Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35793 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35793 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a GIARRE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TAORMINA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a GIARRE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/01/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME
NOME e NOME COGNOME e per l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, limitatamente alla determinazione della pena detentiva irrogata a NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, deliberata 1’11 gennaio 2025, la Corte di appello di Catania ha- per quanto qui rileva – riformato solo in punto di trattamento sanzionatorio, ex art. 599-bis cod. proc. pen., la pena irrogata a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, confermando le statuizioni rese nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME con la decisione emessa dal Tribunale in sede del 15 gennaio 2022 in ordine alla partecipazione dei medesimi al dan Santapaola-Ercolano, propaggine RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE, all’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico di stupefacenti ed ai reati-fine al medesimo ambito riferibili.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania hanno proposto ricorso gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con distinti ricorsi, a firma dei rispettivi difensori, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con i ricorsi, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, per mezzo dei rispettivi difensori, avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducono:
il primo violazione di legge per avere la Corte di merito rideterminato la pena in termini diversi (anni due e mesi due) rispetto alla misura concordata (anni due di reclusione);
il secondo violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90;
il terzo violazione di legge ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. in riferimento tanto al reato associativo sub 1), che all’imputazione di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, contestata al capo 2).
2.2. Con il ricorso, a firma dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, NOME COGNOME deduce vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità per essersi la Corte d’appello riportata alla sentenza di primo grado tanto in riferimento alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, che al contenuto delle intercettazioni, senza confrontarsi con i motivi di gravame, che avevano
stigmatizzato la genericità delle chiamate in correità, in assenza di specifici episodi ascrivibili al ricorrente.
Analoghe censure sono rivolte alla ritenuta sussistenza dei fatti sub 5), fondati esclusivamente sugli esiti di intercettazioni tra coimputati che, tuttavia, escludono che il COGNOME detenesse lo stupefacente al quale le captazioni si riferiscono.
2.3. Con il ricorso, a firma dell’AVV_NOTAIO COGNOME, NOME COGNOME articola tre motivi.
2.3.1. Con il primo, deduce vizio della motivazione in riferimento al ruolo attribuito al ricorrente quanto al capo 2) della rubrica e disparità di trattamento rispetto ai coimputati nel medesimo reato.
Con un primo punto, si contesta il ruolo apicale nell’RAGIONE_SOCIALE dedita al RAGIONE_SOCIALE sottolineando come lo status di detenuto del ricorrente, protrattosi dal marzo 2017 al luglio 2018, abbia inevitabilmente comportato che questi abbia agito per interposta persona, apparendo pertanto ingiustificata la ricostruzione della condotta in termini di maggiore gravità rispetto ai coimputati NOME ed NOME COGNOME, ai quali è attribuita la medesima posizione di vertice, ma che hanno riportato un trattamento sanzionatorio più favorevole.
Si segnala, altresì, la conversazione captata del 10 luglio 2018, dalla quale emerge – diversamente da quanto ritenuto – che sino a quella data il ricorrente non aveva potuto rivestire alcuna funzione operativa, con conseguente irragionevolezza, almeno sotto il profilo temporale, del trattamento deteriore, anche alla luce dell’immotivata esclusione dell’aggravante della recidiva per NOME; questione posta con l’undicesimo motivo d’appello rimasto, invece, ignorato.
2.3.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione, anche in riferimento all’omesso esame del quinto motivo d’appello, quanto ai capi 3) e 14) dell’imputazione.
Si evidenzia, al riguardo, che la sentenza contiene il riferimento ad un capo 4), non contestato al ricorrente, e che – anche accedendo all’ipotesi di errore materiale – la Corte si sarebbe comunque sottratta alla valutazione del gravame, poiché l’assorbimento del capo 14) nel capo 3), statuita in primo grado, non esime il giudice dalla delibazione della questione posta con il quinto motivo d’appello, con il quale si era contestata l’esistenza di prove in ordine alla partecipazione del ricorrente a quello specifico segmento fattuale, contestatogli in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, attraverso specifiche cesure, volte ad evidenziare che l’intercettazione del 20 luglio 2018 segue di un solo giorno l’impegno del ricorrente a gestire la piazza di spaccio e che la stessa si riferisce alla pianificazione del pagamento di un debito derivante da una pregressa fornitura del
COGNOME, evidentemente effettuata quando ancora il ricorrente non si era ingerito negli affari. Ne discende che, in assenza di dimostrazione del coinvolgimento del ricorrente anche solo in un episodio di cessione, non si giustifica il trattamento sanzionatorio al medesimo riservato, ben più grave di quello irrogato ai coimputati invece puntualmente coinvolti nel traffico, anche alla luce della impunità di cui ha goduto il COGNOME, al quale non risulta contestato in altro procedimento il concorso nel medesimo reato. Ne discende – ad avviso del ricorrente – il difetto di correlazione tra accusa e sentenza nella parte in cui il ricorrente è stato condannato per spaccio continuato senza che gli siano stati contesti specifici episodi di cessione, ascrivendogli in tal modo una responsabilità concorsuale in via automatica.
2.3.3. Con il terzo motivo, deduce vizio della motivazione in riferimento alle aggravanti ad effetto speciale.
Con un primo punto, si contesta l’incremento sanzionatorio conseguente all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ritenuta solo per il ricorrente ed invece esclusa per i coimputati, sull’assunto dell’autonomia dei reati associativi di cui ai capi 1) e 2).
Un secondo argomento contesta la recidiva, anch’essa esclusa per tutti i coimputati.
Con nota del 15 settembre 2025, l’AVV_NOTAIO ha formulato richiesta di trattazione orale del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
L’istanza è stata rigettata perché proposta oltre il termine perentorio di cui all’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen, come modificato dal d. I. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 2024, n. 120.
Con requisitoria scritta del 15 settembre 2025, il sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena detentiva irrogata a NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
E’, invece, fondato il ricorso d NOME COGNOME.
1.Le impugnazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono proposte fuori dei casi previsti dalla legge.
1.1. Va, preliminarmente, rammentato come, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice; sono, invece, inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. – salvo il caso in cui sia dedotta l’estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia della sentenza di appello (Sez. U., n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481) – nonché ai vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano tradotti nella illegalità della sanzione irrogata in quanto non rientrante nei limiti edittali, ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102).
1.2. Siffatta impostazione discende dal rilievo per cui la rinuncia ai motivi di appello, con accordo limitato esclusivamente alla rideterminazione della pena, stabilizza l’affermazione di responsabilità dell’imputato statuita nella sentenza di primo grado e la Corte di appello non è tenuta a motivare nuovamente sull’an della responsabilità, proprio per effetto della rinuncia ai motivi sul punto.
Al riguardo, è costante l’orientamento di questa Corte secondo cui la rinuncia dell’imputato ai motivi di appello in funzione dell’accordo sulla pena ex art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, limita la cognizione del giudice di secondo grado che ha ad oggetto solo i motivi non oggetto di rinuncia.
Il concordato in appello produce, dunque, effetti preclusivi, anche sulle questioni rilevabili d’ufficio, che si riverberano sull’intera progressione processuale, compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 3, n. 19983 del 9/6/2020, COGNOME, Rv. 279504 – 01; Sez. 5, n. 29243 del 4/6/2018, COGNOME, Rv. 273194 – 01); e poiché la rinuncia è irretrattabile (Sez. 2, n. 43893 del 4/11/2021, COGNOME, Rv. 282312 – 01), si forma, per effetto delle preclusioni correlate all’effetto devolutivo delle impugnazioni, il giudicato sui relativi punti della decisione (Sez. 6, n. 44625 del 3/10/2019, NOME COGNOME, Rv. 277381 – 01, in motivazione). Il che vale a dire come, a seguito della rinuncia ai motivi relativi all’an della responsabilità ed alla formazione dell’accordo limitatamente
al trattamento sanzionatorio, si forma il giudicato sul punto relativo alla responsabilità.
1.3. Nel quadro così delineato, i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili poiché formulano doglianze ormai precluse e non più deducibili.
Per gli stessi motivi, è, invece, fondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
2.1. Risulta dalla sentenza impugnata che il ricorrente ha avanzato istanza di definizione del processo ex art. 599-bis cod. proc. pen. alla pena finale di anni due di reclusione ed euro 18.000 di multa, chiedendo dunque ridursi soltanto la pena detentiva. E, tuttavia, dal dispositivo risulta che il medesimo è stato condannato alla pena finale di anni due, mesi quattro di reclusione ed euro 18.000 di multa.
2.2. Nel caso in cui sussista difformità tra la richiesta delle parti e la pronuncia del giudice, il ricorso è – come già evidenziato – ammissibile e la sentenza sul punto deve essere annullata senza rinvio, potendo questa Corte provvedere alla rettifica dell’errore sulla quantità della pena irrogata, ai sensi dell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di epilogo decisorio obbligato, che non involge accertamenti discrezionali (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831 01).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile per genericità.
3.1. Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente deduce vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità tanto per il delitto di partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso dan “Santapaola-Ercolano”, denominata “RAGIONE_SOCIALE“, nella sottoarticolazione capeggiata da NOME COGNOME, operante nell’area ionico-etnea nei Comuni di Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Castiglione di Sicilia e zone limitrofe, aggravata dal carattere armato dell’RAGIONE_SOCIALE, nel periodo luglio 2017-novembre 2018 (capo 1)), che della reiterata condotta di spaccio di marijuana, per quantitativi complessivamente non inferiori a 100 chili, aggravata dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare il suddetto clan, portata avanti fino a settembre 2018, al medesimo contestata al capo 5), in concorso anche con i ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In particolare, il ricorrente contesta la sussistenza di elementi sufficienti per sostenere la propria affiliazione al dan, con specifico riferimento al ruolo di referente per la zona di Francavilla di Sicilia, non evincibile dalle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia COGNOME e COGNOME ed in difetto della prova di un coinvolgimento del medesimo in specifici reati-fine. Riguardo al capo 5), dalle intercettazioni emergerebbe che il COGNOME non era in possesso di stupefacente.
3.2. Trattasi di deduzioni assertive e generiche, che non si confrontano con l’apparato argomentativo delle conformi sentenze di merito.
Premesso che il ricorso per cassazione è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01), l’impugnazione all’odierno vaglio si limita a mere affermazioni di dissenso, del tutto avulse dall’ampio corredo probatorio disaminato nelle conformi sentenze di merito su cui si fonda la condanna del ricorrente; elementi rimasti immuni da specifiche censure da parte del COGNOME che reitera, con mere e sintetiche asserzioni, argomentazioni a sostegno di una complessiva diversa valutazione.
Il ricorso è, pertanto, aspecifico.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è generico e, comunque, manifestamente infondato.
4.1. Il ricorrente è stato condannato per i reati associativi al medesimo ascritti ai capi 1) e 2) della rubrica, in quest’ultimo ritenuto assorbito il capo 14), con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
In particolare, escluse già in primo grado le aggravanti di cui all’art. 112, comma 1 n. 4 e comma 3 cod. pen. e di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/90 contestate al capo 2, il ricorrente è stato condannato per aver promosso e capeggiato, unitamente ad altri due coimputati, un’RAGIONE_SOCIALE a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, operante tra il luglio 2017 ed il novembre 2018 in alcuni quartieri del territorio di Giarre, aggravata dal numero dei partecipanti, nonché in relazione a reiterati episodi di spaccio di stupefacenti, aggravati dal numero superiore a tre degli agenti in concorso, posti in essere nel medesimo arco temporale.
4.2. Tanto premesso, il primo motivo, con il quale si deduce violazione di legge e vizio della motivazione quanto alla individuazione dell’arco temporale entro il quale è stato riconosciuto al ricorrente il ruolo di capo-promotore per il capo 2), non tenendo conto del suo stato di restrizione in carcere sino al 19 luglio 2018, condizione che avrebbe inciso sulla dimostrazione dello svolgimento del ruolo addebitato, con conseguente difetto di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio al medesimo
irrogato rispetto ai coimputati nella medesima posizione processuale, in particolare NOME COGNOME, per il quale il ruolo risulta ricoperto per l’intero arco temporale e nei cui confronti non è stata applicata la recidiva, è inammissibile in quanto manifestamente infondato, oltre che genericamente esposto.
Il provvedimento impugnato riporta, invero, una serie di intercettazioni, che decorrono dal dicembre 2017, dalle quali si è tratta la dimostrazione della perdurante interpretazione del ruolo contestato in capo ad NOME COGNOME anche nel periodo in cui il medesimo era ristretto in carcere; a queste si aggiungono le captazioni analiticamente riportate nella sentenza di primo grado (ff. 290 ssgg.).
Siffatto corredo probatorio resta del tutto ignorato nel ricorso, che si limita a richiederne, del tutto genericamente, una rivalutazione, peraltro in termini comparativi rispetto a diverse posizioni, anche queste solo evocate.
Siffatta genericità si riflette anche sulla valutazione della fondatezza della censura inerente al diverso trattamento sanzionatorio riservato al coimputato NOME COGNOME, in relazione al quale va, comunque, osservato che la recidiva infraquinquennale era stata al medesimo contestata solo in relazione al capo 1), dal quale è stato assolto.
Ampiamente illustrati sono, invece, i motivi che hanno indotto i giudici del merito a confermare il giudizio di applicazione della recidiva contestata ad NOME COGNOME che il ricorso, ancora una volta, non contesta.
Ne discende che il ricorso non prospetta, in termini comparativi, specifici elementi da cui ritrarre che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali, tali da radicare il vizio di motivazione denunciato (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839 – 01).
A tanto aggiungasi che, in tema di determinazione della pena, il giudice, nell’ipotesi di più imputati concorrenti tra loro nello stesso reato, non è gravato dell’onere motivazionale di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni soggettive, né di argomentare in ordine all’eventuale differenziazione delle pene inflitte, dovendo definire il trattamento sanzionatorio sulla base di parametri individuali (Sez. 3, n. 19866 del 04/02/2025, Toscano, Rv. 288093 – 03; n. 7191 del 2016 RV. 266446 – 01, n. 1886 del 2017 RV. 269317 – 01), come avvenuto nel caso di specie.
Il primo motivo è, pertanto, inammissibile.
4.2. Il secondo motivo, con il quale si deduce analoga censura in riferimento ai motivi articolati a discarico per i capi 3) e 14), con omessa valutazione dei documenti richiamati nell’atto di appello, e si prospetta l’indeterminatezza
dell’imputazione, questione che non può ritenersi rinunciata per effetto della richiesta di definizione del giudizio con il rito abbreviato, oltre che di infondatezza del delitto di cui al capo 14), è manifestamente infondato.
In relazione al reato sub 14), ritenuto nelle conformi sentenze di merito assorbito nel capo 3) della rubrica, il ricorrente sovrappone censure dirette a contestare ora l’indeterminatezza del capo d’imputazione, ora il difetto di prova della responsabilità, in tal guisa formulando una censura perplessa ed intrinsecamente contraddittoria, rispetto alla quale, peraltro, neppure prospetta un concreto ed effettivo interesse, non specificando in che misura il capo 14) abbia inciso sulla complessiva valutazione dell’assorbente capo 3).
Quanto alle doglianze rivolte alla motivazione, attraverso le quali si assume che il ricorrente sarebbe intervenuto solo il 20 luglio 2018 nella pianificazione del pagamento di un debito riferito a pregresse forniture di stupefacente, alle quali non avrebbe personalmente partecipato, va rilevato che siffatta condotta è stata collocata nel più ampio contesto, delineato dalle captazioni, che vede il ricorrente porsi al vertice dell’RAGIONE_SOCIALE criminosa dedita al RAGIONE_SOCIALE, assumendone anche la gestione finanziaria in una prospettiva che, attraverso il saldo di precedenti cessioni, mira a consolidare i canali di approvvigionamento, in tal modo dando conto di un vincolo durevole con i fornitori della sostanza da immettere nel mercato del consumo secondo regole predeterminate relative alle modalità di fornitura e di pagamento della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 564 del 29/10/2015, dep. 2016, Barretta, Rv. 265763 – 01).
E di tale apprezzamento complessivo, compiutamente esposto nelle conformi sentenze di merito, il ricorrente non si fa carico, limitando il focus delle censure su un fatto reputato, invece, rivelatore non solo della perdurante cointeressenza del ricorrente nel traffico illecito anche nel corso della detenzione, ma anche della riassunzione, in proprio, di uno spiccato ruolo apicale, una volta tornato in libertà (V., in particolare, da ff. 468 e ssgg. sentenza di primo grado).
A fronte di siffatta ricostruzione, rimasta sostanzialmente ignorata nel ricorso, non dispiega rilievo alcuno che si sia proceduto o meno a carico del fornitore COGNOME, atteso che l’esercizio o meno dell’azione penale nei confronti di altro concorrente, cui sia riferibile il fatto tipico, nella sua oggettiva materialità, non esclude di per sé la responsabilità di altro compartecipe.
4.3. Sono inammissibili per genericità le censure svolte nel terzo motivo riguardo il trattamento sanzionatorio.
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Quanto al primo punto, va rilevato che l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., non è stata mai contestata al ricorrente ed al medesimo non risulta applicata, con conseguente eccentricità della doglianza.
Quanto all'entità della pena, la stessa risulta determinata – ritenuta la continuazione con altra sentenza di condanna irrevocabile – alla luce di molteplici indicatori soggettivi, tra i quali la presenza di precedenti specifici, ritenuti espressivi di qualificata pericolosità, e l'aggravante della commissione del reato nel corso dell'esecuzione della sorveglianza speciale (f. 41 sentenza impugnata).
Nell'insistere sull'asserita disparità di trattamento con i coimputati, inoltre, il ricorrente trascura di considerare che NOME e NOME COGNOME hanno definito il giudizio rinunciando ai motivi diversi dalla determinazione della pena ex art. 599-bis cod. proc. pen.; opzione processuale che non consente di ravvisare un concreto indice di vizio della motivazione sul punto della sanzione in concreto irrogata al ricorrente (Sez. 3, n. 51002 del 25/05/2018, R., Rv. 274091 – 01).
Alla luce di quanto sin qui argomentato, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio sul punto del trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME e la pena della reclusione determinata nella misura – concordata – indicata in dispositivo.
I ricorsi proposti nell'interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono, invece, inammissibili.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si stima equo determinare in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione all'imputato COGNOME NOME limitatamente alla pena della reclusione che ridetermina in anni due. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i suddetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2025