Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11663 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11663 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME (CUI 06G3EC8) nato il 10/10/1997
NOME COGNOMECUI 04HYMEB) nato il 17/10/1997
avverso la sentenza del 24/04/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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Motivi della decisione
COGNOME NOME e NOME COGNOME ricorrono, tramite distinti ricorsi affidati a diversi difensori di fiducia, per la cassazione della sentenza con cui la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del GIP presso il Tribunale di Pordenone del 19 settembre 2023, su concorde richiesta delle parti ex art. 599bis cod. proc. pen., ha ridotto la pena inflitta a NOME COGNOME mentre ha confermando la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME condannato già in primo grado alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 6.000,00 di multa in ordine ai reati di cui agli artt. 110 e 73, comma 4 e 80 comma 3 d.PR 309/1990.
1.1. COGNOME NOME si affida ad un unico motivo di ricorso deducendo violazione dell’art. 80, comma 2, d.P.R. 309 del 1990 e/o vizio motivazionale in relazione alla ritenuta aggravante dell’ingente quantità. In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe sul punto fornito una motivazione del tutto carente e contraddittoria quanto alla ricorrenza del coefficiente psicologico necessario ad ascrivere tale circostanza aggravante ai sensi dell’art. 59, comma 2 cod. pen., travisando gli elementi di prova indicati a sostegno della conoscibilità della stessa da parte del ricorrente.
1.2. La difesa di NOME COGNOME deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. con conseguente illegittimità del trattamento sanzionatorio irrogato.
Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Quanto al ricorso di COGNOME NOME, il motivo sopra richiamato è manifestamente infondato, in quanto assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni e del tutto assertivo. Lo stesso, in particolare, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione), e risulta altresì afferente al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di Appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto – e pertanto immune da vizi di legittimità. I giudici del gravame del merito,
in primis, hanno evidenziato come, quanto all’aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente, non vi e dubbio che, a fronte di un quantitativo di principio attivo pari a 2909,702 g (ossia a quasi 3 kg.), l’aggravante dia stata correttamente ritenuta dal giudice di prime cure (il richiamo è a pag. pag. 34 e ss. della sentenza di primo grado). E come su questo punto non vi sia contestazione.
I giudici del gravame del merito hanno, poi, dato conto degli elementi di prova in ordine alla imputabilità soggettiva dell’aggravante in parola.
In sentenza si ricorda correttamente come, in base a quanto. prevede l’art. 59 comma 2 cod. pen., il coefficiente psichico necessario per il suo riconoscimento non si identifica con il dolo (ovvero con la piena consapevolezza ed accettazione dell’evento accessorio), ma è necessario solo che la circostanza che aggrava la condotta sia, in alternativa, (a) conosciuta, (b) ignorata per colpa, (c) ritenuta inesistente per errore determinato da colpa. E che il criterio di imputazione previsto dall’art. 59 comma 2 cod. pen. è operativo nei casi in cui – come quello di specie – la circostanza è di natura oggettiva e, dunque, è estensibile ai concorrenti (art. 118 cod. pen.), in capo ai quali tale minimo coefficiente soggettivo deve essere comunque sussistente e riconoscibile. Infatti l’art.118 cod. pen., che indica i criteri di valutazione delle circostanze in caso di “concorso di persone”, si limita prescrivere che alcune circostanze “soggettive” devono essere valutate in relazione al singolo concorrente, ma non modifica il criterio “generale” di imputazione soggettiva delle aggravanti, previsto dall’art. 59 cod. pen.
Ebbene, come si dà conto in sentenza (pagg. 16-17) nel caso in esame il COGNOME riferisce in sede di interrogatorio di aver preso visione del contenuto di tale borsone (nel quale la p.g. procedente rinverrà 15 sacchetti in cellophane trasparente , 13 dei quali termosaldati, contenenti oltre un chilo ciascuno di marijuana, oltre a materiale per il taglio ed il confezionamento), ammonendo il COGNOME sul fatto che quello era un luogo rischioso per detenere un (così ingente) quantitativo di marijuana. Del resto, se il luogo poteva andar bene per uno/due kg. ripostivi a inizio febbraio, diventava meno adatto, invece, per un quantitativo ben più elevato. Peraltro, quantitativi inferiori di sostanza stupefacente ben avrebbero potuto essere detenuti per conto dell’amico COGNOME presso l’abitazione del Lacchin (che teneva dietro il divano in casa propria, come emerso all’esito della perquisizione, ben mezzo chilo di marijuana).
In ogni caso, con motivazione priva di aporie logiche, la Corte triestina rileva essere prevedibile, in concreto, che il COGNOME avrebbe riposto nel borsone un ingente quantitativo di marijuana, perché ,altrimenti, avrebbe utilizzato un contenitore più piccolo, meno ingombrante e più facilmente occultabile, nonché singoli sacchetti di cellophane più piccoli (anziché sacchetti da 1 kg. ciascuno). Il COGNOME
lo aveva lasciato libero di riempire il borsone a suo piacimento, senza alcuna supervisione. Ed invero, come correttamente sottolineato dalla stessa Corte di appello, ai sensi dell’art. 59, comma 2, cod. pen., perché una circostanza aggravante venga posta a carico dell’agente, non sarebbe neppure necessario che egli ne conoscesse l’esistenza, essendo sufficiente che questi l’abbia ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa (cfr. Sez. 6, n. 13087 del 05/03/2014, Mara e altri, Rv. 258643).
Più recentemente il principio è stato ribadito laddove si è ritenuto che, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante dell’ingente quantità, di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, è necessario che sia accertata, ai sensi dell’art. 59, comma secondo, cod. pen., la colpevolezza dell’agente in relazione alla predetta circostanza, per la quale è sufficiente la prova che questi l’abbia ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore dovuto a colpa (Sez. 4, n. 18049 del 14/04/2022, in una fattispecie relativa alla importazione di 21 chilogrammi di cocaina, in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’aggravante per il concorrente che abbia assunto il ruolo di corriere, in ragione della cospicua somma di denaro impiegata per l’acquisto e per le cautele adottate nella sua consegna).
Quanto al ricorso di NOME COGNOME lo stesso deve essere dichiarato inammissibile.
Questa Corte di legittimità ha infatti chiarito che, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599 bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati o alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969).
Costituisce, pertanto, ius receptum che, a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ad opera dell’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata a norma del nuovo art. 599-bis cod. proc. pen., non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di circostanze aggravanti in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (così Sez. 3, n. 30190 del 8/3/2018 Hoxha e altro Rv. 273755 che, in applicazione
del principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cessazione proposto avverso la sentenza ex art. 599-bis cod. proc. pen., con cui l’imputato deduceva la mancanza di motivazione sulle condizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen. e sulla circostanza aggravante di cui all’art. 80 del d.P.R. n. 309 del 1990). Tali principi, peraltro, erano stati già affermati anche per la previgente richiesta avanzata a norma dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 35108 del 8/5/2003, COGNOME Rv. 226707; Sez. 2, n. 39663 del 16/6/2004, COGNOME ed altri, Rv. 231109; Sez. 1, n. 43721 del 15/11;2007, COGNOME e altro, Rv. 238686; Sez. 1, n. 15601 del 28/3/2008, COGNOME, Rv. 240146; Sez. 6, n. 40573 del 30/9/2008, COGNOME ed altro, Rv. 241486; Sez. 1, n. 20967 del 26/2/2009, COGNOME ed altri, Rv. 243546; Sez. 5, n. 38530 del 03/6/2009, B. ed altri, Rv. 245144).
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/03/2025