Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5117 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5117 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BORGOSESIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso lette le conclusioni del difensore che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 maggio 2023, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Vercelli che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole del delitto di cui all’art. 495 cod. pen., perché, richiesto dai componenti di una pattuglia di carabinieri di declinare le proprie generalità durante un controllo dell’autocarro da lui condotto, attestava falsamente di essere NOME nel DATA_NASCITA (invece che nel DATA_NASCITA).
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello (argomentati esclusivamente sulla sussistenza del fatto e dell’elemento soggettivo del reato), la Corte torinese osservava quanto segue.
Premetteva che il difensore dell’imputato aveva fatto pervenire istanza di concordato, con la sostituzione della irrogata pena detentiva, di mesi 8 di reclusione, nell’indicata pena pecuniaria e che il Procuratore generale aveva solo formulato conclusioni scritte in cui, anch’egli, aveva chiesto la sostituzione della pena ma senza affermare di voler aderire al proposto concordato, che non si era pertanto concluso.
1.1. I motivi di appello erano, poi, infondati nel merito, posto che si era acclarato come il prevenuto avesse decliNOME un diverso anno di nascita, una condotta che, certo, non poteva dirsi scrinninata dalla pregressa conoscenza personale dell’imputato da parte di uno degli operanti (non risultando, peraltro, che tale conoscenza comprendesse anche l’età dell’imputato)
L’elemento soggettivo del contestato reato è il dolo generico e non vi erano ragioni per ritenere che l’imputato fosse caduto in un mero, seppur colpevole, errore (e, quindi, configurandosi la sola colpa, andrebbe mandato assolto) nel riferire il dato anagrafico agli operanti.
Quanto alla richiesta di sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria indicata, escluso, come si è detto, che fosse stato raggiunto un accordo con il Procuratore generale, in considerazione del tenore delle sue conclusioni, l’imputato si era limitato a produrre una propria dichiarazione, circa il reddito dal medesimo percepito, che sarebbe stato inferiore agli euro 7.000 annui (e, quindi, senza necessità di presentare la relativa dichiarazione fiscale), così da non potersi quantificare né l’importo giornaliero della sanzione pecuniaria, né il numero delle rate.
La pena sostitutiva, poi, non sarebbe idonea a svolgere J n adeguato effetto rieducativo, anche considerando le due precedenti condanne patite dallo COGNOME,
per la violazione della normativa sulle armi, condanne che ne evidenziavano la pericolosità e la scarsa affidabilità.
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 599 bis cod. proc. pen. e 24 Cost., per non avere, la Corte garantito il contraddittorio fra le parti dopo avere rigettato la proposta di pena concordata, avanzata congiuntamente dalle medesime.
Si era infatti concordato con il pubblico ministero la sostituzione, ex art. 53 legge n. 689 del 1981 (come novellato dal d.lgs. n. 150 del 2022), della pena inflitta in prime cure in mesi 8 di reclusione, con la pena pecuniaria di euro 6.000 di multa (euro 25 per ogni giorno di detenzione, ex art. 56 quater della medesima legge, come novellato), rateizzati in 30 rate mensili, di euro 200 ciascuna.
La Corte aveva, invece, osservato come, pervenuta il 5 maggio 2023 l’istanza del difensore dell’imputato, il pubblico ministero avesse concluso con nota scritta chiedendo venisse sostituita la pena come da richiesta della difesa, ma senza affermare di avere concluso l’accordo con la stessa.
In assenza, pertanto, del previsto accordo, la Corte ordinava procedersi oltre, senza riconvocare le parti, così disattendendo l’art. 599 bis, comma 3, cod. proc. pen. che, modificato dal d.lgs. n. 150/2022, prevede che, in caso di mancato accoglimento della richiesta concordata fra le parti, il giudice deve disporre che l’udienza si svolga con la loro partecipazione, indicando se l’appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall’art. 127 del medesimo codice.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla mancata sostituzione della pena detentiva in una pena pecuniaria.
In ordine al trattamento sanzioNOMErio non si era potuto presentare alcun motivo di appello, posto che il primo giudice aveva irrogato la pena nel minimo edittale (un anno di reclusione) e aveva operato la diminuzione massima per le attenuanti generiche (così giungendo ad otto mesi di reclusione), visto che, nel 2021, quando si era, appunto, proposta l’impugnazione di merito, la sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria era possibile solo per pene non superiori a mesi sei di reclusione.
Nelle more dello stesso processo di appello, tuttavia, era entrata in vigore, il 30 dicembre 2022, la cd riforma Cartabia – applicabile anche all’odierno caso di
specie ai sensi dell’art. 2 cod. pen. come norma più favorevole al reo – che, modificando le norme di riferimento, consentiva di sostituire con le pene pecuniarie la pena detentiva irrogata all’imputato.
La Corte aveva, invece, respinto l’istanza affermando non esservi prova documentale del reddito percepito dall’imputato, ma questi non aveva potuto che allegare all’uopo un’autocertificazione, considerando che, per i redditi percepiti, era esente dall’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi ai sensi dell’art. 1 comma 4 d.P.R. n. 600/1973.
La Corte aveva anche errato nell’affermare che, non avendo elementi circa la sua capacità economica, non poteva valutarsi se l’imputato sarebbe stato in grado di rispettare la rateizzazione della pena, dato che la Cassazione aveva costantemente affermato come l’eventuale stato di disagio economico non potesse costituire una causa di esclusione della sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria (vd SU n. 24476/2010).
Né aveva fondamento concreto l’affermazione, sempre della Corte d’appello, secondo cui la sola pena pecuniaria non avrebbe garantito un adeguato effetto rieducativo dell’imputato. Si doveva poi considerare che le precedenti condanne da questi patite derivavano da assai risalenti episodi di caccia.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato proscioglimento del prevenuto ai sensi dell’art. 131 bis cod. proc. pen..
Un’ipotesi che la Corte d’appello non aveva preso in esame nonostante il reato contestato lo consentisse, ancora alla luce delle modifiche apportate alla citata norma dal d.lgs. n. 150/2022. Un’eventualità che la Corte d’appello avrebbe dovuto vagliare anche d’ufficio, trattandosi di ipotesi rientrante nel dettato dell’art. 129 cod. proc. pen..
Le condizioni per ritenere il fatto di particolare tenuità erano soddisfatte dalla considerazione che NOME COGNOME era perfettamente conosciuto dai carabinieri, così da consentire, altrimenti, la sua compiuta identificazione.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato memoria scritta con la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore dell’imputato ha inviato memoria con la quale, in replica alle argomentazioni del pubblico ministero, chiede l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso merita accoglimento.
Risulta, infatti, fondata la questione, preliminare e processuale, proposta nel ricorso.
La difesa aveva inviato alla Corte d’appello una memoria, depositata il 4 maggio 2023, in cui aveva proposto, al pubblico ministero, un concordato sulla pena (con la sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, come sopra individuata, sostituzione consentita dall’entrata in vigore, il precedente 30 dicembre 2022, della cd. Riforma Cartabia, il d.lgs. n. 150/2022, che, modificando l’art. 53 della legge n. 689 del 1981, prevede, appunto, la sostituzione della pena detentiva in una pena pecuniaria, quando il giudice ritenga di dovere determinare la prima “entro il limite di un anno”.
Nelle sue conclusioni scritte, il Procuratore generale faceva specifico riferimento a tale proposta di pena, avanzata ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen., mostrando di condividerla, tanto da concludere: “per la sostituzione della pena detentiva, in accoglimento della istanza difensiva deposltata il 4/5/2023”.
1.1. Così illustrato quanto era avvenuto nella fase degli atti preliminari d’appello, il Collegio, ritiene, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, che le parti avessero concordato la pena – nella misura proposta dalla difesa – ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen..
Si ricorda, innanzitutto, che, questa Corte, in tema di concordato in appello (ma anche di accordo sulla misura della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.), ne ha sottolineata la natura di negoziale (Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, COGNOME, Rv. 279504; Sez. 6, n. 4665 del 20/11/2019, dep. 2020, Furino, Rv. 278114), considerandolo così un “negozio giuridico processuale” (vd. Sez. 5, n. 12195 del 19/02/2019, COGNOME, Rv. 276038, seppure in relazione all’accordo ex art. 444 cod. proc. pen.).
Ne discende che l’interpretazione del concordato (o dell’accordo ex art. 444 cod. proc. pen.) deve essere operata seguendo i criteri dettati dal codice civile in tema di interpretazione del contenuto del negozio giuridico.
Ed allora, secondo l’art. 1362 cod. civ. “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”.
L’art. 1366 aggiunge che “il contratto deve essere interpretato secondo buona fede”, l’art. 1367, che “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello
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secondo cui non ne avrebbero alcuno”, l’art. 1369, che “Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto”.
1.2. E’, così, alla luce di tali criteri, che deve essere interpretato l’atto con quale il Procuratore generale aveva preso le proprie conclusioni.
Sia l’interpretazione letterale dello stesso, sia l’evidente intenzione dimostrata, laddove il Procuratore ha affermato di concludere “per la sostituzione della pena detentiva, in accoglimento della istanza difensiva depositata il 4/5/2023”, mostrano come il rappresentante della pubblica accusa avesse inteso aderire alla proposta, della difesa, che aveva specificamente ricordato.
Il negozio giuridico processuale si era pertanto concluso irra le parti.
Così che la Corte d’appello, se avesse ritenuto di non poter accogliere la suddetta richiesta, concordata fra le parti, avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen., disporre, posto che si stava procedendo ai sensi dell’art. 598 bis codice di rito, che la udienza si svolgesse con la partecipazione delle stesse, dandone comunicazione.
Comunicazione che non era, invece, avvenuta, determinando così la nullità pur a regime intermedio ma tempestivamente solleva con il ricorso per cassazione, avendo la Corte pronunciato sentenza nella medesima udienza in cui si era verificato il vizio – della sentenza impugnata (Sez. 6, n. 37981 del 12/07/2023, COGNOME, Rv. 285182).
La sentenza impugnata va pertanto annullata per le superiori considerazioni. Tutti gli ulteriori motivi di censura sono assorbiti da tale annullamento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso, in Roma il 13 dicembre 2023.