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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che contestava la congruità della pena patteggiata in secondo grado tramite un concordato in appello. La Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., il ricorso è possibile solo per vizi del consenso o per illegalità della pena, non per valutarne l’adeguatezza.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: la Cassazione Definisce i Limiti del Ricorso

Il concordato in appello, introdotto dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso che permette alle parti di accordarsi sulla determinazione della pena in secondo grado, a fronte della rinuncia ai motivi di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i rigidi confini entro cui è possibile impugnare una sentenza che recepisce tale accordo, chiarendo quali motivi sono ammissibili e quali, invece, sono destinati a un’inevitabile declaratoria di inammissibilità.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna in primo grado per un reato legato agli stupefacenti. In sede di appello, l’imputato e la procura generale raggiungevano un accordo sulla pena, che veniva rideterminata dalla Corte territoriale in due anni e otto mesi di reclusione, oltre a una multa.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione. Il suo unico motivo di doglianza era l’omessa motivazione da parte della Corte d’Appello in merito alla congruità della pena concordata. In sostanza, si contestava non l’illegalità della sanzione, ma la sua adeguatezza rispetto al fatto commesso.

La Decisione sul concordato in appello e il Ruolo della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa della natura e della funzione del concordato in appello. I giudici di legittimità hanno sottolineato come questo istituto si basi su una rinuncia ai motivi di impugnazione. Accettando il concordato, l’imputato accetta implicitamente sia la propria responsabilità penale sia la qualificazione giuridica del fatto, concentrando l’accordo unicamente sull’entità della pena.

Di conseguenza, le possibilità di impugnare una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. sono estremamente limitate. Il ricorso è ammissibile solo se si lamentano vizi genetici dell’accordo stesso, come un difetto nella formazione della volontà dell’imputato o nel consenso del pubblico ministero, oppure se il giudice si è discostato dall’accordo ratificato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha chiarito che il concordato in appello ha una fisionomia distinta rispetto al patteggiamento in primo grado (art. 444 c.p.p.). Mentre nel patteggiamento l’accordo abbraccia anche i termini dell’accusa e permette un ricorso per cassazione anche sulla qualificazione giuridica, nel concordato in appello l’accordo si innesta su una rinuncia ai motivi di impugnazione, cristallizzando la responsabilità e la qualificazione del fatto decise in primo grado.

L’unica vera finestra per un sindacato della Corte di Cassazione sulla pena riguarda la sua illegalità, ovvero quando la sanzione inflitta non rientra nei limiti edittali previsti dalla legge o è di una specie diversa da quella stabilita. Qualsiasi doglianza relativa alla congruità o all’equità della pena, essendo oggetto stesso dell’accordo transattivo tra le parti, non può essere fatta valere in sede di legittimità. Nel caso di specie, il ricorrente lamentava proprio la mancata motivazione sulla congruità, un motivo ritenuto non consentito dalla legge e quindi inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: chi sceglie la via del concordato in appello compie una scelta processuale che comporta la rinuncia a contestare nel merito la decisione, focalizzando il negoziato esclusivamente sulla pena. Il controllo della Corte di Cassazione su tali sentenze è perciò circoscritto alla verifica della legalità della pena e della corretta formazione del consenso delle parti. Qualsiasi tentativo di riaprire una discussione sulla congruità della pena concordata è destinato a fallire. La pronuncia serve da monito sulla necessità di ponderare attentamente la scelta di accedere a tale rito, essendo le vie di impugnazione successive estremamente ristrette.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza basata su un “concordato in appello” per contestare la congruità della pena?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che le doglianze relative alla congruità della pena non sono ammissibili, poiché l’accordo tra le parti copre proprio questo aspetto. L’impugnazione è consentita solo per questioni di illegalità della pena (es. se è fuori dai limiti di legge).

Quali sono gli unici motivi validi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p.?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero, a un contenuto della pronuncia del giudice difforme dall’accordo, oppure all’illegalità della sanzione inflitta.

Che differenza c’è tra il “concordato in appello” e il patteggiamento in primo grado (art. 444 c.p.p.) riguardo ai motivi di ricorso?
Il concordato in appello si basa sulla rinuncia ai motivi di impugnazione, impedendo di contestare la responsabilità e la qualificazione giuridica del fatto. Il patteggiamento in primo grado, invece, abbraccia anche i termini dell’accusa, consentendo un ricorso per cassazione anche per motivi attinenti alla qualificazione giuridica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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