Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32138 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME COGNOME nato il 24/09/1979 a MESSINA COGNOME nato il 19/09/1970 a MESSINA avverso la sentenza in data 10/01/2025 della CORTE DI APPELLO di MESSINA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; audita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; sentito l’Avvocato NOME COGNOME, nell’interesse di COGNOME e di COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali, impugnano la sentenza in data 10/01/2025 della Corte di appello di Messina che, a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, in parziale riforma della sentenza in data 16/04/2022, ha applicato la pena indicata dalle parti, così come da loro determinata con l’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., per i reati loro rispettivamente ascritti, ossia, il delitto di associazione mafiosa contestato a entrambi al capo 1 della rubrica e quello di estorsione pluriaggravata artt. 629, comma secondo, (in relazione all’art. 628, comma terzo, nn. 1) e 3), cod. penna., 7 dl. 13 maggio 1991 n. 152 e 71 d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159 (contestato al capo 2 a Lisitano).
Va ulteriormente precisato che l’annullamento veniva disposto dalla Corte di cassazione limitatamente al trattamento sanzionatorio per entrambi e in relazione alla confisca per la sola posizione di NOME COGNOME.
Deducono:
2.COGNOME NOME
2.1. Violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all’art. 240 cod. pen., all’art. 192 commi 1 e 2 cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione anche per travisamento della prova per omissione.
Il ricorrente premette che la corte di appello ha confermato la confisca dell’appartamento di proprietà del proprio genitore, ossia di NOME COGNOME ritenendo che queste fosse nelle condizioni di sapere che il figlio occultava un fucile all’interno di tale
fabbricato e due fucili all’esterno di esso.
Sostiene, dunque, che i giudici del rinvio non si sono conformati alla sentenza rescidente in merito alla questione di diritto correlata alla verifica all’assenza di vantaggi e di utilità derivanti dal reato, nonchØ della buona fede dell’ extraneus rispetto all’utilizzo del bene per fini illeciti.
Osserva, dunque, che i giudici hanno ritenuto che NOME COGNOME fosse stato carente nella diligenza, senza tuttavia dare seguito al criterio ermeneutico indicato nella sentenza di annullamento, nel senso di verificare e di individuare la diligenza richiesta nel caso concreto.
Vengono illustrate, quindi, le circostanze del fatto, al fine di evidenziare l’omessa motivazione o comunque la sua manifesta illogicità sul punto demandato dalla sentenza di annullamento.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo all’omessa riduzione di un terzo ai sensi dell’art. 442 cod. proc. penna. per il reato giudicato con sentenza in data 09/11/2015 della Corte di appello di Messina.
Il ricorrente osserva che la Corte di appello ha rideterminato la pena ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., omettendo di indicare la pena base al netto degli aumento per la continuazione, così non potendosi ricavare la sussistenza della riduzione di un terzo eventualmente applicata per il reato giudicato separatamente con rito abbreviato.
3. LISTITANO NOME
3.1. Violazione dell’art. 527, comma 3, cod. proc. penna. in relazione agli artt. 73, 81 e 133 cod. pen., all’art. 533, comma 2, cod. proc. penna. e vizio di motivazione in relazione all’individuazione del reato piø grave ed errata determinazione della pena base su quale operare l’aumento per la continuazione.
Secondo il ricorrente la Corte di appello ha rideterminato la pena ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. penna. senza uniformarsi alla sentenza rescidente per ciò che concerne la questione di diritto afferente alla individuazione del reato piø grave, che la Corte di cassazione aveva indicato nel delitto di estorsione contestato al capo 2) della rubrica.
Si aggiunge che la recidiva specifica e reiterata Ł stata erroneamente contestata in relazione al delitto associativo di cui al capo 1 della rubrica, in quanto insussistente, visto che COGNOME non ha mai riportato condanna per il delitto di associazione mafiosa, così che al piø poteva essere contestata la recidiva reiterata.
Si osserva, comunque, che la cornice edittale prevista per il delitto di associazione nella formulazione previgente al 2015 avrebbe consentito un aumento di pena per la recidiva non superiore a 25 anni, inferiore alla pena massima di anni 30 di reclusione prevista per il delitto di estorsione pluriaggravata, con le conseguenti ricadute in punto di individuazione della pena base che si sostanziano in una violazione di legge.
1.2. “Mancata concessione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62bis cod. pen. alle contestate aggravanti”.
Secondo il ricorrente «il giudice di prima cura avrebbe dovuto concedere la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., rispetto alle contestate aggravanti, e per l’effetto ridurre la pena inflitta», per renderla adeguata, a favore dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono inammissibili in relazione alle questioni afferenti al trattamento sanzionatorio -ivi compresa la recidiva- che, si ricorda, Ł stato oggetto di accordo delle parti ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., con contestuale rinuncia ai
relativi motivi d’impugnazione.
1.1. Anzitutto, va ribadito che «nel giudizio di rinvio Ł ammissibile, in assenza di specifiche preclusioni normative, il concordato sulla pena prevista dall’art. 599bis cod. proc. pen., essendo la fase rescissoria protetta da assoluta autonomia, negli ambiti indicati dall’art. 627 cod. proc. pen., rispetto a quella rescindente» (Sez. 3, n. 25797 del 30/03/2021, COGNOME, Rv. 283905 – 01; Sez. 3, n. 25797 del 30/03/2021, Chia, Rv. 283905 – 01).
Da ciò discende che le parti, nel caso in esame, hanno legittimamente concordato la pena, visto che l’annullamento Ł stato disposto al fine della sua rideterminazione, per come specificato al paragrafo 8.3. (pag. 37) per COGNOME, dove si invita il giudice del rinvio a tenere conto della cornice edittale prevista per il delitto associativo e per l’estorsione ai fini della rideterminazione della pena; e al paragrafo 8.4. per COGNOME, dove si specifica che il giudice del rinvio dovrà determinare la pena tenendo conto della cornice edittale da applicare rispetto al reato associativo, in ragione del tempo di commissione del reato.
L’accordo raggiunto dalle parti proprio in relazione al trattamento sanzionatorio ha comportato il decadimento di tutte le questioni a esso afferenti.
1.2. A tale ultimo proposito, va evidenziato che, all’indomani della sentenza delle Sezioni Unite n. 19415 del 27/10/2022 (dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481 – 01), deve ritenersi oramai superato l’orientamento di questa Corte, che limitava l’impugnabilità della sentenza pronunciata in esito a un concordato in appello, ai sensi dell’art. 599bis , cod. proc. pen., richiamando i limiti stabilità dall’art. 448, comma 2bis , cod. proc. penna. in relazione all’impugnazione della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. penna..
Con la sentenza COGNOME Ł stato chiarito, infatti, che va esclusa l’applicabilità dell’art. 448, comma 2bis , cod. proc. penna. al concordato in appello ex art. 599bis cod. proc. penna..
Tanto Ł stato affermato osservando che la norma citata Ł stata introdotta quale disposizione speciale, limitata al rito del patteggiamento, e non può essere estesa analogicamente ad altri istituti processuali, in virtø del principio di tassatività che governa i mezzi ei motivi di impugnazione. A tale riguardo, Ł stato evidenziato che, diversamente dal patteggiamento, il concordato in appello non costituisce rito speciale, ma si innesta nel giudizio ordinario di secondo grado, senza introdurre preclusioni ulteriori rispetto a quelle derivanti dalla rinuncia ai motivi, con la conseguenza che la disciplina restrittiva prevista dall’art. 448, comma 2bis , non può trovare applicazione al di fuori dell’ambito per il quale Ł stata espressamente dettata.
1.3. Le Sezioni Unite hanno evidenziato che, sotto il profilo della loro impugnabilità, non vi sono differenze tra la sentenza ordinaria di appello e quella resa ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., non esistendo alcuna disposizione che limiti l’esperibilità dei motivi di ricorso avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., così da diversificare il suo regime di impugnazione rispetto a quello previsto in via generale per la sentenza ordinaria di appello.
In tal senso Ł stato osservato che l’unico riferimento normativo in materia di impugnazione, specificamente rivolto alla sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., Ł l’art. 610, comma 5bis , cod. proc. pen., che tuttavia non incide sui presupposti di ammissibilità del ricorso, ma si limita a prevedere che l’inammissibilità possa essere dichiarata con procedimento de plano , per ragioni di economia processuale.
In forza di quanto chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza COGNOME fin qui brevemente compendiata, emerge che i limiti alla impugnabilità con ricorso per cassazione della sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. penna. non discendono da
una disciplina speciale, inesistente per tale istituto, bensì dall’ordinario effetto preclusivo che consegue alla rinuncia ai motivi di appello.
Invero, una volta che la parte ha rinunciato a uno o piø motivi, sul punto di rinuncia si forma il giudicato sostanziale, che impedisce la riproposizione della censura nel successivo grado di giudizio.
I confini dell’impugnazione con ricorso per cassazione della sentenza resa ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. penna. vengono, dunque, delimitati dalla formazione del giudicato sui capi o sui punti oggetto dei motivi rinunciati, restando altrimenti proponibile l’impugnazione nei limiti generali previsti dall’art. 606 cod. proc. penna..
2.1. In tale direzione, peraltro, si era già espressa questa Corte, affermando un principio di diritto -richiamato e ribadito dalla sentenza COGNOME nel corpo della motivazione- a mente del quale «il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. penna. nØ sull’insussistenza di ipotesi di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove perchØ si deve rapportare l’obbligo della motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice Ł limitata ai motivi non oggetto di rinuncia» (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Bouachra, Rv. 274522;Sez.5, Sentenza n.15505 del 19/03/2018,COGNOME,Rv.
Piø di recente, in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite, Ł stato affermato che «nel caso in cui il giudice di appello ha raccolto le richieste concordemente formulate dalle parti, queste ultime non possono dedurre in sede di legittimità difetto di motivazione o altra questione relativa ai motivi rinunciati. (Vedi: n. 103837 del 1992, Rv. 192113-01)» (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, Spina, Rv. 285628 – 02).
Da quanto esposto discende l’inammissibilità dei motivi relativi alla misura del trattamento sanzionatorio, visto che i ricorrenti hanno rinunciato a tutti i motivi di ricorso, fatta eccezione per quello relativo al trattamento sanzionatorio, da loro stessi concordato.
Va evidenziato che la pena irrogata -anche con riferimento alla individuazione del reato su cui calibrare la pena base e gli incremento per la continuazione e per la recidiva- Ł quella determinata dalle stesse parti e che l’accordo raggiunto in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni doglianza sulle questioni coinvolte nei motivi rinunciati.
Da qui l’inammissibilità dei motivi in esame, in quanto sollevano questioni sulle quali si Ł oramai formato il giudicato.
Rimane da esaminare il motivo relativo alla confisca disposta nei confronti di NOME. Il motivo Ł esaminabile, atteso che la statuizione sulla confisca non Ł stata oggetto del concordato (in tal senso, cfr. Sez. 2, n. 23093 del 05/06/2025, COGNOME, Rv. 288223 – 01.
Il motivo Ł inammissibile perchØ manifestamente profondo e perchØ si risolve in questioni di merito.
Nella sentenza rescindente si osservava: «Nel sesto motivo del ricorso di NOME si deduce mancanza di motivazione circa la contestata legittimità della confisca del fabbricato descritto in atti e, comunque, circa la mancata limitazione del provvedimento ablativo alla sola parte del fabbricato non adibita a civile abitazione. A NOME il fabbricato Ł stato confiscato perchØ “domicilio di alcuni degli affari illeciti del clan, luogo di custodia delle armi, sede per la cura dei cavalli di interesse della scuderia del Tibia” (p. 171 della sentenza di primo grado).
Il motivo di appello, riproposto con il ricorso in esame, che fa leva sulla insussistenza
fattispecie di reato contestate, risulta manifestamente infondato, stante la conferma della condanna in appello, donde la sua implicita reiezione nella sentenza di appello.
Invece, deve rilevarsi che la Corte di appello non ha risposto alla deduzione con la quale si contesta l’integrale confisca del fabbricato, pur destinata a civile abitazione dei familiari di NOME rimasti estranei al reato.
Pertanto, relativamente a questo secondo profilo, la sentenza va annullata, come in dispositivo, con rinvio per un nuovo giudizio che valuti i presupposti della confisca seguendo il principio per il quale, ai fini di confisca, Ł persona estranea al reato, nei confronti della quale tale misura di sicurezza non può essere applicata, il soggetto che non abbia ricavato vantaggi e utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l’utilizzo del bene per fini illeciti (Sez. 3, n. 34548 del 06/06/2023, D., Rv. 285207; Sez. 3, n. 29586 del 17/02/2017, C., Rv. 270250; Sez. 6, n. 37888 del 08/07/2004, Sulika, Rv. 229984)».
Il compito così demandato con la sentenza di annullamento Ł stato pienamente soddisfatto dal giudice del rinvio.
La Corte di merito, infatti, ha dato conto, con argomentazioni puntuali e non meramente apparenti, degli elementi fattuali idonei a ritenere la conoscibilità delle armi nascoste, così ritenendo insussistente il requisito della buona fede in capo all’estraneo.
In particolare, i giudici hanno evidenziato che parte delle armi oggetto di contestazione sono state rinvenute nella camera da letto del padre dell’imputato, all’interno di un armadio ivi collocato, mentre altre armi sono state recuperate in un terrazzino pertinenziale alla medesima abitazione.
Tali circostanze, logicamente valorizzate dal giudice di merito, rendono manifesto che la disponibilità delle armi non fosse confinata in spazi estranei alla sfera di accesso e controllo del proprietario dell’immobile, ma si collocasse invece in luoghi a lui ordinariamente accessibili e, quindi, a lui direttamente riconducibili, tali da evidenziare come le armi possano essere facilmente rinvenute e/o rinvenibili con l’ordinaria diligenza.
Non ricorre, pertanto, la lamentata omissione motivazionale, avendo la sentenza impugnata adeguata e non illogica giustificazione della possibilità per l’estraneo di avere conoscenza dell’illecita fornita custodia delle armi.
Ne consegue che il motivo, risolvendosi nella sollecitazione di una diversa valutazione di merito, si rivela inammissibile
5. Quanto esposto conduce alla dichiararia di inammissibilità delle impugnazioni, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 10/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME