Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33723 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33723 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2024 della CORTE di APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministe -o, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito l’AVV_NOTAIO COGNOME per COGNOME NOME e COGNOME NOME, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso; udito l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO per COGNOME NOME, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 18 aprile 2024 la Corte d’Appello cV Roma confermava la sentenza emessa il 3 novembre 2022 dal Tribunale di Roma con la quale gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati dichiarati colpevoli del reato di rapina pluriaggravata in concorso, loro
contestata per essersi impossessati di un diamante naturale da 82,82 carat ., sottraendolo alle parti offese NOME COGNOME e COGNOME NOME, mediante minaccia consistita nell’inscenare una falsa operazione di arresto a carico del finto acquirente del diamante, il sedicente COGNOME NOME, in realtà l’imputato COGNOME NOME.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, tutti e tre gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, chieden l’annullamento.
La difesa di COGNOME NOME articolava un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva illogicità della motivazione in relazione agli artt. 624, 625 e 640 cod. pen.
Assumeva che la corte territoriale aveva reso una motivazione che era una fotocopia di quella contenuta nella sentenza di primo grado e che il ricorrente aveva ammesso di essersi trovato sul luogo dei fatti e di aver organizzato una truffa tesa all’acquisto di pietre preziose dietro la consegna di banconote false, presentandosi alle parti offese come NOME COGNOME e inscenando una finta operazione di polizia.
Assumeva che nell’occorso non erano state mai esercitate minacce o violenze, che le parti offese si erano determinate a consegnare spontaneamente il diamante pur versando in errore, consistito nella convinzione di trovarsi di fronte a degli agenti della Polizia di Statc, e che l’unico a essere munito di un’arma era il coimputato COGNOME, che aveva tenuto la pistola d’ordinanza sempre riposta nella fondina.
Concludeva affermando che il fatto doveva essere più correttamente qualificato nel reato di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento.
La difesa di COGNOME NOME articolava due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di rapina e alla qualificazione della condotta contestata al ricorrente a titolo di concorso, nonché vizio di motivazione in relazione all’ornesso riscontro ai motivi di appello.
Evidenziava in proposito che la Corte territoriale aveva motivato per relationem con il richiamo alla sentenza di primo grado, omettendo tuttavia di argomentare in merito alla concreta fhrma di manifestazione della condotta concorsuale ascritta a COGNOME NOME, e ciò a fronte di lacune ricostruttive derivanti dalle numerose incongruenze, illogicità e contraddizioni caratterizzanti il narrato dei testimoni esaminati ed evidenziate nei motivi di appello.
Deduceva, in particolare, che il COGNOME aveva riferito della presenza di due persone, laddove !a COGNOME aveva parlato di tre persone presenti, e ancora che la COGNOME aveva dichiarato che nell’occorso tre persone erano armate, laddove il teste COGNOME non aveva riferito della circostanza.
Rappresentava che con l’atto di appello era stato evidenziato che la valigetta contenente le banconote false utilizzate nell’operazione era passata dalle mani di COGNOME NOME a quelle di COGNOME NOME prima che questi salisse al quarto piano dell’edificio per recarsi all’interno della stanza teatro degli eventi, dal che doveva dedursi che nell’occorso il primo non aveva accompagnato il secondo e pertanto non aveva partecipato all’azione, e che in relazione a ciò la Corte territoriale aveva reso una motivazione generica, con un mero richiamo alla sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale riguardo alla qualificazione della condotta contestata a titolo di concorso anomalo e vizio della motivazione per omesso riscontro ai motivi di appello.
Rassegnava che la Corte territoriale aveva sostenuto che, essendosi il COGNOME recato al cospetto delle parti offese munito della pistola d’ordinanza, per COGNOME NOME era risultato ben prevedibile lo sviluppo violento e minatorio dell’azione, e che nondimeno la stessa Corte territoriale non aveva motivato in merito all’efficacia causale dell’azione concretamente posta in essere dal medesimo COGNOME NOME, considerato ch’e la presenza di quest’ultimo all’esterno dell’edificio con la valigetta contenente le banconote false da consegnare alle parti offese e la concomitante presenza, quale partecipante all’azione, del COGNOME in qualità di agente di polizia – e dunque detentore di un’arma di ordinanza – non costituivano elementi idonei per ritenere che il ricorrente avesse accettato le condotte successive poste in essere dai correi.
Concludeva sul punto affermando che la volontà di NOME NOME era in realtà quella di portare a termine una truffa.
La difesa di COGNOME NOME articolava cinque motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 63 e 192, comma 3, cod. pen., assumendo che sia le dichiarazioni rese dalle parti offese nel :orso delle indagini preliminari che quelle rese da costoro al dibattimento erano inutllizzabili erga omnes in quanto rese senza l’assistenza di un difensore, sul rilievo che le medesime parti offese dovevano essere considerate imputate di reato connesso poiché, come ripetutamente osservato dalla stessa Corte territoriale, verosimilmente nel loro
agire erano state determinate da un intento truffaldino, in quanto avevano inteso vendere una pietra preziosa munita di un certificato di autenticità risultato falso; precisava, per altro verso, la difesa che comunque tali dichiarazioni dovevano essere valutate unitamente ad altri elementi che ne confermassero l’attendibilità.
Con il secondo motivo deduceva assenza e illogicità della motivazione in punto di valutazione dell’attendibilità delle persone offese, assumendo che la Corte territoriale non aveva rilevato le numerose contraddizioni caratterizzanti le dichiarazioni accusatorie del COGNOME e della COGNOME, i quali erano potenzialmente portatori di interessi confliggenti con quelli degli imputati, ed evidenziando ulteriormente che nell’immediatezza dei fatti il COGNOME aveva dichiarato di non saper riconoscere gli autori del fatto, laddove al dibattimento, a distanza di diversi anni, aveva dichiarato di riconoscere i tre odierni ricorrenti.
10. Con il terzo motivo deduceva mancanza o manifesta illogicità della motivazione nonché travisamento della prova con riferimento alla individuazione del COGNOME quale autore della rapina, richiamando ancora una volta le sopra ricordate dichiarazioni del COGNOME, ritenute affette da intrinseca contraddittorietà.
11. Con il quarto motivo deduceva mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, assumendo che lo stesso doveva essere più correttamente qualificato come truffa aggravata dall’aver ingenerato nella vittima un pericolo immaginario.
12. Con il quinto e ultimo motivo deduceva ancora una volta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per contrasto con le pronunce definitive di assoluzione degli originari coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, lamentando che la Corte territoriale avrebbe dovuto dare conto delle ragioni per le quali i detti coimputati erano stati assolti dal reato qui trattazione e, diversamente, gli odierni ricorrenti erano stati dichiarato colpevoli del medesimo reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso depositato per COGNOME NOME è manifestamente infondato e pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
Deve, invero, ritenersi che la Corte d’Appello abbia reso una motivazione immune dal vizio denunciato, con particolare riguardo all’aspetto evidenziato con il ricorso, relativo alla pretesa riqualificazione giuridica del fatto nel reato di fu
aggravato dall’uso del mezzo fraudolento e alla dedotta assenza di una condotta caratterizzata da violenza o minaccia.
La Corte di merito ha richiamato in maniera puntuale le fonti di prova utilizzate e dal contenuto delle prove assunte ha tratto conseguenze improntate a logica.
Ha, in particolare, rassegnato che le parti offese avevano concordemente affermato che nell’occorso erano state costrette a rimanere faccia al muro dietro minaccia e ha congruamente evidenziato che la concorde versione fornita dalle medesime “collima perfettamente con quella resa dai testi COGNOME, COGNOME e COGNOME, in quali hanno confermato che qui fu inscenata una falsa operazione di polizia nel corso della quale furono costretti a consegnare la pietra e a rimanere faccia al muro dietro minaccia. In particolare COGNOME oltre a descrivere in modo analogo la falsa operazione, riferì al COGNOME anche nell’immediatezza, uscendo dallo stabile, di essere stato rapinato” (v. pag. 4 del provvedimento impugnato).
Deve, pertanto, ritenersi insussistente il vizio di motivazione denunciato.
Il primo motivo di ricorso dedotto nell’interesse di COGNOME NOME, anch’esso avente ad oggetto la qualificazione giuridica del fatto, è manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, per le medesime ragioni illustrate in sede di trattazione del ricorso depositato per COGNOME NOME.
Deve, peraltro, osservarsi che, trattandosi di cosiddetta “doppia conforme” appare del tutto legittimo il richiamo alla motivazione resa dal giudice di primo grado (cfr. ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01, secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nel valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale), il quale, con riferimento all’individuazione della concotta concorsuale tenuta da COGNOME NOME, ha osservato, in maniera del tutto adeguata, che “come emerge dai fotogrammi che recano le ore 12,20 e le ore 12,42; a COGNOME NOME fu affidato il delicato compito di custodire la valigetta con le false banconote da consegnare all’esito delle trattative nell’ufficio indicato dall’acquirente. L presenza di COGNOME NOME nella stanza al quarto piano, ove ebbe luogo la minaccia, è provata dalla circostanza che la valigetta, che nella prima fase fu
affidata a lui ad operazione terminata era passata nelle mani del COGNOME” (v. pag. 9 della sentenza di primo grado).
La sentenza di primo grado, alla quale, come detto, ha fatto richiamo la Corte territoriale, ha anche congruamente argomentato in relazione alla ritenuta attendibilità delle persone offese, osservando che “talune divergenze (in ordine a quante fossero le persone armate e a chi dei malviventi fu falsamente ammanettato) sono state spiegate in udienza avendo il NOME precisato che la COGNOME, che aveva interloquito in italiano con i malviventi, poteva essere più precisa. I due testimoni, auditi a distanza di anni in videoconferenza con l’ausilio di un interprete, hanno comunque confermato la ricostruzione dei fatti resa in denuncia” (v. pagg. 7 e 8 della sentenza di primo grado).
Del pari inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo di ricorso dedotto nell’interesse di COGNOME NOME.
Ed invero, l’affermazione del ricorrente, secondo la quale la presenza di COGNOME NOME all’esterno dell’edificio con la valigetta contenente le banconote false da consegnare alle parti offese e la concomitante presenza, quale partecipante all’azione, del COGNOME in qualità di agente di polizia – e dunque detentore di un’arma di ordinanza – non costituirebbero elementi idonei per ritenere che il ricorrente avesse accettato le condotte successive poste in essere dai correi, costituisce rilievo di merito e pertanto non consentito nella presente sede, dovendosi comunque osservare che al riguardo la motivazione resa dal Tribunale e richiamata dalla Corte d’Appello risulta immune da vizi; in , n ar: !colare, il Tribunale ha osservato sul punto (v. pag. 10 della sentenza di primo gré ,do) che “della minaccia effettuata con l’uso della pistola indossata dal COGNOME rispondono anche COGNOME NOME e COGNOME NOME, tenuto conto che il COGNOME si era recato sul posto armato della sua pistola d’ordinanza ed essendo quindi del tutto prevedibile per i correi che egli trascendesse ad atti di minaccia nei confronti delle parti lese” (v., in tema, Sez. 2, n. 25915 del 02/03/2018, Bul., Rv. 272944 – 01, secondo cui l’eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di truffa per assicurare a sé o ad altri il percezione del profitto cui erano destinati gli artifizi e raggiri posti in essere, o comunque per guadagnare l’impunità, può essere ritenuto logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione della truffa e, se realizzato, comporta la configurabilità nei confronti dei concorrenti nolenti del concorso anomalo ex art. 116 cod. pen. nel reato di rapina ascrivibile al compartecipe che se ne sia reso materialmente responsabile).
Il primo motivo dedotto nell’interesse del COGNOME, avente ad oggetto la pretesa la inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni delle parti offese in quanto da considerare imputate di reato connesso, è inammissibile in quanto non è stato dedotto con l’atto di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva (cfr. Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME e altro, Rv. 269632 – 01, secondo cui non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perchè non devolute alla sua cognizione).
Il secondo e il terzo motivo dedotti nell’interesse del COGNOME sono entrambi manifestamente infondati, e pertanto inammissibili, per le medesime ragioni sopra illustrate in relazione alla ritenuta adeguatezza della motivazione resa dalla Corte di merito in punto di valutazione di attendibilità delle parti offese.
Con particolare riguardo alla posizione del COGNOME la Corte ha congruamente osservato che il ricorrente era stato riconosciuto dai due testimoni COGNOME e NOME, che concordemente gli avevano attribuito il ruolo di esperto gemmologo e di colui che aveva inscenato la finta operazione di polizia, “mostrando il proprio distintivo e l’arma alla cintura e ammanettando lo stesso COGNOME NOME per poi allontanarsi con i complici, come è provato dal fotogramma delle ore 12:56 che li ritrae di nuovo sul marciapiedi” (v. pag. 4 e 5 del provvedimento impugnato).
La Corte, dunque, ha anche del tutto congruamente richiamato, quale riscontro alle prove dichiarative, il contenuto delle immagini delle telecamere allocate sui luoghi e il relativo studio antropometrico, della qual cosa ha dato conto la motivazione del provvedimento impugnato, che pertanto, anche in relazione al profilo qui considerato, appare immune dai vizi denunciati.
Il quarto motivo dedotto nell’interesse del COGNOME, avente ad oggetto il tema, già esplorato, della qualificazione giuridica del fatto, è inammissibile in quanto manifestamente infondato, dovendosi richiamare al riguardo le argomencazioni già sopra illustrate in argomento.
È, infine, manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, anche il quinto motivo dedotto nell’interesse del COGNOME, con il quale si lamenta vizio di motivazione nel raffronto fra le statuizioni di condanna qui in trattazione e quelle assolutorie concernenti i coimputati COGNOME e del COGNOME, dovendosi al riguardo osservare che il vizio di motivazione deve necessariamente risultare dal provvedimento impugnato o dal confronto con altri atti del procedimento
specificamente indicati, non potendo essere rilevato dal confronto con sentenze rese in procedimenti diversi.
Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono, dunque, essere dichiarati inammissibili; i ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 24/06/2025