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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3773/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati condannati per rapina impropria e altri reati. La decisione si fonda sul fatto che la sentenza d’appello era stata emessa a seguito di un concordato in appello ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p. La Corte ha ribadito che tale accordo preclude la possibilità di contestare in Cassazione la qualificazione giuridica dei fatti o la mancata valutazione di cause di proscioglimento, essendo l’impugnazione limitata a pochissimi casi, come l’irrogazione di una pena illegale.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il concordato in appello, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, è uno strumento processuale che consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado, rinunciando a specifici motivi di impugnazione. Questo meccanismo, pensato per deflazionare il carico giudiziario, pone tuttavia dei precisi limiti alla successiva possibilità di ricorrere in Cassazione. Una recente ordinanza della Suprema Corte (n. 3773/2024) offre un chiaro esempio di quali siano questi limiti e di come l’accordo tra le parti precluda la maggior parte delle doglianze.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di due individui per i reati di rapina impropria, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali, commessi in concorso. In primo grado, il G.i.p. del Tribunale aveva emesso una sentenza di condanna. Successivamente, la Corte d’appello, accogliendo un accordo tra le parti, aveva parzialmente riformato la sentenza, rideterminando le pene inflitte ai due imputati. Nonostante l’accordo raggiunto, entrambi gli imputati decidevano di proporre ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello.

I Motivi del Ricorso e l’Impatto del concordato in appello

I ricorsi presentati si basavano su argomentazioni diverse. Il primo ricorrente sosteneva un’erronea qualificazione giuridica del fatto: a suo dire, avrebbe dovuto essere condannato per furto e non per rapina impropria, poiché non era a conoscenza né aveva previsto l’uso della violenza da parte del complice per assicurarsi la fuga dopo la sottrazione di un’autovettura.

Il secondo ricorrente, invece, sollevava censure più ampie, lamentando la mancata valutazione di cause di non punibilità (ex art. 129 c.p.p.), un’errata qualificazione giuridica del fatto e una pena non congrua rispetto ai principi costituzionali, criticando il bilanciamento delle circostanze.

Entrambi i ricorsi, tuttavia, si scontrano con la natura stessa del concordato in appello.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, richiamando la propria consolidata giurisprudenza in materia. I giudici hanno sottolineato che la sentenza emessa a seguito di un accordo ex art. 599-bis c.p.p. gode di una stabilità particolare, che limita fortemente le possibilità di impugnazione successiva.

La Corte ha chiarito che l’accordo tra le parti sui punti della sentenza implica una rinuncia a sollevare, nel successivo giudizio di legittimità, ogni doglianza relativa ai punti concordati. In particolare, è inammissibile un ricorso che miri a:

1. Censurare la qualificazione giuridica del fatto: La scelta di accettare il concordato preclude la possibilità di contestare in Cassazione l’inquadramento del reato (come nel caso del primo ricorrente che chiedeva la derubricazione da rapina a furto).
2. Lamentare la mancata valutazione di cause di proscioglimento: La richiesta di applicare l’art. 129 c.p.p. è anch’essa preclusa dall’accordo, salvo casi eccezionali come la prescrizione maturata prima della sentenza d’appello.
3. Discutere la determinazione della pena: I vizi relativi al calcolo della pena, al bilanciamento delle circostanze o alla sua congruità non possono essere fatti valere in Cassazione, a meno che la pena applicata non sia illegale, cioè diversa per specie da quella prevista dalla legge o applicata fuori dai limiti edittali.

Nel caso di specie, nessuna di queste eccezioni era stata dedotta dai ricorrenti. Le loro censure rientravano pienamente nell’ambito dei motivi a cui avevano implicitamente rinunciato aderendo al concordato.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce con forza la natura “deflattiva” e vincolante del concordato in appello. Chi sceglie questa strada processuale deve essere consapevole che sta accettando la sentenza nei punti oggetto dell’accordo, rinunciando di fatto a successive contestazioni di merito o di diritto che non riguardino vizi radicali, come la validità dell’accordo stesso o l’illegalità della pena. Questa decisione rafforza la stabilità delle sentenze concordate e chiarisce agli operatori del diritto i confini invalicabili del ricorso per cassazione in tali circostanze, promuovendo l’efficienza del sistema giudiziario.

È possibile contestare la qualificazione giuridica del reato (es. chiedere di derubricare una rapina in furto) in Cassazione dopo un concordato in appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto è inammissibile, in quanto l’accordo delle parti sui punti concordati implica la rinuncia a dedurre tale doglianza.

Dopo un accordo sulla pena in appello, si può ancora chiedere alla Cassazione di valutare la presenza di cause di non punibilità?
No, la mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. non rientra tra i motivi ammessi per il ricorso in Cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di concordato, salvo il caso di prescrizione del reato maturata prima della sentenza d’appello.

Quali sono gli unici motivi per cui è ammesso un ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello?
Il ricorso è ammissibile solo se deduce motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero, a un contenuto della pronuncia difforme dall’accordo o all’irrogazione di una pena illegale (cioè non rientrante nei limiti edittali o diversa da quella prevista dalla legge).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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