Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36667 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36667 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a MASCALI il DATA_NASCITA NOME nato a GIARRE il DATA_NASCITA NOME nato a FIUMEFREDDO DI SICILIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CASTIGLIONE DI SICILIA il DATA_NASCITA NOME nato a TAORMINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte d’appello di Catania
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che si riporta alla memoria in atti ed ha concluso per l’inammissibilità di tutti i ricorsi;
udito il difensore di COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che si riporta ai motivi di impugnazione ed ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catania, in riforma della pronunzia del Tribunale di Catania del 16.09.2019, che condannava
COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di cui agli artt.110, 81 cpv., 610, comma 2, in relazione all’art.339 , cod. pen., aggravato dall’art.7 L.203/19 91, così riqualificato il reato di estorsione aggravata contestato al capo c), NOME per i reati di cui agli artt.416 bis, commi 1 e 4, cod. pen., esclusa l’aggravante di cui al comma 6, (capo a), 110, 629, commi 1 e 2, in relazione all’art.628, comma 3, cod. pen. , (capo g), esclusa la recidiva e l’aggravante di cui all’art. 7 L.203/1981, COGNOME NOME per i reati di cui agli artt.416 bis, commi 1 e 4, cod. pen., esclusa l’aggravante di cui al comma 6 e il ruolo di organizzatore, (capo a), 110, 81 cpv., 610, comma 2, in relazione all’art.339 , cod. pen., aggravato dall’art.7 L.203/19 91, così riqualificato il reato di estorsione aggravata (capo c), COGNOME NOME per il reato di cui agli artt.110, 629, commi 1 e 2, in relazione all’art.628, comma 3, cod. pen., (capo g) , esclusa l’aggravante di cui all’art.7 L.203/19 91, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, alle pene di giustizia, per NOME, NOME, NOME e NOME, ha accolto la richiesta di pena concordata, e rideterminato la pena, quale aumento a titolo di continuazione, e confermato nel resto la sentenza.
Gli imputati, ritualmente assistiti dai loro difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza di appello.
Il contenuto dei ricorsi può essere riassunto nei seguenti termini, ex art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
L’imputato NOME ricorre tramite un unico atto, affidato ad un unico motivo, che lamenta vizio di motivazione, in relazione a ll’ art.546, cod. proc. pen. Si deduce che la Corte di merito, anche in presenza di rinuncia ai motivi di gravame, avrebbe omesso di esplicitare l’ iter logico-giuridico della motivazione.
L’imputato NOME COGNOME ricorre tramite un unico atto, affidato ad un unico motivo, che lamenta violazione di legge, in relazione agli artt.161 cod. pen. e 129 cod. proc. pen., per la omessa declaratoria della prescrizione del reato. Si deduce che la Corte d’appello , accogliendo la richiesta di pena concordata, determinata in mesi cinque di reclusione, a titolo di aumento in continuazione con la pena inflitta con sentenza del 20.12.2010 del GUP del Tribunale di Catania, irrevocabile in data 1.02.2011, ha omesso ogni riferimento alla contestata recidiva reiterata e specifica, che non è stata inclusa nel calcolo e, di conseguenza, l’ha esclusa, con obbligo per il decidente di dichiarare
l ‘ estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata prima della emissione della sentenza d’appello, il 18 aprile 2021.
Si richiamano i principi espressi dalle S.U. Piergotti sulla ricorribilità della sentenza d’appello, emessa ai sensi dell’art.599 bis cod. proc. pen., per dedurre la prescrizione del reato anteriormente maturata e non oggetto di specifica rinunzia, principi che sarebbero applicabili anche per l’istituto del concordato in appello in quanto il concordato in appello, conseguente al previo accordo delle parti sui relativi motivi, non può precludere la deduzione per cassazione del vizio di violazione di legge per omessa declaratoria di estinzione del reato, non dichiarata dal giudice del gravame. La declaratoria di estinzione del reato discenderebbe dall ‘art.129 cod. proc. pen., che impone al giudice l’obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
L’imputato NOME ricorre tramite un unico atto, affidato ad un unico motivo, che lamenta vizio di motivazione, in relazione all’art.125, comma 3, cod. proc. pen., in punto di aumento di pena applicato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo g). Si deduce che la Corte d’appello, in violazione del diritto di difesa, avrebbe omesso di motivare sulle ragioni della decisione, nonostante espressa doglianza, formulata nell’atto di appello, sulla congruità e logicità della pena, come determinata in aumento sulla pena inflitta con sentenza irrevocabile della Corte di assise di Catania del 4.05.2012.
L’imputato COGNOME NOME ricorre tramite un unico atto, affidato a un unico motivo, che lamenta inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità e vizio di omessa motivazione, in relazione agli artt.267 e 271 cod. proc. pen. Si deduce che entrambe le sentenze di merito, di primo e secondo grado, a fronte di precisa doglianza dell’imputato, avrebbero omesso di motivare sul primo motivo di appello, relativo alla inutilizzabilità delle intercettazioni per omessa produzione dei decreti autorizzativi da parte del pubblico ministero, nonostante l’espressa richiesta da parte del Tribunale di Catania, con ordinanza del 25.11.2013, motivo non oggetto di rinunzia con il concordato.
Si deduce, altresì, violazione del diritto di difesa di cui all’art.24 Cost., in quanto la mancata trasmissione al Tribunale dei decreti autorizzativi delle intercettazioni ha impedito alla difesa di vagliarne la legittimità. La difesa non avrebbe un obbligo di produzione di tali decreti autorizzativi in quanto non sarebbe ro stati messi a sua disposizione dall’U fficio di Procura.
L’imputato NOME ricorre tramite unico atto, affidato a due motivi.
7.1 Il primo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali, in relazione alla partecipazione al reato associativo di cui all’art.416 bis cod. pen. nonché con riguardo alla sussistenza dell’aggravane di cui all’art.7 L.203/19 91, contestata per i reati di cui ai capi c), d) e h).
Con riguardo alla condotta di partecipazione al RAGIONE_SOCIALE, si deduce la illogicità della motivazione, che richiama il contenuto delle intercettazioni, telefoniche e ambientali, che non sarebbe chiaro e univoco, né idoneo ad attestare la partecipazione attiva dell’imputato al sodalizio ; si tratterebbe solo di una presenza passiva e inoperosa, di mera sudditanza. La motivazione sarebbe illogica laddove deduce la intraneità del ricorrente al sodalizio criminoso dalla conversazion e del 5/01/2006, intercorsa tra l’imputato e NOME COGNOME, nel corso della quale gli interlocutori commentavano le modalità di affiliazione all’associazione RAGIONE_SOCIALE , senza indicazione, nella specie, del soggetto che avrebbe ‘ segnalato ‘ NOME . La conoscenza di alcuni sodali ed i contatti telefonici con gli stessi non sarebbero indici della intraneità al RAGIONE_SOCIALE, in mancanza di incarichi ricevuti dai sodali apicali, come si evincerebbe dalla conversazione del 17/04/2006, progr.1521, in cui il ricorrente si lamenta di essere stato superato, nella struttura gerarchica, dai nuovi adepti. Sul punto, la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria in quanto desumerebbe da tale conversazione il ruolo di partecipe dell’imputato , che sarebbe stato messo da parte da nuovi soggetti.
L a Corte d’appello non avrebbe proceduto nemmeno secondo ‘indicatori logici’, espressivi dell’avvenuta assunzione del ruolo all’interno del sodalizio criminoso (condotta prodromica, affiliazione rituale, nonostante l’ampio lasso temporale considerato dall’imputazione e dal periodo di inizio dell’a ttività dell’associazione RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE ‘RAGIONE_SOCIALE‘ , 2005/2007) ma per presunzioni, che travalicano le regole ermeneutiche imposte dai principi di diritto promananti dalle Sezioni Unite Mannino e COGNOME in tema di partecipazione ad un sodalizio di stampo RAGIONE_SOCIALE.
Si deduce che la Corte territoriale, appiattendosi sulle considerazioni della sentenza di primo grado, avrebbe omesso di valutare, al di là del contenuto delle conversazioni (progr.329 del 25/02/2006; progr.1136 del 28/03/2006), disposte all’interno dell’autovettura del ricorrente, le condotte poste in essere da quest’ultimo, gli ‘ordini’ in concreto ricevuti dal capo, NOME COGNOME, le condotte attuative degli stessi. Neppure potrebbero desumersi elementi dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, NOME COGNOME, che non
indica l’imputato come associato né lo riconduce ad attività criminose del sodalizio in questione. Si richiama la giurisprudenza di questa Corte, che oltre agli indicatori di appartenenza ad un sodalizio di tipo RAGIONE_SOCIALE, richiede la descrizione del ruolo partecipativo attribuito all’i ntraneo.
La sentenza di primo grado ha ritenuto l’imputato soggetto non apicale, non direttore e organizzatore del sodalizio e lo ha assolto da alcuni episodi di tentata estorsione.
Si deduce omessa motivazione anche con riguardo all’aggravante di cui all’art.7 L.203/19 91, contestata negli altri capi di imputazione.
In relazione al reato di cui al capo d), dalla motivazione delle sentenze di merito non emergerebbe la valutazione della funzionalità della condotta di tentata estorsione ai danni del NOME al fine di favorir e l’associazione o l ‘ attuazione della stessa in esecuzione di un mandato da parte dei vertici, per il posizionamento della bottiglia infiammabile. Mancherebbe, altresì, la valutazione dell’ipotesi contraria, ossia che si sia trattato di una condotta personale finalizzata ad ottenere l’incarico lavorativo presso la ditta della persona offesa, NOME, che non si sarebbe comunque sentito minacciato dal metodo assunto da NOME nella richiesta. L’imputato avrebbe agito nel proprio esclusivo interesse tanto che fa anche riferimento ad un posto di lavoro per i figli.
La motivazione sarebbe carente anche con riguardo alla valutazione del contenuto delle intercettazioni, oggetto di erronea valutazione già da parte del Tribunale, nonché degli elementi da cui deduce la sussistenza dell’aggravante del metodo RAGIONE_SOCIALE, che devono incentrarsi in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una coazione psicologica sulle persone, con i caratteri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione evocata , e che la Corte di merito riconosce automaticamente in capo all’imputato sulla base della contestazione di cui al capo A), senza motivare in merito alla sussistenza della stessa e degli elementi che la caratterizzano.
Parimenti, con riguardo al reato di tentata estorsione ai danni di COGNOME, contestato al capo H), si deduce carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla contestata aggravante del metodo RAGIONE_SOCIALE, che la Corte d’appello baserebbe su elementi meramente indizianti e presuntivi (‘preannunciato proposito di COGNOME di collocare una bottiglia , poi ritrovata nel luogo di esecuzione dei lavori in data 9/09/2006′ , smentito da ‘ COGNOME, soggetto estraneo ai fatti, che, dopo il ritrovamento della bottiglia e del bigliettino, avrebbe suggerito alla persona offesa, COGNOME, di continuare i lavori con tranquillità’ ). Le concrete modalità esecutive della condotta del ricorrente
non sarebbero dotate di quella speciale capacità persuasiva, che promana dall’essere o presentarsi come membro di una RAGIONE_SOCIALE, e non sarebbero pertanto idonee a determinare in capo al soggetto passivo quel non comune effetto di intimidazione che l’aggravante mira a reprimere.
7.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali, in relazione al trattamento sanzionatorio. Si duole della eccessiva rigidità della pena e del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Sul punto, la valutazione sarebbe fondata su una motivazione di stile che si limita a rappresentare la gravità e protrazione nel tempo delle condotte, senza tenere conto che l’imputato è gravato da un unico precedente penale, che non potrebbe deporre per una ‘spiccata inclinazione a delinquere’ dello stesso, d ell’assoluzione per gli altri capi di imputazione contestati, del comportamento processuale.
Il processo si è svolto con rito cartolare e le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
1.1 L’art. 599-bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, prevede che la Corte di appello provveda in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589 dello stesso codice, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo.
Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare al cospetto di ricorsi proposti avverso sentenze emesse ex art. 599-bis cod. proc. pen. (Sez. 5, Ordinanza n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194; Sez. 5, n. 15505 del 19/03/2018, COGNOME e altro, Rv. 272853), in seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto
previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, conv. con modif. nella L. 24 luglio 2008 n. 125, secondo cui il giudice d’appello che accoglie la richiesta formulata sull’accordo delle parti e prende atto della rinunzia ai motivi, limita la sua cognizione a quelli non rinunciati. La rinuncia parziale ai motivi d’appello determina il passaggio in giudicato della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinuncia, di talché è inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si propongono censure attinenti ai motivi d’appello rinunciati e non possono essere rilevate d’ufficio le questioni relative ai medesimi motivi (Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015, COGNOME ed altri). Quanto ai motivi rinunciati, in particolare, neppure è possibile dedurre difetto di motivazione (Sez. 3, n. 51557 del 14/11/2023, Rv. 285628 -02). Analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, n. 40278 del 6 aprile 2016, COGNOME ed altri; Sez. 5, n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194), la definizione del procedimento con il concordato in appello, relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, ad eventuali cause di improcedibilità o nullità anche assolute, eccepite con l’impugnazione, alle quali l’interessato abbia rinunciato, in funzione dell’accordo sulla pena e in punto di responsabilità, limita non solo la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità.
Ed infatti, avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. è ammesso il ricorso per cassazione che deduca (oltre che la prescrizione maturata antecedentemente alla sentenza: Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023) motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del AVV_NOTAIO generale sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice, essendo inammissibili, invece, le doglianze relative a motivi rinunciati o alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., e a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si traducano nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020).
La rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto di quello riguardante la misura della pena, deve ritenersi comprensiva anche del motivo attraverso il quale l’appellante abbia richiesto il riconoscimento di circostanze attenuanti e l’esclusione di elementi circostanziali che condizionano il trattamento sanzionatorio nonché comprende anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle aggravanti (Sez. 4, n. 53340 del 24/11/2016,
COGNOME e altri; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME e altri; Sez. 4, n. 827 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME e altri).
Nemmeno sussiste, come già opinato dalle recenti sentenze di questa sezione sopra indicate, un dovere di motivazione circa il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’istituto in esame, prima disciplinato dal citato art. 599 cod. proc. pen. (circa l’applicazione di questa regola nel vecchio regime cfr. Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, Camassa, Rv. 245919; Sez. 6, n. 35108 del 08/05/2003, Zardini, Rv. 226707).
Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello.
NOME.
Il ricorso è inammissibile.
2.1 Il primo ed unico motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico oltre che manifestamente infondato.
Richiamata la premessa di cui al punto 1.1 , ne consegue che all’odierno ricorrente è precluso mettere in discussione il giudizio in punto di responsabilità, avendo rinunziato a tutti i motivi diversi da quelli sul trattamento sanzionatorio.
NOME COGNOME.
Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo ed unico motivo di ricorso è infondato.
Si duole della mancata declaratoria della prescrizione, che dovrebbe conseguire al mancato aumento della pena per la contestata recidiva qualificata, esclusa dalla Corte d’appello in sede di concordato.
La circostanza aggravante della recidiva era stata ritenuta ed applicata dal Tribunale in sede di determinazione della pena.
In appello, per effetto della definizione del processo mediante concordato e della determinazione della pena a titolo di aumento in continuazione, rispetto alla pena inflitta con sentenza del 20.12.2010 del GUP del Tribunale di Catania, irrevocabile in data 1.02.2011, per il reato dii cui all’art.416 bis cod. pen., correttamente la Corte d’appello, accogliendo la proposta di pena concordata, che prevedeva la esclusione della recidiva qualificata, non ha applicato tale aggravante.
Con riguardo alla omessa declaratoria della prescrizione del reato maturata prima della sentenza di appello, il motivo è infondato.
3.1.2 Va, innanzitutto, premesso che, sul punto, da ultimo, sono intervenute le Sezioni Unite che, intendendo dare continuità al principio di diritto affermato da Sezioni Unite “Piergotti” (S. Un., sentenza n. 43055 del 30/09/2010, COGNOME Serra, Rv. 248379), hanno affermato il principio di diritto secondo cui, in mancanza di una espressa rinuncia alla prescrizione, avverso la sentenza di concordato in appello è proponibile il ricorso in cassazione, che deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di detta sentenza (Sez. U., Sentenza n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Rv. 284481 -01).
Le Sezioni Unite hanno escluso, anche dopo la riforma del 2017, l’introduzione di speciali limiti di ricorribilità in cassazione per la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, e riaffermato il principio con le parole di Sezioni Unite “Ricci” che «nessun dato positivo induce a ritenere che non possa censurarsi, con il ricorso per cassazione, l’errore del giudice di appello che ha omesso di dichiarare la già intervenuta prescrizione del reato, pur se non eccepita dalla parte interessata in quel grado. Il ricorso per cassazione, anche se strutturato su questo solo motivo, è certamente ammissibile, perché volto a fare valere l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. L’error in iudicando si concretizza proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilità. L’impugnazione mira ad emendare tale errore. L’ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio; né alcuna rilevanza preclusiva all’ammissibilità dell’impugnazione può attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell’appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). L’art. 129 cod. proc. pen. impone al giudice, come recita la rubrica, l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e a tale “obbligo” il giudice di merito non può sottrarsi e deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. “giudicato sostanziale”».
Tanto premesso, nella specie, correttamente, la Corte d’appello non ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione in quanto il reato non è prescritto. Nella valutazione, la Corte territoriale ha tenuto conto sia della sussistenza anche di altre aggravanti, quali, in particolare , l’ art. 7, L.203/1991, sia della disciplina dell’art. 157 comma 6, cod. pen., come modificato dalla L.251/2005, che prevede il raddoppio dei termini di prescrizione per i reati di criminalità organizzata.
Pertanto, considerato che il reato contestato al capo C), di violenza privata, aggravata dall’art.7 L.203/1991, è stato commesso il 18.04.2006, il termine di prescrizione di anni sei, aumentato della metà per l’aggravante in parola, per complessivi anni 9, per effetto del disposto di cui all’art.157, comma 6, cod. pen., del raddoppio dei termini di prescrizione, è di anni 18 (anni 9+ anni 9), e tenuto conto dell’ aumento di un quarto (pari ad anni quattro e mesi cinque), di complessivi anni 22 mesi 5, dal 18.04.2006 al 18.09.2023, non è ancora maturata la prescrizione.
Invero, tenuto conto degli atti interruttivi, dal decreto che dispone il giudizio sino alla sentenza di primo grado del 16.09.2019, non sono decorsi anni 12 dai fatti, né dalla sentenza di primo grado.
NOME
Il ricorso è inammissibile.
4.1 Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Richiamata la premessa di cui al punto 1.1 , ne consegue che all’odierno ricorrente è precluso mettere in discussione il giudizio in punto di responsabilità, avendo rinunziato a tutti i motivi diversi da quelli sul trattamento sanzionatorio.
Secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, la mancata esplicitazione dell’iter logico -giuridico di determinazione della pena, non è causa di nullità della sentenza, essendosi affermato, proprio in tema di patteggiamento, che l’omessa indicazione dell'”iter” attraverso il quale il giudice perviene alla concreta determinazione della pena costituisce una mera irregolarità della sentenza (Sez. 2, n. 9 del 22/09/1992, Rv. 192924; Sez. 2, Sentenza n. 388 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 277892 -01).
4.2 Va, incidentalmente, rilevato che, con riguardo al reato di cui al capo G), l’aumento di pena in continuazione è stato correttamente applicato in mesi quattro di reclusione, ossia in misura inferiore a quello della sentenza di primo grado.
NOME COGNOME
5. Il ricorso è inammissibile.
5.1 Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Richiamata la premessa di cui al punto 1.1 , ne consegue che all’odierno ricorrente è precluso mettere in discussione anche il giudizio sulla inutilizzabilità degli esiti delle intercettazioni per omessa motivazione con riguardo alla mancanza dei relativi decreti autorizzativi, avendo rinunziato a tutti i motivi diversi da quelli sul trattamento sanzionatorio (Sez. 6, 17 settembre 2004 n. 40817, Rv. 230259; Sez. 1, Sentenza n. 39439 del 03/10/2007, Rv. 237735 -01).
NOME COGNOME
6. Il ricorso è infondato.
6.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Con il primo motivo, la difesa aggredisce il profilo della ritenuta appartenenza del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , articolazione del più vasto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE denominato RAGIONE_SOCIALE, operante sui territori di Giarre, Mascali e Fiumefreddo (capo A ), nonché quello della sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 L.203/1991, (oggi 416 bis 1 cod. pen.), in relazione ai capi C), D) e H).
6.1.1 Va, preliminarmente, evidenziato quale sia il perimetro di controllo in ordine alle dedotte critiche: sono, infatti, non consentite in questa sede censure che, pur lamentando l’erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., vengano a fondarsi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (tra tante, Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 266924).
I vizi motivazionali ed argomentativi di una pronuncia di merito possono essere dedotti in sede di legittimità purchè ricompresi entro un orizzonte preciso e ben delimitato, diretto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo del provvedimento impugnato, potendo ritenersi inadeguato, con conseguenze di annullamento, soltanto quell’impianto motivazionale che sia afflitto da manifesta illogicità. Esula, pertanto, dai poteri della Corte di cassazione quello consistente nella “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece ed in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (ex multis, tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482. Vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24111/1999, COGNOME, Rv. 214794; cfr. altresì Sez. 2, n. 30918 del 7/5/2015, COGNOME, Rv. 264441; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, COGNOME, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965). Nondimeno, neppure l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, allorché le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M, Rv. 271227), poiché dà luogo a vizio della motivazione non qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma solo quella che attenga ad un dato idoneo a disarticolare uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione, quale risultante dall’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, COGNOME, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, COGNOME; Sez. 1, n. 13528 del 11/1.1/1998, COGNOME, Rv. 212053).
Sulla base di tali premesse, devono essere considerati inammissibili tutte le doglianze a sostegno del motivo che fanno leva sul confronto tra brani della motivazione della sentenza impugnata, riferibili a valutazioni probatorie, e l’alternativa interpretazione difensiva, senza, tuttavia, denunciare, con la necessaria specificità, travisamenti probatori, ossia possibili errori del giudice di appello sul “significante” dei dati probatori indicati. Va considerato, inoltre, che è estraneo al vizio denunciato ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., ogni deduzione di mera contrapposizione dimostrativa quanto al senso delle prove, considerato che nessun elemento probatorio, per quanto significativo, può essere interpretato per brani o per stralci, ossia al di fuori del più generale contesto in cui è inserito; sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti, attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Pertanto, si conferma che restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio, risolvendosi nella proposizione di questioni di merito (Sez.
U, sentenza n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651; Sez. 5, sentenza n. 18542 del 21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 5, sentenza n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540).
6.1.2 Il motivo di ricorso è generico e non si confronta con la decisione della Corte di appello che, con motivazione congrua, puntuale ed immune da vizi di illogicità e da censure, ha affrontato compiutamente tutte le doglianze articolate nei motivi di appello, pedissequamente riproposte come motivo di ricorso.
Con riguardo al capo A), la Corte di merito ha evidenziato che la responsabilità di COGNOME, nel suo ruolo di partecipe dell’associazione a delinquere di stampo RAGIONE_SOCIALE, denominata RAGIONE_SOCIALE, è comprovata da numerosi elementi, che il decidente in parte ripercorre autonomamente.
Al riguardo, la Corte territoriale richiama per relationem la sentenza del Tribunale, che indica le precedenti decisioni giudiziarie evidenzianti la sussistenza dell’associazione mafios a, RAGIONE_SOCIALE COGNOME, e le sue articolazioni territoriali, tra le quali il RAGIONE_SOCIALE nonché le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME, quale riscontro della operatività del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sino al 2007.
La sentenza impugnata ha richiamato (pag. 5 e 6) le numerose e chiare conversazioni , telefoniche e ambientali, queste ultime effettuate all’interno dell’autovettura del ricorrente, delle quali questi è diretto interlocutore, caratterizzate da un linguaggio chiaro ed esplicito, dal l’utilizzo di espressioni, e ritenute, con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità, inequivocabili del ruolo di intraneo, che l’imputato ha ricoperto, all’interno del sodalizio di stampo RAGIONE_SOCIALE, negli anni oggetto della contestazione e sino al gennaio 2007.
Al riguardo il motivo è generico in quanto non si confronta con la sentenza impugnata, e non indica specifici vizi di illogicità o contraddittorietà che inficino l’interpretazione , offerta dal Tribunale e fatta propria dalla Corte di merito, delle conversazioni da cui emerge lo stabile inserimento dell’imputato nella struttura associativa RAGIONE_SOCIALE, idoneo ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi: la conversazione del 19/10/2006, progr.4033, nella quale il ricorrente confida a COGNOME di avere rappresentato a NOME, di essere ‘un buon soldato’ ; la conversazione del 25/02/2006, progr.329, nella quale l’imputato confidava a NOME COGNOME che per agire era sempre necessario ricevere un ordine del capo indiscusso del sodalizio, NOME COGNOME; la conversazione del 28/03/2006, progr.1136, nella quale l’imputato eseguiva gli ordini da questi ricevuti, anche quali messaggi minacciosi da trasmettere a terzi; la conversazione del
30/10/2006, progr.4333, nella quale affermava che ogni ordine ricevuto da NOME COGNOME come ‘legge’ .
La Corte di appello procede, poi, ad illustrare il contenuto di alcune conversazioni, altro profilo con il quale il ricorrente non si confronta, nelle quali l’imputato ribadiva la sua sudditanza verso l’associazione RAGIONE_SOCIALE : la conversazione del 18/06/2006, progr.2134, nel corso della quale gli interlocutori fanno espresso riferimento al proprio dovere di rispettare la gerarchia dell’associazione criminale e di limitarsi a fare il proprio lavoro, altrimenti ‘sarebbe finita male’ ; la conversazione del 14.02.2006, progr.27, nella quale si sottolinea la necessità di ricevere l’autorizzazione dei capi del sodalizio RAGIONE_SOCIALE prima di recarsi a Catania, per risolvere una questione insorta con un soggetto appartenente ad altra ‘famiglia’ .
E ancora si richiamano diverse conversazioni da cui si è ricavato lo stabile inserimento dell’imputato nel sodalizio RAGIONE_SOCIALE , quali: la conversazione progr.1836 del 20.05.2006, in cui COGNOME fa riferimento alla collocazione di una ‘bottiglia’ da parte di NOME COGNOME in relazione ad una estorsione , nonché prospettano di utilizzare delle mitragliette per impedire ai componenti del RAGIONE_SOCIALE avversario (c.d. ‘i mussi’) di uscire dalle loro abitazioni; la conversazione progr.1468 del 15.04.2006, in cui l’imputato riceveva da NOME COGNOME le disposizioni impartite dal capo, NOME COGNOME, in relazione ad una azione punitiva violenta da attuare contro un soggetto che aveva aggredito un associato (Patané NOME); la conversazione progr.3617 del 26.09.2006, in cui gli interlocutori (NOME e NOME) commentano il fatto di non essere ancora stati ‘bruciati’, ossia individuati dalla FF.OO. , nelle azioni criminose dagli stessi realizzate, e le raccomandazioni ricevute da NOME COGNOME (stare attento, indossare il cappuccio per evitare di essere ripreso dalle videocamere).
In questo contesto si inseriscono anche le due conversazioni richiamate dalla difesa, la conversazione progr.1521 del 17.04.2006, in cui si fa espresso riferimento alla struttura gerarchica dell’associazione , e del rammarico di COGNOME di essere stato superato da ‘carusi appena nati’; la conversazione progr.1314 del 5.01.2006, in cui si commenta delle modalità di affiliazione all’associazione mediante ‘sponsorizzazione’ di un associato ; conversazioni la cui interpretazione compiuta dalla Corte territoriale, è corretta ed immune da vizi e censure.
6.1.3 Ai fini dell’inquadramento dogmatico della contestata figura tipica, è anzitutto noto che mediante la particolare formulazione dell’articolo 416 -bis cod. pen. il legislatore ha adottato un modello descrittivo dell’illecito tratto dalla concreta esperienza criminologica, essendo stata compiuta una valorizzazione di
taluni elementi connotanti la fattispecie (in particolare, il fatto di avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo, oltre che delle correlate condizioni di assoggettamento e di omertà) desunti da dati «fenomenologici», riscontrati in alcune realtà territoriali del nostro Paese. Ne è scaturita una sorta di ‘alterazione’, rispetto all’ordinario metodo di incriminazione delle fattispecie orientate alla tutela dell’ordine pubblico, le quali nascono dal rilievo penalistico del solo accordo, finalizzato alla commissione indeterminata di delitti (cui si accompagni un minimum di base organizzativa); il carattere «tipico» dell’associazione che possa dirsi RAGIONE_SOCIALE, infatti, è riscontrabile solo laddove l’accordo tra più soggetti sia oggettivamente ricollegabile per il metodo operativo seguito, per la qualità soggettiva degli associati, per il radicamento criminale sul territorio – da un concreto effetto di «intimidazione ambientale», tale da rendere possibile il perseguimento dei particolari fini previsti dalla norma (alterazione delle regole del mercato, alterazione dei rapporti tra privati e pubbliche amministrazione nell’aggiudicazione di appalti, o realizzazione di profitti ingiusti mediante lo svolgimento di attività illecite). Pur non postulando, pertanto, la norma in parola la necessaria consumazione di delitti scopo, nonché prevedendo la punibilità anche per le sole condotte associative di per sé considerate (stante la natura di reato di pericolo -sia pure concreto -in rapporto al bene protetto), è infatti evidente (ed in tal senso si parla di reato associativo a struttura mista) che i caratteri tipici dell’associazione de qua, prima evidenziati, rendono necessario un minimo di operatività, o comunque esigono l’esistenza di una concreta carica intimidatoria, derivante dal modo di atteggiarsi o di comportarsi – anche pregresso – da parte di quei soggetti, che rendano con chiarezza riconoscibile all’esterno tale fondamentale caratteristica (sul punto, si vedano Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Lee, Rv. 269747 -01 e Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, COGNOME, Rv 253457). In altre parole, va detto che una associazione può essere qualificata, in sede giudiziaria, come «di stampo RAGIONE_SOCIALE» esclusivamente ove risulti che il suo modus operandi sia fortemente caratterizzato da un uso (almeno potenziale) della violenza o della minaccia, tali da ingenerare quel senso di timore e di insicurezza per la propria persona o per i propri beni, che induce la generalità dei consociati a piegarsi alle diverse richieste di vantaggi provenienti dagli associati.
6.1.4 Nella concreta fattispecie, la difesa ricorrente -dialogando direttamente con il materiale probatorio posto a fondamento della decisione, oltre che, impropriamente, invocandone una difforme valutazione di merito -non contesta la sussistenza dell’associazione RAGIONE_SOCIALE, bensì l’organicità alla
stessa di NOME COGNOME. La Corte territoriale -quanto a tale specifico profilo – ha invece adottato un apparato motivazionale di ineccepibile tenuta logica, privo di qualsivoglia forma di contraddittorietà e, pertanto, meritevole di rimanere immune da rilievi, in questa sede. I giudici del merito, infatti, hanno ben delineato gli elementi specifici, attraverso i quali è possibile cogliere la riconducibilità al ricorrente di una condotta di tipo partecipativo all’associazione RAGIONE_SOCIALE. E infatti, la Corte territoriale – quanto alla specifica tematica -si diffonde nella descrizione storica delle numerose conversazioni, ritenute evocative della intraneità del soggetto al sodalizio, riuscendo ad individuare una serie di elementi che reputa particolarmente significativi, quanto alla piena adesione all’associazione RAGIONE_SOCIALE in argomento e partecipazione alle attività delinquenziali poste in essere dal RAGIONE_SOCIALE malavitoso, al contributo permanente alla stessa offerto con la messa a disposizione di ogni energia e risorsa personale per qualsiasi impiego criminale richiesto. La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’obbligo assunto dall’imputato in tali termini rafforza il proposito criminoso degli altri associati e accresce le potenzialità operative e la complessiva capacità di intimidazione e infiltrazione nel tessuto sociale del sodalizio.
6.1.5 A fronte delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, le deduzioni difensive devono ritenersi inammissibili, in quanto adducono ragioni e osservazioni prevalentemente versate in fatto e non si confrontano con la puntuale motivazione della Corte di merito. Su tali deduzioni, questa Corte di legittimità non può pronunciarsi, visto che si chiede al Collegio, sostanzialmente, di ricostruire la vicenda in maniera alternativa, rispetto a quanto deciso dai giudici di merito (ex multis, Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, COGNOME, Rv. 230568). Nel caso di specie, non sussistono manifeste illogicità o incongruenze, nella motivazione della sentenza impugnata, mentre deve rilevarsi l’inammissibilità della richiesta di rivedere le circostanze di fatto relative alla ricostruzione dell’intero quadro probatorio, che ha portato ad individuare il ricorrente quali soggetto a pieno titolo partecipe della sopra detta cosca.
Del resto, non può essere revocato in dubbio che le sopra enucleate condotte possano pienamente configurare la condotta tipica del partecipe all’associazione di cui all’art. 416 – bis cod. pen. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha da tempo costruito tale figura giuridica – distinguendola nettamente da
quella del concorrente esterno – in termini perfettamente compatibili con gli elementi evidenziati dalla Corte territoriale, quanto all’attuale imputato.
Al partecipe di una associazione RAGIONE_SOCIALE, dunque, è riferibile un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare non tanto uno “status” di appartenenza, bensì un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato ”prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231670; più di recente, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889 – 01). Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali -in virtù di attendibili regole di esperienza, attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo RAGIONE_SOCIALE -sia consentito logicamente inferire la “appartenenza” (il ruolo del partecipe, dunque), purché si tratti di indizi gravi e precisi. Tra questi rientrano, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi “facta concludentia”; trattasi di indicatori idonei, sebbene senza alcun automatismo probatorio, a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione. In tale ampia ricostruzione della variegata fenomenologia partecipativa RAGIONE_SOCIALE, la giurisprudenza di legittimità ha fatto rientrare la permanente “disponibilità”, al servizio dell’organizzazione, a realizzare attività delittuose, anche di bassa manovalanza (Sez. 5, n. 48676 del 14/5/2014, Calce, Rv. 261909), giungendo a ritenere che non sia necessario catalogare, in un ruolo stabile e predefinito, la condotta del singolo associato, poiché il sodalizio RAGIONE_SOCIALE è una realtà estremamente dinamica e multiforme, che si adegua continuamente alle modificazioni del corpo sociale ed all’evoluzione dei rapporti interni tra gli aderenti, per cui le modalità di partecipazione possono essere le più diverse e addirittura assumere caratteri coincidenti con normali esplicazioni di vita quotidiana o lavorativa (Sez. 5, n. 6882 del 6/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266064; Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273571, a mente della quale: «Ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione di tipo RAGIONE_SOCIALE, l’investitura formale o la commissione di reati -fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica
ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso, che emergono anche da significativi “facta concludentia”»; si veda, infine, Sez. 2, n. 31541 del 30/5/2017, COGNOME, Rv. 270468, che conferisce rilievo alle “frequentazioni” stabili con mafiosi, in presenza di determinate condizioni di riscontro).
6.1.6 Con riguardo alla doglianza che contesta la legittimità del riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 7, L.203/1991, con riguardo ai reati di cui ai capi C), D) e H), il motivo è inammissibile in quanto inedito, e non può essere proposto in sede di legittimità perché mancava il corrispondente motivo di appello.
Ed invero, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745 -01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, COGNOME).
La censura è in ogni caso generica.
Con riguardo al reato di estorsione aggravata in concorso, contestato al capo D), la Corte territoriale richiama la sentenza del Tribunale (pag. 22), che correttamente ha individuato la sussistenza della contestata aggravante sulla base del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, NOME COGNOME, in relazione alla tipologia e al carattere delle minacce estorsive ricevute, al contesto territoriale in cui la condotta veniva realizzata, ed al richiamo simbolico, attraverso la bottiglia contenente liquido infiammabile, a ritorsioni gravi, ove la vittima non si fosse attivata, cercando l’amico e pagando l’estorsione, quali circostanze idonee ad evocare, con efficienza causale, l’esistenza di un sodalizio, incutendo il timore aggiuntivo delle ritorsione RAGIONE_SOCIALE.
Sul punto specifico, il principio di diritto che pacificamente governa la materia è nel senso che – allorquando i fatti si svolgano in una zona di rinomato e consolidato radicamento di organizzazioni malavitose – è bastevole che il soggetto agente faccia un richiamo, sia pure implicito, al potere criminale della consorteria RAGIONE_SOCIALE, essendo tale potere già ben conosciuto dalla collettività, perché possa ritenersi integrata l’aggravante in esame (fra tante, si veda Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, COGNOME, Rv. 284950 -01).
Analoghe considerazioni si impongono con riferimento al reato, contestato al capo H), di tentata estorsione ai danni di COGNOME NOME.
La Corte territoriale ha richiamato le dichiarazioni del teste COGNOME NOME , che si era occupato dell’attività di movi mento terra, nei lavori eseguiti dalla ditta RAGIONE_SOCIALE, e che, nel corso della conversazione intercettata il 10/09/2006, si era rammaricato di avere in precedenza rassicurato il proprietario del fondo, COGNOME, che non sarebbe successo nulla, sottovalutando chiari segnali della intimidazione (ritrovamento, sul luogo dei lavori, di bottiglia contenente liquido infiammabile e di un bigliettino con la scritta ‘cercati un amico! Veloce’) .
La Corte territoriale richiama la sentenza del Tribunale che indica, quale elemento fondante la responsabilità del ricorrente, la conversazione del 7.09.2006 , intercettata all’interno dell’autovettura dell’imputato, nella quale questi esplicitava un particolare interesse in relazione ai lavori realizzati ‘da uno di Linguaglossa’, dove in precedenza era stata rubata una betoniera, per poi rappresentare la necessità di mettere una bottiglia. Conversazione che correttamente è stata ritenuta rilevante per il riferimento al luogo, in cui operava l’impresa di RAGIONE_SOCIALE NOME, al furto della betoniera , subito in precedenza dall’impresa, al preannunciato proposito di collocare una bot tiglia, ritrovata poi sul luogo dei lavori il 9/09/2006.
6.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Quanto alla richiesta di rideterminazione della pena inflitta, riguardo al computo della pena finale, il motivo è inammissibile in quanto generico e manifestamento infondato.
Il motivo è reiterativo di doglianza già formulata in appello, che la Corte territoriale, confrontandosi con il motivo di appello, ha rigettato con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità manifesta, confermando la sentenza del Tribunale.
È sufficiente, sul punto, richiamare il principio di diritto per il quale “il giudice di appello non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti alla attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione” (Sez. 4, n. 5875 del 30/01/2015, Rv. 262249); non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando ne risulti il rigetto dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340).
Tale principio, di carattere generale, ha trovato applicazione in relazione a molteplici istituti “di favore” per l’imputato: in particolare, si è affermato che la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita, allorché sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione del trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Dulan, Rv. 275057,). Sez. 4, Sentenza n. 5396 del 15/11/2022, dep.2023, Rv. 284096 -01).
Nella specie, la Corte territoriale ha richiamato la gravità dei fatti delittuosi contestati che, unitamente alle condanne riportate da COGNOME per reati di furto aggravato e di concorso di persone nel delitto di estorsione, sono stati ritenuti indicativi di spiccata inclinazione a delinquere di cui all’art.133 cod. pen., nonché l’assenza e la mancata deduzione di elementi che possano giustificare il chiesto beneficio.
Al rigetto del ricorso proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME, NOME e NOME segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24/09/2025.
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME