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Concordato in appello: quando il giudice può rigettarlo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per usura aggravata, confermando la decisione della Corte d’Appello di respingere un concordato in appello. La sentenza stabilisce che il giudice può negare l’accordo sulla pena se la ritiene non congrua, basando la sua valutazione sulla gravità dei fatti emersi nel processo, senza necessità di una motivazione autonoma e dettagliata, potendo fare riferimento agli atti del giudizio.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: il Giudice può dire no se la pena non è congrua

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema del concordato in appello, noto anche come patteggiamento in secondo grado, chiarendo i limiti del potere del giudice nel rigettare l’accordo raggiunto tra accusa e difesa. Il caso riguardava un imputato condannato per gravi e ripetuti episodi di usura, il cui ricorso è stato respinto, fornendo importanti principi sulla valutazione della congruità della pena.

I fatti del caso

L’imputato era stato condannato in primo grado per quattro episodi di usura aggravata in concorso, una condotta criminale protrattasi per circa dieci anni. La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di condanna. In sede di appello, la difesa e l’accusa avevano raggiunto un accordo sulla pena, presentando una richiesta di concordato. Tuttavia, la Corte territoriale aveva rigettato tale richiesta, ritenendo la pena concordata non adeguata, e aveva proceduto a confermare la condanna.

L’imputato ha quindi presentato ricorso per Cassazione lamentando due aspetti principali: in primo luogo, l’omessa motivazione da parte della Corte d’Appello sul rigetto della proposta di concordato; in secondo luogo, vizi di motivazione e violazione di legge nella determinazione del trattamento sanzionatorio e negli aumenti di pena per la continuazione tra i reati.

La decisione della Corte sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando sia la legittimità del rigetto del concordato in appello sia la correttezza della pena inflitta. In primo luogo, i giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: il provvedimento con cui il giudice d’appello nega il concordato è impugnabile in Cassazione unitamente alla sentenza, poiché incide su un meccanismo che può produrre effetti favorevoli per l’imputato.

Nel merito, però, la Corte ha ritenuto che la motivazione del rigetto non fosse né mancante né apparente. Il giudice d’appello, nel respingere l’accordo, non è tenuto a redigere una motivazione autonoma e slegata dal contesto processuale. Può, al contrario, fondare la sua valutazione di “non congruità” della pena proposta sulle stesse ragioni che sorreggono il calcolo della pena effettuato nella sentenza di primo grado e che vengono poi esplicitate nella sentenza d’appello.

La valutazione sulla determinazione della pena

Anche le censure relative alla quantificazione della pena sono state respinte. La Cassazione ha osservato come la Corte di merito avesse adeguatamente giustificato la sua decisione, facendo riferimento a elementi concreti come la gravità intrinseca dei fatti, l’elevato spessore della condotta usuraria e la sua notevole durata temporale (circa 10 anni). Questi elementi, secondo i giudici, erano sufficienti a giustificare sia la pena base applicata sia il giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti e quelle aggravanti. Inoltre, è stato ribadito che, in caso di reato continuato, il giudice non ha l’obbligo di motivare specificamente ogni singolo aumento di pena, essendo sufficiente una motivazione complessiva che giustifichi la pena finale, nel rispetto del limite del triplo della pena base.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su principi cardine del diritto penale e processuale. Il fulcro della decisione risiede nel concetto di “congruità” della pena. Quando le parti propongono un concordato, il giudice non è un mero ratificatore, ma un controllore della giustizia della pena pattuita. La sua valutazione discrezionale deve basarsi su tutti gli elementi emersi nel processo, inclusi quelli valorizzati nella sentenza di primo grado.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha implicitamente ritenuto che la pena proposta dalle parti non rispecchiasse adeguatamente il disvalore dei fatti, caratterizzati da serialità e omogeneità. La motivazione del rigetto, quindi, si nutriva delle stesse argomentazioni poi utilizzate nella sentenza per giustificare la pena inflitta. Non vi è stata un’assenza di motivazione, ma una motivazione integrata tra il verbale di udienza (che registrava il rigetto) e la successiva sentenza.

Per quanto riguarda la determinazione della pena, la Cassazione ha ricordato che la valutazione degli elementi indicati dall’art. 133 c.p. è un giudizio di merito, sottratto al sindacato di legittimità se logicamente motivato. Il riferimento alla gravità e alla durata dei reati è stato considerato un argomento sufficiente a sostenere la decisione del giudice di merito, rendendo recessive le argomentazioni difensive che puntavano su elementi positivi come la confessione dell’imputato.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza due importanti principi. In primo luogo, il giudice d’appello gode di un’ampia discrezionalità nel valutare la congruità della pena proposta in un concordato in appello. Il suo rigetto è legittimo se, sulla base degli atti processuali, la pena pattuita appare sproporzionata per difetto rispetto alla gravità del reato. In secondo luogo, la motivazione del rigetto non richiede formule sacramentali o un’analisi separata, ma può essere desunta logicamente dal complesso della decisione, inclusa la sentenza finale. Questa pronuncia conferma che gli istituti premiali come il concordato non possono tradursi in un’ingiustificata attenuazione della risposta sanzionatoria di fronte a reati di particolare allarme sociale.

È possibile impugnare in Cassazione il rigetto di un concordato in appello?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che il provvedimento di diniego del concordato di pena (ex art. 599-bis c.p.p.) è ricorribile per cassazione da parte dell’imputato, unitamente alla sentenza resa all’esito del giudizio.

Per quale motivo un giudice d’appello può rigettare una proposta di concordato sulla pena?
Il giudice può rigettare la proposta di concordato se ritiene non congrua la pena proposta dalle parti. La valutazione di congruità si basa sulla gravità del fatto, sulla condotta dell’imputato e su tutti gli elementi emersi nel processo, come stabilito dall’art. 133 c.p.

Il giudice deve fornire una motivazione specifica per ogni aumento di pena nel reato continuato?
No, in tema di determinazione della pena per il reato continuato, non sussiste l’obbligo di una specifica motivazione per ogni singolo aumento. È sufficiente che il giudice indichi le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base e che la pena complessiva sia motivata e rispetti il limite legale del triplo della pena base.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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