Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29417 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29417 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a MONCALIERI il 22/02/1977
NOME NOME nato a MONCALIERI il 01/02/1992
NOME NOME avverso la sentenza del 07/11/2024 della Corte d’appello di Torino
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
L’avvocato COGNOME Giacomo conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Con sentenza in data 12/12/2023, il Tribunale di Asti ha ritenuto NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di tentato omicidio, in concorso, di NOME COGNOME e, concesse al solo COGNOME le circostanze attenuanti generiche, ha condannato
NOME COGNOME alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione,
Tutti gli imputati venivano inoltre condannati in solido al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separata sede civile) in favore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre ad una provvisionale, rispettivamente di € 7.000 e di € 3.500, liquidata in loro
– Relatore –
Sent. n. sez. 340/2025
UP – 13/05/2025
Investita dall’impugnazione proposta da tutti gli imputati, la Corte di appello di Torino, con sentenza in data 07/11/2024, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta in favore di NOME COGNOME l’attenuante di cui all’art. 116 cod. pen. ha rideterminato la pena a lui inflitta in tre anni e quattro mesi di reclusione; ha quindi sostituito detta pena con la detenzione domiciliare sostitutiva.
Entrambi i Giudici di merito hanno operato la ricostruzione dei fatti sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa NOME COGNOME la cui credibilità soggettiva Ł stata positivamente vagliata, ed il cui racconto Ł stato ritenuto attendibile e riscontrato da plurimi elementi.
Argomentava conclusivamente la Corte come, non potendosi affermare in termini di certezza che fosse stato effettivamente COGNOME a colpire per primo NOME COGNOME con un pugno alla nuca, fosse comunque emerso, avendolo ammesso lo stesso imputato, che egli aveva aggredito fisicamente la persona offesa nel momento in cui questa era attirata all’interno della casa da NOME COGNOME spingendola e trattenendola da dietro; doveva pertanto ritenersi che NOME COGNOME aveva concorso causalmente alla commissione del fatto, indipendentemente dall’aver egli colpito o meno inizialmente con un pugno la persona offesa, dal momento che la sua presenza attiva era sufficiente, sul piano oggettivo, a configurare un concorso penalmente rilevante, ulteriormente dimostrato dal comportamento tenuto al momento della richiesta di aiuto dopo il grave ferimento della persona offesa. Tale contributo, secondo la Corte, doveva essere ricondotto all’ipotesi del concorso anomalo di cui all’art. 116 cod. pen. non essendovi prova sufficiente che il COGNOME avesse effettivamente inteso attentare alla vita di NOME COGNOME o che si fosse invece rappresentato che alla persona offesa sarebbero state inflitte solo delle percosse; era da ritenersi tuttavia prevedibile, sulla base degli elementi di fatti emersi nel giudizio, che la situazione potesse degenerare, e che l’attentato alla vita della persona offesa fosse uno sviluppo logicamente prevedibile delle percosse volute, e ciò alla luce del contegno fortemente aggressivo dei COGNOME al momento del sopraggiungere del NOME, ed in considerazione dei preparativi effettuati all’interno dell’appartamento.
Su tale ultimo punto, argomenta la difesa come la manifesta illogicità della conclusione in relazione alla predisposizione dell’agguato da parte degli imputati ha come conseguenza quella di rimettere in discussione l’esclusione delle attenuanti di cui all’art. 62 n. 2 e 5 cod. pen. nonchØ in punto attenuanti generiche e dosimetria sanzionatoria.
3.2. NOME COGNOME denuncia, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME due vizi.
3.2.1. Con il primo motivo denuncia, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 116, 56, 575 cod. pen., l’inosservanza degli artt. 581 e 582 cod. pen., e la manifesta illogicità della motivazione.
La Corte territoriale non ha adeguatamente motivato in ordine alla ritenuta consapevolezza in capo al NOME dei preparativi effettuati all’interno dell’appartamento, risultando sul punto meramente assertiva; e ciò in considerazione del fatto che, come pacificamente emerso, NOME giunse presso l’abitazione dei COGNOME solo in un momento successivo, con conseguente impossibilità per lo stesso di assistere ai predetti preparativi.
Avendo la Corte escluso la condotta dell’imputato, costituita dall’aver sferrato un pugno alla nuca della persona offesa, la Corte avrebbe conseguentemente dovuto operare un piø approfondito esame dell’elemento psicologico atteso che il percorso argomentativo seguito manca dell’analisi delle diverse proiezioni psicologiche che avrebbero potuto animare il coimputato.
Osserva la difesa come il contesto in cui Ł maturata la vicenda e la sequenza criminosa culminata nel tentativo di omicidio del COGNOME non Ł il frutto di un’azione preordinata e pienamente condivisa dal COGNOME, alla luce del ruolo dallo stesso svolto, teso alla intermediazione tra le parti, come pacificamente emerso; il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza riposa sulla mancata risposta alle argomentazioni difensive, posto che gli elementi trascurati o disattesi rivestono un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività e la loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare ad una decisione piø favorevole di quella adottata. Del pari, il contegno successivamente tenuto dal COGNOME depone a favore dell’assenza del concorso anomalo, dal momento che, come pacificamente emerso, egli ebbe a contattare la compagna della persona offesa, NOME COGNOME in seguito all’avvenuta colluttazione. Doveva infine valutare la Corte la totale estraneità dell’odierno ricorrente alla vicenda familiare connessa alla fine del matrimonio di NOME COGNOME ed alla relazione sentimentale tra il COGNOME e l’ex moglie del predetto coimputato.
Tenuto quindi conto del ruolo di paciere del COGNOME il quale, in virtø della propria
qualifica di datore di lavoro di NOME COGNOME e NOME COGNOME si era ragionevolmente convinto di poter svolgere un ruolo di intermediazione tra le parti, doveva escludersi che egli si fosse rappresentato quale logico sviluppo alcun intento omicidiario; al piø a suo il dolo potrebbe declinarsi nelle forme previste dagli artt. 581 e 582 cod. pen.
3.2.2. Con il secondo motivo denuncia, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., mancanza di motivazione quanto alla sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo.
In atto di appello si era avanzata la richiesta di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, tenuto conto della funzione rieducativa della pena e della possibilità di reinserimento definitivo nel tessuto sociale da parte del prevenuto e del suo stato di assoluta incensuratezza.
Sul punto la mancanza di motivazione integra un vulnus motivazionale censurabile in sede di legittimità.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME eGiovanni COGNOME Ł inammissibile.
Va premesso che, con riferimento alla posizione dei citati imputati,NOME COGNOME, NOME COGNOME eGiovanni COGNOME,ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioŁ ad una c.d. ‘doppia conforme’. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.
Nel caso in esame, l’indagine di legittimità deve dunque limitarsi al vaglio della correttezza del procedimento sotto i profili della completezza di valutazione del compendio probatorio e dell’assenza di travisamento delle prove.
Effettuata tale doverosa precisazione, il motivo unico con il quale gli imputati deducono la nullità della sentenza impugnata e contestano l’affermazione di responsabilità in ordine al reato per il quale Ł intervenuta condanna, Ł inammissibile in quanto declinatoin fatto, generico, aspecifico, e volto a sollecitare una diversa valutazione delle fonti di prova, adeguatamente analizzate dalla Corte di appello.
La Corte territoriale, con discorso privo di aporie logiche e perciò insindacabile i nquesta sede, ha ritenuto il racconto della persona offesa NOME COGNOME soggettivamente credibile e dotato di attendibilità oggettiva, intrinseca ed estrinseca.
Con ampia motivazione (pagg. 10-14, sentenza impugnata), la Corte territoriale ha analizzato le dichiarazioni rese dalla persona offesa, evidenziando come il medesimo fosse stato «equilibrato e sereno nel corso della sua deposizione» e «non avesse fatto percepire alcuna intenzione di aggravare la posizione degli imputati»;i Giudici di appello hanno poi osservato come le dichiarazioni di NOME COGNOME oltre a riscontrare il narrato del fratello, costituissero un’autonoma fonte di prova del fatto contestato.
Osservavano quindi i Giudici come entrambi i fratelli COGNOME avessero raccontato «in maniera lineare e accurata» l’aggressione subita, «della quale fornivano una ricostruzione coerente e particolareggiata’.
La versione dei fatti resa da NOME COGNOME e dal fratello NOME aveva poi trovato, nel corso dell’istruttoria dibattimentale di primo grado, plurimi riscontri, in particolare alla luce delle testimonianze rese dai testi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME; ulteriore riscontri erano rappresentati dal contenuto di due messaggi inviati da NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, a NOME COGNOME dal contenuto «per favore» , «ferma NOME ha un coltello in tasca»; nonchØ dal sopralluogo effettuato sul luogo dell’aggressione (ove non solo si erano riscontrate tracce ematiche lungo la strada antistante l’abitazione di NOME COGNOME, ma anche gli agenti avevano potuto percepire il forte odore dei detergenti sia sulla scala di accesso al pianerottolo sia all’interno dell’abitazione di NOME COGNOME a dimostrazione del fatto che gli imputati avevano ‘ripulito’ la scena dopo l’allontanamento di NOME COGNOME e del fratello NOME), e dalla stessa documentazione medica attestante la ferita da taglio e il trauma cranico riscontrate sulla persona offesa.
I Giudici d’appello, pur essendo addivenuti motivatamente ad un giudizio di piena attendibilità del narrato della persona offesa, non si sono sottratti dall’esaminare, in modo analitico, anche la versione dei fatti resa dagli imputati (per i quali sarebbero stati i due fratelli COGNOME a compiere una spedizione punitiva ai danno di NOME COGNOME), giungendo, attraverso un’articolata disamina, a ritenere tale versione non supportata da alcun riscontro esterno, a differenza di quella (maggiormente credibile) della persona offesa.
La Corte territoriale, in piena sintonia con le conclusioni del primo Giudice, ha quindi conclusivamente ritenutoche gli atti posti in essere dagli imputati fossero idonei a cagionare la morte della persona offesa NOME COGNOME: sono state valorizzate, in tal senso, le modalità dell’aggressione portata simultaneamente da quattro soggetti inizialmente contro il solo NOME COGNOME in inferiorità numerica e disarmatomediante un coltello e una mazza da baseball, le risultanze di cui alla consulenza tecnica medico legale del P.M., nonchØ la documentazione sanitaria acquisita presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Chieri (da cui risultava che al COGNOME, giunto in struttura instato di shock ipovolemico da sanguinamento, era stato necessario trasfondere due sacche ematiche). Del pari i Giudici ritenevano gli atti inequivocabilmente diretti a cagionare la morte del COGNOME, come desumibile dall’organizzazione di un vero e proprio agguato con predisposizione di armi (coltello e mazza da baseball), e previa sistemazione dell’appartamento, con abbassamento delle tapparelle e spostamento dei mobili, per non avere ostacoli all’aggressione, oltre che per la localizzazione delle ferite riportate dalla vittima in parti vitali del corpo e per l’assenza di qualsiasi attività di soccorso una volta compresa la gravità del ferimento cagionato.
I Giudici hanno quindi motivatamente escluso la configurabilità dell’esimente invocata della legittima difesa, attesa la mancanza dei requisiti della attualità del pericolo, della inevitabilità della difesa, nonchØ della proporzione tra offesa e difesa, argomentando sul punto come, quand’anche «i COGNOME si fossero mossi con l’intento di ‘dare una lezione’ a COGNOME Claudio, ciò non solo non determinerebbe un vulnus della credibilità delle odierne
parti civili ma, soprattutto, non farebbe venir meno la responsabilità penale dei prevenuti per l’aggressione realizzata: pacifica, infatti, la dinamica, non potrebbe certamente configurarsi un’ipotesi di legittima difesa, posto che a tutto concedere l’imputato sarebbe stato avvertito con oltre 30 minuti di anticipo delle intenzioni della persona offesa, così venendo a mancare i requisiti dell’attualità del pericolo, della inevitabilità della difesa e dell’assenza di commodus discessus» (pag. 11, sentenza impugnata). Inoltre, Ł stato evidenziato dai giudici di merito che i COGNOME avevano appositamente lasciato aperto il portone dell’edificio e la porta dell’abitazione di NOME COGNOME proprio per facilitare l’accesso di NOMECOGNOME il cui arrivo si erano preparati a fronteggiare in modo violento ed organizzato, il che ha indotto motivamente e senza nessuna frattura logica ad escludere la necessità di una difesa, per la quale sarebbe stato sufficiente interdire l’accesso allo stabile e rimanervi al sicuro al suo interno.
In definitiva, pare a questo Collegio che vi sia stata ampia e doviziosa risposta ad ogni censura formulata dalla difesa in sede di gravame; nØ il motivo di ricorso riesce a formulare una fondata critica alla decisione, in punto di tenuta logica, coerenza o contraddittorietà, arrestandosi – sul punto specifico – alla mera critica confutativa: va infatti ribadito chel’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice di merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
Del tutto generiche appaiono infine le doglianze, solo evocate e per nulla argomentate, mosse dai ricorrenti all’impugnata sentenza in relazione all’esclusione delle attenuanti di cui agli artt. 62 bis e 62 n. 2 e 5 cod. pen., nonchØ in punto di dosimetria sanzionatoria.
Del pari inammissibile Ł il ricorso avanzato nell’interesse di NOME COGNOME.
Il primo motivo, con il quale l’imputato censura l’impugnata sentenza nella parte in cui Ł stato ritenuto sussistente, in capo al Vitale, il concorso anomalo nell’azione posta in essere dai coimputati, Ł inammissibile in quanto meramente reiterativo di doglianza correttamente vagliata e decisa dalla Corte di merito, con argomentazioni in diritto con le quali il ricorrente omette di confrontarsi.
La Corte territoriale, con argomentare saldamento ancorato agli elementi probatori emersi nel corso del giudizio, ha evidenziato come il COGNOME concorresse in pieno, da un punto di vista oggettivo,nell’azione; Ł stata valorizzata in tal senso la stessa dichiarazione resa dall’imputato il quale, in sede di spontanee dichiarazioni, aveva ammesso di essersi posto alle spalle della persona offesa e di averla trattenuta e spinta, anche se solo per evitare che la colluttazione avesse conseguenze gravi per NOME COGNOME inferiore fisicamente ad NOME COGNOME.
La Corte ha quindi ritenuto che, indipendentemente dall’avere egli scagliato o meno il pugno iniziale alla persona offesa, la sua presenza attiva, come descritta da entrambe le parti offese, e non negata (nei termini sopra evidenziati, dallo stesso imputato) fosse sufficiente, su un piano oggettivo, a configurare un concorso penalmente rilevante nell’azione delittuosa in contestazione; e ciò, considerata altresì la condotta serbata successivamente all’aggressione, non avendo il Vitale prestato alcun soccorso ad NOME COGNOME dopo il suo ferimento.
Del tutto irrilevante Ł stata ritenuta, sotto il profilo soggettivo, la circostanza addotta dall’imputato, per cui egli si sarebbe recato a casa di NOME COGNOME solo allo scopo di fare da paciere tra costui e NOME COGNOME; del tutto condivisibilmente, la Corte territoriale ha ritenuto che, quand’anche tale fosse stata l’intenzione iniziale dell’imputato, ciò non avrebbe riverberato alcun effetto in ordine al concorso penalmente rilevante del medesimo imputato, dal momento che oggetto di valutazione Ł l’elemento soggettivo del reato al momento della sua commissione; del tutto logicamente, la Corte ha quindi rilevato come, quand’anche il COGNOME fosse giunto nell’abitazione del Bacco solo pochi minuti prima dell’aggressione, egli avrebbe comunque avuto il tempo sufficiente per rendersi conto delle intenzioni oltremodo aggressive dei coimputati; e ciò anche alla luce della pacifica predisposizione dell’abitazione, con abbassamento delle imposte e spostamento dei mobili, finalizzata a rendere piø agevole l’aggressione nei confronti del COGNOME.
In tal senso la circostanza, ribadita in sede di ricorso, per cui il COGNOME non avrebbe partecipato alla predisposizione del locale nei termini descritti si appalesa del tutto irrilevante, dal momento che, in ogni caso, una volta ivi giunto, egli aveva avuto evidentemente contezza che tale predisposizione era stata effettuata, e quale ne fosse lo scopo.
La Corte torinese ha, quindi, in accoglimento del subordinato motivo d’appello proposto della imputato, benevolmente riconosciuto in suo favore il concorso anomalo ai sensi dell’articolo 116 cod. pen.; ha in particolare osservato che «quanto alla prevedibilità del fatto piø grave (c.d. causalità psichica), deve senz’altro ritenersi, sulla base degli elementi di fatto emersi nel giudizio, che un attentato alla vita della persona offesa debba essersi rappresentato alla psiche dell’imputato come uno sviluppo logicamente prevedibile delle percosse volute, non solo alla luce del contegno fortemente aggressivo dei COGNOME al momento del sopraggiungere del COGNOME – testimoniato dal contenuto delle telefonate intercorse fra questi e NOME COGNOME proprio in quei frangenti- ma, altresì, in considerazione dei preparativi effettuati all’interno dell’appartamento» (pag. 19 sentenza impugnata), .
¨ evidente come, a fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, il ricorrente inviti ad una rivalutazione di elementi fattuali non consentita in questa sede, riproponendo peraltro argomenti con i quali la sentenza impugnata risulta essersi già confrontata in termini non manifestamente illogici, come quelli sopra riportati.
Il secondo motivo avanzato nell’interesse di NOME COGNOME Ł inammissibile.
Ai sensi dell’art.53 legge n. 689 del 1981, la pena detentiva può essere sostituita con il lavoro di pubblica utilità qualora sia contenuta entro i tre anni di reclusione.
Nel caso di specie, quindi, la pena inflitta ad NOME COGNOME (anni tre mesi quattro di reclusione) eccedeva, all’evidenza, i limiti di sostituibilità con la pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna,
inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 6.500, oltre accessori di legge.
Così Ł deciso, 13/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME