Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26899 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26899 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME COGNOME nato a Bari il 17-08-1980, NOME COGNOME NOMECOGNOME nato in Spagna il 11-04-1964, NOMECOGNOME nato a Milano il 10-11-1961, NOME COGNOME nato a Brindisi il 06-10-1966, avverso la sentenza del 29-05-2024 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, relativamente alle posizioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per la rideterminazione della pena pecuniaria, e per l’ inammissibilità dei ricorsi di COGNOME e di Vindice.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 marzo 2023, il G.U.P. del Tribunale di Bari, nell’ambito di un articolato procedimento penale a carico di una pluralità di imputati, affermava, per quanto in questa sede rileva, la responsabilità penale degli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto ritenuti colpevoli di una pluralità di reati in materia di stupefacenti. In particolare, COGNOME, rispetto al reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo A) e a 9 reati fine (capi C, G, H, I, L, M, N, O e Q), veniva condannato alla pena di anni 11 e giorni 20 di reclusione; NOME COGNOME rispetto al reato di cui agli art. 73, comma 4, e 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo G), veniva condannato alla pena di anni 3, mesi 4 di reclusione ed euro 20.000 di multa; NOME COGNOME rispetto al reato di cui agli art. 73, comma 4, e 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo G), veniva condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 20.000 di multa; NOME COGNOME rispetto al reato di cui a ll’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo Q), veniva condannato alla pena di anni 2, mesi 6 di reclusione ed euro 3.333 di multa; i fatti di causa risultano commessi in Italia, a Bari e in vari Comuni della sua Provincia, in Spagna, Portogallo e Marocco, dal settembre 2014 in poi.
Con sentenza del 29 maggio 2024, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, su concorde richiesta delle parti. rideterminava le pene inflitte agli imputati COGNOME, COGNOME e NOME nella seguente misura: anni 9, mesi 6 di reclusione per COGNOME, anni 3, mesi 4 di reclusione ed euro 20.000 di multa per NOME e anni 2, mesi 10 di reclusione ed euro 20.000 di multa per NOME. La decisione del G.U.P. veniva invece confermata rispetto alla posizione dell ‘ imputato COGNOME
Avverso la sentenza della Corte di appello pugliese, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. COGNOME ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa deduce l’inosservanza dell’art. 133 cod. pen. , censurando il trattamento sanzionatorio.
2.2. COGNOME ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa censura la rideterminazione della pena pecuniaria, rilevando che la stessa, nonostante il concordato in appello, è rimasta immutata rispetto a quella inflitta dal primo giudice, ciò in quanto la Corte di appello è erroneamente partita da una pena (45.000 euro) più elevata di quella (30.000 euro) da cui era partito il G.U.P.
2.3. Silva ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa contesta la rideterminazione della pena pecuniaria, rilevando che la stessa, nonostante il
concordato in appello, è rimasta invariata rispetto a quella inflitta dal primo giudice, non avendo la Corte di appello apportato alcuna riduzione.
2.4. Vindice ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione, la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto al delitto di cui al capo Q), non essendosi la Corte territoriale confrontata con i rilievi difensivi, con i quali, in primo luogo, era stat a censurata l’identificazione di NOME, essendosi evidenziato che l’interlocutore delle conversazioni intercettate l’8 febbraio 2016 nell’auto di Brandonisio, ben poteva essere una persona diversa dal ricorrente, essendo quello d ell’identificazione rimasto un tema inesplorato dal primo giudice, tema che poi la Corte di appello non è riuscita ad approfondire in modo adeguato, essendo insufficiente in tal senso il mero richiamo alla scheda personale di Vindice. Ancora, quanto alla chiamata in reità di COGNOME, i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto conto delle doglianze in punto di credibilità del dichiarante, a ciò aggiungendosi che è rimasto ignoto il soggetto al quale l’imputato, secondo la contestazione, avrebbe dovuto far provare il campione di droga ricevuto, non essendo peraltro provato, in assenza di indagini tossicologiche sulla sostanza, che il campione di cui si discute avesse un’effettiva capacità drogante .
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, censuran do la difesa l’eccessività della pena, il diniego delle attenuanti generiche e l ‘applicazione della recidiva, non avendo i giudici di merito considerato l’entità effettiva della vicenda, consistita nell’acquisto di un campione di droga leggera .
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di COGNOME e COGNOME sono inammissibili, mentre il ricorso di Vindice è infondato.
Iniziando dai ricorsi di COGNOME COGNOME e COGNOME occorre premettere che costoro hanno definito la loro posizione mediante concordato in appello, per cui per essi vale il principio più volte affermato da questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 278170 e Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Rv. 276102), secondo cui, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599 bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si
siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali o diversa da quella prevista dalla legge.
1.1. Tanto premesso, deve rilevarsi che le doglianze difensive non rientrano tra quelle ammesse in questa sede. Ed invero, COGNOME ha sollevato censure del tutto generiche in punto di pena, che è stata ridotta dalla Corte territoriale da anni 11 e giorni 20 di reclusione a 9 anni e 6 mesi in conformità dell ‘ accordo delle parti, mentre NOME e NOME contestano il fatto che, all ‘ esito del concordato, è stata ridotta la sola pena detentiva, mentre la pena pecuniaria è rimasta invariata: anche in tal caso, tuttavia, non è ravvisabile alcuna criticità, posto che la pena pecuniaria, per entrambi i ricorrenti, non è stata ridotta semplicemente perché l ‘ accordo delle parti recepito dalla Corte di appello incideva sulla rideterminazione della sola pena detentiva, senza prevedere invece alcuna diminuzione della pena pecuniaria, fissata dal primo giudice, sia per NOME che per COGNOME, in 20.000 euro di multa, senza che al riguardo siano ravvisabili profili di illegalità della pena.
1.2. Ne consegue che i ricorsi di COGNOME COGNOME e COGNOME devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che ciascuno dei predetti ricorrenti versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Passando al ricorso di Vindice, se ne deve rimarcare l’ infondatezza.
2.1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che la conferma da parte della Corte territoriale del giudizio di colpevolezza dell’imputat o in ordine al reato a lui ascritto al capo Q non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi per formare un corpus motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa (cfr. pag. 91-93 e 5-13 della sentenza di primo grado e pag. 33-34 della decisione di appello), valorizzando in particolare le conversazioni intercettate l ‘ 8 febbraio 2016, dalle quali si evince che NOME COGNOME, figura verticistica di un ‘ associazione finalizzata al compimento di reati in materia di stupefacenti, cedeva un campione di stupefacente, nel contesto di una pluralità di operazioni volte al reperimento di ingenti quantitativi di droga, a NOME COGNOME (soprannominato ‘ Teddy ‘ ), soggetto a sua volta già condannato in via definitiva per vari reati, anche specifici, e indicato dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME quale persona vicina a Brandonisio e quale acquirente di ingenti quantitativi di droga di tipo hashish, da smerciare nel mercato brindisino, risultando la credibilità di COGNOME già positivamente accertata per fatti analoghi (capo M).
Nel confrontarsi con le obiezioni della difesa e nell ‘ integrare in parte qua la motivazione della sentenza del G.U.P., i giudici di appello hanno inoltre evidenziato che l ‘ identificazione in Vindice dell ‘ interlocutore di COGNOME si evince dalla correlazione logica di tre conversazioni intercettate contenenti chiari riferimenti al ricorrente, ossia quelle del 27 settembre 2014 (progr. 23), del 24 aprile 2015 (progr. 3316) e dell ‘ 8 febbraio 2016 (progr. 6232): in quest ‘ ultima conversazione, in particolare, si è ascoltata, oltre la voce di COGNOME, quella di un soggetto con accento brindisino chiamato ‘ Teddy ‘ , che era il soprannome di NOME COGNOME.
Dal dialogo monitorato si desume inoltre che ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ vendeva carciofi all ‘ ingrosso, circostanza questa coerente con il fatto che il padre di NOME è risultato titolare di una ditta individuale con sede in Brindisi che esercitava la coltivazione di ortaggi.
2.2. Orbene, in quanto scaturita da una disamina non irrazionale degli elementi probatori disponibili , la valutazione dei giudici di merito circa l’ascrivibilità a Vindice della condotta illecita contestata al capo Q resiste alle censure difensive, che si articolano, anche rispetto alla spiegazione del significato attribuito ai dialoghi intercettati, nella sostanziale proposta di una rilettura alternativa (e invero frammentaria) delle fonti dimostrative acquisite, operazione questa che tuttavia non è consentita in sede di legittimità, essendo consolidata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, come quello in esame, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza dell e doglianze difensive in punto di responsabilità.
2.3. La medesima conclusione si impone anche rispetto al secondo motivo, avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento all ‘applicazione della recidiva e al diniego delle a ttenuanti generiche.
Quanto alla recidiva , occorre richiamare l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419), secondo cui, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un ‘ accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell ‘ esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull ‘ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all ‘ art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa
condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice . Nel caso di specie, tale valutazione può ritenersi adeguatamente compiuta dalla Corte territoriale che, nel confermare l ‘ applicazione della recidiva, ha valorizzato, in maniera pertinente (pag. 34 della sentenza gravata), le risultanze del certificato penale d ell’imputato , il quale annovera a suo carico due condanne, poi poste in continuazione tra loro, aventi ad oggetto due partecipazioni ad associazioni di tipo mafioso, che consentono di riconoscere in capo a Vindice una predisposizione al crimine anche in forma associata, confermata invero anche dalle dichiarazioni di COGNOME circa il suo agire illecito continuativo anche in epoche più recenti. Con tali argomentazioni, tutt’altro che illogiche, il ricorso non si confronta adeguatamente, per cui non vi è spazio per accogliere le obiezioni difensive.
2.3.1. Anche il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche appare immune da censure. In proposito, occorre innanzitutto richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 e Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826), secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 1 33 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione . È stato altresì precisato (cfr. Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 -02) che, al fine di ritenere o escludere le attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’ art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’ entità del reato e alle modalità di esecu zione di esso può risultare all’ uopo sufficiente.
In applicazione di tale premessa ermeneutica, deve escludersi che la motivazione della sentenza impugnata sul diniego delle attenuanti generiche (e sulla mancata riduzione della pena) presenti profili critici, avendo in tal senso la Corte territoriale ragionevolmente rimarcato non solo i precedenti penali dell ‘imputato, ma anche la gravità del fatto, consistito nell ‘ acquisto di un campione di sostanza stupefacente, quale preludio all ‘ acquisizione di un quantitativo sicuramente ingente, atteso che l ‘ associazione di Brandonisio trattava quantitativi di centinaia di chili per volta, per cui l ‘ episodio per cui si procede, per se qualificato ai sensi dell ‘ art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, non poteva essere in sé ritenuto di minima rilevanza. Orbene, in presenza di un apparato argomentativo sorretto da considerazioni non illogiche, le censure difensive non possono trovare accoglimento, in quanto volte anche in tal caso a introdurre differenti apprezzamenti di merito che, come si è già evidenziato, esulano dal perimetro del giudizio di legittimità.
2.4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse d i Vindice deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME NOME e NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29.04.2025