Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10004 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10004 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, COGNOME che ha concluso
Casesa NOME COGNOME nato a CATANIA il 10/03/1983 COGNOME NOME nato a CATANIA il 31/07/1958 COGNOME NOME nato a CATANIA il 24/07/1986 COGNOME NOME nato a CATANIA il 04/06/1975 avverso la sentenza del 30/11/2023 della Corte d’appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiedendo la declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 2 dicembre 2021, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, per quanto qui d’interesse, ha emesso nei riguardi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME le seguenti statuizioni processuali in esito a giudizio abbreviato.
1.1. NOME COGNOME Ł stato riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 110, 629 cod. pen, contestati ai capi 3) e 4) della rubrica, rispettivamente perpetrati ai danni di NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME ed, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3 n. 1), ritenuto il vincolo della continuazione con la sentenza della Corte di appello di Catania in data 22 giugno 2020, irrevocabile il 6 novembre 2020, Ł stato condannato alla pena di otto anni, due mesi e venti giorni di reclusione ed euro 5.111,00 di multa.
1.2. NOME COGNOME Ł stato giudicato colpevole del reato di cui all’art. 416bis, secondo comma, cod. pen, contestato al capo 1), per avere organizzato e diretto il gruppo di “Mascalucia”, articolazione dell’associazione criminale cosa nostra, clan Santapaola-Ercolano,e condannato alla pena di sedici anni e otto mesi di reclusione.
1.3. NOME COGNOME Ł stato giudicato colpevole del reato di cui all’art. 416bis, per avere
partecipato al suindicato gruppo di “RAGIONE_SOCIALE” contestato al capo 1), dei reati di cui agli artt. 110, 629 cod. pen, contestati ai capi 3), 8) e 13) della rubrica, rispettivamente perpetrati ai danni di NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME, di NOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME nonchØ del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo 20), e, ritenuta la continuazione con i reati giudicati con la sentenza della Corte di appello di Catania in data 9 aprile 2021, irrevocabile il 23 settembre 2021, condannato alla pena di anni di diciassette anni e otto mesi reclusione.
1.4. NOME COGNOME Ł stato riconosciuto responsabile del medesimo reato associativo ascrittogli al capo 1), del reato di cui agli artt. 110, 629 cod. pen, contestato al capo 20) ai danni di NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME nonchØ del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, contestato al capo 20), e condannato alla pena di undici anni di reclusione.
La Corte di appello di Catania, con la sentenza in preambolo, in parziale riforma di quella di primo grado, per ciò che qui interessa, ha:
ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., riconosciuto a NOME COGNOME le circostanze attenuati generiche, valutate equivalenti alle aggravanti diverse dal quella cd. mafiosa e rideterminato la pena inflitta in dieci anni di reclusione ed euro 2.500,00 di multa;
ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., riconosciuto a NOME COGNOME le circostanze attenuati generiche, valutate prevalenti sulla recidiva e rideterminato la pena inflitta in quattro anni, sei mesi di reclusione ed euro 3.700,00 di multa.
Ha confermato la sentenza di primo grado quanto a Casesa e NOME COGNOME.
Le sentenze appena indicate si fondano su quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, a seguito d’indagini tecniche (intercettazioni telefoniche, ambientali e di videosorveglianza), il cui esito Ł stato ritenuto riscontrato dai servizi di osservazione eseguiti dalle Forze dell’Ordine nell’area geografica nella quale si svolgevano le condotte delittuose oggetto di contestazione.
3.1. Nelle sentenze di merito si evidenzia in premessa che la consorteria mafiosa, così come prefigurata al capo 1), era esistente e si era progressivamente affermata sul territorio, come attestato dalle operazioni di polizia che avevano portato all’arresto di numerosi esponenti della criminalità organizzata locale, appartenenti a gruppi criminali rivali, da cui avevano tratto origine numerosi processi definiti con sentenze irrevocabili, acquisite in atti. Si valorizzano, in particolare, le sentenze nelle quali era esitato il procedimento iscritto al n. 16623 del 2010 R.g.n.r. nell’ambito del quale erano stati condannati, tra gli altri, NOME COGNOME e NOME COGNOME e altri provvedimenti definitivi, in virtø dei quali si Ł ritenuta definitivamente accertata l’esistenza di un gruppo di “Mascalucia”, quale articolazione territoriale del clan COGNOME-Ercolano, storicamente riferito alla figura di NOME COGNOME, e l’appartenenza a detto gruppo, sino ad aprile 2010, di NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME.
Detto patrimonio conoscitivo si Ł ritenuto arricchito grazie alle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di numerosi collaboratori di giustizia, alcuni dei quali, forti della loro appartenenza in seno allo stesso gruppo di Mascalucia (NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) hanno di ricostruire gli scenari criminali e le dinamiche associative all’interno dei quali gli imputati si muovevano nel contesto mafioso in esame.
In questa cornice, si Ł ritenuta accertata l’esistenza del sodalizio operante con le modalità descritte al capi 1) e l’attualità del ruolo verticistico svolto da NOME COGNOME, sebbene ristretto in carcere, per il tramite del figlio NOME.
3.2. Sul punto della partecipazione, con ruolo direttivo, di NOME COGNOME sono, in primo luogo,
valorizzate alcune conversazioni intercettate durante i colloqui in carcere con i famigliari e, tra queste, quella nella quale NOME, nel parlare con il padre, gli rende merito del fatto che «tu le gambe le spezzavi così… le spezzi tuttora», ovvero quella intercorsa, tra gli stessi interlocutori, il 5 ottobre 2017, in occasione della quale NOME riferisce che il sodale COGNOME «parla troppo al telefono e in macchina», mettendoli in pericolo, che «Ł in debito con alcune persone» e che «NOME era stato costretto ad intervenire per risolvere la questione, che accumula debiti spendendo il nome dei Puglisi e che pretende comunque di ricevere 5.000,00 euro al mese, senza fare nulla».
Sono richiamate, inoltre, le conversazioni collegate alla vicenda dell’estorsione consumata ai danni delle farmacie della famiglia COGNOME, in occasione delle quali NOME e NOME COGNOME lamentano che COGNOME si Ł appropriato della somma di denaro provento dell’estorsione, sottraendola alla destinazione del mantenimento dei sodali detenuti. COGNOME NOME, portato a conoscenza di detta condotta, in occasione del colloquio del 14 dicembre 2017, ne chiede direttamente conto a COGNOME che si giustificava affermando che del prelievo erano stati informati sodali; affermazione immediatamente smentita da NOME COGNOME, moglie di COGNOME, pure presente al colloquio. Emblematica Ł ritenuta l’affermazione del ricorrente che, nel prosieguo della conversazione con COGNOME, quando questi cerca di minimizzare la questione dei dissidi con salvatore, affermando che si tratta di “piccolezze”, lo contraddice, affermando di essere lui l’unico che «deve valutare la situazione».
Il ruolo di capo Ł inoltre inferito dall’ordine impartito, per il tramite di NOME, a tutti i sodali dopo che si erano creati dei problemi con i titolari di un bar, che dovevano pagare le consumazioni.
Infine sono poste in risalto le evidenti preoccupazioni di COGNOME, espresse nelle conversazioni del 29 giugno 2017 e del 14 dicembre 2017, riguardo alle rivelazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che, afferma, «devono rimanere una mollichina, che deve poi scomparire».
3.3. Quanto all’estorsione contestata al capo 4) di cui Ł stato ritenuto responsabile NOME COGNOME COGNOME secondo la sovrapponibile ricostruzione dei giudici di merito, essa si Ł ritenuta realizzata, proprio nel territorio di Mascalucia, allorquando NOME COGNOME, nel novembre 2017, si era presentato presso il bar INDIRIZZO, di NOME COGNOME che conosceva da tempo, per chiederle conto del rifiuto dell’offerta di suo cugino COGNOME e di sua moglie, NOME COGNOME, di rifornire in modo continuativo di uova l’esercizio commerciale. La persona offesa, che aveva rifiutato l’offerta, posta a conoscenza da COGNOME del suo rapporto di parentela con COGNOME e affatto consapevole della caratura criminale del primo, ha riferito di essersi sentita costretta ad accettare la proposta, così come piø tardi era stata costretta ad accettare la consegna di un prodotto di minor qualità, nonostante l’aumento del prezzo del prodotto stesso.
A conferma del fatto che il rapporto commerciale così instauratosi fosse il frutto di attività di costrizione, Ł stata valorizzata l’affermazione di NOME COGNOME in seguito a un episodio occorso successivamente, quando NOME COGNOME, che si occupava della consegna del prodotto, si era sentita offesa dal comportamento del compagno di NOME che, alla presenza di alcuni avventori, le aveva chiesto di visionare il prodotto, facendole aprile le scatole delle uova. A fronte di tale onta, la donna si era rivolta a NOME COGNOME il quale, aveva commentato «gli faccio chiudere il bar».
Conclusivamente, i giudici di merito – ritenuto di non poter aderire, siccome smentita dalle risultanze processuali, alla ricostruzione alternativa di Casesa, secondo cui il rapporto commerciale instauratosi era del tutto lecito, essendosi egli rivolto a Puglisi affinchØ intercedesse presso Artino per la vendita delle uova in virtø della loro pregressa conoscenza e non già per esercitare alcuna pressione psicologica – hanno ritenuto che la condotta contestata integrasse un’ipotesi di scuola di minaccia implicita, laddove il metus non derivava da una esplicita costrizione, bensì dalla coartazione derivante dall’appartenenza dei soggetti agenti alla criminalità organizzata.
Avverso la sentenza di secondo grado, ricorrono i suindicati imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, sviluppando, ciascuno, i motivi che si enunciano di seguito nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME deduce due motivi di ricorso.
5.1. Con il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del delitto di estorsione di cui al capo 4).
Il ricorrente avversa la ricostruzione dei giudici di merito, proponendo la fondatezza della tesi alternativa, secondo la quale egli – dopo essersi presentato ad Artino come mero rappresentante di uova e avendole fatto una proposta commerciale che non aveva incontrato il favore della donna, sapendo che NOME COGNOME, suo cugino, la conosceva da diversi anni, si era rivolto a quest’ultimo affinchØ intercedesse in suo favore. Era quindi stato rassicurato, dopo qualche giorno, che COGNOME aveva parlato con NOMECOGNOME con cui si era dunque instaurato un rapporto commerciale di cui si occupava sua moglie.
Si rimarca l’assenza, in detta condotta, di qualsiasi forma di costrizione, esplicita ovvero implicita, e si lamenta che il Giudice di appello avrebbe trascurato la prova dell’assenza di qualsivoglia costrizione, costituita dall’episodio, cristallizzato nelle conversazioni intercettate, che riguardava il comportamento serbato dal compagno della titolare del bar che, addirittura con fare arrogante, aveva costretto NOME COGNOME ad aprire le scatole per controllare il prodotto alla presenza di alcuni avventori. Il ricorrente evidenzia come sia stata del tutto trascurata la frase pronunciata da NOME COGNOME il quale, parlando di tale questione e del comportamento serbato dal marito dell’COGNOME, afferma «attenzione… se no dici, NOME per favore non me ne portare piø, questo Ł un altro discorso, non Ł che davanti alle persone», chiaramente sintomatica del fatto che non vi fosse alcuna minaccia e, anzi, la prova che i titolari del bar potevano serenamente sottrarsi al rapporto commerciale, chiedendo alla Mazzaglia di non portare piø il prodotto.
Il ricorrente denuncia l’incompleta valutazione del narrato della persona offesa, poichØ nella sentenza oggetto di ricorso non si fa alcun riferimento al verbale delle dichiarazioni testimoniali rese da costei nel parallelo processo, svoltosi con giudizio ordinario, a carico di COGNOME; omissione che avrebbe pregiudicato irrimediabilmente la valutazione della parola della persona offesa.
Infine, si censura il percorso argomentativo della Corte di appello che avrebbe dato per scontato che la parte offesa, dopo l’intervento di COGNOME, aveva accettato la fornitura della merce a causa della caratura criminale di questi, mentre tale circostanza avrebbe dovuto essere oggetto di accurata motivazione.
5.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 81 cod. pen. e il vizio di motivazione, in punto di ritenuta esclusione della continuazione dei fatti giudicati nel presente procedimento con quelli oggetto di ulteriore pronuncia definitiva, per violazione del giudicato.
La Corte di appello, nel respingere la richiesta, non avrebbe tenuto in adeguata considerazione il provvedimento con cui il Giudice dell’esecuzione, in data 31 marzo 2022, aveva già riconosciuto la sussistenza del vincolo della continuazione tra la sentenza della Corte di appello di Catania del 22 giugno 2020, irrevocabile il 6 novembre 2020 e quella della Corte di appello di Catania del 10 novembre 2016, irrevocabile il 26 marzo 2017.
Ricorre altresì NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME e deduce un unico motivo con il quale denuncia la violazione dell’articolo 416bis cod. pen., art. 192 e 125 cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione, in punto di ritenuta sussistenza della
partecipazione attuale del ricorrente al sodalizio mafioso con il ruolo di vertice.
Il ricorrente avversa l’utilità probatoria, su tale tema, delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e richiama la giurisprudenza di legittimità che ritiene insufficiente, a tali fini, una generica dichiarazione di appartenenza al sodalizio da parte dei collaboratori di giustizia e persino il dato dell’avvenuta affiliazione, ove a essi non si accompagni l’indicazione di altri fatti rivelatori di una stabile adesione del soggetto all’associazione.
Giusta la tesi del ricorrente, detti elementi non potrebbero in alcun modo essere rinvenuti nelle conversazioni captate tra NOME COGNOME e i suoi famigliari, il cui contenuto sarebbe, infatti, riconducibile nell’alveo di comunicazioni familiari, nelle quali il ricorrente assume il ruolo di capofamiglia e non quello di capo del sodalizio criminale.
Ciò, in particolare, emergerebbe dalle conversazioni in cui COGNOME chiede insistentemente al figlio di rivelargli il motivo del dissenso con il cugino, dovendo egli valutare la situazione, o allorquando manifesta le preoccupazioni per le rivelazioni dei collaboratori di giustizia, auspicando che le stesse rimangano nel nulla e, soprattutto, quelle in cui egli si raccomanda che vengano pagate tutte le consumazioni presso il bar dove erano soliti recarsi. Secondo il ricorrente, dunque, la mera comunicazione di circostanze riguardanti i familiari non varrebbe a dare conto di un ruolo attuale, per giunta apicale, del destinatario nell’organizzazione criminale.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME e lamenta la violazione degli artt. 111, commi 2, 4 e 6, Cost. e 25 Cost., sotto il triplice profilo del diritto dell’imputato ad avere un giudice imparziale, ad un accertamento dei fatti nel contraddittorio, infine dell’obbligo di motivazione.
La difesa, dopo alcune considerazioni di ordine generale su tali punti,lamenta che con l’appello aveva argomentato la ragionevolezza della concessione delle circostanze attenuanti generiche, il cui diniego Ł stato liquidato dalla Corte di appello con motivazione apparente.
Infine, ricorre NOME COGNOME e denuncia la violazione degli art. 129 cod. proc. pen e 133 cod. pen.
La sentenza avrebbe trascurato di motivare il mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. con riferimento a tutti i reati per i quali Ł intervenuta condanna, ed omesso di indicare i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. sulla scorta dei quali ha ritenuto congrua la pena concordata tra le parti.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME intervenuta con requisitoria scritta depositata in data 8 novembre 2024, ha prospettato la declaratoria d’inammissibilità di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME non superano il vaglio di ammissibilità e, segnatamente, quello di NOME COGNOME perchØ a-specifico, imperniato su doglianze sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte, vagliate e disattese dai giudici del merito ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede; i Ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME perchŁ basati su motivi non deducibili a fronte del concordatodi pena.
Il Ricorso di NOME COGNOME deduce censure in parte infondate, in parte inammissibili e dev’essere, pertanto, complessivamente rigettato.
Muovendo dal ricorso di Casesa, quanto al primo motivo, contrariamente all’assunto del ricorrente, la Corte di appello ha svolto puntuali considerazioni, anche attraverso il richiamo alla sentenza di primo grado, sulla riconducibilità della condotta dell’imputato nell’alveo del reato di estorsione, contestata al capo 4).
1.1. Il giudice di secondo grado, con motivazione non manifestamente illogica, ha valorizzato le dichiarazioni della stessa persona offesa, ponendo l’accento sull’assoluta evidenza del fatto che, pur in assenza di minacce esplicite, la scelta della titolare del bar di acconsentire alla proposta di fornitura di uova da parte dell’imputato e di sua moglie, trovasse quale unica ragione giustificativa la ben nota caratura criminale di NOME COGNOME: NOME COGNOME infatti, non ha affermato di essere stata indotta alla scelta dalla semplice conoscenza che la legava a Puglisi, bensì di essersi sentita costretta ad accettare una proposta fino a quel momento respinta, conoscendo l’appartenenza dell’uomo al sodalizio mafioso operante nel territorio.
Di tanto la Corte di appello ha, poi, tratto logica conferma dal duplice dato che la proposta, dapprima rifiutata, era stata accettata solo a seguito dell’interessamento di NOME COGNOME e che, in seguito, quando le condizioni economiche di quel rapporto contrattuale erano divenute svantaggiose per NOME, a causa dell’aumento del prezzo del prodotto cui era invece corrisposto un calo di qualità del prodotto, la donna si era ben guardata dall’interrompere il rapporto con COGNOME e sua moglie.
A tanto va, poi, aggiunto il sintomatico incipit della vicenda, plasticamente descritto dal Giudice di primo grado (p. 156), per come inferito dalle indagini tecniche, secondo cui la moglie di COGNOME, ben prima della “proposta commerciale” di questi ad Artino, si era già rivolta a NOME COGNOME affinchØ la aiutasse a “incrementare” la sua attività. Nella conversazione richiamata dalla sentenza di primo grado i due fanno espresso riferimento al bar Ottagono (di Artino) e COGNOME, a fronte della richiesta di COGNOME non si limita a dichiararsi disponibile a reperirle nuovi clienti, ma afferma che i nuovi clienti avrebbero accettato l’accordo ancor prima di conoscere le condizioni economiche (« ci ricu, pigghiativi l’ova, poi si pensa »).
NØ a diversa conclusione può addivenirsi sulla scorta della frase, immotivatamente enfatizzata nel ricorso pronunciata da COGNOME in merito al comportamento del marito di NOME ritenuto irrispettoso da COGNOME («attenzione … se no gli dici NOME per favore non portare piø … questo Ł un latro discorso non Ł che davanti alle persone …»)che, secondo la difesa, sarebbe sintomatica della piena libertà commerciale di NOME.
In disparte la corretta considerazione svolta dal Giudice di appello sull’irrilevanza di tale affermazione, perchØ proferita successivamente al momento di consumazione dell’estorsione (ossia al momento dell’imposizione dell’accordo da parte di Puglisi ad Artino, in occasione della visita di quest’ultimo alla prima), osserva il Collegio come la frase debba essere inserita nell’intero contesto del dialogo, riportato nella sentenza di primo grado: Puglisi e Stasi stanno commentando quanto accaduto presso il bar COGNOME, allorquando il compagno di NOME aveva chiesto a COGNOME di poter controllare il prodotto. COGNOME, nel replicare a COGNOME (che afferma che il compagno di NOME Ł uno «caratteriale» e che lo deve lasciar perdere, che «non lo deve considerare»), afferma «io in ogni cosa ci devo mettere la malavita» e, subito dopo, pronuncia la frase riportata parzialmente nel ricorso, che difatti prosegue dapprima riportando le parole del compagno di NOME («un attimo, prima devo guardare»), per poi aggiungere « che spacchiu guardi, (…) che spacchio vuoi, non ci sugare la minchia ». SicchØ la lettura dell’intera conversazione rende evidente il significato del commento di COGNOME, ossia che COGNOME e il compagno non erano nelle condizioni d’incidere sul rapporto commerciale, che Ł in direzione esattamente contraria a quella prospettata dal ricorrente.
Quanto alle dichiarazioni testimoniali che NOME ha svolto nel parallelo processo nei suoi
riguardi, acquisite nel presente procedimento, osserva il Collegio che Ł assunto indimostrato che la Corte di appello – che effettivamente non vi ha fatto espresso riferimento – non le abbia valutate, poichØ la stessa ha riassunto le dichiarazioni della persona offesa senza indicazione delle fonti. Il ricorrente, pertanto, al fine di rendere ammissibile la censura, avrebbe dovuto indicare le parti della deposizione asseritamente trascurate e confliggenti con la sintesi fatta dal giudice di appello, chiarendone la decisività e l’attitudine a disarticolare il narrato e, conseguentemente, la complessiva decisione.
1.2. Privo di pregio Ł il secondo motivo di ricorso.
Secondo la prospettazione del ricorrente la Corte di appello, nel respingere l’invocato riconoscimento della continuazione non avrebbe tenuto in adeguata considerazione il provvedimento con cui il Giudice dell’esecuzione, in data 31 marzo 2022, aveva già riconosciuto la sussistenza del vincolo della continuazione tra la sentenza della Corte di appello di Catania del 22 giugno 2020, irrevocabile il 6 novembre 2020 (per la quale cui la sentenza di primo grado aveva già riconosciuto il vincolo della continuazione) e quella della Corte di appello di Catania del 10 novembre 2016, irrevocabile il 26 marzo 2017.
La tesi non può essere condivisa.
Impregiudicata la possibilità da parte del ricorrente di rivolgere l’istanza al giudice dell’esecuzione, il motivo di ricorso dev’essere respinto poichØ – come si evince dall’esame degli atti cui il Collegio Ł autorizzato per la natura del vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220093 – 01), l’ordinanza sulla quale il ricorrente fonda la censura, siccome datata 7 ottobre 2021, avrebbe potuto e dovuto essere allegata quam minime all’atto di appello, ciò che non Ł avvenuto.
Infatti, l’imputato che, in sede di merito, chiede l’applicazione della continuazione tra i fatti oggetto del procedimento e quelli già giudicati con sentenza irrevocabile di condanna deve assolvere all’onere di esibire copia della decisione emessa e, nel caso che ci occupa, il provvedimento del Giudice dell’esecuzione e, in caso d’inosservanza potrà comunque far valere la sua istanza in sede esecutiva, giacchØ il mancato esame nel merito della sussistenza del reato continuato non comporta giudicato negativo sul punto e non preclude perciò l’esame della questione ai sensi dell’art. 671, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 1711 del 14/01/1999, COGNOME, Rv. 212706 – 01).
Come anticipato, il ricorso di NOME COGNOME denuncia censure inammissibili per a-specificità.
Nel condividere le conclusioni con cui il Giudice di primo grado Ł pervenuto all’affermazione della responsabilità di NOME COGNOME la Corte di appello ha fornito adeguata risposta alle censure avente a oggetto, sotto piø profili, il tema delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Va qui rilevato come i Giudici di merito abbiano esaminato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, traendo da esse un quadro di riferimento convergente, tale da indicare NOME COGNOME come soggetto intraneo al gruppo di “Mascalucia”, articolazione dell’associazione criminale cosa nostra, clan Santapaola-Ercolano, nel quale ha conservato il ruolo di vertice, nonostante la restrizione in carcere, per mezzo del figlio NOME, dunque capace di continuare a fornire consigli operativi e strategici e a costituire punto di riferimento dei sodali.
Tale complessiva ricostruzione si Ł fondata da un canto sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e, dall’altro, sul tenore delle conversazioni captate tra NOME COGNOME e i suoi familiari in occasione dei colloqui in carcere.
Il Giudice di appello si Ł fatto carico delle doglianze sull’uno e sull’altro elemento di prova, in primo luogo evidenziando – con motivazione scevra da aporie razionali – che la ragione per la quale i collaboratori di giustizia si erano limitati a indicare NOME COGNOME come capo del “gruppo di
Mascalucia”, senza indicare specifici episodi che lo riguardavano, era agevolmente rinvenibile nel suo stato di detenzione che gli impediva contatti diretti con i sodali; se n’Ł tratta la conclusione logicamente coerente che egli poteva continuare a esercitare tale ruolo grazie ai colloqui con i familiari e, in particolar modo, con il figlio NOME, indiscusso referente del gruppo di Mascalucia.
Piuttosto, il Giudice di secondo grado ha avversato l’interpretazione riduttiva, da parte dei difensori, di tali colloqui, richiamando – tra quelle maggiormente significative – la conversazione ambientale del 5 ottobre 2017 tra il NOME e il NOME COGNOME (integralmente riportata a p. 445 della sentenza di primo grado), nella quale – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – risulta evidente che non si discuta di una semplice “questione familiare” tra NOME COGNOME e NOME COGNOME bensì di una situazione che coinvolge le dinamiche del gruppo mafioso: NOME, infatti, accusa COGNOME di «parlare troppo, sia al telefono, sia in macchina», di essere in debito con alcune persone di San Giovanni Galermo, costringendolo a intervenire per risolvere la questione, infine di accumulare debiti «spendendo il nome dei Puglisi e pretendendo di ricevere da loro 5.000 euro al mese senza fare niente».
Nello stesso senso sono state richiamate le conversazioni del 14 dicembre 2017 e del 29 giugno 2017, già sunteggiate in premessa. Nella prima COGNOME afferma la propria autorità riguardo a una situazione (l’appropriazione da parte di Carciotto di somme di denaro provento di estorsione e sottratte alla naturale destinazione del mantenimento dei detenuti appartenenti al sodalizio) non solo avulsa da temi familiari, ma che riguarda problematiche squisitamente interne all’associazione. La seconda, a buona ragione ritenuta dai Giudici di merito espressiva delle preoccupazioni di COGNOME per le eventuali rivelazioni da parte dei collaboratori di giustizia.
Ebbene, rispetto a tali puntuali argomentazioni il ricorrente reitera deduzioni sulle quali, come visto, la Corte territoriale si Ł puntualmente soffermata e sollecita una diversa valutazione inerente al merito, risultando il relativo motivo, in tale prospettiva, inammissibile.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME che, possono essere trattati congiuntamente attesa la sostanziale comunanza delle questioni trattate che riguardano il c.d. concordato della pena nel giudizio di appello, deducono censure inammissibili e, comunque, manifestamente infondate.
I ricorsi sono stati presentati avverso la sentenza nei loro riguardi emessa ai sensi dell’art. 599bis , comma 1, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che dispone che «La Corte di appello provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589 dello stesso codice, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo».
Questa Corte ha già chiarito, con orientamento consolidato, che, in seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal d.l. 23 maggio 2008, n. 92 – secondo cui il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, limita la sua cognizione ai motivi non rinunciati, senza essere neppure tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’istituto in esame (tra le altre Sez. 6, n. 35108 del 08/05/2003, COGNOME, Rv. 226707; Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv.
245919).
La rinuncia ai motivi determina, pertanto, una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto, non solo in punto di affermazione di responsabilità, deve ormai ritenersi non essergli devoluto, sicchØ deve reputarsi inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello e che non si siano trasfuse nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969), ovvero alla qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196). Il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. risulta, per contro, ammissibile qualora vengano dedotti motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice.
Nel caso in esame, le difesa degli imputati e il Procuratore generale territoriale hanno concordato, davanti al Giudice di secondo grado, l’accoglimento del motivo concernente la misura della pena applicata, con la conseguente rinuncia a qualsivoglia, differente motivo di censura da parte dell’imputato. ll giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta formulata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., non Ł tenuto a motivare sulle residue questioni devolute con l’appello in quanto, a causa dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ad alcuni motivi di appello, la cognizione del giudice resta circoscritta a quelli non oggetto di rinuncia (Sez. 3, n. 30190 del 08/03/2018, Hoxha, Rv. 273755; nello stesso senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170).
Di qui l’inammissibilità dei ricorsi, le cui censure sono estranee ai temi della formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, del consenso del Procuratore generale sulla richiesta e del contenuto difforme della pronuncia del Giudice.
Conclusivamente, alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME consegue il pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, mentre al rigetto del ricorso di NOME COGNOME la sola condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 26/11/2024
Il Consigliere estensore
EVA TOSCANI
Il Presidente NOME COGNOME