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Concorso del professionista: quando c’è reato?

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna di una professionista per concorso in indebita compensazione di crediti d’imposta. La sentenza di merito è stata giudicata contraddittoria nel definire il momento e la natura del contributo della professionista, non chiarendo se la sua attività di certificazione e audit fosse avvenuta prima o dopo la consumazione del reato. La decisione sottolinea la necessità di provare un nesso causale diretto tra l’azione del consulente e la commissione del reato, analizzando il delicato tema del concorso del professionista nei reati fiscali.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso del professionista: quando la certificazione diventa reato?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è intervenuta su un tema di grande attualità e delicatezza: il concorso del professionista nel reato di indebita compensazione di crediti d’imposta. Il caso analizzato riguarda una commercialista condannata per aver certificato crediti fiscali per ‘ricerca e sviluppo’ risultati poi inesistenti. La Suprema Corte ha annullato la condanna, non per l’innocenza dell’imputata, ma per una motivazione contraddittoria e illogica della Corte di Appello, rinviando il caso per un nuovo giudizio.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla condanna in primo grado di una professionista, commercialista e revisore contabile, alla pena di due anni di reclusione. L’accusa era di aver concorso, insieme agli amministratori di due società, nel reato di indebita compensazione previsto dall’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000. In pratica, la professionista aveva certificato la regolarità di costi sostenuti dalle società per attività di ‘ricerca e sviluppo’, costi che hanno generato crediti d’imposta poi utilizzati per compensare debiti fiscali. Tali crediti, tuttavia, sono stati ritenuti inesistenti.

La Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo la professionista responsabile per aver attestato l’effettività dei costi e supervisionato la documentazione contabile tramite un’attività di audit. La difesa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sollevando dubbi cruciali sulla corrispondenza tra la condotta contestata e quella per cui è avvenuta la condanna, e soprattutto sulla collocazione temporale dell’attività della professionista rispetto alla consumazione del reato.

L’Analisi della Corte di Cassazione e il concorso del professionista

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’analisi del momento consumativo del reato e del contributo causale dell’imputata. Il reato di indebita compensazione si perfeziona nel momento in cui viene presentato all’Amministrazione finanziaria il modello F24 contenente la compensazione con crediti non spettanti o inesistenti.

La difesa sosteneva che le certificazioni della professionista fossero state redatte dopo la presentazione dei modelli F24 e, quindi, dopo la consumazione del reato. Un’azione successiva non può configurare un concorso nella commissione del reato, ma al massimo un diverso illecito (come il favoreggiamento).

La Corte di Cassazione ha rilevato una profonda contraddizione nella motivazione della sentenza d’appello. Da un lato, i giudici di merito affermavano che l’attività della professionista era successiva alla consumazione del reato e finalizzata a ‘conservare l’agevolazione fiscale’ in caso di controlli. Dall’altro, la ritenevano un presupposto necessario per l’utilizzo dei crediti. Questa ambiguità è fatale, perché non chiarisce se il contributo della professionista sia stato un antecedente causale indispensabile per commettere il reato o un mero aiuto postumo per occultarne le prove.

Il ruolo dell’attività di audit e la necessità di un nesso causale

La sentenza d’appello faceva riferimento anche a un’attività di ‘audit’ svolta dalla professionista prima della presentazione degli F24. Tuttavia, secondo la Cassazione, la motivazione era carente nel descrivere in cosa consistesse concretamente tale attività e, soprattutto, nel dimostrare come essa avesse contribuito causalmente alla decisione delle società di utilizzare i crediti inesistenti. Per configurare il concorso del professionista, non basta una generica consulenza, ma è necessario provare che il suo apporto abbia avuto un’efficienza causale reale nella commissione dell’illecito.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata proprio a causa della sua motivazione ‘all’evidenza contraddittoria e priva di coerenza logica’. I giudici hanno stabilito che non è possibile, nello stesso ragionamento, addebitare a un imputato una condotta che si dichiara posteriore al perfezionamento del reato e, contemporaneamente, affermare che la sua finalità era quella di permettere il reato stesso.

Inoltre, l’accenno all’attività di audit, senza specificarne la natura e il collegamento con la frode, non era sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza. La Corte di Appello dovrà, nel nuovo giudizio, riesaminare la vicenda e chiarire in modo logico e coerente quale sia stato l’effettivo contributo della professionista e, soprattutto, se questo si sia collocato in un momento antecedente e funzionale alla consumazione del reato di indebita compensazione.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di responsabilità penale: per affermare il concorso del professionista in un reato fiscale, è indispensabile una prova rigorosa del nesso di causalità tra la sua condotta e l’illecito commesso dal cliente. Non è sufficiente contestare un’attività di certificazione in sé, ma bisogna dimostrare che tale attività abbia concretamente e consapevolmente agevolato o reso possibile la frode. La collocazione temporale dell’azione del professionista è un elemento dirimente: un’azione successiva alla consumazione del reato non può costituire concorso nello stesso, aprendo al più scenari di responsabilità per altri tipi di reato.

Quando si considera consumato il reato di indebita compensazione?
Il reato si perfeziona e si considera consumato nel momento in cui viene presentato all’Amministrazione erariale il modello F24 che utilizza crediti d’imposta inesistenti o non spettanti per compensare i debiti fiscali.

Può un professionista essere condannato per concorso in un reato se la sua azione è successiva alla commissione del fatto?
No. Secondo la Corte, una condotta posta in essere dopo il perfezionamento del reato non può configurare un concorso nella commissione di quel reato. Potrebbe, in astratto, integrare una diversa fattispecie di reato, come il favoreggiamento, ma non la partecipazione al reato originario.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo specifico caso?
La Corte ha annullato la condanna perché la motivazione della sentenza di appello era contraddittoria. Da un lato affermava che l’attività della professionista era successiva alla consumazione del reato, dall’altro la riteneva essenziale per commetterlo. Questa incoerenza logica non permetteva di stabilire con certezza il nesso causale tra la condotta dell’imputata e il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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