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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in appello (concordato in appello), ha presentato ricorso in Cassazione lamentando l’errata quantificazione della pena e la mancata valutazione di un’ipotesi di proscioglimento. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che, dopo un concordato, l’impugnazione è consentita solo per vizi relativi alla formazione dell’accordo stesso e non per motivi che sono stati oggetto di rinuncia.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è un vicolo cieco

L’istituto del concordato in appello, noto anche come patteggiamento in appello, rappresenta uno strumento processuale cruciale che permette di definire il secondo grado di giudizio in modo più rapido. Tuttavia, la scelta di percorrere questa strada comporta conseguenze significative sulla possibilità di impugnare ulteriormente la decisione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi limiti del ricorso successivo, chiarendo quando l’impugnazione diventa inammissibile.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Torino, che condannava un imputato per il reato di ricettazione (art. 648 c.p.). In sede di appello, le parti – accusa e difesa – hanno raggiunto un accordo. La Corte di Appello di Torino, accogliendo la richiesta concorde, ha parzialmente riformato la sentenza: ha concesso le attenuanti generiche in regime di equivalenza, ha rideterminato la pena, eliminando la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, e ha confermato il resto della condanna.

Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, sollevando due questioni: la presunta mancanza di motivazione sulla quantificazione della pena e l’omessa valutazione delle condizioni per un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Concordato in Appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure procedere con le formalità ordinarie. La decisione si fonda su un principio consolidato in materia di concordato in appello: l’accesso al giudizio di legittimità è estremamente limitato. La Corte ha chiarito che, una volta raggiunto un accordo sulla pena in appello, l’imputato rinuncia implicitamente ai motivi di gravame non inclusi nell’accordo. Di conseguenza, il ricorso in Cassazione non può basarsi su tali motivi.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Cassazione ha spiegato che, ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, il ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è ammissibile solo per motivi molto specifici. Questi includono:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo.
2. Mancanza del consenso del Procuratore Generale.
3. Contenuto difforme della pronuncia del giudice rispetto all’accordo raggiunto tra le parti.

Nel caso di specie, i motivi sollevati dall’imputato non rientravano in nessuna di queste categorie. La doglianza sulla quantificazione della pena era infondata, poiché la sanzione applicata dalla Corte d’Appello era esattamente quella concordata. Allo stesso modo, la lamentela sulla mancata valutazione di un proscioglimento ex art. 129 c.p.p. è stata ritenuta inammissibile. L’effetto devolutivo dell’impugnazione, unito alla rinuncia implicita derivante dal concordato, limita la cognizione del giudice ai soli punti non coperti dalla rinuncia stessa.

In sostanza, avendo scelto la via dell’accordo, l’imputato ha perso la facoltà di contestare nel merito la decisione, se non per i vizi procedurali legati alla formazione del patto stesso. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza rafforza un punto fondamentale per la strategia difensiva: la scelta del concordato in appello è un’opzione che chiude quasi definitivamente la partita processuale. Se da un lato offre il vantaggio di una pena certa e spesso più mite, dall’altro preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso in Cassazione. Gli avvocati e i loro assistiti devono ponderare con estrema attenzione questa scelta, consapevoli che essa implica una rinuncia alla maggior parte dei motivi di impugnazione. La sentenza diventa, di fatto, quasi definitiva, salvo che non si possano dimostrare gravi irregolarità nel processo che ha portato all’accordo. La pronuncia ribadisce la natura negoziale e definitiva di questo strumento, valorizzandone l’efficacia deflattiva a discapito di ulteriori gradi di giudizio.

Dopo un concordato in appello, è possibile ricorrere in Cassazione per qualsiasi motivo?
No. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici che riguardano vizi nella formazione dell’accordo, la mancanza del consenso del Procuratore Generale o una decisione del giudice non conforme a quanto pattuito.

Ci si può lamentare in Cassazione della pena applicata se questa deriva da un concordato in appello?
No, se la pena irrogata dal giudice è esattamente quella concordata tra le parti. L’accordo sulla pena è un elemento centrale e vincolante del concordato.

Il giudice dell’appello deve valutare d’ufficio il proscioglimento se le parti hanno raggiunto un accordo sulla pena?
No. Secondo la Corte, una volta che l’imputato ha rinunciato ai motivi di appello per accedere al concordato, la cognizione del giudice è limitata e le doglianze relative alla mancata valutazione di un proscioglimento sono inammissibili in Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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