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Concordato in appello: limiti al ricorso per cassazione

Un imputato, dopo aver raggiunto un accordo sulla pena in secondo grado tramite un concordato in appello per il reato di rapina, ha presentato ricorso in Cassazione. Lamentava la mancata applicazione di una nuova attenuante introdotta da una sentenza della Corte Costituzionale. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la scelta del concordato in appello limita fortemente le successive impugnazioni e che la nuova questione doveva essere sollevata durante l’udienza di appello, non potendo essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando la Scelta Processuale Preclude il Ricorso

La scelta di un concordato in appello, noto anche come patteggiamento in secondo grado, è una strategia processuale che può garantire una definizione più rapida del giudizio. Tuttavia, questa scelta comporta conseguenze significative, tra cui una drastica limitazione della possibilità di presentare un successivo ricorso per cassazione. Una recente sentenza della Suprema Corte chiarisce i confini di questa preclusione, anche di fronte a cambiamenti normativi favorevoli all’imputato.

I fatti del caso

Un individuo, condannato in primo grado per rapina, decideva di appellare la sentenza. In sede di appello, le parti raggiungevano un accordo sulla pena, basato sul riconoscimento della prevalenza di un’attenuante rispetto alle aggravanti contestate. La Corte di appello di Brescia, accogliendo l’accordo, rideterminava la pena confermando nel resto la condanna.

Successivamente, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. La mancata valutazione da parte della Corte di appello di una nuova attenuante per i fatti di lieve entità nel reato di rapina, introdotta da una sentenza della Corte Costituzionale pubblicata pochi giorni prima dell’udienza d’appello.
2. L’omessa valutazione di eventuali cause di non punibilità, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione a seguito di un concordato in appello.

L’inammissibilità del ricorso dopo il concordato in appello

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: l’accordo sulla pena in appello, ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., comporta una rinuncia a tutti i motivi di appello, ad eccezione di quelli specificamente esclusi dall’accordo. Nel caso di specie, l’accordo era limitato al bilanciamento delle circostanze. Di conseguenza, l’imputato, accettando il concordato, ha rinunciato a contestare altri aspetti della sentenza, come la qualificazione giuridica del fatto o la sussistenza di cause di proscioglimento.

Questo meccanismo interrompe l'”effetto devolutivo” dell’impugnazione: la cognizione del giudice viene limitata esclusivamente ai punti non coperti dalla rinuncia. Pertanto, i motivi relativi alla mancata valutazione di cause di non punibilità sono stati ritenuti preclusi dalla scelta processuale dell’imputato.

La questione della nuova attenuante e la nozione di ‘pena illegale’

Il punto più interessante riguarda la nuova attenuante. La sentenza della Corte Costituzionale era entrata in vigore prima dell’udienza di appello. Tuttavia, né l’imputato né il suo difensore avevano sollevato la questione in quella sede, chiedendo invece l’accoglimento del concordato già pattuito.

La Cassazione ha stabilito che la mancata applicazione di questa nuova attenuante non rendeva la pena “illegale”. Una pena è considerata illegale solo quando, per specie o quantità, non corrisponde a quella prevista dalla legge o quando è determinata sulla base di una norma incostituzionale. L’applicabilità di un’attenuante, invece, è una questione di merito che deve essere sollevata e discussa nelle sedi competenti. La chiara volontà delle parti di procedere con l’accordo, senza far valere il novum normativo, ha cristallizzato la situazione, impedendo che la questione potesse essere sollevata per la prima volta in Cassazione.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla natura negoziale del concordato in appello. È un atto di disposizione processuale con cui l’imputato accetta una determinata pena in cambio della rinuncia a contestare altri aspetti della sentenza. Questa scelta, una volta formalizzata, non può essere rimessa in discussione se non per vizi specifici che attengono alla formazione della volontà (ad esempio, un consenso viziato) o a una pronuncia del giudice difforme dall’accordo. Sollevare in Cassazione questioni di merito, come l’applicabilità di una nuova attenuante non discussa in appello, equivarrebbe a rimettere in gioco l’intero accordo, vanificando la logica e la funzione dell’istituto. La Corte sottolinea che l’imputato ha avuto la possibilità di sollevare la questione normativa sopravvenuta, ma ha scelto di non farlo, preferendo la certezza dell’accordo già raggiunto.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma la centralità delle scelte processuali delle parti. Il concordato in appello è uno strumento efficace per la definizione dei processi, ma richiede una valutazione attenta delle sue conseguenze. Una volta intrapresa questa strada, lo spazio per ulteriori impugnazioni si restringe drasticamente. La decisione evidenzia che la sopravvenienza di norme più favorevoli non riapre automaticamente i termini per la discussione se le parti, avendone la possibilità, scelgono consapevolmente di attenersi all’accordo già pattuito. L’imputato e il suo difensore devono quindi essere pienamente consapevoli che la rinuncia ai motivi di appello è una scelta che preclude, in linea di principio, la possibilità di far valere tali questioni in un successivo giudizio di legittimità.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi molto specifici, come quelli relativi alla formazione della volontà delle parti di accedere all’accordo, al consenso del procuratore generale o a un contenuto della pronuncia del giudice diverso da quanto concordato. Non è possibile sollevare questioni di merito a cui si è rinunciato.

Cosa accade se una nuova norma più favorevole, come un’attenuante, entra in vigore prima dell’udienza di appello in cui si perfeziona il concordato?
Secondo questa sentenza, è onere dell’imputato sollevare la nuova questione durante l’udienza. Se le parti confermano la volontà di procedere con l’accordo originario senza menzionare la nuova norma, si intende che abbiano rinunciato a farla valere, e la questione non potrà essere proposta per la prima volta in Cassazione.

La mancata applicazione di una nuova attenuante rende la pena ‘illegale’?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che una ‘pena illegale’ è una sanzione non prevista dalla legge per tipo o quantità, o basata su una norma dichiarata incostituzionale. L’applicabilità di un’attenuante è una questione di merito e la sua mancata considerazione, a seguito di una scelta processuale come il concordato, non trasforma la pena in una sanzione illegale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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