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Concorso coltivazione stupefacenti: ricorso generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per concorso in coltivazione di stupefacenti. Il ricorso è stato ritenuto generico perché non affrontava le prove a carico, come video e intercettazioni, che dimostravano la sua consapevole partecipazione alla cura di piante di cannabis illegali, occultate tra quelle legali.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concorso coltivazione stupefacenti: Quando il ricorso è troppo generico

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un caso di concorso coltivazione stupefacenti, ribadendo un principio fondamentale del processo penale: un ricorso, per essere esaminato nel merito, non può essere generico. Deve confrontarsi specificamente con le prove e le argomentazioni che hanno portato alla condanna. In caso contrario, la sua sorte è segnata: l’inammissibilità.

Questo provvedimento offre spunti importanti sulla prova del dolo nel concorso di persone e sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi in Cassazione.

La Vicenda Giudiziaria

Un soggetto veniva condannato nei gradi di merito per aver partecipato, in concorso con un’altra persona, a una vasta attività illecita. Questa includeva non solo la detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute nei suoi immobili e nella sua auto, ma soprattutto la partecipazione alla coltivazione di migliaia di piante di marijuana.

L’attività criminale era ben organizzata: il coimputato importava semi di cannabis dalla Spagna e gestiva un commercio di sementi. In un fondo, venivano coltivate piante di canapa legalmente acquistate, tra le quali erano abilmente occultate le piante di cannabis illegale. L’imputato ricorrente aveva il compito specifico di curare e mantenere questa estesa coltivazione.

Il Ricorso e la contestazione del concorso coltivazione stupefacenti

Di fronte alla Corte di Cassazione, la difesa dell’imputato ha presentato un unico motivo di ricorso, lamentando la violazione delle norme sul concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.) e un vizio di motivazione. La tesi difensiva si basava sulla presunta assenza di dolo, ovvero della consapevolezza e volontà di partecipare all’attività illecita. In sostanza, si sosteneva che l’imputato non fosse cosciente del carattere illegale della coltivazione di cui si occupava.

Tuttavia, la Suprema Corte ha immediatamente qualificato il ricorso come ‘generico’. L’imputato, infatti, si era limitato a enunciare il principio di diritto violato, senza però calarsi nella realtà processuale e senza contestare le specifiche ragioni di fatto e di diritto che avevano fondato la sua condanna.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, spiegando in modo chiaro perché le argomentazioni difensive non potessero trovare accoglimento. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la sentenza impugnata avesse basato la condanna su elementi probatori solidi e convergenti, che il ricorrente non aveva nemmeno tentato di smontare.

In particolare, le prove a carico erano schiaccianti:

1. Videosorveglianza: I fotogrammi delle telecamere di sorveglianza mostravano inequivocabilmente la presenza dell’imputato sul terreno, intento a prendersi cura proprio delle piante di cannabis illegali in diverse occasioni.
2. Intercettazioni: Conversazioni tra il coimputato e suo padre rivelavano che l’imputato (indicato con un soprannome) era considerato un complice a tutti gli effetti, interessato al mantenimento e alla cura della piantagione.
3. Prova logica: Il giudice ha ritenuto non credibile la tesi dell’ignoranza. Le piante illegali, infatti, si distinguevano ‘visibilmente’ da quelle lecite per altezza e colore. Era impossibile che una persona incaricata della loro cura specifica non si fosse accorta di queste differenze sostanziali.

Dato che il ricorso non ha mosso alcuna critica specifica a questo impianto probatorio, limitandosi a una generica negazione del dolo, la Corte non ha potuto fare altro che dichiararne l’inammissibilità.

Conclusioni Pratiche

La decisione riafferma un principio cruciale: non basta lamentare una violazione di legge per ottenere una revisione della sentenza in Cassazione. È indispensabile che il ricorso articoli critiche specifiche, pertinenti e argomentate, in grado di incrinare la logicità e la coerenza della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che ignora le prove e si limita a riproporre una tesi difensiva già respinta senza nuovi argomenti è destinato a essere dichiarato inammissibile. Per i reati di concorso coltivazione stupefacenti, la prova della consapevolezza può legittimamente essere desunta da elementi indiretti e logici, come la palese differenza tra le colture e la cura dedicata specificamente a quelle illegali.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto ‘generico’ perché si limitava a negare l’intenzione di commettere il reato (dolo), senza contestare in modo specifico le prove concrete su cui si basava la condanna, come i filmati della videosorveglianza e le intercettazioni.

Quali prove sono state considerate decisive per dimostrare il concorso nella coltivazione di stupefacenti?
Le prove decisive sono state i fotogrammi di videosorveglianza che mostravano l’imputato mentre si prendeva cura delle piante illegali e le intercettazioni in cui il coimputato si riferiva a lui come complice attivo nella manutenzione della coltivazione.

È credibile sostenere di non aver riconosciuto le piante illegali?
La Corte ha ritenuto non credibile questa difesa. La sentenza sottolinea che le piante di canapa illegale si distinguevano ‘visibilmente’ da quelle lecitamente coltivate per altezza e colore, rendendo inverosimile che chi se ne prendeva cura non ne notasse la differenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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