Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16413 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16413 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nata a BRUGG( SVIZZERA) il 07/11/1970 COGNOME NOME COGNOME nato a MAZARA DEL VALLO il 08/07/1969 COGNOME NOME nato a CAMPOBELLO DI MAZARA il 04/08/1962 NOME COGNOME nato il 07/11/1973 COGNOME NOME COGNOME nato il 25/08/1978
COGNOME nato a BRUGG( SVIZZERA)11 12/04/1984
avverso la sentenza del 23/11/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza del 23 novembre 2023, con cui la Corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il concorso nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta documentale cd. generica, nonché di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il concorso nel solo delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Secondo i giudici di merito, NOME COGNOME in qualità di amministratore di diritto e, dall’agosto del 2011, di amministratore di fatto, della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 7 agosto 2013, NOME COGNOME in qualità di amministratore di fatto della predetta società a partire dall’agosto del 2011, e gli altri summenzionati imputati in qualità di soci della medesima società, distraevano, tra il 2009 e il 2010, beni strumentali nella disponibilità della fallita trasferendoli alla società tunisina RAGIONE_SOCIALE, in un momento in cui la RAGIONE_SOCIALE si trovava già in stato di decozione, senza chiedere adeguate garanzie per il pagamento dei beni trasferiti e senza acquisire il corrispettivo. A distanza di qualche mese dall’illecita operazione, gli imputati cedevano tutte le quote, con operazione reputata fittizia, al cittadino tunisino NOME COGNOME rimanendo, la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE, amministratori di fatto della fallita. Questi ultimi, a partire dal 2011, tenevano la contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i sei imputati, per il tramite dei propri difensori, con tre diversi atti, affidando le censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME a firma dell’Avv. NOME COGNOME.
3.1 Col primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’elemento materiale del delitto di bancarotta distrattiva, ritenuto sussistente malgrado l’assenza di specifiche prove dimostrative delle asserite condotte fraudolente. Non considerando la posizione di meri soci rivestita dai due ricorrenti, la Corte distrettuale ha disatteso la giurisprudenza di questa Corte, che pone a carico dell’amministratore, e non dei soci, l’onere di dimostrare la destinazione dei beni sottratti. Si deduce altresì violazione degli artt. 192 e 533 del codice di rito: nel valutare le prove emerse in dibattimento, infatti, i giudici di merito hanno travisato i contenuti di testimonianze e documenti (segnatamente,
bolle doganali e fatture), in cui erano analiticamente descritte le merci, allegate le fatture indicanti i relativi crediti; il valore dei crediti stessi era inoltre riportato n registri I.v.a. Contrariamente a quanto affermato in motivazione, il recupero dei crediti è documentato almeno fino al momento dello scoppio delle rivolte della cd. primavera araba, evento che ha impedito alla fallita di recuperare la parte restante del credito. Si contesta anche la valutazione della Corte d’appello circa l’asserita natura fittizia della cessione delle quote, scaturita dall’erronea valutazione delle testimonianze del notaio COGNOME (il quale aveva puntualizzato come la cessione delle quote fosse avvenuta nel pieno rispetto delle regole) e del consulente di parte COGNOME.
3.2 Col secondo motivo, si lamenta la carenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del delitto ascritto, avendo la Corte territoriale omesso qualsivoglia approfondimento non soltanto in tema di dolo generico ravvisabile nelle condotte dei ricorrenti, ma, più in generale, circa il ruolo svolto dagli stessi nella vicenda in esame.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME a firma dell’Avv. NOME COGNOME consta di tre motivi.
4.1 Col primo motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello affermato la responsabilità del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale ricollegandola all’indimostrato ruolo di amministratore di fatto. È stata infatti omessa l’indicazione di qualsivoglia indice sintomatico di gestione e di diretta partecipazione alla vita della società in capo al Tamburello e travisate sono state le prove documentali e testimoniali (in particolare, le dichiarazioni del teste COGNOME e del curatore fallimentare). Si contesta, in particolare, la mancata indicazione delle mansioni direttive che il ricorrente avrebbe svolto al momento dell’uscita dalla compagine societaria.
4.2 Il secondo motivo attiene alla contestazione dell’ascritto reato di bancarotta distrattiva ed è sovrapponibile alle censure esposte nel ricorso precedente, v. retro, sub 3.1.
4.3 Col terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in quello di bancarotta documentale semplice. Dalla motivazione dell’impugnata sentenza non è dato evincere quali specifiche condotte -sottrattive della documentazione contabile o di mera irregolarità nella tenuta delle stessasiano state imputate al ricorrente. La Corte d’appello si è limitata a ritenere provato il dolo specifico sulla base del mancato rinvenimento dei beni aziendali.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, a firma dell’Avv. NOME COGNOME espone un unico motivo, con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, anche sub specie di travisamento di prova, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Si osserva che i ricorrenti non hanno mai rivestito il ruolo di amministratori della fallita, bensì quello di soci. Con motivazione puramente apparente, la Corte d’appello non ha indicato specifiche condotte illecite attribuibili agli imputati, effettivamente finalizzate a recare nocumento al ceto creditorio, né ha tenuto in alcun conto le prove emerse durante il dibattimento (segnatamente le dichiarazioni testimoniali del curatore e del notaio), che scagionavano i due ricorrenti; non a caso -ricorda la difesa-, il pubblico ministero aveva richiesto l’assoluzione per il COGNOME per non aver commesso il fatto. In definitiva, la responsabilità per il delitto di bancarotta distrattiva è stata illogicamente e illegittimamente affermata sulla sola base di una valutazione di opportunità aziendale, non già con riferimento a norme penali specificamente violate. Ne risulta violata la regola di giudizio di cui all’art. 533, comma 1, del codice di rito. La sentenza è inoltre censurabile nella parte in cui ha immotivatamente denegato le invocate circostanze attenuanti generiche. Si deduce, infine, l’avvenuta prescrizione del reato ascritto a partire dal 2023.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME a firma dell’Avv. NOME COGNOME
6.1 Col primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte ritenuto l’imputata responsabile dei delitti ascritti sulla base dell’erronea attribuzione alla RAGIONE_SOCIALE della qualifica di amministratore di fatto, rivestita, secondo i giudici di merito, dopo la cessione delle quote della fallita alla società tunisina. Con palese travisamento delle prove, si è trascurato, in motivazione, il narrato del curatore e della teste COGNOME che aveva indicato l’imputato COGNOME quale referente per la gestione delle attività sociali. Né sono state indicate specifiche condotte o atti gestori tenuti dalla ricorrente indicativi dell’ascritto ruolo di amministratore di fatto.
Il reato di bancarotta documentale è stato illogicamente attribuito alla ricorrente, posto che la motivazione evidenzia la lacunosità della documentazione contabile ma, al contempo, ne ricostruisce ogni profilo. Si è omesso di considerare come la mancata consegna al curatore delle fatture di vendita fosse da addebitare al mancato attivarsi di quest’ultimo; né si è considerato come il nuovo amministratore COGNOME avesse mostrato la documentazione contabile alla Guardia di Finanza durante i normali controlli di rito. Si deduce, pertanto, violazione dell’art. 533, comma 1, del codice di rito.
È altresì assente ogni ragione giustificatrice in tema di elemento soggettivo della fattispecie incriminatrice, avendo la Corte d’appello affermato in maniera asseverativa la sussistenza del dolo generico.
6.2 Il secondo motivo ha a oggetto il giudizio della Corte d’appello sulla responsabilità per bancarotta distrattiva e contesta il travisamento di prova – con riguardo tanto all’asserito svuotamento dei beni strumentali della fallita quanto alla cessione, asseritannente fittizia, delle quote – con argomenti assimilabili a quanto già esposto nei ricorsi precedenti. Anche le doglianze relative all’intervenuta prescrizione del reato sono identiche a quelle espresse nel ricorso nell’interesse di NOME NOME COGNOME e NOME COGNOME. Nei motivi aggiunti, la ricorrente puntualizza che il delitto di bancarotta distrattiva si sarebbe prescritto nel gennaio 2023, e quello di bancarotta fraudolenta documentale nel mese di agosto 2023. Si contesta, inoltre, la motivazione nella parte in cui ha immotivatamente denegato le invocate circostanze attenuanti generiche.
6.3 Col terzo motivo -che si ricollega al primo- si contesta, in subordine, la mancata riqualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in quello di bancarotta documentale semplice.
Sono state trasmesse: a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi; b) due memorie con motivi aggiunti, in replica alla requisitoria del Sostituto Procuratore generale. L’una memoria è presentata nell’interesse di NOME COGNOME l’altra nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME; in entrambe le memorie, vengono ribaditi gli argomenti già illustrati nei ricorsi.
Considerato in diritto
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME è fondato con riguardo al primo motivo, limitatamente alla parte in cui lamenta l’omessa considerazione del ruolo di soci rivestito dai ricorrenti, restando assorbite le doglianze genericamente riferite al travisamento di prova circa il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
È altresì fondato il secondo motivo di ricorso, nel punto in cui gli imputati, evidenziando la posizione di soci da loro rivestita all’interno della compagine della fallita società, deducono vizio di motivazione per avere la Corte distrettuale omesso di specificare 1) quali concrete condotte essi abbiano posto in essere concorrendo nell’ascritto reato di bancarotta distrattiva 2) quali specifiche prove
abbiano corroborato la valutazione di penale responsabilità formulata dai giudici del merito, anche sul correlato versante psicologico.
In motivazione, è valorizzata la giurisprudenza in tema di concorso del socio”extraneus” nel reato proprio dell’amministratore, nel caso in cui il primo abbia commesso una condotta agevolatrice atipica (si cita, a tal proposito, Sez. 5, n. 14531 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269594 – 01). Tuttavia, come lamentato dai ricorrenti, nulla è chiarito a proposito delle specifiche modalità con cui la condotta agevolatrice dei ricorrenti sarebbe stata posta in essere nel caso di specie, sicché i principi enunciati restano privi di qualsivoglia aderenza rispetto alla concreta vicenda in esame.
I giudici dell’appello si sono infatti limitati, per un verso, a ribadire la natura distrattiva dell’operazione di vendita, senza alcuna garanzia di pagamento del corrispettivo, di tutti beni strumentali alla società tunisina, con conseguente impossibilità per la fallita di continuare ad operare in Italia (v. p. 15 dell’impugnata sentenza), senza tuttavia individuare alcuna condotta agevolatrice atipica propria dei ricorrenti; per altro verso, e con argomentazione egualmente asseverativa, hanno ravvisato l’elemento soggettivo del reato nella consapevolezza della complessiva situazione di crisi aziendale già in atto, al di là della mancata formalizzazione in un’apposita delibera” della scelta di vendita dei beni strumentali. A tal proposito gioverà rammentare che, secondo quanto affermato da questa Corte in tema di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione, «il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società»: Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 – dep. 29/04/2010, Fiume e altro, Rv. 24687; in seguito, ex multis, Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 271837 – 01; Sez. 5, n. 26501 del 31/03/2021, Pg, Rv. 281555 01). Ora, in nessun punto della motivazione della gravata sentenza emerge, appunto, la dimostrazione della volontarietà, da parte dei ricorrenti, di una propria – si torna a ripetere, non individuata – condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del ceto creditorio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Né vale a fondare la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato la valorizzazione della cessione delle quote al Baanannou, operazione, a giudizio della dalla Corte distrettuale, “funzionalmente orientata a dissimulare la stessa condotta distrattiva” e ritenuta “indiziante di una comune malafede” (v. p. p. 15 dell’impugnata sentenza). A tal riguardo, deve puntualizzarsi che l’affermazione di responsabilità (di tutti gli imputati) per il concorso nel delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale è stata basata dai giudici di merito sulla comprovata distrazione dei beni strumentali, non costituendo, invece, la cessione delle quote, oggetto dell’ascritta condotta distrattiva.
A circostanziare più precisamente le asserite condotte agevolatrici dei ricorrenti o a valorizzare anche soltanto indizi precisi del dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice neppure soccorre la motivazione resa dal giudice di primo grado: l’unico passaggio che allude a condotte o mansioni svolte dai soci (v. p. 13 della sentenza di primo grado, là dove si riportano le dichiarazioni del consulente di parte COGNOME secondo il quale, allo scoppio delle rivolte della cd. primavera araba, i soci non potevano più recarsi in Tunisia a recuperare il credito vantato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE“) è tuttavia indiretto e neppure è valorizzato dal giudice di primo grado, il quale, da quel passaggio, non sembra trarre esplicite conseguenze in punto di prova del dolo o dell’elemento oggettivo dell’ascritto reato.
Come osservato dai ricorrenti, la motivazione non tiene in adeguato conto il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione (ex plur., Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01). Non avendo individuato né specifiche condotte agevolatrici dell’azione distrattiva imputata né portato a emersione la prova del dolo generico, la sentenza impugnata deve ritenersi viziata per mancanza di motivazione, ravvisabile non solo quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate del requisito della decisività (cfr. Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Rv. 254102 – 01; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Rv. 256435 – 01; Sez. 3, n. 24252 del 13/05/2010, Rv. 247287 – 01; Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, Rv. 244763 – 01).
Per le medesime ragioni fin qui enunciate (retro, sub. 1), deve ritenersi fondato anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME nella parte in cui denuncia motivazione apparente circa le specifiche condotte illecite attribuibili agli imputati, effettivamente finalizzate a recare nocumento al ceto creditorio. Le altre eccezioni, dedotte nel contesto dell’unico motivo di ricorso, restano assorbite.
3. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è, nel suo complesso, infondato, per le ragioni di seguito evidenziate.
3.1 II primo motivo è infondato. Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto” è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (v., ad es., Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101 01). A tal proposito, questa Corte ha da tempo sottolineato come significatività e continuità dello svolgimento di funzioni gestorie non comportino necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, richiedendo un’attività svolta in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534 – 01).
Ebbene, tale cornice di riferimento informa adeguatamente l’ordito motivazionale dell’impugnata sentenza, dove è valorizzata la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione di amministratore di fatto del ricorrente, dei poteri in concreto esercitati da quest’ultimo in maniera non episodica (sul punto, v., ad es., Sez. 2 n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497 – 01).
i giudici di merito, nelle due decisioni conformi – destinate ad integrarsi nel loro apparato motivazionale (v., ad es., Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611; sul punto, v. già Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145) – hanno appunto sottolineato il ruolo gestorio del ricorrente, traendolo da una pluralità di dati ricavati dall’istruttoria dibattimentale.
In particolare, si sono valorizzate le dichiarazioni della teste – segretaria della fallita società – COGNOME, la quale ha indicato NOME COGNOME e NOME COGNOME come le persone alle quali aveva continuato a fare immediato riferimento anche dopo l’acquisto delle quote da parte del Baanannou (dunque, anche prima di tal momento), impartendo il COGNOME e la COGNOME direttive, occupandosi in prima persona dei pagamenti delle retribuzioni, incaricando la COGNOME di ritirare la documentazione presso la società di consulenza; tutto ciò anche dopo il subentro quale amministratore di diritto, nel 2011, del COGNOME, all’evidenza del tutto estraneo all’attività di gestione oltre che privo di competenze -posto che risultava essere venditore ambulante in Sicilia- e di mezzi per acquisire
le quote della fallita). E, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, la dimostrata attività gestoria è stata riferita anche al periodo successivo alla fuoriuscita del RAGIONE_SOCIALE dalla compagine societaria (v. p. 11 della motivazione della decisione di primo grado, con riferimenti agli anni 2011-2012).
Non possono condividersi, infine, le censure difensive che appaiono, quanto alla ricostruzione in fatto, rivolte a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio (v., ex plur., Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168), del significato delle prove stesse e della loro capacità dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605), ampiamente argomentati dai giudici di merito.
3.2 Il secondo motivo, che contesta la valutazione delle prove della condotta distrattiva, è infondato, avendo la Corte distrettuale reso adeguata motivazione circa la natura fraudolenta dell’operazione di trasferimento di beni strumentali della fallita (funzionali all’attività di lavanderia svolta da quest’ultima) alla società tunisina RAGIONE_SOCIALE
In particolare, è stata disattesa con dovizia di argomenti la prospettazione difensiva che insisteva sul meccanismo di compensazione dei crediti tra la fallita e la società tunisina: in tesi difensiva, l’importo dovuto alla RAGIONE_SOCIALE per la vendita di beni strumentali veniva compensato con la lavorazione delle merci che venivano inviate alla tunisina RAGIONE_SOCIALE. Siffatta modalità di lavorazione delle merci era, invero, consentita alla fallita, che era stata autorizzata, nel 2009, al regime di perfezionamento passivo e, quindi, di temporanea esportazione, con provvedimento rilasciato dall’Agenzia delle dogane di Trapani. A parere della difesa, gli eventi politici del 2011 (la cd. Primavera araba) avevano impedito alla fallita di recuperare tutte le somme dovute dalla RAGIONE_SOCIALE, come era stato invece stimato possibile prima dello scoppio delle rivolte in Tunisia.
I giudici di merito hanno però efficacemente contrastato tale tesi, evidenziando 1) l’assenza di azioni o solleciti intesi al recupero del controvalore dei beni ceduti, pur a fronte di una situazione di crisi in atto (dimostrata da: pregressi, avanzati protesti; situazione, presente già nel 2010, di squilibrio, pari a euro 700.000, tra le passività a breve termine e le disponibilità liquide); 2) l’assenza di indicazioni, nel rogito, del quantum pattuito per la cessione e delle modalità di pagamento del corrispettivo; 3) la mancata attivazione di forme di tutela del credito; 3) l’agitazione politica in Tunisia, legata alle rivolte della cd. Primavera araba, era iniziata nel dicembre del 2010, vale a dire un anno e due mesi dopo il trasferimento dei primi beni della fallita alla società tunisina (trasferimento avvenuto, infatti, dall’ottobre 2009 al luglio 2010). Peraltro, i
giudici di merito hanno chiarito che, anche a voler concedere all’assunto difensivo la circostanza di una parziale, minima riscossione del prezzo di vendita, come ipotizzato dal consulente della difesa, è rimasto incontroverso il dato del mancato conseguimento del corrispettivo – o, comunque, della gran parte (ad accedere alla tesi del consulente della difesa) dello stesso – pattuito per la cessione dei beni strumentali.
La motivazione dell’impugnato provvedimento ha, dunque, dato conto di una serie di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, tra l’altro, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda (come si è ricordato, già in crisi nel 2010) e nell’irriducibile estraneità del fatto (cessione di beni strumentali, nel caso in scrutinio) generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale. “Indici di fraudolenza” che, secondo il ragionevole e argomentato apprezzamento dei giudici di merito, sono stati considerati decisivi per dar corpo «da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa» (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01).
Quanto finora illustrato depriva di efficacia la doglianza difensiva secondo cui l’affermazione di responsabilità del ricorrente (del quale è stata provata, giova ribadirlo, la posizione di amministratore di fatto a partire dal 2011, v. supra, 3.1) riposerebbe non già sull’individuazione di specifiche condotte distrattive, bensì sulla mera valutazione critica, operata dalla Corte d’appello, di scelte di opportunità aziendale (come ritenuto nel ricorso, alle pp. 7 e 9) adottate dalla fallita. Al riguardo, va invece ribadito che quanto i giudici di merito hanno ritenuto provato attiene a una condotta ben più specifica, vale a dire la vendita di beni strumentali, iniziata nel 2009 e poi proseguita nel 2010, priva, in buona sostanza, di adeguata contropartita e, quindi, intaccante l’integrità del patrimonio sociale, con conseguente nocumento per il ceto creditorio (v. Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804).
3.3 Il terzo motivo è manifestamente infondato. In primo luogo, al fine di dissipare dubbi che il ricorrente sembra introdurre circa la mancata prova del dolo specifico, deve precisarsi che la Corte d’appello ha fornito precipue ragioni circa l’elemento soggettivo quale contestato e ritenuto, vale a dire il dolo generico, non già specifico. Tanto puntualizzato, si osserva come i giudici di merito abbiano evidenziato che, mentre fino al 2010 la contabilità era stata regolarmente tenuta, a partire dal 2011, essa era conservata in modo del tutto frammentario, sì da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale (si veda, in particolare, p. 15 della motivazione della gravata sentenza, in cui sono specificati alcuni dei
e
libri non rinvenuti). Ora, detta “frammentarietà” nella tenuta della contabilità, diversamente da quanto contestato dal ricorrente, in nessun punto della sentenza viene riferita alla condotta dolosa dei due amministratori di occultare e/o sottrarre la contabilità, ma unicamente alla consapevolezza, in capo agli stessi, che l’irregolare tenuta delle scritture avrebbe reso difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa (ex multis, Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284677 – 02: «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2), legge fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa»). Dal che consegue l’assenza di pregio dell’eccezione difensiva secondo cui la Corte d’appello non avrebbe provato il dolo specifico.
Quanto all’eccezione relativa alla mancata riqualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in quello di bancarotta documentale semplice, essa è reiterativa di doglianze già disattese dalla Corte territoriale con motivazione affatto esente dai dedotti vizi; pertanto, deve ritenersi che tale censura omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. ex plur., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01), che ha razionalmente correlato la condotta ascritta alla distrazione sopra ricordata.
6 n ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è infondato.
Le ragioni dell’infondatezza dei motivi primo, secondo e terzo – in cui si espongono censure coincidenti, in gran parte, con quelle oggetto del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME – sono le medesime di quelle esposte a proposito del ricorso di quest’ultimo (retro, par. 3 e ss., di questo “considerato in diritto”). Gli unici elementi di differenziazione tra l’uno e l’altro ricorso sono, di seguito, valutati.
6.1 È infondata la doglianza circa il travisamento di prova, dedotto nel primo motivo, in relazione al narrato del curatore e della teste COGNOME, che smentirebbe, in tesi difensiva, il ruolo di amministratore di fatto svolto dalla RAGIONE_SOCIALE dopo il 2011. Come già illustrato retro (v. sub 3.1 del considerato in diritto), i giudici di merito hanno razionalmente valorizzato le dichiarazioni della COGNOME che, diversamente da quanto asserito dalla ricorrente, indicava non già solo il COGNOME, bensì anche la COGNOME quale sua immediata referente nella gestione delle attività sociali. Si rinvia, pertanto, alle considerazioni esposte retro, sub 3.1 del considerato in diritto, a proposito dell’infondatezza delle doglianze
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vertenti sul ruolo di amministratore di fatto rivestito dalla ricorrente in epoca successiva all’agosto del 2011.
È inoltre infondata la censura, di cui sempre al primo motivo, vertente sul giudizio, espresso dalla Corte d’appello, circa la responsabilità della ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. Sul punto, la difesa evita il confronto, effettivo e critico, con la motivazione (su tale onere, v., ad es., Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282949); diversamente da quanto asserito in ricorso a proposito della “completezza” della situazione contabile della fallita, che la Corte territoriale stessa avrebbe confermato, in parte motiva è, invece, limpidamente illustrata la lacunosità della documentazione contabile sottoposta alla curatela. Come già chiarito retro, sub. 3.3, i giudici di merito hanno evidenziato come, a partire dal 2011, la contabilità veniva conservata in modo del tutto frammentario, sì da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale (si veda, in particolare, p. 15 della motivazione della gravata sentenza, in cui sono specificati alcuni dei libri non rinvenuti). Priva di pregio è anche la doglianza che insiste sulla carenza motivazionale relativa all’elemento soggettivo del reato, avendo i giudici del merito sufficientemente rimarcato la consapevolezza, in capo ai due amministratori di fatto, che l’irregolare tenuta delle scritture avrebbe reso difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa (ex multis, cfr. la già citata Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677 – 02).
Ne consegue l’infondatezza della censura espressa nel terzo motivo, con cui viene contestata la mancata riqualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in quello di bancarotta documentale semplice. Come già rilevato retro, sub 3.3 del considerato in diritto, detta eccezione è reiterativa di doglianze già disattese dalla Corte territoriale con motivazione affatto esente dai dedotti vizi; pertanto, deve ritenersi che tale censura omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. ex plur., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01), che ha razionalmente correlato la condotta ascritta a quella distrattiva di beni strumentali.
6.2 L’eccezione – di cui al motivo secondo – che insiste sulla prescrizione dei reati ascritti è manifestamente infondata, per palese contrasto della tesi difensiva con la consolidata giurisprudenza di questa Corte. Diversamente da quanto asserito dalla ricorrente, i due reati ascritti si prescrivono nel 2026, posto che la data a partire dalla quale va conteggiata la prescrizione è quella riferita alla dichiarazione di fallimento (agosto 2013), non già alle condotte illecite (v. Sez. 5, n. 40477 del 18/05/2018, COGNOME, Rv. 273800 – 01, dove, in motivazione, la Corte ha precisato che la consumazione dei reati di bancarotta coincide con la pronuncia della sentenza di fallimento, ancorché la condotta, commissiva od omissiva, si sia
esaurita anteriormente; più
di recente, v. Sez. 5, n. 27426 del 01/03/2023,
COGNOME, Rv. 284785 – 01). Atteso che la sentenza dichiarativa di fallimento è
stata adottata in data 7 agosto 2013, il termine di prescrizione (di anni dodici e
è
mesi sei, alla luce del comb. disp. di cui agli artt. 157, 161 cod. pen.)
destinato a maturare soltanto il 7 febbraio 2026, cui devono aggiungersi i 148 giorni di
sospensione del termine.
7. Per le ragioni fin qui illustrate, il Collegio ritiene che l’impugnata sentenza vada annullata nei confronti di COGNOME NOME, NOME COGNOME
NOME COGNOME NOME e COGNOME SalvatoreCOGNOME con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Il Collegio rigetta
ex i ricorsi di NOME NOME e NOME COGNOME, che condanna,
rt. 616
cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Rigetta i ricorsi di NOME NOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21/03/2025
Il consigliere estensore
Il presidente