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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello. L’impugnazione era basata unicamente sulla motivazione del trattamento sanzionatorio, un motivo non consentito. La Corte ha ribadito che il ricorso contro tale tipo di sentenza è possibile solo per vizi relativi alla formazione dell’accordo o per un contenuto della pronuncia difforme da quanto pattutito, e non per rimettere in discussione la congruità della pena accettata dalle parti.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i limiti al ricorso per Cassazione

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599 bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento per accelerare la definizione dei processi. Tuttavia, la sua adozione comporta importanti conseguenze sui diritti di impugnazione. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha chiarito i ristretti limiti entro cui è possibile presentare ricorso avverso una sentenza che ratifica tale accordo, ribadendo un principio fondamentale: l’accordo sulla pena implica una rinuncia a contestarne la congruità.

I Fatti di Causa

Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per reati legati agli stupefacenti. In sede di appello, l’imputato aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale, rinunciando a parte dei motivi di impugnazione per ottenere una rideterminazione della pena. La Corte d’Appello, accogliendo la richiesta delle parti, aveva riformato parzialmente la sentenza di primo grado, applicando la pena concordata di due anni e dieci mesi di reclusione e 36.000 euro di multa.
Nonostante l’accordo, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione proprio in relazione al trattamento sanzionatorio, ovvero la pena che egli stesso aveva concordato.

La Decisione della Corte di Cassazione sul concordato in appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno sottolineato che un ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p. è ammissibile solo a condizioni molto specifiche e restrittive. Proporre un ricorso per motivi non consentiti, come la valutazione della congruità della pena concordata, conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il concordato in appello si basa sulla volontà delle parti di definire il giudizio accettando una determinata pena in cambio della rinuncia a specifici motivi di appello. L’accordo, una volta raggiunto e ratificato dal giudice, preclude la possibilità di rimettere in discussione gli elementi su cui si è formato il consenso.
Secondo la Cassazione, le uniche doglianze ammissibili contro una sentenza di questo tipo sono quelle che riguardano:
1. Vizi nella formazione della volontà: ad esempio, se il consenso dell’imputato o del suo difensore non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Vizi nel consenso del Procuratore Generale: se il consenso dell’accusa è viziato.
3. Contenuto difforme della pronuncia: se il giudice, nel ratificare l’accordo, ha emesso una sentenza con un contenuto diverso da quello concordato tra le parti.

Sono invece inammissibili i ricorsi basati sui motivi a cui si è rinunciato o sulla mancata valutazione di cause di proscioglimento evidenti (ex art. 129 c.p.p.). Allo stesso modo, non è possibile contestare la congruità della pena, a meno che essa non si traduca in una vera e propria illegalità della sanzione (ad esempio, una pena superiore al massimo edittale), circostanza non ravvisata nel caso di specie. L’accettazione della pena fa parte integrante dell’accordo e non può essere successivamente contestata nel merito.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame conferma la natura negoziale del concordato in appello e le relative conseguenze processuali. Chi sceglie questa strada deve essere pienamente consapevole che sta barattando la possibilità di contestare nel merito la sentenza con la certezza di una pena più mite. Una volta siglato l’accordo, le porte per un ricorso in Cassazione si chiudono quasi ermeticamente, rimanendo aperte solo per denunciare specifici vizi procedurali che hanno inficiato la genuinità del consenso. Questa pronuncia serve da monito: la scelta del concordato deve essere ponderata attentamente, poiché implica una rinuncia quasi totale a successive impugnazioni sulla determinazione della pena.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza che applica un “concordato in appello”?
Sì, ma solo per motivi molto specifici e limitati, come vizi nella formazione della volontà delle parti di accordarsi (imputato e Procura Generale) o nel caso in cui la sentenza del giudice sia diversa dall’accordo raggiunto.

Si può contestare la congruità della pena concordata in appello con un ricorso in Cassazione?
No, secondo questa ordinanza, non è possibile contestare la congruità o l’adeguatezza della pena se questa è stata oggetto di accordo tra le parti. L’unica eccezione è se la pena applicata fosse palesemente illegale, ad esempio superando i limiti massimi previsti dalla legge.

Cosa succede se il ricorso contro un “concordato in appello” viene dichiarato inammissibile?
L’imputato viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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