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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione si pronuncia sui limiti di impugnazione di una sentenza dopo un concordato in appello. Tre ricorrenti, che avevano concordato una riduzione della pena in appello, hanno visto i loro ricorsi dichiarati inammissibili perché le doglianze non rientravano nei casi consentiti, come l’illegalità della pena. La Corte ha ribadito che l’accordo preclude la possibilità di lamentare una mancata riduzione della pena pecuniaria. Il ricorso del quarto imputato, che non aveva aderito al concordato, è stato invece rigettato nel merito.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

Il concordato in appello, noto anche come patteggiamento in appello, è uno strumento processuale che consente di definire il giudizio di secondo grado con un accordo sulla pena. Ma cosa succede dopo? È ancora possibile impugnare la sentenza davanti alla Corte di Cassazione? Una recente pronuncia chiarisce i rigidi limiti a questa possibilità, dichiarando inammissibili i ricorsi che non rientrano nelle specifiche ipotesi previste dalla legge.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un vasto procedimento penale per reati in materia di stupefacenti. Il Tribunale di primo grado aveva condannato quattro imputati a diverse pene detentive e pecuniarie. In particolare, un imputato era stato condannato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e altri reati fine, mentre gli altri tre per singoli episodi di spaccio, alcuni dei quali aggravati.

Avverso la sentenza di primo grado, gli imputati proponevano appello. La Corte di appello, in parziale riforma della prima decisione, rideterminava la pena per tre dei quattro imputati sulla base di un accordo raggiunto tra le parti (il concordato in appello). Per il quarto imputato, invece, la sentenza di condanna veniva integralmente confermata.

Il concordato in appello e i motivi del Ricorso in Cassazione

Nonostante l’accordo raggiunto, i tre imputati che avevano beneficiato del concordato in appello decidevano comunque di presentare ricorso per Cassazione. Le loro lamentele (o doglianze) si concentravano sul trattamento sanzionatorio. Uno contestava in modo generico la pena, mentre gli altri due evidenziavano come l’accordo avesse portato a una riduzione della sola pena detentiva (la reclusione), lasciando invariata la pena pecuniaria (la multa) inflitta in primo grado. Sostanzialmente, lamentavano che la riduzione non fosse stata completa.

Il quarto imputato, che non aveva aderito ad alcun accordo, presentava a sua volta ricorso, contestando sia la sua colpevolezza sia l’eccessività della pena, il diniego delle attenuanti generiche e l’applicazione della recidiva.

La distinzione cruciale tra i ricorsi

La Corte di Cassazione si è trovata quindi a dover valutare due tipologie di ricorsi molto diverse:
1. Quelli proposti dopo un concordato in appello, soggetti a limiti di ammissibilità molto stringenti.
2. Quello ordinario, basato su vizi di motivazione e violazione di legge.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente le posizioni, giungendo a conclusioni differenti.

L’inammissibilità dei ricorsi post-concordato

Per i tre ricorrenti che avevano patteggiato in appello, la Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. I giudici hanno richiamato il principio consolidato secondo cui, dopo un concordato in appello ex art. 599-bis c.p.p., il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per motivi specifici, quali:

* Vizi nella formazione della volontà di accedere al concordato.
* Mancanza del consenso del pubblico ministero.
* Contenuto della sentenza difforme dall’accordo.
* Illegalità della pena applicata (ad esempio, una pena non prevista dalla legge o superiore ai limiti massimi).

Nel caso di specie, le lamentele non rientravano in nessuna di queste categorie. Contestare la mancata riduzione della pena pecuniaria non equivale a denunciare un'”illegalità della pena”. L’accordo, come recepito dalla Corte di appello, riguardava unicamente la pena detentiva. La pena pecuniaria, sebbene non ridotta, era comunque legale e prevista dalla legge. Pertanto, accettando il concordato, gli imputati avevano di fatto rinunciato a contestare quel punto della sentenza. I loro ricorsi sono stati quindi dichiarati inammissibili, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.

Il rigetto del ricorso ordinario

Per il quarto ricorrente, la Corte ha esaminato il merito delle censure, rigettando il ricorso in quanto infondato. I giudici hanno ritenuto che le sentenze di primo e secondo grado avessero adeguatamente motivato la colpevolezza dell’imputato, basandosi su intercettazioni, dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e altri elementi probatori che, letti insieme, fornivano un quadro accusatorio solido e coerente.

Anche le doglianze sulla pena sono state respinte. La Corte ha ritenuto corretta l’applicazione della recidiva, valorizzando i precedenti penali specifici dell’imputato. Allo stesso modo, il diniego delle attenuanti generiche è stato giudicato legittimo, in considerazione della gravità dei fatti e della personalità dell’imputato.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un punto fondamentale della procedura penale: la scelta di accedere a un concordato in appello comporta una sostanziale rinuncia alla possibilità di contestare la pena concordata in Cassazione. Le uniche porte che restano aperte sono quelle, molto strette, relative a vizi del consenso o a palesi illegalità della sanzione. Chi si accorda sulla pena non può poi lamentarsi in sede di legittimità se la riduzione non è stata quella sperata o non ha coinvolto tutte le componenti della sanzione. La decisione della Cassazione serve da monito: il concordato è un accordo che chiude la partita sulla pena, salvo vizi eccezionali.

Dopo un “concordato in appello” è sempre possibile fare ricorso in Cassazione?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici, come vizi nella formazione della volontà, dissenso del PM, difformità della sentenza rispetto all’accordo o illegalità della pena. Non è possibile contestare l’entità della pena concordata.

Se il “concordato in appello” riduce solo la pena detentiva ma non quella pecuniaria, si può fare ricorso?
No. Secondo la sentenza, se l’accordo tra le parti, recepito dal giudice, prevedeva la riduzione della sola pena detentiva, la mancata diminuzione di quella pecuniaria non costituisce un motivo ammissibile di ricorso, in quanto non si tratta di una “pena illegale”.

Cosa ha valutato la Corte nel ricorso dell’imputato che non ha aderito al concordato?
Per l’imputato che non ha patteggiato, la Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso nel merito. Ha verificato la logicità e la coerenza della motivazione delle sentenze di primo e secondo grado sia sulla colpevolezza, sia sulla determinazione della pena, rigettando le censure perché ritenute infondate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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