Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29448 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29448 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Monza il 24/11/1972 avverso la sentenza del 16/12/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le richieste del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 15 novembre 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose commessi, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 17 aprile 2019, unificati a fini sanzionatori in un unico delitto
di bancarotta fraudolenta aggravato ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1, l. fall. e per il reato di bancarotta fraudolenta documentale commesso, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, dichiarata anch’essa fallita il 17 aprile 2019, e, applicate le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti del danno patrimoniale di rilevante gravità e della pluralità dei fatti di bancarotta e ritenuta la continuazione tra i fatti di bancarotta relativi alle due società nonché tra tali reati e quelli per i quali NOME COGNOME era stato già condannato con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza del 9 maggio 2018, irrevocabile in data 14 giugno 2023, ha aumentato di un anno di reclusione la pena già inflitta con la sentenza ormai irrevocabile.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando se tte motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 586 e 599bis cod. proc. pen. e chiede l’annullamento dell’ ordinanza del 16 dicembre 2024 di rigetto dell’istanza di concordato avanzata dalle parti con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
Segnala che l’imputato ed il difensore avevano raggiunto un’intesa di concordato sulla pena finale, quantificata in mesi otto di reclusione, in continuazione con il cumulo esecutivo n. 192/2022 SIEP e che la Corte di appello ha rigettato tale istanza, per poi contestualmente decidere sull’appello confermando la sentenza impugnata.
Il ricorrente sostiene, quindi, che risulta violato l’art. 599 -bis , comma 3, cod. proc. pen. laddove stabilisce che, qualora l’istanza di concordato non venga accolta, il giudice dell’impugnazione deve disporre la prosecuzione del giudizio.
In base a tale disposizione la Corte di appello era tenuta a disporre il rinvio del processo ed il rigetto dell’istanza avrebbe violato il diritto di difesa rendendo impossibile pervenire alla determinazione della pena sulla base dell’accordo raggiunto con il Pubblico ministero.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) , c) e d) , cod. proc. pen., la mancata assunzione di prove decisive prodotte nel giudizio di appello e la mancanza, erroneità o mera apparenza della motivazione circa il fatto che la riduzione di un terzo della pena avanzata con la istanza di concordato era in parte giustificata dalla riduzione della pena per effetto della ritenuta continuazione con una precedente sentenza di condanna, che prevedeva un reato punito meno gravemente.
Il ricorrente segnala che con la memoria depositata a sostegno dell’accoglimento dell’istanza di concordato il difensore aveva dimostrato che la
condanna alla pena di anni otto di reclusione, pronunciata dal Tribunale di Monza con la sentenza del 2018, era stata già ridotta con provvedimento del 2022 nella misura di anno uno e mesi sei di reclusione, perché posta in continuazione con altra sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Milano nel 2013.
Con tale provvedimento era stato individuato quale reato più grave il delitto di bancarotta fraudolenta per il quale NOME COGNOME era stato condannato con la sentenza del Tribunale di Milano del 2013.
Conseguentemente, l’inferiore pena per il reato individuato come reato più grave avrebbe dovuto indurre la Corte di appello ad accogliere l’istanza di concordato.
Avendo la Corte di appello disatteso tale «aspetto» di natura sostanziale e processuale, la decisione era illegittima.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e) , cod. proc. pen. , la violazione dell’art. 599 -bis , commi 2 e 4, cod. proc. pen. secondo i quali, ai fini del concordato sulla pena, le parti possono manifestare il loro consenso anche in ragione di documenti e prove diversi rispetto a quelli già inseriti nel fascicolo del giudizio abbreviato di primo grado ovvero le parti possono rideterminare la pena in forza delle indicazioni provenienti dal giudice.
Sostiene che la Corte di appello, nel rigettare la istanza di concordato, si è limitata a richiamare e ribadire le argomentazioni già espresse dal Giudice di primo grado senza prendere in esame la documentazione offerta a sostegno della memoria difensiva, come quella attinente al parziale rimborso del debito tributario e al valore irrisorio dei veicoli oggetto di bancarotta fraudolenta patrimoniale; tali documenti dimostravano la congruità della pena oggetto di concordato.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. in relazione al reato di bancarotta riguardante la RAGIONE_SOCIALE sostenendo che le prove documentali che la Corte di appello aveva ritenuto non utilizzabili avrebbero dimostrato la fondatezza dell’appello con il quale era stata denunciata la misura eccessiva della pena inflitta con la sentenza di primo grado ed era stata chiesta la prevalenza delle già applicate circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in ordine al reato di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose relativo alla RAGIONE_SOCIALE, violazione di legge.
Il ricorrente segnala di essere stato assolto dall’imputazione di evasione fiscale relativa alla predetta società per l’anno 2003 perché la contestazione si
fondava su un accertamento induttivo e quindi su presunzioni inapplicabili in sede penale.
Poiché la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta impropria da operazioni dolose discendeva dall’omesso sistematico pagamento dei debiti tributari, la pronuncia assolutoria conduce ad una consistente riduzione (75%) del debito tributario e quindi della gravità della condotta contestata in questa sede.
La produzione della sentenza avrebbe determinato il proscioglimento dall’imputazione di bancarotta fraudolenta impropria o quanto meno avrebbe potuto portare la Corte di appello a ritenere prevalenti le attenuanti generiche.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e) , cod. proc. pen. , la violazione dell’art. 599 -bis , commi 2 e 4, cod. proc. pen. secondo i quali, ai fini del concordato sulla pena, le parti possono manifestare il loro consenso anche in ragione di documenti e prove diversi rispetto a quelli già inseriti nel fascicolo del giudizio abbreviato di primo grado ovvero le parti possono rideterminare la pena in forza delle indicazioni provenienti dal giudice.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe potuto rigettare il concordato e subito dopo decidere l’appello poiché per l’accoglimento del concordato non è necessaria una riduzione della pena in misura specifica ed è possibile negoziare tra le parti la congruità della stessa; in particolare, la Corte di appello, omettendo di comunicare alle parti il rigetto dell’istanza, ha impedito loro una possibile rimodulazione dell’accordo.
2.7. Con il settimo motivo di ricorso (erroneamente indicato come sesto nell’atto di impugnazione) il ricorrente lamenta violazione di legge, per essere il concordato stato rigettato attraverso il mero richiamo al benevolo trattamento sanzionatorio irrogato dal Giudice di primo grado, anziché facendo riferimento ai criteri indicati dall’art. 133 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il sesto motivo di ricorso sono infondati.
Ai sensi dei commi 3 e 3bis dell’art. 599 -bis cod. proc. pen., nella formulazione ratione temporis applicabile -rispettivamente sostituito e introdotto dall’art. 34, comma 1, lett. f), nn. 2 -3, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore dal 30 dicembre 2022 -si prevede quanto segue: «Quando procede nelle forme di cui all’articolo 598bis , la corte, se ritiene di non poter accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone che l’udienza si svolga con la partecipazione di queste e indica se l’appello sarà deciso a seguito di udienza
pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall’articolo 127. Il provvedimento è comunicato al procuratore generale e notificato alle altre parti. In questo caso la richiesta e la rinuncia perdono effetto, ma possono essere riproposte in udienza . Quando procede con udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, la corte, se ritiene di non poter accogliere la richiesta concordata tra le parti, dispone la prosecuzione del giudizio ».
La nuova disciplina regola in modo diverso la possibilità di riproporre il concordato non accolto, a seconda che il giudizio sia svolto nelle forme camerali non partecipate ovvero, come nella specie, con udienza con la partecipazione delle parti.
La riforma ha recepito l’orientamento giurisprudenziale, maturato nella vigenza del comma 3 dell’art. 599bis cod. proc. pen., nella precedente formulazione, e dei commi 1bis e 2 dell’art. 602 cod. proc. pen., poi abrogati nell’ambito del complessivo riassetto dell’istituto, a mente del quale è nulla, ai sensi degli artt. 178, lett. b) e c) , e 180 cod. proc. pen., la sentenza pronunciata immediatamente dopo il rigetto dell’accordo proposto dalle parti, senza che il giudice abbia disposto la prosecuzione del dibattimento, come previsto dall’art. 602, comma 1bis , cod. proc. pen., atteso che, in tal modo, risulta impedita alle parti la discussione e la formulazione delle conclusioni nel merito (Sez. 6, n. 17875 del 22/04/2022, M., Rv. 283464, in motivazione; Sez. 5, n. 47574 del 02/07/2019, P., Rv. 277546 – 01).
Questa Corte di cassazione ha affermato che, anche nell’attuale formulazione normativa, al rigetto della proposta di concordato sulla pena deve seguire la discussione nel merito oppure la riproposizione di una nuova e diversa richiesta ex art. 599bis cod. proc. pen., stante la evidente finalità di incentivare la definizione anticipata del giudizio di appello.
Tuttavia, questa Corte ha precisato, in tema di concordato con rinuncia ai motivi in appello, che non è affetta da nullità la sentenza pronunciata immediatamente dopo il rigetto dell’accordo, senza che il giudice abbia disposto la prosecuzione del dibattimento, qualora l’appellante, all’udienza di discussione, abbia concluso anche nel merito, riportandosi ai motivi di gravame per il caso di mancato accoglimento della proposta sulla pena, posto che il predetto ha, in tal modo, rinunziato implicitamente alla proposizione di un nuovo accordo (Sez. 2, n. 45287 del 17/10/2023, Santacruz, Rv. 285347 – 01).
Orbene, nel caso di specie l’appello è stato trattato con la partecipazione delle parti e, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata (vedi pagg. 7-8), queste ultime, nel discutere la causa, si sono riportate in via principale alla proposta di concordato e, in subordine, nella ipotesi di mancato accoglimento
della proposta, il Procuratore generale ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, mentre il difensore ha chiesto l’accoglimento dei motivi di appello, insistendo anche per la concessione del rinvio del processo ad altra udienza al fine di ottenere l’acquisizione di una sentenza di cui si asseriva la importanza ai fini della decisione.
Ne consegue che le parti hanno discusso la causa nel merito e che la parte, riportandosi ai motivi di appello, ha implicitamente rinunciato alla riproposizione di una nuova e diversa istanza di concordato della pena, cosicché, in applicazione del principio sopra esposto, non è ravvisabile alcuna violazione di legge ed in particolare alcuna lesione del diritto di difesa.
2. Il secondo motivo è infondato ed il terzo motivo è inammissibile.
Sostanzialmente, il ricorrente si duole dell ‘omessa valutazione di un provvedimento del giudice dell’esecuzione pronunciato nel 2022 che aveva ritenuto sussistente la continuazione tra i reati per i quali egli era stato condannato con la sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza nel 2018 e il reato di bancarotta fraudolenta per il quale egli era stato condannato con sentenza del Tribunale di Milano nel 2013 ed aveva ritenuto quest’ultimo quale reato più grave. Sostiene che, poiché, in virtù di tale provvedimento, è stata operata una riduzione della pena che il COGNOME deve scontare per il reato associativo che, con la sentenza qui impugnata, era stato individuato quale reato più grave, anche l’aumento per la continuazione con i reati per i quali egli è stato condannato con la sentenza impugnata in questa sede avrebbe dovuto essere ridotto in misura corrispondente e con la proposta di concordato sulla pena era stato richiesto di aumentare nella misura di mesi otto di reclusione la pena determinata con il provvedimento del giudice dell’esecuzione pronunciato nel 2022.
Il motivo è infondato perché la sentenza del Tribunale di Milano del 2013 è divenuta irrevocabile prima della sentenza di primo grado emessa nell’ambito di questo procedimento.
Difatti, la sentenza di primo grado del Tribunale di Monza è stata emessa il 15 novembre 2023, mentre il provvedimento del Giudice dell’esecuzione, possibile solo in relazione a sentenze già irrevocabili, è stato emesso nel 2022.
Deve, allora, osservarsi che, come già affermato da questa Corte di cassazione (Sez. 2, n. 7132 del 11/01/2024, COGNOME, Rv. 285991 – 01), «l’orientamento di legittimità favorevole al riconoscimento della c.d. continuazione esterna in sede di appello con pronunce divenute irrevocabili successivamente l’emissione della pronuncia di primo grado è stato affermato con distinti interventi; si è difatti stabilito che è ammissibile, con la proposizione
dei motivi nuovi di appello, la richiesta di applicazione della continuazione criminosa in relazione ad un reato oggetto di sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine di proposizione dell’appello, con cui quindi non è stato possibile dedurla, non operando in siffatta situazione il limite della devoluzione correlato ai capi e punti impugnati perché trattasi, comunque, di una richiesta relativa ad un istituto applicabile in sede di esecuzione, ex art. 671 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 47300 del 29/11/2011 Ud. (dep. 20/12/2011 ) Rv. 251504 – 01; Sez. 2, n. 12068 del 19/12/2014 Ud. (dep. 23/03/2015 ) Rv. 263008 – 01); soluzione, questa, che risulta più recentemente riaffermata da analoga pronuncia (Sez. 2, n. 33098 del 01/07/2021 Rv. 281915 – 01) secondo cui l’ammissibilità della richiesta trova fondamento nella analogia con l’istituto di cui all’art. 671 cod.proc.pen. e nella impossibilità di dedurre tempestivamente nel corso del giudizio di primo grado l’applicazione del beneficio.
A detto orientamento, che riconnette l’ammissibilità della richiesta della continuazione esterna con altri titoli divenuti irrevocabili solo dopo l’emissione della sentenza di primo grado, alla necessaria proposizione di motivi aggiunti, si affianca il connesso principio secondo cui è conforme all’effetto devolutivo dell’appello la sentenza che omette di pronunciare sulla richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione con altri reati oggetto di titoli pregressi formulata, anziché con l’atto introduttivo, solo in corso di procedimento unitamente alla produzione dei titoli stessi (Sez. 2, n. 10470 del 12/02/2016, Rv. 266655 -01); soluzione questa che trova anche un suo precedente nell’affermazione secondo cui è conforme all’effetto devolutivo dell’appello la sentenza che non si pronunci in ordine al nesso di continuazione, con altro reato già oggetto di condanna irrevocabile, per essere stata la questione prospettata non già con i motivi di appello ma soltanto con la formulazione delle conclusioni (Sez. 2, n. 17077 del 08/02/2011, Rv. 250245 – 01).
Si è così anche recentemente chiarito come, in tema di giudizio di appello, la richiesta di applicazione della continuazione in relazione a un reato giudicato con sentenza di condanna divenuta irrevocabile dopo la scadenza del termine per proporre impugnazione è ammissibile solo se avanzata con i motivi nuovi ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., in quanto, ferma restando la sua proponibilità in sede di esecuzione ex art. 671 cod. proc. pen., la relativa questione può essere introdotta nel giudizio di cognizione solo con modalità tali da consentire al giudice di prenderne conoscenza tempestivamente e in maniera adeguata (Sez. 1, n. 6348 del 14/10/2022 -dep. 15/02/2023- Rv. 284409 – 01). Non vi è dubbio quindi che, stabilito il principio dell’ammissibilità in appello della richiesta di continuazione con condanne sopravvenute, l’applicazione dell’istituto ha trovato una fondamentale limitazione nelle modalità di proposizione
dell’istanza, essendosi sottolineato che rimane ferma la proponibilità della richiesta in fase esecutiva come testualmente previsto dall’art. 671 cod.proc.pen.».
In applicazione dei principi sopra esposti deve, quindi, rilevarsi che la prova invocata non era decisiva, atteso che la Corte di merito non avrebbe potuto pronunciarsi sulla applicazione della continuazione anche con il reato per il quale il COGNOME era stato condannato con la sentenza del Tribunale di Milano del 2013.
Peraltro, deve aggiungersi, per lo stesso motivo la Corte di merito non avrebbe potuto accogliere la istanza di concordato che tale continuazione presupponeva e la cui cognizione le era invece sottratta in applicazione del principio devolutivo , cosicché per ciò stesso il rigetto dell’istanza di concordato risulta legittimo.
Occorre ribadire che, in virtù dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia, mentre la proposta di concordato non può costituire uno strumento per estendere l’impugnazione a motivi non proposti con l’atto di appello .
Da quanto appena esposto discende l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, atteso che la proposta di concordato non poteva in ogni caso essere accolta.
3. Il quarto, il quinto ed il settimo motivo sono manifestamente infondati.
Deve in primo luogo osservarsi che con l’atto di appello l’odierno ricorrente si era limitato a richiedere la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti. In particolare, non erano stati formulati motivi di gravame diretti ad ottenere l’esclusione dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, cosicché i documenti volti a dimostrare la scarsa gravità del danno erano irrilevanti.
Quanto, invece, alla invocata prevalenza delle attenuanti, deve ricordarsi che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 4, n. 10379 del 26/03/1990, COGNOME, Rv. 184914; Sez. 1, n. 3163 del 28/11/1988, COGNOME, Rv. 180654).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello, sia in relazione a detta prevalenza sia in ordine alla istanza di riduzione della pena,
facendo riferimento a tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. e quindi sia alle modalità di commissione del fatto ed alla sua gravità, sia alla personalità del COGNOME, gravato da diversi precedenti penali, cosicché non può sostenersi che la motivazione sul punto sia carente o affetta da contraddittorietà o manifesta illogicità.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/07/2025.