Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32542 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32542 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONTEBELLUNA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE di APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso limitatamente ai motivi riferiti alle statuizioni penali, con declaratoria di irrevocabilità della sentenza di condanna in relazione ai contestati reati, e l’annullamento dell’impugnata sentenza limitatamente alle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competenze per valore in grado di appello;
udito l’AVV_NOTAIO, per la ricorrente NOME, che si è riportato ai motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 8 luglio 2024 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa il 18 maggio 2020 dal Tribunale di Rovigo, per quel che qui interessa dichiarava non doversi procedere nei
é
confronti dell’imputata COGNOME NOME in ordine ai reati ascrittile ai capi 2), 4) (quest’ultimo limitatamente al porto d’arma comune da sparo), 6), 8) e 9) dell’imputazione perché estinti per intervenuta prescrizione e per l’effetto rideterminava la pena in relazione ai residui reati di rapinata continuata tentata aggravata in concorso e connesso reato in armi di cui ai capi 1), 3), 4), 5) e 7).
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva vizi di travisamento della prova e omessa motivazione con riguardo alla ritenuta responsabilità dell’imputata, a titolo concorsuale, in relazione ai reati residui.
Rassegnava che alla NOME era stata attribuita la veste di mandante delle rapine di cui all’imputazione, che tale veste era stata dai giudici di merito affermata in relazione al ritenuto possesso, da parte della ricorrente, di una copia della chiave che apriva la cassaforte sita all’interno dell’abitazione della parte offesa, essendo risultato che la cassaforte era stata aperta con l’uso della chiave ed era risultata vuota.
Evidenziava che tale prova aveva carattere di decisività e che il Tribunale di Rovigo aveva ritenuto che la ricorrente avesse avuto il possesso della chiave della cassaforte sulla scorta di prove dichiarative provenienti da testimoni assistiti, imputati di reati connessi e imputati di reati probatoriamente collegati.
Rassegnava, in particolare, che al riguardo la Corte d’Appello aveva considerato le dichiarazioni di COGNOME NOME, figlio della parte offesa COGNOME NOME, il quale aveva intrattenuto con l’imputata una relazione sentimentale durata diversi anni e che aveva dichiarato che al termine della relazione aveva lasciato l’abitazione che condivideva con la COGNOME lasciandovi all’interno i propri averi, che gli erano stati consegnati poco tempo dopo, riposti all’interno di un sacco che tuttavia non conteneva la chiave della cassaforte.
Deduceva sul punto che la Corte territoriale aveva travisato tale prova testimoniale, considerato che il COGNOME non aveva dichiarato di non aver ritrovato la chiave tra i beni provenienti dalla casa dell’imputata, bensì che non aveva controllato che tra quei beni si trovasse la chiave.
Rassegnava, inoltre, che con l’atto di appello erano state evidenziate le contraddizioni intrinseche alle dichiarazioni della parte civile COGNOME NOME e inoltre quelle emergenti dal confronto tra tali dichiarazioni e quelle del figlio COGNOME NOME, argomenti rispetto ai quali la Corte d’Appello non aveva reso
alcuna argomentazione, ciò che aveva determinato un palese vizio di motivazione della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale in punto di qualificazione dei fatti nella forma del delitto tentato.
Assumeva al riguardo che nel caso di specie le azioni erano state interrotte in ragione di valutazioni di opportunità effettuate dagli esecutori materiali, e non a causa della presenza di rischi o svantaggi imprevisti, insuperabili o irragionevoli, così che nella specie doveva ritenersi applicabile la disciplina del recesso attivo.
Con il terzo motivo deduceva vizio di omessa motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza, in capo alla ricorrente, del dolo del delitto di porto d’armi in luogo pubblico, contestato al capo 4) dell’imputazione, evidenziando che con l’atto di appello si era osservato che, non essendo stata raggiunta la prova che l’imputata avesse chiesto agli autori materiali di effettuare la rapina nell’abitazione della madre dell’ex convivente con l’utilizzo di armi da sparo, e più in particolare di armi da guerra, la fattispecie concorsuale doveva essere ricondotta a quella prevista dall’art. 116 cod. pen., deduzione con la quale la Corte d’Appello non si era confrontata.
Con il quarto motivo deduceva omessa motivazione in ordine alle statuizioni civili, osservando che la Corte di merito, pur avendo ridotto la somma liquidata dal primo giudice a titolo di risarcimento del danno in favore della parte civile, non aveva motivato in alcun modo in ordine ai criteri utilizzati per la quantificazione di tale somma.
In data 30 giugno 2025 la parte civile COGNOME NOME depositava conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
In relazione alla prova del possesso in capo alla ricorrente della chiave che apriva la cassaforte situata all’interno dell’abitazione della persona offesa prova che la difesa ritiene essere stata travisata, nonché avente carattere di decisivit,à facendo esclusivo riferimento alle dichiarazioni rese al riguardo dalla persona offesa COGNOME NOME e dal di lei figlio COGNOME NOME -, osserva il Collegio che il ricorso non considera in alcun modo le dichiarazioni rese da
NOME, richiamate a pag. 10 della sentenza impugnata, il quale ha affermato in maniera esplicita che era stata proprio imputata a fornire agli esecutori materiali della tentata rapina la chiave della cassaforte (“Si è già osservato, quanto alle dichiarazioni rese da NOME, che la complessiva conoscenza dei fatti sui quali ha reso indicazioni gli derivava dall’avere egli preso parte direttamente agli illeciti con sodali ai quali era noto che COGNOME conosceva la disposizione interna dell’alloggio preso di mira e aveva le chiavi della cassaforte. Coerente e credibile è quindi la chiamata in correità di NOME quale soggetto che aveva fornito la chiave e le altre informazioni che rendevano appetibile l’azione delittuosa, alla quale, almeno per un segmento, COGNOME ha preso parte e per tale ragione era stato informato di ciò che era a monte dell’azione in esecuzione”).
La Corte territoriale, dunque, ha dato conto in maniera puntuale delle fonti di prova utilizzate per ritenere la responsabilità penale della ricorrente nonché, in maniera adeguata, delle ragioni per le quali ha ritenuto attendibili le prove dichiarative utilizzate, traendo dal loro contenuto conclusioni improntate a logica.
Devono, pertanto, essere ritenuti insussistenti i vizi di omessa motivazione e di travisamento della prova denunciati.
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo.
La Corte d’Appello ha reso adeguata motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi integranti il tentativo di rapina, evidenziando congruamente che in ben due occasioni gli esecutori materiali avevano desistito dall’azione in ragione dell’intervento dei Carabinieri, e dunque per cause estranee alla volontà degli autori e non, come preteso dalla difesa, per valutazioni di mera opportunità (v. pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata: “l’azione delittuosa è stata ripetuta ben quattro volte nel giro di pochi giorni. In due occasioni vi è stato l’intervento dei carabinieri. In altre due, la persona offesa, già allarmata, ha usato cautele tali da impedire nuovamente l’accesso nel suo domicilio. L’evento programmato non si è quindi verificato solo per sopravvenienze non controllabili dagli esecutori materiali, cioè per cause estranee alla loro volontà e che hanno reso irrealizzabile la prosecuzione della condotta. Non può invocarsi, quindi, nel caso in esame, la disciplina dettata dall’art. 56 c. 3 c.p.”).
È manifestamente infondato anche il terzo motivo, che deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
La Corte di merito, invero, ha correttamente motivato anche in relazione alla ritenuta non applicabilità della disciplina del concorso anomalo, di cui all’art. 116 cod. pen., osservando congruamente che la ricorrente aveva consegnato la chiave della cassaforte a soggetti che “erano stati in passato legati ad associazione criminale assai pericolosa e il ricorso all’uso della forza e delle armi era sistematico se non addirittura abituale. Vi era inoltre … la necessità di introdursi a casa di un’anziana che all’interno vi trascorreva la maggior parte del tempo … era quindi certo, fin dall’inizio, sia ai mandanti che agli esecutori materiali, che l’accesso alla cassaforte prevedeva il superamento, con violenza e minaccia, delle cautele adottate dall’anziana” (v. pag. 13 della sentenza impugnata).
Diversamente, è fondato il quarto motivo, dovendosi osservare che la Corte d’Appello, nel liquidare il danno in favore della parte civile, dopo aver valutato non rispondente a criteri di equità la liquidazione effettuata dal primo giudice (in euro 15.000,00), ha ridotto tale liquidazione a euro 10.000,00 senza dare conto in alcun modo del criterio utilizzato per effettuare tale riduzione.
Deve, pertanto ritenersi sussistente il dedotto vizio di omessa motivazione in ordine alle statuizioni civili, limitatamente alle quali, pertanto, l’impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello; nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 02/07/2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente