Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1798 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1798 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME COGNOME nato a Brescia il 21/02/1996 avverso la sentenza del 22/05/2024 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile; lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha insistito ne motivi di ricorso, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con la decisione impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia in data 22 novembre 2023, nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 628, commi 1-3, cod. pen., sull’accordo delle parti, ritenuta la prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. sull’aggravante e sulla recidiva, ha conseguentemente rideterminato la pena, confermando nel resto.
Ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore NOME COGNOME articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione dell’art. 628 cod. pen. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte di appello avrebbe omesso di valutare la ricorrenza dell’ipotesi di lieve entità, introdotta dalla sentenza n. 86 del 13/05/2024 della Corte costituzionale.
2.2. Violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, laddove la Corte di appello avrebbe omesso di valutare la ricorrenza di cause di non punibilità.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché proposto con motivi non consentiti.
Per ragioni di chiarezza espositiva, è opportuno prendere le mosse dal secondo motivo di impugnazione.
In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. solo qualora deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice.
Sono, dunque, inammissibili, a fronte della rinuncia «a tutti i motivi di appello fatta eccezione per quello riguardante il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti e delle aggravanti in termini di prevalenza delle prime» (sentenza di appello, p. 4), le doglianze relative, da un lato, alla contestata qualificazione giuridica del fatto, anche in ordine alla configurazione circostanziale (cfr. Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 2771960-01), e, dall’altro, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969-01) e comunque alle questioni rilevabili d’ufficio (Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194-01).
Invero, in conseguenza dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 5, n. 46850 del 11/11/2022, COGNOME, Rv. 283878).
Il secondo motivo è, dunque, precluso dalla scelta processuale dell’imputato, che interrompe la catena devolutiva.
Quanto al primo motivo, occorre ricordare come la pronuncia della Corte costituzionale che ha introdotto l’attenuante della lieve entità anche in relazione al delitto di rapina (sent. n. 86 del 13/05/2024) sia stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15/05/2024, n. 20, e sia, pertanto, entrata in vigore a far data dal 16/05/2024, ai sensi dell’art. 136, primo comma, Cost.
All’udienza del 22 maggio 2024, allorquando il novum normativo era già vigente, l’imputato non ha sollevato nessuna questione sul punto, né tantomeno ha denunciato l’accordo già raggiunto con il rappresentante dell’Accusa o comunque ha investito la Corte di appello della sopravvenuta questione di diritto: il verbale, al contrario, registra semplicemente che «le parti congiuntamente chiedono l’accoglimento del concordato sui motivi già depositato in forma telematica dall’avv. COGNOME».
Al contrario di quanto prospettato nel ricorso, la pena irrogata dalla Corte territoriale, con ogni evidenza, non può essere ricondotta in alcun modo alla nozione di pena illegale. Secondo il consolidato orientamento di legittimità (cfr., Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 273934/01-273934-02; Sez. U, n. 47766 del 26/6/2015, COGNOME, Rv. 265108; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, lazouli, Rv. 264207; Sez. 6, n. 29950 del 23/06/2022, Sotgiu, Rv. 283723), costituiscono “pena illegale”
la pena che, per specie o per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale (pena illegale ab origine);
la pena che, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.
Nel caso di specie, l’applicabilità dell’attenuante pretoria, anche considerato il già avvenuto apprezzamento della circostanza ex art. 62, n. 4, cod. pen. (riconosciuta in regime di prevalenza sulle aggravanti e sulla recidiva), costituisce inequivocabilmente una questione schiettamente di merito, sottratta alla sede competente e proposta irritualmente per la prima volta nel giudizio di legittimità, lamentando incongruamente che la Corte di appello non abbia rilevato motu proprio la modifica ordinamentale, nonostante la chiara volontà delle parti sul punto, cristallizzata con la formalizzazione del negozio abdicativo.
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
In conseguenza dell’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali
e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 dicembre 2024