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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti in appello. La Corte ha stabilito che l’adesione al cosiddetto ‘concordato in appello’ implica una rinuncia a far valere motivi di doglianza relativi a questioni, anche rilevabili d’ufficio, come la mancata valutazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. L’inammissibilità del ricorso per tale motivo rende irrilevante anche la sopravvenuta questione della procedibilità a querela.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello e ricorso in Cassazione: i limiti invalicabili

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 11892 del 2024, torna a definire i confini del ricorso per cassazione avverso una sentenza che recepisce un concordato in appello. Questo strumento processuale, introdotto per deflazionare il carico giudiziario, comporta per le parti una significativa limitazione delle facoltà di impugnazione, come chiarito in modo inequivocabile dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello che, su concorde richiesta delle parti ai sensi dell’art. 599 bis del codice di procedura penale, aveva applicato a un imputato una pena per il reato di tentato furto aggravato. Nonostante l’accordo raggiunto in secondo grado, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:

1. La mancata valutazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.
2. La violazione di legge per la sopravvenuta mancanza della condizione di procedibilità della querela, introdotta dal D.Lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia).

L’analisi della Cassazione e i limiti del concordato in appello

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ribadisce un principio consolidato in giurisprudenza. L’accesso al concordato in appello rappresenta una scelta processuale che produce effetti preclusivi su quasi tutte le possibili doglianze. La Suprema Corte ha chiarito che il ricorso avverso una sentenza ex art. 599 bis c.p.p. è ammissibile solo per motivi molto specifici, quali:

* Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo.
* Vizi relativi al consenso del Procuratore Generale.
* Una pronuncia del giudice difforme rispetto a quanto concordato tra le parti.

Al di fuori di queste ipotesi, ogni altra questione si intende rinunciata. In particolare, la Corte sottolinea come la doglianza relativa alla mancata valutazione delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. sia inammissibile. Il potere dispositivo riconosciuto alla parte che accetta il concordato non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma preclude l’intero svolgimento processuale successivo su tali punti, compreso il giudizio di legittimità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla natura stessa dell’accordo processuale. L’imputato, nel concordare la pena, accetta un determinato esito del processo in cambio di un beneficio sanzionatorio, rinunciando implicitamente a sollevare questioni che, sebbene astrattamente fondate, diventano incompatibili con la volontà espressa. Questo principio opera in modo analogo alla rinuncia all’impugnazione: una volta che si sceglie una via, non è più possibile percorrerne altre.

Di conseguenza, anche la seconda questione, relativa alla sopravvenuta procedibilità a querela, viene travolta dall’inammissibilità del motivo principale. La Corte afferma che, essendo il ricorso viziato in origine per un motivo che ne preclude l’esame nel merito, qualsiasi altra causa di improcedibilità (come la mancanza di querela) diventa inoperante. L’inammissibilità del ricorso cristallizza la decisione impugnata, impedendo al giudice di legittimità di pronunciarsi su questioni che sarebbero potute emergere successivamente.

Le conclusioni

La decisione in commento rafforza la stabilità delle sentenze emesse a seguito di concordato in appello. Gli operatori del diritto e gli imputati devono essere pienamente consapevoli che la scelta di questo rito alternativo comporta una rinuncia quasi totale a future impugnazioni. L’accordo sulla pena in appello chiude la porta a un successivo riesame da parte della Cassazione, salvo i rari casi di vizi genetici dell’accordo stesso. La sentenza diventa, di fatto, definitiva, e questioni come le cause di non punibilità o le nuove condizioni di procedibilità non possono più essere fatte valere.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’?
Sì, ma solo per motivi molto specifici, come vizi nella formazione della volontà di aderire all’accordo, vizi nel consenso del Procuratore Generale, o se la decisione del giudice è difforme dall’accordo stesso.

L’accordo sulla pena in appello implica una rinuncia a far valere cause di proscioglimento?
Sì. Secondo la Corte, l’adesione al concordato comporta una rinuncia implicita a sollevare questioni, anche rilevabili d’ufficio, come la mancata valutazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.

La sopravvenuta procedibilità a querela di un reato può essere fatta valere se il ricorso è inammissibile per altri motivi?
No. La Corte ha stabilito che l’inammissibilità originaria del ricorso per altri motivi rende inoperante la questione della sopravvenuta mancanza di querela, impedendone l’esame nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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