanza di motivazione.
* Per gli Amministratori: I ricorsi degli amministratori di fatto e di diritto sono stati respinti, confermando così la loro responsabilità per entrambi i reati di bancarotta contestati.

Analisi del concorso del socio in bancarotta

La parte più interessante della sentenza riguarda la posizione dei soci. La Cassazione ha censurato la decisione della Corte d’Appello perché non aveva adeguatamente motivato in che modo i soci avrebbero concretamente contribuito al reato. I giudici di merito si erano limitati a valorizzare la loro qualità di soci e la loro presunta consapevolezza della crisi aziendale, senza però individuare specifiche condotte “agevolatrici” dell’azione distrattiva posta in essere dagli amministratori.

Secondo la Cassazione, per condannare un socio (extraneus) per concorso nel reato proprio dell’amministratore (intraneus), l’accusa deve provare due elementi essenziali:

1. Elemento Oggettivo: Una condotta concreta di apporto o di contributo alla decisione illecita dell’amministratore. Non è sufficiente una generica “comune malafede”.
2. Elemento Soggettivo (Dolo): La volontarietà del proprio contributo e la consapevolezza che tale azione determinerà un impoverimento del patrimonio sociale a danno dei creditori.

Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata apparente e illogica, poiché non specificava quali atti o comportamenti i soci avessero tenuto per concorrere alla distrazione dei beni.

La responsabilità degli amministratori di fatto

Diversamente, la Corte ha ritenuto ben motivata e corretta la condanna degli amministratori. Per quanto riguarda l’amministratore di fatto, è stato provato il suo ruolo gestorio continuativo anche dopo la cessione formale delle quote societarie. Le testimonianze, infatti, confermavano che egli continuava a impartire direttive, a occuparsi dei pagamenti e a essere il punto di riferimento per le attività sociali.

Per quanto riguarda la bancarotta patrimoniale, la Corte ha confermato la natura fraudolenta dell’operazione di vendita dei beni strumentali, avvenuta senza garanzie e senza un effettivo incasso del corrispettivo, azione che ha privato la società della possibilità di continuare a operare. In merito alla bancarotta documentale, è stato accertato che, a partire da un certo anno, la contabilità era tenuta in modo talmente frammentario da impedire la ricostruzione del patrimonio, integrando così il reato contestato.

le motivazioni

La Corte ha ribadito che la responsabilità penale è personale. Nel contesto dei reati fallimentari, la qualifica di socio non comporta automaticamente una responsabilità per le condotte illecite degli amministratori. Il principio del concorso del socio in bancarotta richiede una prova rigorosa del suo effettivo e consapevole contributo causale all’azione delittuosa. La sentenza critica un approccio che deduce la colpevolezza dalla mera posizione societaria, richiamando alla necessità di individuare condotte specifiche e prove concrete che dimostrino la partecipazione del socio al piano criminoso. Per gli amministratori, invece, la responsabilità deriva direttamente dalla loro funzione gestoria, sia essa di diritto o di fatto, e dalle decisioni dannose che hanno assunto per la società e per i suoi creditori.

le conclusioni

Questa sentenza è di fondamentale importanza perché traccia una linea netta tra la responsabilità gestoria degli amministratori e quella dei soci. Le implicazioni pratiche sono significative:

* Per i Soci: Essere socio di una società che fallisce non significa essere automaticamente co-responsabile dei reati fallimentari. È necessario un coinvolgimento attivo e provato.
* Per l’Accusa: Il pubblico ministero ha l’onere di provare non solo il reato commesso dall’amministratore, ma anche la specifica condotta concorsuale del socio, senza poter ricorrere a presunzioni basate sulla sua qualifica.
* Per gli Amministratori di fatto: La sentenza conferma che chi gestisce una società in modo sistematico, anche senza una carica formale, ne assume tutte le responsabilità penali in caso di fallimento.

Un socio di una S.r.l. risponde automaticamente del reato di bancarotta fraudolenta commesso dall’amministratore?
No. Secondo la sentenza, la mera qualità di socio non è sufficiente per essere condannato. È necessario che l’accusa provi una sua condotta specifica di contributo al reato e la consapevolezza che tale condotta avrebbe danneggiato i creditori.

Cosa deve provare l’accusa per dimostrare il concorso del socio nel reato di bancarotta?
L’accusa deve dimostrare sia un elemento oggettivo, cioè una condotta concreta di apporto all’azione illecita dell’amministratore, sia un elemento soggettivo, ovvero la volontarietà di tale contributo con la consapevolezza di impoverire il patrimonio sociale a danno dei creditori.

Chi è considerato ‘amministratore di fatto’ e come viene determinata la sua responsabilità?
È considerato ‘amministratore di fatto’ colui che, senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo poteri gestionali e direttivi nella società. La sua responsabilità è equiparata a quella dell’amministratore di diritto e viene determinata provando il suo inserimento organico nelle funzioni direttive dell’azienda, come impartire ordini, gestire rapporti con dipendenti e fornitori, e prendere decisioni aziendali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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