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Concordato in appello: quando il ricorso è nullo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 26087/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver accettato un concordato in appello, ha tentato di contestare la qualificazione giuridica del reato. La Suprema Corte ha ribadito che l’accordo sulla pena preclude la possibilità di sollevare questioni a cui si è implicitamente rinunciato.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: l’Accordo sulla Pena Preclude il Ricorso in Cassazione

L’istituto del concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sulla rideterminazione della pena, rinunciando ai motivi d’appello. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 26087/2024) ha ribadito un principio fondamentale: l’adesione a tale accordo preclude la possibilità di contestare in seguito, tramite ricorso per cassazione, questioni a cui si è implicitamente rinunciato, come la qualificazione giuridica del fatto.

Il Fatto Processuale: Dal Concordato al Ricorso

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, emessa a seguito della richiesta di un imputato di definire il processo tramite il cosiddetto “patteggiamento in appello”. La Corte territoriale accoglieva la richiesta, rideterminando la pena sulla base dell’accordo raggiunto tra la difesa e l’accusa.

Nonostante l’esito concordato, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, assistito dal proprio difensore. Il motivo del ricorso non verteva su vizi dell’accordo o della procedura, bensì contestava la qualificazione giuridica del fatto-reato, un aspetto che, logicamente, precede e fonda la determinazione stessa della pena.

La Decisione della Cassazione sul Concordato in Appello

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza necessità di trattazione orale. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa della natura e degli effetti del concordato in appello. Secondo la Suprema Corte, questo istituto non è una semplice modalità di definizione del giudizio, ma un vero e proprio atto dispositivo della parte che lo richiede.

L’imputato, scegliendo di accordarsi sulla pena, accetta il quadro giuridico e fattuale definito nel giudizio di primo grado e rinuncia a sollevare contestazioni su punti che non sono stati espressamente esclusi dall’accordo stesso. Pertanto, tentare di rimettere in discussione la qualificazione giuridica del reato in Cassazione rappresenta una contraddizione logica e procedurale.

le motivazioni

Il cuore della motivazione risiede nella natura negoziale e dispositiva del concordato in appello. La Cassazione spiega che il potere riconosciuto alla parte dall’art. 599-bis c.p.p. non si limita a influenzare la decisione del giudice di secondo grado, ma produce “effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale”.

Questo significa che, analogamente a quanto avviene con la rinuncia espressa all’impugnazione, l’accordo sulla pena “cristallizza” la situazione processuale su tutti i punti che non sono oggetto di contestazione specifica nell’ambito dell’accordo stesso. La rinuncia ai motivi d’appello si estende a tutte le questioni, anche quelle rilevabili d’ufficio come le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p. o, appunto, la qualificazione giuridica del fatto. La Corte richiama a sostegno due precedenti conformi (Sez. 5, n. 29243/2018 e Sez. 6, n. 41254/2019), consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai stabile.

In sostanza, non è consentito all’imputato beneficiare della riduzione di pena derivante dall’accordo e, allo stesso tempo, conservare la facoltà di contestare i presupposti giuridici su cui quell’accordo si fonda. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 4.000,00 euro alla Cassa delle ammende.

le conclusioni

Questa ordinanza fornisce un chiarimento cruciale per gli operatori del diritto. La scelta del concordato in appello è una decisione strategica che deve essere attentamente ponderata, poiché comporta una rinuncia implicita ma definitiva a far valere determinate censure. L’imputato e il suo difensore devono essere consapevoli che, una volta siglato l’accordo, il perimetro delle possibili impugnazioni si restringe drasticamente. La decisione della Cassazione rafforza l’efficacia deflattiva dell’istituto, garantendo che l’accordo processuale non venga svuotato di significato da impugnazioni successive su questioni implicitamente superate. Di conseguenza, l’attenzione deve concentrarsi sulla negoziazione dell’accordo, poiché esso determinerà in modo quasi tombale l’esito del procedimento.

È possibile impugnare in Cassazione la qualificazione del reato dopo aver raggiunto un concordato in appello?
No, la Corte di Cassazione stabilisce che l’adesione al concordato in appello (art. 599 bis c.p.p.) implica una rinuncia a contestare questioni come la qualificazione giuridica del fatto, rendendo il ricorso su tali punti inammissibile.

Quali sono gli effetti del concordato in appello sul proseguo del processo?
Il concordato in appello ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, incluso il giudizio di Cassazione. Limita la cognizione del giudice di secondo grado e impedisce di sollevare questioni a cui si è rinunciato con l’accordo.

Cosa succede se si presenta un ricorso ritenuto inammissibile per questo motivo?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione, senza formalità di procedura, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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