Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20721 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20721 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 03/02/1978
avverso la sentenza del 29/10/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dai d) av ‘so alleAarti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza emessa in data 29 ottobre 2024 la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza emessa in data 17 novembre 2020 dal Tribunale di Trieste, ha applicato a NOME COGNOME preso atto del concordato raggiunto ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., con rinuncia ai motivi di appello nel merito, la pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ed euro 100.000 di multa per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 12, comma 3, 3-bis e 3-ter lett. b), d.lgs. n. 286/1998 commesso 24 giugno 2019, per avere egli trasportato in Italia, dalla Slovenia, sei cittadini extracomunitari clandestini.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del difensore avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo, con il quale censura l’erronea applicazione della legge penale e processuale e la mancanza, apparenza o contraddittorietà della motivazione in merito alla richiesta di acquisire atti diretti ad accertare gli esiti delle indagini conseguent alla collaborazione prestata dal ricorrente, con conseguente omessa motivazione sulla concedibilità dell’attenuante prevista dall’art. 12, comma 3 quinquies, d.lgs. n. 286/1998, e per avere negato la sostituzione della pena detentiva affermando erroneamente l’ostatività del reato commesso, mentre l’ostatività deriva solo da un accertato collegamento dell’imputato con il crimine organizzato. Infine ha dedotto anche l’erronea applicazione dell’aggravante dell’avere agito a fine di profitto, e l’omessa motivazione sul punto.
Il ricorso deve essere trattato nelle forme “de plano”, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n.103/2017 trattandosi di impugnazione presentata avverso una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. che deve essere dichiarata inammissibile perché proposta in relazione ad un motivo di appello al quale il ricorrente ha esplicitamente GLYPH rinunciato, GLYPH cioè GLYPH la GLYPH concedibilità GLYPH dell’attenuante GLYPH della collaborazione, ed un motivo, relativo alla insussistenza dell’aggravante dell’avere agito per fine di profitto, addirittura mai proposto in sede di appello. Appare opportuno ricordare che questa Corte ha valutato la legittimità costituzionale della norma, concludendo che «In tema di concordato in appello, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. nella parte che prevede la procedura de plano per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi proposti avverso le sentenze pronunciate a norma dell’art. 599-bis, cod. proc. pen., poichè è ragionevole la scelta del legislatore di semplificare le forme definitorie dell’impugnazione
proposta avverso una decisione che accoglie la concorde prospettazione delle parti e perché avverso la decisione di inammissibilità è comunque esperibile il ricorso straordinario previsto dall’art. 625-bis, cod. proc. pen.» (Sez. 2, ord. n. 40139 del 21/06/2018, Rv. 273920).
4. La sentenza di appello, che peraltro ripercorre le ragioni della condanna del ricorrente e motiva l’insussistenza di una forma di collaborazione tale da consentire la concessione dell’attenuante, nonché ricorda che l’imputato stesso ha dichiarato di avere agito per un fine di profitto, ha riferito che l’imputato aveva proposto appello solo sul trattamento sanzionatorio, ma in giudizio ha concordato la quantificazione della pena ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., con rinuncia al motivo di gravame relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione, mentre l’applicazione dell’aggravante dell’avere agito per fine di profitto non risulta neppure essere stata impugnata.
Il motivo di ricorso proposto è quindi inammissibile, in quanto non prospettato al giudice di appello, stante l’intervenuta rinuncia. Secondo il consolidato principio di questa Corte, infatti, «È inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dal nuovo art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso relativo alla valutazione sulla sussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen.)» (Sez. 5, ord. n. 29243 del 04/06/2018, Rv. 273194).
Quale ulteriore applicazione di detto principio, questa Corte ha anche stabilito che «E’ inammissibile il ricorso per cassazione, avverso la sentenza resa all’esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l’accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale» (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Rv. 277196) e che «In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili
le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla
determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quell
prevista dalla legge» (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 27817).
5. E’ inammissibile per manifesta infondatezza, infine, anche il motivo di ricorso relativo alla omessa sostituzione della pena con la misura della
detenzione domiciliare: l’ostatività alla sostituzione della pena detentiva, nel caso di condanna per il delitto di cui all’art. 12, commi 1 e 3, d.lgs. n. 286/1998,
è stabilita in modo esplicito dall’art. 59, comma 1, lett. d), legge n. 689/1981, mediante il richiamo all’art.
4-bis legge n. 354/1975, che elenca i reati ostativi
senza alcun richiamo al collegamento con il crimine organizzato. L’unica ipotesi di superamento dell’ostatività è individuata nella collaborazione, che nel caso del
ricorrente è stata ritenuta insussistente. E’ appena il caso di sottolineare che la pronuncia di questa Corte richiamata nel ricorso è del tutto inconferente,
essendo relativa alle misure cautelari e a reati diversi da quello qui contestato.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 08 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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