Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22289 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22289 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi di NOME nato in Romania il 02/02/1993, NOMECOGNOME nato in Romania il 06/12/1994, avverso la sentenza in data 07/05/2024 della Corte di appello di Roma, visti gli atti, il provvedimento impugnato e í ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito per gli imputati l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 7 maggio 2024 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza in data 29 novembre 2023 del Tribunale di Roma, qualificato il reato ascritto a entrambi gli imputati ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, ha ridotto la pena in anni due, mesi sei di reclusione ed euro 4.000 di multa ciascuno, pena sostituita ai sensi dell’art. 545-bis cod. proc. pen. e 56-bis legge n. 689 del 1981.
Gli imputati presentano un unico ricorso per cassazione articolato in due motivi, il primo relativo all’assenza di motivazione del rigetto della richiesta d applicazione della pena concordata in appello, il secondo relativo alla violazione di legge e al vizio di motivazione in merito alla confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi sono manifestamente infondati.
I Giudici di merito hanno accertato che gli imputati, a bordo di un’autovettura a noleggio, detenevano a fini di spaccio 76 involucri contenenti cocaina con 19,5 grammi di principio attivo, da cui era possibile ricavare 130 dosi medie singole; lo stupefacente era pronto per essere ceduto perché le dosi erano distinte per peso e qualità; ciascuno era dotato di due cellulari di cui aveva rifiutato la consegna dei codici di sblocco; alla vista degli agenti avevano tentato di disfarsi dello stupefacente, NOME NOME gettando le dosi contenute nelle boccettine di plastica legate tra loro con nastro isolante di colore nero e NOME ingerendo le altre.
Il primo motivo, relativo all’omessa motivazione del rigetto dell’istanza di concordato in appello, è formulato in termini perplessi poiché i ricorrenti, dopo aver disquisito dell’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna in violazione dell’art. 599-bis cod. proc. pen., hanno osservato che contraddittoriamente la Corte di appello aveva irrogato in concreto la stessa pena detentiva concordata in appello. Ne consegue che, sulla base della stessa prospettazione, mancherebbe l’interesse ad agire, avendo i ricorrenti ottenuto la condanna a una pena pari a quella proposta. Il motivo è altresì generico, sotto altro profilo, perché reitera la medesima richiesta di applicazione della pena su concorde richiesta delle parti già rigettata in primo grado trattandosi di pena illegale in quanto mancante della previsione della pena pecuniaria. Il motivo è, infine, manifestamente infondato con riferimento all’entità della pena irrogata perché si desume dal complesso della motivazione che la Corte territoriale, pur ritenendo di riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sostanzialmente sulla base del dato ponderale, ha giustificato il discostamento della pena dal medio edittale sulla base dell’organizzazione approntata dai due imputati, consistente nel possesso di quattro telefoni cellulari e di un autoveicolo noleggiato allo scopo, della natura non estemporanea né occasionale del reato, della precisa scelta delinquenziale dei prevenuti nonostante l’autonoma capacità di produrre redditi leciti. Si tratta di una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria che resiste dunque alla censura sollevata.
La seconda censura attiene alla confisca del denaro in relazione al reato dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Ai sensi dell’art.
85-bis d.P.R. n.
309 del 1990, introdotto dall’art. 6, comma 5, d.lgs.
1
marzo 2018, n. 21, il denaro rinvenuto nella disponibilità dell’imputato può essere sottoposto a confisca solo se
ricorrano le condizioni previste all’art. 240-bis cod. pen. (Sez. 4, n. 20130 del
19/04/2022, COGNOME Rv. 283248 – 01). Nel caso in esame, la perquisizione ha dato esito positivo per somme significative che sono state ritenute sproporzionate
ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen. La disamina di tale punto è stata ampia. La
Corte territoriale ha motivato sulla sproporzione tra il reddito asseritamente percepito per l’attività lavorativa lecita nel campo edile, poco sopra la soglia di
povertà, e le somme sequestrate, la cui disponibilità non si giustificava neanche con le “buste” ricevute in occasione di feste familiari. Ha quindi concluso che, salvo
che per la somma di euro 306 suddivisa in monetine, le fonti lecite di reddito erano di entità talmente ridotta da non incidere sull’elevata sproporzione tra reddito e
accantonamenti. La decisione resiste alla censura sollevata.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità dei ricorsi, in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 10 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente