Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 46018 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 46018 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 06/09/1973
NOME nato a NAPOLI il 15/11/1975
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 10/02/1990
avverso la sentenza del 08/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Noia, emessa il 22 aprile 2022:
ha applicato al ricorrente COGNOME Giacomo la pena concordata tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., in relazione al reato di estorsione di cui a capo C;
ha confermato la condanna di COGNOME NOME e COGNOME in relazione ai reati loro rispettivamente contestati di usura ed estorsione di cui ai capi A, B ed E, rideterminando la pena nei confronti di entrambi a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti.
Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo del loro comune difensore e con unico atto, attraverso il quale deducono:
violazione di legge e nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa dovuta al fatto che nel dibattimento di appello gli imputati avevano raggiunto un accordo con il Procuratore generale in ordine alla pena, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
La Corte ha raccolto a verbale i termini dell’accordo riservando la decisione all’esito dell’udienza, allorquando, allontanatisi i difensori, aveva rigettato la pen concordata senza consentire, né al Procuratore generale né alle difese, di adottare le rispettive conclusioni nel merito;
violazione di legge e nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in relazione alla richiesta di ammissione ad un programma di giustizia riparativa avanzata dalla difesa all’udienza del 16 ottobre 2023.
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla corretta configurazione dei reati di usura ed estorsione.
La Corte avrebbe ritenuto attendibili le dichiarazioni delle vittime (i coniug COGNOME NOME e COGNOME NOME), unica fonte di prova a carico degli imputati, senza valorizzare le contraddizioni e le incongruenze del loro racconto.
In particolare, sarebbe incongrua la circostanza che la COGNOME avesse accordato alle vittime ulteriori prestiti quando costoro erano già morose.
Il COGNOME, inoltre, aveva dichiarato di essersi inventato il prestito di 11.0 euro al fine di fare arrestare gli imputati.
Le persone offese avevano disertato l’incontro programmato con la COGNOME nonostante gli accordi con la polizia giudiziaria, a dimostrazione della loro inaffidabilità.
Le deposizioni dibattimentali erano ricche di contraddizioni secondo quanto evidenziato ai fgg. 9 e segg. del ricorso.
Le vittime avevano anche rimesso la querela e la Corte non avrebbe adeguatamente valorizzato le dichiarazioni della COGNOME in ordine alle ragioni
della dazione di danaro, finalizzate a subentrare nell’abitazione ove queste risiedevano.
Nessun riscontro sarebbe emerso alle dichiarazioni delle persone offese, neanche in sede di perquisizione dell’abitazione degli imputati e neanche esaminando il contenuto della conversazione registrata dalla persona offesa COGNOME, nella quale non vi sarebbe riferimento a prestiti usurari ricevuti dalla COGNOME ed a condotte estorsive da costei poste in essere;
violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati di estorsione, fondata sulle inattendibili dichiarazio delle vittime di cui si è detto nel precedente motivo, avendo, peraltro, le persone offese espressamente escluso al dibattimento di avere ricevuto minacce dagli imputati, i quali avrebbero agito per recuperare somme a loro dovute, così da qualificare i fatti come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Mancherebbero legami tra gli imputati e la malavita di Secondigliano, circostanza idonea a rendere inverosimile le dichiarazioni delle persone offese in relazione alle frasi pronunciate dalla COGNOME.
Il ricorso si sofferma, inoltre, sulla posizione del ricorrente COGNOME per sostenere l’assenza di prova in ordine al reato di estorsione di cui al capo C. Quanto al ricorrente COGNOME, si rileva che la persona offesa COGNOME NOME aveva dichiarato di non aver mai assistito a minacce dell’imputato verso il di lei marito, come confermato anche da quest’ultimo;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti per motivi manifestamente infondati. 1.Deve preliminarmente rilevarsi che i motivi di ricorso non si attagliano alla posizione del ricorrente COGNOME, avendo la Corte accolto il concordato sulla pena ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. che comportava la rinuncia a tutti i motivi di appello in ordine al giudizio di responsabilità, i quali, quindi, potevano essere ulteriormente coltivati con il ricorso.
Quanto alle doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio ed al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee – di cui al quinto motivo, non individualizzato rispetto alle differenti posizioni processuali – se ne deve rilevare
l’inammissibilità con riferimento al COGNOME, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diver dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102).
Per quanto inerisce alla posizione degli altri due ricorrenti ed in ordine al primo motivo del comune ricorso, deve rilevarsi che, dalla indicazione delle conclusioni delle parti effettuata in sentenza (fg. 2) e non richiamata in ricorso, risulta, dop la descrizione dei termini dell’accordo sulla pena, la seguente dicitura: “In subordine ed in caso di rigetto di tale accordo, il Procuratore generale ha chiesto, per NOME, rideterminarsi la pena inflitta in quella di anni 10 reclusione ed euro 800,00 di multa e, per tutti gli altri imputati, confermarsi l sentenza impugnata e i difensori degli imputati si sono riportati ai motivi di appello”.
Tanto risulta anche dal relativo verbale dell’udienza dell’8 gennaio 2024 – che la Corte ha visionato stante la natura processuale della questione – sicché è vero che entrambe le parti, espressamente invitate dalla Corte a concludere nel merito, avevano così concluso nell’eventualità di un rigetto della proposta di concordato sulla pena e non si è verificata alcuna lesione delle prerogative difensive.
In proposito, occorre richiamare il principio di diritto secondo cui, in tema di concordato con rinuncia ai motivi in appello, non è affetta da nullità la sentenza pronunciata immediatamente dopo il rigetto dell’accordo, senza che il giudice abbia disposto la prosecuzione del dibattimento, qualora l’appellante, all’udienza di discussione, abbia concluso anche nel merito, riportandosi ai motivi di gravame per il caso di mancato accoglimento della proposta sulla pena, posto che il predetto ha, in tal modo, rinunziato implicitamente alla proposizione di un nuovo accordo. (Sez. 2, n. 45287 del 17/10/2023, COGNOME, Rv. 285347).
Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che dalla sentenza impugnata (fg. 8) risulta che vi era stata da parte della difesa una richiesta di rinvio all’udienza d 16 ottobre 2023 “finalizzata a poter accedere ad un programma di giustizia riparativa”.
A proposito di tale istanza, coltivata dagli imputati, deve valere il seguente principio di diritto: è inammissibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimento con cui il giudice nega al richiedente l’accesso ai programmi di giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129-bis cod. proc. pen., non avendo lo stesso natura giurisdizionale (Sez. 2, n. 6595 del 12/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285930).
I reati contestati, peraltro, non sono procedibili a querela e ciò lo si precisa ragione del fatto che è stato ritenuto in sede di legittimità che l’ordinanza reiettiv della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, di cui all’art. 12 bis cod. proc. pen., emessa durante il compimento degli atti preliminari o nel corso del dibattimento può essere impugnata, ex art. 586, comma 1, cod. proc. pen., congiuntamente alla sentenza, a condizione che la richiesta risulti avanzata dall’imputato e riguardi reati procedibili a querela suscettibile di remissione, trattandosi del solo caso in cui il suo eventuale accoglimento determina la sospensione del processo (Sez. 3, n. 33152 del 07/06/2024, Odoli, Rv. 28684101).
Ne consegue che i ricorrenti non possono dolersi con il ricorso per cassazione della mancata risposta alla loro domanda, dal momento che l’eventuale accoglimento non avrebbe potuto comportare alcuna sospensione del processo. 3. In ordine al terzo ed al quarto motivo di ricorso, inerenti al giudizio d responsabilità, fermo restando quanto già sottolineato a proposito della posizione di COGNOME, i ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME sorvolano sul fatto che nella proposta di concordato è consacrata anche la loro proposta di risarcimento del danno alla vittima, siccome finalizzata
all’ottenimento della pena concordata.
Al di là di ciò, i motivi di ricorso sono volti a mettere in discussione il giudizio attendibilità delle persone offese ma non tengono conto del fatto che la Corte ed il Tribunale, con conforme giudizio, hanno messo in rilievo non soltanto la circostanza che le dichiarazioni delle vittime si riscontravano a vicenda, ma anche il fatto che erano assistite da ulteriori riscontri esterni, idonei a superare obiezioni difensive, come richiamati dalla sentenza di primo grado, alla quale la
Corte territoriale ha fatto riferimento e consistenti nelle deposizioni testimonial degli operatori di polizia giudiziaria, nelle diverse conversazioni intercettate dall persone offese (non una come si sostiene sbiaditamente in ricorso ma ben tre), nella inverosimiglianza della tesi difensiva attentamente scandagliata dal Tribunale (fg. 43 della sentenza di primo grado), comunque confermativa del fatto che le dazioni di danaro alle vittime erano effettivamente avvenute sebbene, secondo gli imputati, per altre causali non di natura usuraria.
Di tanto, nel ricorso non si dà contezza, così da rendere evidente la genericità degli assunti difensivi, anche con riferimento alla paventata, diversa qualificazione giuridica dei fatti.
4. Del pari, in ordine all’ultimo motivo di ricorso, se ne deve rilevare la genericit in uno con l’assenza di individualizzazione rispetto alla diversa posizione degli imputati quanto alla determinazione della pena base, se si considera che NOME non ha ragione di dolersi di alcunché, essendole stato inflitto il minimo edittale della sanzione prevista per il più grave reato di estorsione di cui al capo B.
Inoltre, ad entrambi gli imputati sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti, tra le quali è stata ritenuta sussistente quella di cui all’art. 628, comma 3-bis, cod.pen. (richiamato dall’art. 629 cod.pen.), la cui natura “privilegiata” non consentiva di poter decidere nel senso della prevalenza delle attenuanti, ai sensi dell’art. 628, quinto comma, cod.pen. e che avrebbe dovuto essere calcolata in via prioritaria a danno degli imputati, errore non emendabile per assenza di impugnazione della parte pubblica.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
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Così deciso, il 07/11/2024.