Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7041 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7041 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Caserta il 09/07/1984; COGNOME NOME, nato a Maddaloni il 09/03/1980; COGNOME NOME, nato a Caserta il 19/01/1975; Santagata Marcellino, nato a Marcianise il 18/08/1982; avverso la sentenza del 23/10/2023 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili; uditi i difensori: avv. NOME COGNOME per COGNOME e, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME, nonché, in sostituzione dell’avv. NOME
Piatto, per COGNOME; avv. NOME COGNOME per COGNOME e Santagata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 novembre 2019, il Tribunale di Napoli Nord ha condannato – per la parte che qui interessa – COGNOME NOME, COGNOME Vincenzo, COGNOME NOME e COGNOME NOME, per i seguenti reati:
Capo 1): COGNOME NOME e COGNOME NOME, art. 416, primo, secondo e terzo comma, cod. pen., per avere – ciascuno per quanto di competenza promosso, costituito, organizzato o comunque partecipato ad un’associazione a delinquere, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessa dichiarazione, occultamento o distruzione di documenti contabili, riciclaggio ed intestazione fittizia di beni, in particolare: COGNOME contribuendo in prima persona alla realizzazione del programma delittuoso preventivamente concordato, mantenendo rapporti diretti con il COGNOME, promotore dell’associazione, dal quale riceveva le direttive, provocando l’adesione di terzi soggetti a parte delle attività illeci talvolta intestandosi personalmente conti correnti su cui far transitare il flusso d denaro di provenienza illecita, prelevandolo e consegnandolo al COGNOME, e coordinando tutti i mezzi dell’associazione per assicurarne la funzionalità; COGNOME in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, non assolvendo agli obblighi di natura tributaria al fine di non essere sottoposto ad accertamenti fiscali, fungendo da schermo per la riconducibilità delle società al COGNOME;
Capo 2): COGNOME NOME, COGNOME NOME e Santagata Marcellino, art. 416, primo, secondo e terzo comma, cod. pen., perché – ciascuno per quanto di competenza – promuovevano, costituivano, organizzavano o comunque facevano parte di un’associazione a delinquere, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggi ed autoriciclaggio. Nello specifico: COGNOME promuoveva e costituiva la predetta associazione, finanziandola mediante la gestione di fatto della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, società “cartiere” attraverso cui realizzava le frodi fiscal necessarie a far pervenire nella sua disponibilità profitti illeciti, alt adoperandosi per la produzione di false fatturazioni e per la predisposizione di documentazione falsa, nonché coordinando tutti i sodali affinché fossero eseguite le transazioni finanziarie necessarie per il trasferimento dei fondi illeci Dell’Imperio promuoveva e partecipava all’associazione, mantenendo rapporti direttamente con il COGNOME, provocando l’adesione di terzi soggetti ed intestandosi personalmente conti correnti su cui far transitare i flussi di denaro di provenienza illecita da consegnare poi al COGNOME; COGNOME, fungendo da legale rappresentante formale e fittizio della RAGIONE_SOCIALE non ottemperava agli obblighi fiscali al fin andare esente da eventuali accertamenti e provvedeva a svolgere attività essenziali per il mantenimento della associazione criminale, tenendo altresì la
contabilità dei flussi finanziari esterni ed interni all’organizzazione ed occupandosi del versante tributario e del mascheramento dei flussi finanziari illeciti;
Capi 3), 4), 5), 6): COGNOME NOME e COGNOME Marcellino, artt. 61, primo comma, n. 7), 81, secondo comma, e 110 cod. pen., 2639 e 2392 cod. civ., nonché 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere il COGNOME Marcellino, quale amministratore di diritto, ed il COGNOME NOME quale gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, al f consentire a terzi di evadere le imposte sul reddito delle società e l’imposta sul valore aggiunto, emesso, in relazione, rispettivamente, agli anni di imposta 2013, 2014, 2015, 2016, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti;
Capi 7), 8), 9): COGNOME NOME e COGNOME Marcellino, artt. 61, primo comma, n. 7), 81, secondo comma, e 110 cod. pen., 2639 e 2392 cod. civ., e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, nelle qualifiche di cui ai predetti capi d imputazione, al fine di evadere l’imposta sul reddito delle società e l’imposta sul valore aggiunto, non presentavano la dichiarazione unica per le società di capitali, relativamente agli anni di imposta, rispettivamente, 2013, 2014 e 2015;
Capi 10), 11): COGNOME NOME, artt. 61, primo comma, n. 7), 81, secondo comma, e 110 cod. pen., 2639 e 2392 cod. civ., nonché 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quale gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sul reddito delle società e l’imposta sul valore aggiunto, emesso, in relazione agli anni di imposta 2012 e 2013, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti;
Capi 12), 13): COGNOME NOME, artt. 61, primo comma, n. 7), 81, secondo comma, e 110 cod. pen., 2639 e 2392 cod. civ., e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sul reddito delle società e l’imposta sul valore aggiunto, non presentava la dichiarazione unica per le società di capitali per i periodi di imposta 2012 e 2013;
Capi 29), 30): NOME NOME, artt. 61, primo comma, n. 7), 81, secondo comma, e 110 cod. pen., 2639 e 2392 cod. civ., nonché 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE al fine di consentir a terzi di evadere le imposte sul reddito delle società e l’imposta sul valore aggiunto, emetteva, In relazione agli anni di imposta 2015 e 2016, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti;
Capo 31): NOME NOME, artt. artt. 61, primo comma, n. 7), 81, secondo comma, e 110 cod. pen., 2639 e 2392 cod. civ., nonché 2 digs. n. 74 del 2000, per essersi avvalso, nella medesima qualifica di cui al capo che precede – al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto e quella sul reddito delle società, detenendo, a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria fatture ideologicamente false – di fatture per operazioni inesistenti, indicando nella
dichiarazione dei redditi modello unico per le società di capitali per l’anno di imposta 2015 elementi passivi fittizi.
Con medesima sentenza, il Tribunale di Napoli Nord, inoltre, ha assolto COGNOME NOME dai reati a lui ascritti ai capi 14), 15) e 16) dell’originaria incolpazion perché il fatto non sussiste, ed ha dichiarato COGNOME NOME interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena, nonché COGNOME NOME e COGNOME NOME, interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. È stata altresì disposta la confisca di quanto in sequestro.
1.1. All’esito di concordato in appello, previa rinuncia ai motivi di gravame diversi da quelli afferenti al trattamento sanzionatorio, proposto da COGNOME, COGNOME e COGNOME, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 23 ottobre 2023, in parziale riforma del provvedimento di primo grado, ha rideterminato le pene irrogate dal giudice di primo grado nei seguenti termini: anni 3 e mesi 10 di reclusione per COGNOME; anni 5 di reclusione per COGNOME; anni 2 e mesi 9 di reclusione per COGNOME. Ha, inoltre, dichiarato improcedibile l’azione penale esercitata nei confronti di NOME NOME per i reati di cui ai capi 29) e 30) dell’imputazione per divieto di secondo giudizio ex art. 649 cod. pen. e ne ha rideterminato il trattamento sanzionatorio in anni 3 e mesi 3 di reclusione, confermando nel resto il provvedimento impugnato.
Avverso la sentenza, COGNOME mediante il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge processuale per essere stata emessa la sentenza di primo grado con la partecipazione di giudici onorari quali componenti del collegio del Tribunale di Napoli Nord, in violazione degli artt. 33 cod. proc. pen. e 12 del d.lgs. n. 116 del 2017, con conseguente nullità derivata dei provvedimento impugnato ex artt. 178, 179 e 185 cod. proc. pen.
Secondo la difesa di parte ricorrente, dai verbali del dibattimento emergerebbe che, nel processo di primo grado, il collegio giudicante risultava composto anche da due diversi giudici onorari, alternatisi, i quali non avrebbero potuto farne parte, atteso che, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 116 del 2017; non è consentita la presenza del GOT nei collegi relativi ai reati di cui all’art. 407 comma secondo, lettera a), cod. proc. pen., tra cui rientrano, sotto il n. 5), i reati di cui ai capi 15) e 16) dell’originaria imputazione – relativi alla illecita detenzio e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo ex artt. 10 e 14 della legge n. 497 del 1974 – i quali, ancorché non contestati all’odierno ricorrente, venivano comunque giudicati nella censurata composizione collegiale. Ciò che, pertanto, determinerebbe una nullità assoluta ed insanabile per vizio di costituzione
dell’organo giudicante, inficiante sia la sentenza di primo grado sia quella d’appello di cui si chiede l’annullamento.
A norma del citato art. 12 del d.lgs. n. 116 del 2017, inoltre, «del collegio non può far parte più di un giudice onorario di pace», mentre, nel caso di specie, due sarebbero stati i giudici onorari che, sia pur in momenti diversi, ne avrebbero integrato la composizione, di talché in ogni caso le sentenze di merito risulterebbero nulle – a prescindere, dunque, dalla contestazione, o meno, dei delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a) , cod. proc. pen. – non potendosi ritenere che il predetto art. 12 del d.lgs. n. 116 del 2017 faccia esclusivamente riferimento all’ipotesi della contestualità, stante la regola che il collegio che dev valutare il processo deve essere sempre formato dagli stessi giudici.
2.2. Con un secondo motivo di censura, si lamentano la violazione degli artt. 599-bis e 129, cod. proc. pen. e la carenza di motivazione, e si eccepisce la ritenuta inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione degli artt. 268-271 co proc. pen.
In primo luogo, censura il ricorrente il difetto di motivazione in ordine al mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., per avere i giudici dell’appello omesso qualsivoglia vaglio preliminare in ordine alla insussistenza deì presupposti giuridici richiamati dalla predetta norma, erroneamente presumendo che, sulla scorta della rinuncia parziale ai motivi diversi da quelli afferenti trattamento sanzionatorio, l’imputato fosse penalmente responsabile in relazione a tutti gli addebiti contestatigli; in secondo luogo, si eccepisce l’inutilizzabilità d intercettazioni, non risultando il luogo di captazione delle conversazioni. Dai verbali di inizio operazione, infatti, si evincerebbe che l’avvio delle attivi intercettive sia avvenuto presso gli uffici del Gruppo di Aversa della Guardia di Finanza, nonostante che il Pubblico Ministero avesse autorizzato la sola remotizzazione dell’ascolto.
Avverso la sentenza anche COGNOME Vincenzo e COGNOME, tramite unico difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
3.1. Con un primo motivo di gravame, si contestano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sul rilievo che la Corte di appello si sarebbe limitata a utilizzare mere formule di stile per ritenere non sussistenti elementi utili per i proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., nonostante che, nel caso di specie, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, ne ricorressero evidenti cause, essendo del tutto manchevole la prova dell’elemento soggettivo dei reati in contestazione in capo agli imputati.
3.2. Con una seconda doglianza, si denuncia la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., nonché il vizio della motivazione per avere i giudici di merito escluso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, omettendo irragionevolmente di valutare tutti i parametri previsti dalla legge in ordine alla gravità del reato.
La sentenza è stata impugnata da COGNOME Vincenzo anche separatamente, con un secondo ricorso a cura dell’avv. COGNOME, di contenuto sostanzialmente sovrapponibile a quello presentato nell’interesse di COGNOME NOME sub motivi 2.1. e 2.2, da intendersi qui integralmente richiamati.
Quanto al primo motivo di ricorso, riferito alla censurata nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione degli artt. 33 cod. proc. pen. e 12 del d.lgs. n. 116 del 2017, il ricorrente specifica ulteriormente che non invalida la sollevata eccezione la circostanza che costui sia stato assolto dalle imputazioni concernenti le armi, dal momento che il rispetto delle norme e dei criteri dettati per la composizione del collegio giudicante si àncora alla fase genetica del processo e non al suo esito, altresì rappresentando come, nel caso di specie, l’azione penale sia stata esercitata con richiesta di decreto di giudizio immediato del 18 giugno 2018, non potendo dunque trovare applicazione la disciplina transitoria dettata dall’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 116 del 2017.
Inoltre, analogamente a quanto già dedotto nell’interesse di COGNOME Salvatore sub 2.2., il ricorrente denuncia la ritenuta inutilizzabilità dell intercettazioni per violazione degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, cod. proc. pen., rilevando come, dai verbali di inizio delle operazioni di captazione, emergerebbe che non solo l’ascolto ma anche la registrazione delle conversazioni captate sarebbe avvenuta presso gli uffici della P.G. operante, sebbene il Pubblico Ministero non avesse in alcun modo motivato in ordine alla sussistenza di fattori che avrebbero potuto giustificarne l’esecuzione presso locali diversi da quelli elettivamente indicati nella norma codicistica.
In sede di discussione orale, la difesa ha inoltre invocato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi da 3) a 13) della rubrica, per essersi i relativi reati estinti per prescrizione.
Avverso la sentenza, ha, infine, proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME il quale, mediante difensore, con un unico motivo di impugnazione, chiede l’annullamento del provvedimento impugnato per vizi della motivazione e travisamento della prova, in relazione agli artt. 43 cod. pen., 125, comma 3, e 192 cod. proc. pen., nonché 111, comma 6, Cost., sul presupposto che la Corte di appello di Napoli, al fine di verificare l’effettiva sussistenza dell’element
soggettivo di entrambi i reati in contestazione, avrebbe erroneamente omesso di valutare sia le dichiarazioni confessorie del coimputato COGNOME sia i relativi riscontri.
Per un verso – con riferimento al reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 – le dichiarazioni di COGNOME, secondo cui il COGNOME sarebbe stato vittima di un raggiro, sarebbero state riscontrate non solo dall’assenza di qualsivoglia tipo di attività relativa alla RAGIONE_SOCIALE, ma anche dalla mancanza di qualsiasi tipo di contatto del prevenuto con gli altri attori della vicenda processuale in atti, con conseguente apparenza della motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui fonda la responsabilità penale su un dato meramente formale quale quello della qualifica di rappresentante legale. Per altro verso, in relazione al contestato reato associativo, la Corte di appello avrebbe fallacemente tralasciato di considerare, oltre che la confessione del coimputato COGNOME, le dichiarazioni dell’imputato medesimo, quelle rese dal COGNOME, dipendente della banca, nonché l’assenza totale di qualsiasi contatto tra costui e gli altri imputati, univoche nel senso dell mancata consapevolezza del COGNOME sia dell’esistenza dell’associazione che del programma associativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH I ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME, COGNOME e COGNOME – che possono trattarsi congiuntamente giacché diretti a censurare una sentenza emessa, nei loro confronti, in accoglimento di un concordato in appello ex art. 599bis cod. proc. pen. – sono inammissibili perché relativi a questioni alle quali gli interessati hanno rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena.
1.1. In merito, occorre preliminarmente rilevare che, secondo il costante orientamento di legittimità, la rinuncia dell’imputato ai motivi di appello in funzione dell’accordo sulla pena previsto dall’art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art 1, comma 56, della legge n. 103 del 23 giugno 2017, limita la cognizione del giudice di secondo grado ai motivi non oggetto di rinuncia. L’accordo in esame produce quindi effetti preclusivi, anche sulle questioni rilevabili d’ufficio, sull’int svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nell’ipotesi di rinuncia all’impugnazione (ex plurimis, Sez. 4, n. 37111 del 04/07/2024; Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024; Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Rv. 277196; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Rv. 273194). La rinuncia è irretrattabile; pertanto, si forma, per effetto delle preclusioni, giudicato sostanziale sui relativi punti della decisione (Sez. 6, n. 44625 del 03/10/2019, Rv. 277381; Sez. 4, n. 29866 dell’08/07/2022, Rv. 283451).
In definitiva, per l’attuale orientamento di legittimità in esame, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del Pubblico Ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice. Per converso, sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento nel merito ex art. 129 cod. proc. pen., all’omessa derubricazione ovvero a vizi attinenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio che non si siano trasfusi nella illegalità della pena (ex multis, Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, Rv. 279504; Sez. 4, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 278170; si vedano altresì Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, citata, quanto alle censure inerenti alla qualificazione giuridica del fatto, e Sez. 2, n. 50062 del 16/11/2023, Rv. 285619).
In altri termini, nell’accogliere la richiesta di concordato, il giudice di second grado non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dell’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità delle prove, in quanto, in ragione dell’effetto devoluti proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (ex plurimis, Sez. 4, n. 46847 dell’11/10/2023, non massimata; Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Rv. 274522; Sez. 3, n. 30190 del 08/03/2018, Rv. 273755; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, Rv. 272853).
1.2. Ebbene, in relazione a quanto dedotto dai ricorrenti, nel caso di specie, non ricorre evidentemente nessuno dei vizi astrattamente denunciabili in questa sede. Le considerazioni che precedono, infatti, si attagliano sia al ricorso presentato nell’interesse del COGNOME e del COGNOME, separatamente, che deducono entrambi violazioni di norme processuali, il difetto di motivazione in ordine al mancato proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e la ritenuta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche (rilievi sub 2.1., 2.2. e 4), sia a quello presentato, congiuntamente, dal COGNOME e dal COGNOME, relativo alla violazione del predetto art. 129 cod. proc. pen. ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensioné (motivi sub 3.1. e 3.2), il quale ultimo, rappresentando una facoltà discrezionale del giudice di merito, non rende in alcun modo illegale la pena comminata.
Né, del resto, può attribuirsi rilievo alla giurisprudenza di legittimità invocat dalla difesa del COGNOME e del COGNOME, la quale, afferisce all’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., giacché il patteggiamento di primo grado è di portata ben più ampia rispetto a quello previsto dall’art. 599-bis
del medesimo codice, in quanto implicante un accordo anche in punto di responsabilità (Sez. 1, n. 2689 del 13/05/1998, Rv. 210794, in motivazione).
1.3. Deve, infine, ritenersi inammissibile il rilievo, proposto dalla difesa d COGNOME, relativo alla presunta intervenuta estinzione dei reati tributari di cui ai c 3) – 13) dell’imputazione, il quale è precluso, poiché sollevato dal ricorrente esclusivamente in sede di trattazione orale e non con il ricorso per cassazione.
GLYPH Il ricorso di COGNOME Luigi, con il quale si censura il travisamento della prova in ordine all’elemento soggettivo dei reati in contestazione, è, invece, parzialmente fondato.
2.1. Inammissibile, giacché tesa a sovrapporre un’arbitraria interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito (ex multis, Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), oltre che manifestamente infondata, deve innanzitutto ritenersi la censura relativa al vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo della contestata violazione tributaria.
Nel caso in esame, ritiene il Collegio che, a fronte dei generici rilievi difensiv di tipo strettamente valutativo e congetturale, diretti a sconfessare la consistenza probatoria delle risultanze indiziarie – senza che il ricorrente offra effettivi elemen dirimenti – la sentenza della Corte di appello risulti pienamente logica e coerente, allorché, con argomentazioni corrette in fatte e congrue in diritto, evidenzia la sussistenza di una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti che consentono univocamente di ritenere provati i fatti, anche dal punto di vista della sussistenza del coefficiente psicologico. Nella specie, infatti, i giudici di secondo grado hanno correttamente ricavato la sussistenza del dolo sia dal ruolo di liquidatore svolto in precedenza dal COGNOME presso due diverse società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE parimenti amministrate dal COGNOME – evidentemente sintomatico della necessaria conoscenza, da parte dell’imputato, del funzionamento generale di una società oltre che della consapevole non estraneità agli affari del Di Mauro COGNOME – sia dalla circostanza che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, il ricorrente, all’atto della verifica fiscale eseguita nei confronti della Si esibiva la documentazione richiesta, altresì rendendo dichiarazioni poi rivelatesi mendaci alla stregua dei successivi sviluppi investigativi.
Del resto, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il dolo richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, è ravvisabile nella consapevolezza – in chi utilizza il documento di dichiarazione – che chi ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale (Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, Rv.
274104). Consapevolezza, questa, certamente sussistente in capo all’odierno imputato, il quale, avendo assunto, come prestanome, la carica di amministratore di diritto di una società cartiera, si era prestato a svolgere funzioni di facciata una società che non aveva né sede, né alcuna altra consistenza reale percepibile.
2.2. Diversamente, il ricorso coglie nel segno nel lamentare il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico anche del delitto associativo di cui al capo 1) dell’imputazione.
Dalla lettura del motivo di doglianza, posto a confronto con il tenore argomentativo del provvedimento impugnato, infatti, emergono profili di vera e propria carenza motivazionale, nell’ambito di un contesto espressivo che, in effetti, non delinea con sufficiente chiarezza i necessari passaggi logici dell’iter dimostrativo seguito dai giudici di secondo grado. La sentenza impugnata, in altri termini, presenta, nell’impostazione stessa della struttura argomentativa, un vizio talmente radicale da comportarne l’invalidità ex art. 125, comma 3, cod. proc. pen.
Sul punto, del resto, si ricorda che, secondo il testo dell’art. 416, primo, secondo e terzo comma, cod. pen., «Quanto tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori».
In linea con quanto si evince dalla lettera della norma in esame, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416 cod. pen. è necessaria la coscienza e volontà di far parte del sodalizio allo scopo di realizzare il programma delinquenziale in modo stabile e permanente (dolo specifico), e che, sebbene la commissione di uno o più delitti programmati dall’associazione non dimostri automaticamente l’adesione alla stessa, questa può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell’attività delittuosa in termini conformi a piano associativo (Sez. 2, n. 35141 del 13/06/2019, Rv. 276740; Sez. 6, n. 50334 del 02/10/2013, Rv. 257845; Sez. 2, n. 3635 del 23/08/1994, Rv. 199066), non essendo dunque sufficienti, a tal fine, né il solo dolo generico, né il dolo eventuale (ex multis, Sez. 3, n. 1465 del 10/1172023, dep. 2024, Rv. 285737).
Ebbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata (pag. 7) – al pari, peraltro, della pronuncia di primo grado (pag. 73) – ha omesso qualsivoglia dimostrazione effettiva della costituzione di un vincolo durevole tra il ricorrente ed il sodaliz criminale, tale da configurare la cosciente adesione dell’imputato al programma criminoso richiesta dalla disposizione incriminatrice, altresì pretermettendo di confrontarsi con le specifiche doglianze dedotte sul punto dalla difesa e limitandosi
all’opposto a richiamare, in maniera del tutto apodittica, quegli stessi elementi fattuali che, correttamente posti a fondamento del giudizio di responsabilità in ordine al reato di dichiarazione fraudolenta, risultano tuttavia del tutto inidonei poiché neutri – a fondare in capo al ricorrente qualsivoglia giudizio di responsabilità afferente al contestato delitto associativo.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve ritenersi affetta da vizio di motivazione circa l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo specifico, richiesto dalla disposizione incriminatrice di cui all’art. 416 cod. pen.; vizio ch impone l’annullamento della sentenza impugnata, da pronunciarsi senza rinvio per non avere l’imputato commesso il fatto, tenuto conto che, alla luce della disamina effettuata nei gradi di merito degli elementi emersi a carico del ricorrente, l’inidoneità strutturale del compendio indiziario non potrebbe in alcun modo essere colmata in un eventuale ulteriore giudizio per addivenire ad un giudizio di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio (ex plurimis, Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Rv. 279555-19; Sez. 6, n. 37098 del 19/07/2012, Rv. 253380; Sez. U., n. 45276 del 20/10/2003, Rv. 226100).
Alla luce· degli argomenti che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME Luigi, limitatamente al capo 1) dell’imputazione, per non aver commesso il fatto, con conseguente rideterminazione della pena, per i reati residui, in anni due e mesi due di reclusione. Il ricorso di NOME Luigi deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
I ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME Salvatore e Santagata Marcellino devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOMECOGNOME limitatamente al capo 1) della rubrica, per non aver commesso il fatto e ridetermina la pena in anni due e mesi due di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e tagata NOMECOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della ma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/11/2024.