Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20561 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20561 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Cirò Marina il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/12/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata nell’interesse del ricorrente, con cui si è insistito nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 dicembre 2023, a seguito della sentenza di annullamento con rinvio, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte il 15
novembre 2023, il Tribunale di Catanzaro ha confermato il provvedimento emesso in sede di riesame il 5 aprile 2023 nei confronti di NOME COGNOME, con cui la misura della custodia in carcere è stata sostituita con quella degli arresti domiciliari.
NOME COGNOME è stato ritenuto gravemente indiziato dei reati di cui agli artt. 513-bis (capo 15) e 629 cod. pen. (capo 16), aggravati dall’art. 416-bis.1 cod. pen.. Secondo la ricostruzione, effettuata dai Giudici della cautela, infatti, il ricorrente, insieme con altri, aveva di fatto monopolizzato il settore ittico del porto di Cirò Marina, acquistando il pescato all’ingrosso, ai prezzi decisi dagli indagati medesimi e rivendendolo a prezzi maggiorati sia a ristoratori e commercianti della Calabria che a commercianti della Sicilia, della Campania, del Lazio e della Grecia. Era risultato accertato, inoltre, in termini di gravit indiziaria, l’oggettiva sottomissione degli operatori del settore ittico alle regol unilateralmente stabilite dagli indagati, che imponevano ai titolari delle pescherie di cedere l’intero pescato ai gruppi criminali, al prezzo imposto dagli stessi. Quanto al capo 16), la gravità indiziaria a carico del ricorrente è stata desunta dal contenuto inequivoco delle conversazioni attestanti l’imposizione al pescatore NOME NOME dell’obbligo di cedere il suo pescato agli indagati e del correlativo divieto di vendere lo stesso ad altri.
Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME, il quale ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Con il primo motivo ha dedotto violazione di legge e vizi della motivazione in punto di gravità indiziaria relativamente al delitto di cui all’art 513bis cod. pen., aggravato dal metodo mafioso, per avere il Giudice del riesame omesso le necessarie valutazioni e argomentazioni, in contrasto con il dettato impartito con la sentenza di annullamento. In particolare, il Tribunale ha affermato che i pescatori, attivi nel porto di Cirò Marina, e, di conseguenza, anche NOME COGNOME avevano subito pretestuose svalutazioni del pescato, lateralmente decise dal gruppo del ricorrente, ma la svalutazione del prezzo, per essere provata, necessiterebbe di un parametro di riferimento stabile e, soprattutto, deciso inter partes, tale da poter dire che la diminuzione di prezzo, richiesta da NOME COGNOME, fosse effettivamente un’imposizione autonoma e unilaterale. Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, secondo cui la trattativa commerciale era lecita, il Tribunale avrebbe tralasciato di indicare il parametro di riferimento a cui quello stesso prezzo doveva conformarsi per essere considerato appunto svalutato; peraltro, l’area portuale di Cirò Marina non avrebbe un proprio mercato ittico di riferimento e, quindi, i dissidi tra
acquirenti e venditori sarebbero all’ordine del giorno, perché ognuno sostiene il prezzo ad esso più conveniente, in assenza di un indice rivelatore del giusto prezzo secondo quella determinata categoria di pescato. Il Giudice del rinvio non avrebbe considerato che la compensazione tra crediti è una pratica comune nei mercati ittici e che l’acquisto di beni mobili non è vincolato alla forma scritta ad substantiam o ad pro bationem. Per di più, da una intercettazione si desumerebbe che sarebbe stata proprio la persona offesa a voler interrompere l’accordo commerciale a mezzo del quale aveva ricevuto la somma di denaro a titolo di prestito, pari a euro 3000,00 per l’approvvigionamento della propria barca. Il Tribunale, poi, non avrebbe spiegato – come invece imposto dalla sentenza rescindente – perché fosse illuminante la conversazione in cui NOME COGNOME aveva detto alla persona offesa “se vuoi andare via, … preparati” e avrebbe trascurato di considerare che la frase era stata pronunciata nei confronti di NOME COGNOME, che non è persona di facile impressionabilità. Peraltro, ci sarebbero contraddizioni nella valutazione di alcune intercettazioni, effettuata nell’ordinanza impugnata rispetto al provvedimento oggetto di annullamento da parte della Seconda Sezione di questa Corte.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizi della motivazione in punto di gravità indiziaria relativamente al delitto di cui all’art. 629 cod. pen., aggravato dal metodo mafioso. Il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che non sussisterebbe alcun atto di indagine da cui trarre che al pescatore cariatese fosse stato imposto di fornire obbligatoriamente e in maniera continuativa il proprio pescato all’impresa di NOME COGNOME. Sarebbe illogica la riflessione offerta dal Tribunale, che ritiene ravvisabile la condott volta a conseguire un monopolio di fatto dell’attività nel porto di Cirò Marina mediante l’implicita minaccia di condurre il pescatore alla cessazione dell’attività. Ciò in quanto il pescatore non opererebbe nel porto di Cirò Marina e, cosa ancor più importante, l’attività del ricorrente sarebbe stata basata sulla rivendita, così che il suo interesse non poteva essere quello di far cessare l’attività a un fornitore che gli permette la rivendita e, quindi, di lavorare.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto inosservanza della legge e/o erronea applicazione della legge nonché vizi della motivazione in ordine all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., per avere il Tribunale considerato non l’azione perpetrata dal reo ma il contesto territoriale in cui si è esplicato il reato. Il comportamento del ricorrente non avrebbe avuto alcun richiamo alla forza intimidatrice, esposta dalla locale RAGIONE_SOCIALE; né, tantomeno, avrebbe apportato aiuti economici tali da essere riconosciuti come rafforzamento del potere di un’organizzazione criminale.
È pervenuta memoria di replica nell’interesse del ricorrente con cui si è sostanzialmente affermato che dalle conversazioni, riportate nel provvedimento impugnato, non si evincerebbero gli estremi integrativi dei reati contestati e che il Tribunale non avrebbe dato risposta alle deduzioni difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va ribadito l’insegnamento di legittimità, per cui i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale, oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, giacché, mentre nella prima ipotesi il giudice è vincolato al principio di diritto, espresso dalla Corte di cassazione, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda ipotesi può procedersi a un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 5, n. 24133 del 31/05/2022, Ministero della Giustizia, Rv. 283440 – 01; Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, COGNOME, Rv. 252333 – 01).
Siffatta delimitazione dell’ambito della devoluzione dispiega, all’evidenza, simmetrica rilevanza nella valutazione dell’impugnazione del provvedimento emesso nel giudizio di rinvio.
Alla luce di quanto precede deve rilevarsi, innanzitutto, che non sono conferenti le censure del ricorrente in ordine all’asserita contraddittorietà tra l’interpretazione di alcuni dialoghi compiuta nell’ordinanza impugnata e quella resa nella precedente ordinanza, annullata da questa Corte.
Vertendosi nell’ambito di un annullamento per vizi di motivazione, nella fase di rinvio il Tribunale era libero di ricostruire i dati di fatto risultanti emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, con il solo limite di assegnare ad esse un significato rispondente alla logica e – come anche imposto dalla sentenza rescindente – di dare conto delle deduzioni difensive, ossia di considerare «la prospettiva argomentativa e ricostruttiva della difesa dell’indagato», eventualmente da disattendere «in forza di valutazioni espresse da una motivazione idonea a tracciarne il relativo percorso» (in questi termini la sentenza rescindente).
Deve poi rilevarsi che, nel caso di specie, nessun vizio, sindacabile in questa sede, inficia la motivazione con cui il Tribunale è approdato a ravvisare la gravità indiziaria in ordine ai delitti ascritti provvisoriamente al ricorrente.
4.1. Quanto al reato di cui all’art. 513-bis cod. pen., il Tribunale ha affermato che dovevano essere disattesi gli esiti delle indagini difensive, volti a ricondurre la gestione delle attività ittiche a liberi accordi commerciali informalmente assunti tra gli indagati e i pescatori della zona. A ciò ostava il vasto compendio investigativo in atti – costituito da intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, servizi di osservazione e controllo, dichiarazioni delle persone offese, provvedimenti giurisdizionali – comprovante la natura impositiva e, pertanto, delittuosa dell’attività ascrivibile agli indagati. In particolar Tribunale ha rilevato che l’egemonia criminale sulle dinamiche del porto di Cirò Marina si coglieva avuto riguardo al riscontrato controllo, imposto dal gruppo di NOME COGNOME, al quale l’odierno ricorrente apparteneva, sull’acquisto del pescato nonché alla successiva determinazione unilaterale del relativo prezzo, tanto da comprovare l’assenza in capo ai grossisti di qualsivoglia rischio commerciale, fatto gravare in via esclusiva sui pescatori. Il carattere abusivo dei rapporti commerciali, insistenti nel porto di Cirò Marina, era fondato sulla consapevolezza in capo alle vittime della caratura criminale di NOME COGNOME e degli altri appartenenti al gruppo, oltre che su eventi di danneggiamento, qualificabili come atti di ritorsivi nei confronti dei lavoratori del settore ittico, usavano rifiutare le imposizioni del gruppo criminale.
In particolare – quanto alle deduzioni difensive – il Tribunale ha disatteso la prospettazione del ricorrente secondo cui l’importo di 97,00 euro, trattenuto nei confronti di NOME COGNOME, sarebbe dipeso da una scarsa freschezza del pesce e dalla conseguente necessità di ribassare il prezzo concordato. Tale tesi era stata definita dallo stesso COGNOME come una “camurria”, ossia un torto già praticato in precedenza anche da NOME COGNOME e basato su pretestuose svalutazioni del pescato, unilateralmente decise dal gruppo di COGNOME.
Il Tribunale ha poi argomentato in ordine all’inverosimiglianza della compensazione tra crediti, prospettata dal ricorrente, avendo sottolineato che una tale compensazione tra il denaro, anticipato in unica soluzione dal ricorrente, e la merce, fornita nel corso del tempo fino ad estinzione del debito, non risultava in alcun modo disciplinata da accordi e non vi era una registrazione contabile delle cospicue somme anticipate (nell’ordine di diverse migliaia di euro per ogni tranche) e del pescato, giornalmente portato in compensazione; mancava, inoltre, una qualsiasi regolamentazione preventiva della stima del pescato con riferimento a parametri almeno indicativi. In definitiva – secondo il Tribunale – appariva inverosimile che tale complessa gestione di attività,
quotidianamente effettuate da numerose imbarcazioni, fosse semplicemente affidata ad accordi verbali e a consuetudini.
Il RAGIONE_SOCIALE della cautela ha avuto altresì cura di precisare che non emergeva dal compendio indiziario, né risultava altrimenti documentata dalla difesa, la fonte della legittima pretesa di un pagamento di denaro quale contropartita del recesso della persona offesa. Risultava, invece, che nella vicenda era intervenuto NOME COGNOME, il quale aveva rivendicato che COGNOME era il padrone della barca e aveva aggiunto con tono perentorio “se vuoi andare via, preparati”, verosimilmente alludendo al gravoso onere economico che NOME COGNOME avrebbe dovuto sopportare a seguito della sua decisione. Del resto, come si evinceva dalla lettura delle conversazioni, l’intervento di COGNOME e COGNOME aveva consentito di ristabilire l’ordine al punto che la stessa sera il pescatore NOME COGNOME aveva chiesto nuovamente al ricorrente di consegnargli del ghiaccio in vista dell’uscita in mare, per poi accordarsi con lo stesso per la consegna del relativo pescato il giorno successivo. Per di più, il contenuto delle captazioni telefoniche era dissonante rispetto alla situazione descritta dai soggetti direttamente coinvolti in sede di sommarie informazioni difensive.
4.2. Del pari comprovata era ,– secondo il Tribunale ..- la realizzazione dell’ipotesi delittuosa di estorsione di cui al capo 16), enucleabile sulla scorta dell’univoco materiale intercettivo raccolto.
L’ordinanza impugnata ha richiamato, a giustificazione delle gravità indiziaria, il tenore delle conversazioni, dalle quali risultava che era stato anche l’odierno ricorrente a sollecitare l’intervento di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, che aveva autonomamente venduto parte del pescato ed era stato esposto pertanto alla “strungiuta” dell’interlocutore, che lo richiamava alla necessità che la merce fosse integralmente conferita al proprio magazzino, facendo valere la propria caratura criminale e la notoria appartenenza alla compagine che controlla il territorio.
4.3. Alla luce di quanto precede deve rilevarsi che il Tribunale di Catanzaro, prendendo in esame anche le deduzioni difensive e così ottemperando al dictum della sentenza rescindente, ha sottolineato – con argomentazioni corrette e logiche – che dalle conversazioni intercettate e da tutti gli altri elementi emergeva che le condotte del ricorrente e del gruppo di sua appartenenza non erano riducibili a mere e lecite trattative commerciali in porti non aventi un mercato ittico di riferimento, ma esprimevano quella manipolazione violenta e diretta dei meccanismi di funzionamento dell’attività economica, tesa a sovvertire il normale svolgimento delle attività imprenditoriali, che integra appunto il reato di cui all’art. 513-bis cod. pen.
Giova ricordare al riguardo che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che integra il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia l’acquisizione di una posizione dominante in un determinato settore economico dovuta all’accordo con i clan di stampo mafioso che, attraverso condotte violente o intimidatorie, anche implicite o ambientali, precluda tanto l’accesso nel settore di altri concorrenti, quanto la libertà dell’esercente al dettaglio di scegliere contraente fornitore (Sez. 2, n. 34214 del 15/10/2020, COGNOME, Rv. 280237 02).
Del pari, con argomentazioni logiche e corrette, il Tribunale è pervenuto alla conclusione che, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, le condotte emerse nei rapporti NOME erano fuori da ogni sinallagma contrattuale e coartavano minacciosamente la volontà della vittima, al fine di trarne profitto.
4.4. A fronte della motivazione del provvedimento impugnato deve rilevarsi che il ricorrente ha sollecitato una rilettura e un’alternativa interpretazione degl esiti dei materiali captati.
È costante affermazione di questa Corte, però, che, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza dell motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337 – 01; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01). Si è precisato che il giudice «deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del senso delle conversazioni non lasci margini di dubbio» (Sez. 6, n. 29350 del 3/5/2006, Rispoli, Rv. 235088 – 01).
Ciò premesso, è agevole rilevare, nel caso in esame, che il RAGIONE_SOCIALE della cautela si è specificamente attenuto nella valutazione delle intercettazioni a tali criteri, avendo utilizzato un metodo interpretativo logico, effettivamente fondato sull’analisi delle conversazioni in relazione alla qualità dei soggetti intercettati al contesto in cui si inserivano i colloqui.
In sostanza, il ricorrente ha sollevato censure che non si confrontano con l’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata e sono tese a ottenere una ricostruzione del quadro probatorio alternativa rispetto a quella congrua, cui è pervenuto il menzionato RAGIONE_SOCIALE.
Il che non è consentito, dovendosi ribadire il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione, che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o l’assenza
delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 – 01).
5. Il terzo motivo del ricorso è privo di specificità.
Riguardo all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. il Tribunale ha rilevato che le imposizioni commerciali e le minacce, attuate in un territorio controllato delle organizzazioni criminali, si disvelavano come connotate dalla piena percezione della sudditanza criminale delle vittime. Il ricorrente, infatti, aveva posto in essere le condotte contando sulla caratura criminale di NOME COGNOME, come dimostrato dei dialoghi in cui l’indagato ne evocava l’egemonia criminosa ai fini della risoluzione delle controversie insorte, così contribuendo a rafforzare il potere della cosca sul territorio.
Quanto rappresentato dal RAGIONE_SOCIALE di merito, per il contesto in cui le vicende sono maturate e la riferibilità delle condotte al gruppo di NOME COGNOME, rende contezza della concreta integrazione dell’aggravante del metodo mafioso contestata, avendo l’agente, in quel contesto territoriale, ingenerato nella vittima la consapevolezza di subire un danno per mano della criminalità organizzata e di dover fronteggiare la reazione del gruppo, non già del singolo, in caso di inottemperanza alle richieste.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ai fini della configurabilità dell’aggravante del “metodo mafioso”, è sufficiente, in un territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica, che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto alla collettività (cfr. di recente Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Rv. 284950 – 01).
Giova poi aggiungere che il ruolo e lo spessore criminale di NOME COGNOME, in concreto evocati al fine di conseguire e mantenere il controllo del mercato ittico, rende evidente la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. anche sotto il profilo dell’agevolazione.
6. In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 27/3/2024