Concordato in Appello: Quando l’Accordo sulla Pena Chiude le Porte alla Cassazione
L’istituto del concordato in appello rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza, volto a definire il giudizio di secondo grado attraverso un accordo sulla pena. Tuttavia, la scelta di percorrere questa via comporta conseguenze significative sulla possibilità di impugnare ulteriormente la decisione. Con la recente ordinanza n. 23237/2024, la Corte di Cassazione ribadisce i confini invalicabili posti da tale accordo, chiarendo perché non sia possibile lamentare in sede di legittimità la mancata applicazione della continuazione tra reati.
Il Fatto Processuale: Dal Concordato al Ricorso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. In quella sede, il procedimento era stato definito tramite un concordato in appello, con il quale le parti avevano trovato un accordo sull’entità della pena. Nonostante ciò, l’imputato decideva di adire la Suprema Corte, lamentando un vizio specifico nella determinazione della sanzione: la mancata applicazione dell’istituto della continuazione tra i reati a lui ascritti. La questione centrale, dunque, era stabilire se una tale doglianza potesse ancora trovare spazio dopo la definizione concordata del processo d’appello.
La Decisione della Cassazione e i Limiti del Concordato in Appello
La Corte di Cassazione, con una procedura snella de plano, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine: l’accordo sulla pena in appello ha un effetto preclusivo sull’intero svolgimento processuale successivo, compreso il giudizio di legittimità.
Secondo gli Ermellini, la scelta di definire il procedimento con il concordato in appello equivale a una rinuncia a far valere determinate questioni, anche quelle che, in linea teorica, potrebbero essere rilevate d’ufficio dal giudice. L’accordo raggiunto sulla pena limita non solo la cognizione del giudice di secondo grado, ma cristallizza la situazione processuale, impedendo future contestazioni sui punti che ne costituiscono l’oggetto.
Le Motivazioni della Suprema Corte
Il cuore della motivazione risiede nella distinzione fondamentale tra un mero errore nel calcolo della pena e la ben più grave ‘illegalità della pena’. La Corte ha specificato che la mancata applicazione della continuazione tra reati non integra un’ipotesi di pena illegale.
La nozione di ‘pena illegale’, come chiarito anche da una precedente sentenza delle Sezioni Unite (n. 877/2023, Sacchettino), è circoscritta a casi ben precisi:
1. Quando la pena inflitta supera i limiti edittali generali previsti dal codice penale (artt. 23 e ss.).
2. Quando vengono superati i limiti edittali specifici previsti per la singola fattispecie di reato.
Di conseguenza, un errore nei ‘passaggi intermedi’ che portano alla determinazione della pena finale, come può essere il mancato riconoscimento della continuazione, non rende la pena ‘illegale’ in senso tecnico. Tale vizio rientra tra le questioni coperte dall’accordo processuale e, pertanto, non può essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione. L’imputato, accettando il concordato, ha implicitamente accettato anche il calcolo della pena così come determinato, rinunciando a future contestazioni sul punto.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso sugli effetti del concordato in appello. La decisione serve da monito per la difesa: la scelta di questo rito alternativo deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che essa comporta una sostanziale rinuncia alla facoltà di impugnazione per motivi attinenti alla quantificazione della pena. Se da un lato il concordato offre il vantaggio di una definizione certa e più rapida del processo, dall’altro preclude la possibilità di contestare in Cassazione eventuali errori di calcolo, a meno che questi non sfocino in una vera e propria illegalità della pena, secondo la restrittiva interpretazione fornita dalla Suprema Corte. La pena concordata, dunque, diventa definitiva e non più sindacabile su aspetti come la continuazione, il bilanciamento delle circostanze o altri criteri di commisurazione.
È possibile presentare ricorso in Cassazione per motivi legati al calcolo della pena dopo aver concluso un concordato in appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’accordo sulla pena in appello ha un effetto preclusivo che impedisce di sollevare questioni relative alla sua determinazione, come la mancata applicazione della continuazione tra reati, poiché tali motivi si considerano rinunciati con l’accordo stesso.
La mancata applicazione della continuazione tra reati rende la pena ‘illegale’?
No. Secondo la Suprema Corte, una pena è ‘illegale’ solo se supera i limiti massimi (o è inferiore ai minimi) previsti dalla legge in generale o per il singolo reato. Un errore nel calcolo intermedio, come il mancato riconoscimento della continuazione, non rientra in questa definizione.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile alla Corte di Cassazione?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23237 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 23237 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MONOPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Ritenuto che il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con procedura de plano, perché proposto per motivi non consentiti dalla legge dal momento che, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194), la definizione del procedimento con il concordato in appello, relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzion dell’accordo sulla pena (nel caso, in relazione alla mancata applicazione della continuazione tra reati), limita non solo la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità;
la mancata applicazione della continuazione non integra una ipotesi di illegalità della pena (motivo per il quale il ricorso è, analogamente al patteggiamento viceversa consentito) stante la nozione di illegalità della pena che va limitata ai casi in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, Sentenza n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886), quale, in ipotesi, la mancata applicazione della continuazione tra reati;
Rilevato, che il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/05/2024