Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21523 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21523 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/11/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; che ha concluso chiedendo
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 novembre 2022 la Corte di appello di Perugia, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Terni del 28 febbraio 2022, ha rideterminato, sull’accordo delle parti, la pena inflitta a COGNOME NOME, ritenut le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, nella misura di anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del suo difensore, proponendo due motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 95 d.lgs. ottobre 2022, n. 150, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., evidenziando come la disciplina transitoria dettata dall’indicata disposizione avrebbe riconosciuto l’applicabilità delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi unicamente nei processi pendenti in primo grado o in grado di appello alla data di entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), altresì prevedendo, rispetto ai processi pendenti in sede di legittimità, la possibilità di attivare l’incidente di esecuzio una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna.
Tale normativa risulterebbe, pertanto, lacunosa laddove ha omesso di disciplinare il segmento processuale – corrispondente al caso in esame – in cui alla data di entrata in vigore della c.d. “riforma Cartabia” era già stata emessa la sentenza di appello ma non era stato ancora proposto ricorso per cassazione. Tale situazione determinerebbe un’evidente disparità di trattamento rispetto a coloro il cui processo fosse già pendente in fase di appello o di legittimità alla data di entrata in vigore della riforma, con conseguente palese violazione del diritto di difesa.
Con il secondo motivo la ricorrente ha invocato l’annullamento della sentenza impugnata per violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., stante l’omessa pronuncia da parte della Corte di merito in ordine alla richiesta di dissequestro di un telefono cellulare avanzata dalla COGNOME nelle conclusioni dell’atto di appello.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato note scritte, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
In primo luogo inammissibile è l’introduttiva doglianza, in quanto proposta dalla COGNOME con motivo non consentito.
E’ stato precisato, infatti, che il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. è ammissibile solo quando deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e ai vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, deo; 2020, M., Rv. 278170-01; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102-01).
Il concordato in appello, d’altro canto, ha una diversa fisionomia rispetto all’applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. – derivante dal diverso contenuto dell’accordo che, nel primo caso, si innesta sulla rinuncia ai motivi di impugnazione (con conseguente impossibilità di contestare la responsabilità e la qualificazione giuridica del fatto), mentre nel secondo abbraccia anche i termini dell’accusa (da cui deriva la possibilità di proporre ricorso per cassazione anche per ciò che concerne la qualificazione giuridica) – con la conseguenza che le ipotesi di annullamento della sentenza ex art. 599-bis cod. proc. pen. sono sicuramente più limitate rispetto a quelle previste dall’art. 448-bis dello stesso codice, dato che riguardano essenzialmente l’illegalità della pena che costituisce l’unica ipotesi in cui, indipendentemente dall’inammissibilità del ricorso per cassazione, sempreché non sia tardivo, la Corte di legittimità deve procedere d’ufficio all’annullamento della sentenza impugnata (così, Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196-01).
2.1. In ogni modo, la dedotta questione di illegittimità costituzionale dell’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. è da ritenersi ‘ (c6~ , manifestamente infondata, essendo del tutto erroneo il presupposto su cui essa è stata fondata, rappresentato dal fatto che la disciplina transitoria avrebbe omesso di considerare il segmento processuale costituito dal momento in cui, alla data di entrata in vigore della riforma, era già stata emessa
sentenza di appello senza che fosse stato ancora proposto ricorso per cassazione.
In termini del tutto opposti, infatti, questa Corte di legittimità ha già avut modo di chiarire che ai fini dell’operatività della disciplina transitoria di cui all 95, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in riferimento all’art. 20-bis cod. pen., la pronuncia della sentenza di appello determina la pendenza del procedimento innanzi alla Corte di cassazione, con la conseguenza che, per i processi in corso in tale fase alla data di entrata in vigore del detto d.lgs. (3 dicembre 2022), una volta formatosi il giudicato, il condannato potrà avanzare istanza di sostituzione della pena detentiva al giudice dell’esecuzione (cfr. Sez. 6, n. 34091 del 21/06/2023, Sabatini, Rv. 285154-01).
Del pari manifestamente infondata è la censura dedotta con il secondo motivo di ricorso, atteso che la circostanza che il giudice di merito non abbia provveduto sulla richiesta di restituzione del telefono cellulare in sequestro non determina alcun motivo di nullità della sentenza impugnata. Questa Suprema Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare come, in tema di patteggiamento, l’omessa pronuncia del giudice sulla richiesta di restituzione dei beni in sequestro non comporti la nullità della sentenza, giacché la richiesta di applicazione della pena può essere soltanto subordinata alla sospensione condizionale (cfr., in questi termini, Sez. 2, n. 47688 del 17/10/2003, Harkati, Rv. 226942-01).
L’unico rimedio a disposizione della ricorrente per ottenere la restituzione del bene in sequestro consiste, pertanto, nell’attivazione del procedimento di incidente di esecuzione, di cui agli artt. 665 e ss. cod. proc. pen.
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 aprile 2024
Il Consigliere estensore