Concordato in appello: i limiti al ricorso in Cassazione
Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare nel secondo grado di giudizio. Tuttavia, la scelta di accedere a tale istituto comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Con la recente ordinanza n. 19019/2024, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire i confini invalicabili del ricorso avverso le sentenze emesse a seguito di accordo, dichiarando due distinti ricorsi inammissibili.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dai ricorsi presentati da due imputati avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli.
Il primo ricorrente lamentava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sostenendo un vizio di motivazione e una violazione di legge.
Il secondo ricorrente, invece, aveva aderito a un concordato in appello e, ciononostante, aveva presentato ricorso per Cassazione, contestando le modalità di calcolo della pena applicata dal giudice di secondo grado.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, seppur per ragioni diverse, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Per il primo ricorso, i giudici hanno osservato che le argomentazioni a sostegno della richiesta di attenuanti generiche erano una mera riproduzione di motivi già correttamente valutati e respinti in appello. La Corte territoriale aveva infatti chiarito che gli elementi portati a sostegno (la scelta di collaborazione) erano già stati valorizzati per concedere un’altra specifica attenuante, evitando così una duplicazione di benefici.
Per il secondo ricorso, quello più rilevante ai fini della comprensione dei limiti del concordato in appello, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’impugnazione di una sentenza ‘concordata’ è consentita solo per motivi molto specifici.
Le motivazioni: i ristretti confini del ricorso dopo il concordato in appello
Le motivazioni della Corte sono un’importante lezione procedurale. Con riguardo al primo ricorrente, si sottolinea il principio per cui non si possono utilizzare i medesimi elementi fattuali per giustificare la concessione di due diverse attenuanti, in quanto ciò costituirebbe una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, ovvero il divieto di valutare due volte lo stesso fatto a favore del reo.
La parte centrale della motivazione riguarda però il secondo ricorrente e il concordato in appello. La Corte ha chiarito che il ricorso per Cassazione è possibile solo se si contestano:
1. Vizi nella formazione della volontà della parte di aderire all’accordo.
2. Vizi relativi al consenso del Pubblico Ministero.
3. Un contenuto della sentenza difforme rispetto all’accordo raggiunto.
Sono invece inammissibili le doglianze relative a motivi a cui la parte ha implicitamente rinunciato con l’accordo, come la valutazione delle condizioni per il proscioglimento o vizi nel calcolo della pena. Un errore nel bilanciamento delle circostanze o nell’applicazione di norme, chiarisce la Corte, non rende la pena ‘illegale’, ma costituisce al massimo un error in iudicando a cui si è rinunciato aderendo al concordato. La pena è ‘illegale’ solo quando non è prevista dalla legge per specie o quantità, non quando è il frutto di un calcolo ritenuto errato.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma la natura ‘tombale’ del concordato in appello. Chi sceglie questa via processuale deve essere consapevole di rinunciare a gran parte delle future contestazioni sulla determinazione della pena. La decisione della Cassazione rafforza l’efficienza dello strumento, ma al contempo invita difensori e imputati a una ponderazione attenta prima di accedere all’accordo, poiché gli spazi per un successivo riesame da parte della Suprema Corte sono estremamente ridotti e circoscritti a vizi genetici dell’accordo stesso, escludendo quasi del tutto le censure sul merito della quantificazione della sanzione.
Perché il ricorso basato sulla mancata concessione delle attenuanti generiche è stato respinto?
Perché gli elementi presentati a sostegno della richiesta (la collaborazione) erano già stati utilizzati per concedere un’altra attenuante specifica. La Corte ha ritenuto che non si potesse beneficiare due volte della stessa circostanza, respingendo il ricorso in quanto riproduttivo di censure già correttamente disattese.
Quali sono gli unici motivi per cui si può ricorrere in Cassazione dopo un concordato in appello?
Il ricorso è consentito solo se si denunciano vizi relativi alla formazione della volontà della parte di aderire all’accordo, al consenso del pubblico ministero, oppure se la decisione del giudice è difforme dall’accordo stipulato tra le parti. Ogni altra doglianza, inclusa quella sul calcolo della pena, è considerata inammissibile.
Un errore nel calcolo della pena rende la sentenza ‘illegale’ e quindi impugnabile anche dopo un concordato?
No. Secondo la Corte, un errore nell’applicazione delle norme sul calcolo della pena (come il bilanciamento tra circostanze) non si traduce in una ‘illegalità’ della sanzione, ma al più in un errore di giudizio. La pena è considerata illegale solo se è di una specie o quantità non prevista dalla legge per quel reato, il che non era il caso di specie. Pertanto, tale motivo di ricorso è inammissibile dopo un concordato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19019 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19019 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenuto che l’unico motivo del ricorso di NOME, con cui si lamenta il vizio di motivazione e la violazione di legge in riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice del merito che, a pagina 5 della sentenza impugnata, ha evidenziato, con motivazione non illogica e congrua, l’impossibilità di riconoscere le circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. poiché fondate sugli stessi elementi di valutazione offerti a supporto del riconoscimento premiale legato alla scelta di collaborazione e già valorizzata ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui comma 3 dell’art. 416bis.1 cod. pen.;
considerato, in relazione al COGNOME, che a seguito di proposizione del c.d. concordato in appello, avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. il ricorso per Cassazione è consentito solo ove deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ov diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Rv. 276102 – 01); nel caso concreto, non v’è spazio per affermare l’illegalità del calcolo della pena, trattandosi al più di un errore nella applicazione di norme giuridiche (cfr. Sez. 6, n. 28031 del 27/04/2021 Rv. 282104 – 01: “in tema di patteggiamento -il principio è applicabile al concordato in appello per l’eadem rationon è illegale la pena applicata dal giudice che, operando il giudizio di bilanciamento tra circostanze, non proceda alla simultanea comparazione di tutte le circostanze attenuanti ed aggravanti, in quanto l’erronea pena così determinata corrisponde comunque, per specie e quantità, a quella astrattamente prevista dalla fattispecie incriminatrice”). Corte di Cassazione – copia non ufficiale rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2024
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Il Con igliere Estensore