LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati legati agli stupefacenti, che aveva stipulato un concordato in appello. L’imputato lamentava la mancata applicazione nella massima estensione delle attenuanti generiche. La Corte ha ribadito che, in caso di concordato in appello, il ricorso è consentito solo per vizi relativi alla formazione della volontà delle parti o per una pronuncia difforme dall’accordo, e non per questioni relative alla quantificazione della pena, che si considerano rinunciate con l’accordo stesso. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: i limiti del ricorso in Cassazione

Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che consente alle parti di accordarsi sulla rideterminazione della pena in secondo grado. Tuttavia, l’accesso a questa procedura comporta una rinuncia a far valere determinati motivi di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8698/2024) ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza emessa a seguito di tale accordo, chiarendo quali doglianze siano da considerarsi inammissibili.

I fatti del caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato in primo grado per reati in materia di sostanze stupefacenti. In sede di appello, l’imputato aveva raggiunto un accordo con la Procura Generale per la rideterminazione della pena, accedendo così all’istituto del concordato in appello. Nonostante l’accordo, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge penale. Nello specifico, la doglianza riguardava la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione possibile, un aspetto che incide direttamente sulla quantificazione finale della sanzione.

La questione del concordato in appello e i motivi di ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per riaffermare un principio consolidato nella sua giurisprudenza. Quando le parti optano per il concordato in appello, accettano che la controversia si definisca sulla base di un accordo che modifica la pena. Questa scelta implica una rinuncia implicita a tutti i motivi di appello che non vengono accolti nell’accordo stesso.

La legge consente di impugnare la sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. solo per un novero ristretto di motivi, che attengono alla corretta formazione dell’accordo e alla sua esecuzione. In particolare, il ricorso è ammissibile solo se si contestano:

1. Vizi della volontà: se il consenso dell’imputato o del suo difensore all’accordo è stato viziato.
2. Mancanza di consenso del P.M.: se l’accordo è stato raggiunto senza il valido consenso del pubblico ministero.
3. Contenuto difforme: se la sentenza del giudice si discosta da quanto pattuito tra le parti.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che tutte le altre doglianze sono da considerarsi inammissibili. Tra queste rientrano i motivi a cui si è rinunciato, la mancata valutazione di cause di proscioglimento evidenti (ex art. 129 c.p.p.) e, soprattutto, i vizi relativi alla determinazione della pena. La richiesta di una maggiore riduzione della pena attraverso una diversa valutazione delle circostanze attenuanti rientra pienamente in quest’ultima categoria. Accedendo al concordato, l’imputato accetta la pena così come concordata, rinunciando a contestarne la congruità. L’unica eccezione riguarda l’ipotesi in cui la pena applicata sia illegale, ovvero determinata al di fuori dei limiti previsti dalla legge o di un genere diverso da quello prescritto, circostanze che non ricorrevano nel caso di specie.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento consolida l’orientamento secondo cui il concordato in appello è un patto processuale che cristallizza la pena e preclude successive contestazioni sul merito della sua quantificazione. La scelta di questo rito alternativo deve essere ponderata, poiché comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. La Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di quattromila euro alla Cassa delle ammende, una sanzione prevista proprio per scoraggiare ricorsi pretestuosi o infondati.

È sempre possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di ‘concordato in appello’?
No, il ricorso è ammesso solo per motivi specifici: vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo, vizi nel consenso del pubblico ministero o se la pronuncia del giudice è difforme rispetto ai termini dell’accordo stipulato.

La valutazione delle circostanze attenuanti può essere un motivo valido per ricorrere dopo un ‘concordato in appello’?
No. Secondo la Corte, le doglianze relative alla determinazione della pena, inclusa la misura delle circostanze attenuanti, si considerano rinunciate con l’accettazione dell’accordo e sono pertanto inammissibili, a meno che la sanzione finale non sia illegale.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di ‘concordato in appello’ viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione non consentita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati