Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
Il concordato in appello, introdotto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, consentendo alle parti di accordarsi sulla rideterminazione della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 5919/2024) chiarisce in modo netto i limiti all’impugnazione successiva a tale accordo, sottolineando come la scelta del concordato implichi una rinuncia a contestare i punti oggetto dell’intesa.
I Fatti di Causa
Nel caso in esame, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento parziale dell’impugnazione dell’imputato, aveva riqualificato i fatti contestati in un’ipotesi di minore gravità (ex art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) e, su accordo delle parti, aveva rideterminato la pena. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando con un unico motivo un vizio di motivazione proprio riguardo all’entità della pena inflitta, ovvero uno dei punti centrali del concordato stesso.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato: l’accordo sulla pena in appello comporta l’accettazione della stessa e, di conseguenza, la rinuncia a presentare motivi di ricorso che la riguardino. Proporre un ricorso basato su un motivo implicitamente rinunciato rende l’impugnazione priva dei presupposti di legge per poter essere esaminata nel merito.
Le Motivazioni: I Limiti dell’Impugnazione dopo il Concordato in Appello
La sentenza ribadisce che l’ammissibilità del ricorso in cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è circoscritta a ipotesi tassative. Un imputato può validamente ricorrere solo se deduce:
1. Vizi nella formazione della volontà di accedere al concordato.
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero.
3. Contenuto difforme della pronuncia del giudice rispetto all’accordo pattuito.
4. Illegalità della sanzione inflitta (ad esempio, una pena di specie o misura diversa da quella prevista dalla legge o superiore ai limiti massimi).
Nel caso specifico, l’imputato non ha sollevato nessuna di queste questioni. La sua doglianza riguardava la mera entità della pena, un aspetto che, essendo stato oggetto di accordo, non poteva più essere messo in discussione. Come affermato dalla Corte, le lamentele relative a motivi rinunciati o a vizi nella determinazione della pena che non si traducono in una vera e propria illegalità della sanzione sono inammissibili.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La pronuncia in esame ha importanti implicazioni pratiche per la difesa. La scelta di percorrere la strada del concordato in appello deve essere attentamente ponderata. Se da un lato offre il vantaggio di una definizione più rapida del processo e di una pena certa e potenzialmente più mite, dall’altro comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. L’imputato e il suo difensore devono essere pienamente consapevoli che, accettando l’accordo, si preclude la possibilità di contestare in Cassazione la congruità della pena concordata. La porta del giudizio di legittimità rimane aperta solo per vizi genetici dell’accordo o per palesi illegalità della pena, ma non per un ripensamento sulla sua entità.
Dopo un concordato in appello è sempre possibile ricorrere in Cassazione?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammissibile solo per motivi specifici, come vizi nella formazione della volontà di accedere al concordato, dissenso del pubblico ministero, contenuto difforme della pronuncia del giudice rispetto all’accordo o manifesta illegalità della sanzione applicata.
Contestare l’entità della pena concordata è un motivo valido per il ricorso in Cassazione?
No, secondo la sentenza, contestare l’entità della pena che è stata oggetto di accordo non è un motivo valido. L’adesione al concordato implica una rinuncia a tale motivo di doglianza, che viene considerato ‘rinunciato’.
Cosa succede se il ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, stabilita equitativamente dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5919 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5919 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma 1’01/02/2023;
visti gli atti ed esaminato il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
CONSDIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
La Corte di appello di Roma, riqualificati i fatti ai sensi dell’art. 73, comma d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ha rideterminato, ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato deducendo con un unico motivo vizio di motivazione quanto alla entità della pena inflitta.
Il ricorso è inammissibile per essere stato proposto facendo riferimento ad un motivo rinunciato.
In tema di concordato in appello, è ammissibile solo il ricorso in cassazione che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative, come nel caso di specie, ai motivi rinunciati (cfr., sentenza impugnata, pagg. 3- 4), alla mancat valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, vizi attinenti alla determinazione della pena che, come nel caso di specie, non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023.