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Concordato in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre imputati che, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado tramite il cosiddetto ‘concordato in appello’ per reati legati agli stupefacenti, avevano comunque impugnato la decisione. La Suprema Corte ha ribadito che l’adesione a tale accordo implica una rinuncia a quasi tutti i motivi di gravame, salvo rarissime eccezioni non riscontrate nel caso di specie.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

L’istituto del concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta un importante strumento deflattivo del contenzioso. Tuttavia, la sua applicazione comporta conseguenze significative sulla possibilità di impugnare ulteriormente la decisione. Con la recente Ordinanza n. 6857/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo sulla pena in appello preclude quasi totalmente il ricorso per cassazione, salvo eccezioni molto specifiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dai ricorsi presentati da tre persone avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli. In secondo grado, gli imputati e il pubblico ministero avevano raggiunto un accordo sulla pena da applicare per reati in materia di sostanze stupefacenti, formalizzando così un concordato in appello. La Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva quindi applicato le pene concordate.
Nonostante l’accordo, i tre imputati hanno deciso di presentare ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni: uno lamentava la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. (obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità), un altro contestava la mancata valutazione di un’ipotesi di reato meno grave, e il terzo si doleva della pena concordata, ritenendo possibile un’ulteriore riduzione.

La Logica del Concordato in Appello e la Rinuncia all’Impugnazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, basando la propria decisione sulla natura stessa del concordato in appello. L’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale stabilisce una procedura semplificata per la gestione dei ricorsi inammissibili, e questo caso rientra pienamente in tale previsione.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, l’accordo tra le parti sui punti della sentenza da concordare (in questo caso, il trattamento sanzionatorio) implica una rinuncia implicita a presentare ulteriori doglianze in sede di legittimità. Questo principio vale anche per questioni che, in altre circostanze, potrebbero essere rilevate d’ufficio dal giudice. L’accordo, in sostanza, ‘cristallizza’ la decisione su quei punti, precludendo un riesame.

Le Eccezioni che non trovano Applicazione

La rinuncia all’impugnazione non è assoluta. La Corte stessa ricorda che esistono delle eccezioni. È infatti possibile ricorrere in Cassazione se:

1. Viene applicata una pena illegale.
2. Vi sono vizi nella formazione della volontà della parte che ha acconsentito al concordato.
3. La pronuncia del giudice è difforme rispetto all’accordo raggiunto tra le parti.

Nel caso in esame, i motivi presentati dai ricorrenti non rientravano in nessuna di queste categorie. Le loro doglianze riguardavano aspetti (la possibilità di un proscioglimento, la qualificazione giuridica del fatto, la congruità della pena) che sono stati oggetto della rinuncia implicita al momento della stipula del concordato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione di inammissibilità richiamando la ratio dell’istituto del concordato. Si tratta di uno strumento deflattivo che offre all’imputato un vantaggio (la certezza e la misura della pena) in cambio della sua rinuncia a proseguire il contenzioso su altri fronti. Permettere un’impugnazione successiva sui medesimi punti oggetto di rinuncia svuoterebbe di significato l’istituto stesso.

La Corte ha sottolineato che i ricorsi erano palesemente inammissibili perché gli imputati, nel giudizio di appello, avevano volontariamente rinunciato ai motivi di gravame diversi dal trattamento sanzionatorio e avevano concordato le pene poi inflitte. Pertanto, ogni successiva contestazione che non rientri nelle limitate eccezioni previste è destinata a essere dichiarata inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza in commento conferma con fermezza un punto cruciale della procedura penale: la scelta di accedere al concordato in appello è una decisione strategica con conseguenze definitive. Se da un lato offre la possibilità di definire la propria posizione processuale in modo prevedibile, dall’altro comporta la quasi totale preclusione a un successivo giudizio di legittimità. Gli imputati e i loro difensori devono quindi valutare con estrema attenzione i pro e i contro di tale scelta, essendo pienamente consapevoli che l’accordo sulla pena rappresenta, nella stragrande maggioranza dei casi, l’atto finale del processo. La decisione della Cassazione si conclude con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, a sottolineare la temerarietà dei ricorsi presentati.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza d’appello basata su un ‘concordato in appello’?
No, di regola non è possibile. L’ordinanza chiarisce che l’accordo sulla pena implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità quasi ogni doglianza, rendendo il ricorso inammissibile.

Quali sono le eccezioni al divieto di impugnazione dopo un concordato in appello?
L’impugnazione è eccezionalmente ammessa solo per motivi specifici, come l’irrogazione di una pena illegale, vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, o quando la decisione del giudice non è conforme all’accordo raggiunto tra le parti.

Dopo un concordato in appello, si può chiedere alla Cassazione di valutare la possibilità di un proscioglimento ex art. 129 c.p.p.?
No. L’ordinanza afferma che anche le questioni rilevabili d’ufficio, come un eventuale proscioglimento, sono coperte dalla rinuncia implicita nell’accordo, e quindi le relative doglianze sono inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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